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Autore: Wymagalt    01/02/2023    1 recensioni
Il mio nome è Delphini Mathildis Black e sono nata il 9 febbraio del 1976. Sono la figlia del Signore Oscuro, Lord Voldemort e della sua più fedele Mangiamorte, Bellatrix Lestrange. Ti chiederai perché abbia scelto di raccontarti la mia storia. Credo principalmente per lasciare una traccia di me che non sia stata riscritta, convalidata o manomessa da mani altrui. Spero avrai la pazienza di accompagnarmi per queste pagine, lasciando fuori i pregiudizi, le paure e le resistenze che naturalmente avrai nei miei confronti. Ti chiedo di tentare. E alla fine, magari, riusciremo a incontrarci da pari: tu con la tua storia e io con la mia.
Genere: Avventura, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Delphini Riddle, Famiglia Lestrange, Famiglia Malfoy, Famiglia Nott | Coppie: Bellatrix/Voldemort, Lucius/Narcissa, Rodolphus/Bellatrix
Note: AU, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Più contesti
Capitoli:
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VI.

Immagino che la sola idea di una bambina da sola con Lord Voldemort ti abbia terrorizzato. È per questo che parlo tanto di mio padre: non solo perché rimane una delle figure più importanti della mia vita – e quindi sarebbe abbastanza superficiale non parlarne in queste pagine a cui sto affidando la mia autentica biografia – ma anche perché vorrei che fosse per un po’ solo mio padre e non il Signore Oscuro. Per rassicurarti nei tuoi pregiudizi, però, posso dire che a casa di mio padre c’era sempre freddo.  
Mentre mia madre era entusiasta della piega che stavano prendendo le cose, mia nonna non avrebbe potuto essere più infastidita. Quando si avvicinava il finesettimana, diventava sempre scontrosa e sembrava come se avesse la bocca piena di cose da dire ma le tenesse per sé. La fronte, sotto i suoi capelli biondi tenuti ordinatamente in uno chignon, rimaneva aggrottata e pensierosa. All’epoca non avrei potuto capire l’entità del suo dispiacere, ma a posteriori mi rendo conto che c’erano tante cose a cui si era dovuta rassegnare. In uno di questi momenti mi disse qualcosa che non avrei più dimenticato:
“Lo sai che tuo padre ha da fare, perché lo vai a importunare?”
Io non sapevo cosa volesse dire “importunare”, così quel pomeriggio lo chiesi a mio padre: mio padre ha sempre saputo spiegarmi molto bene le cose.
“Importunare, Delphini, significa dare fastidio. Se mi dessi fastidio, però, sicuramente non ti farei stare con me tutto questo tempo, non credi?” io annuii guardandomi la punta degli stivaletti neri nuovi che zia Cissa mi aveva regalato. Era una fredda giornata autunnale e stavamo passeggiando nel bosco che circondava la sua casa, nascosta da tutto e tutti, un po’ come lui. “Tua nonna è solo indispettita perché ha paura di perdere il controllo su di te” continuò mio padre, senza voltarsi a guardare se lo seguivo, nascosto nel suo mantello nero.
Cosa vuol dire, papà?” chiesi in serpentese. Facevo sempre così quando lo volevo più vicino   
Mio padre sbuffò, girandosi a guardarmi, finalmente. Il suo volto diventava sempre più cereo negli anni, gli occhi arrossati come se avesse guardato il sole per troppo tempo, le labbra sottili, tese. Però, attorno agli zigomi magri e taglienti, spuntavano ancora i suoi capelli neri, radi e sottili. A chiunque sarebbe potuto apparire come un’illustrazione di Nosferatu. Per me, era mio padre, solo un po’ infastidito.
“Quando devi fare qualcosa, tu a chi chiedi il permesso?”
Facile: “A te, papa!”
Finalmente si rabbonì un pochino, spostando il peso sulla gamba mentre mi sorrideva indulgente.
“E poi?”
Io mi concentrai approfonditamente, con tutte le energie che una bambina di tre anni può avere.  
“Beh, a mamma e a nonna!”
“Ecco, tua nonna ha paura che imparerai a chiedere soltanto a me”
Perché?”
“Perché cosa, Delphini?”
“Perché ha paura?”
Perché è debole
Lo guardai perplessa e allora si inginocchiò davanti a me per guardarmi direttamente negli occhi: nero sul rosso.
“Tua nonna ha paura che io ti porti via da lei, Del. È umano: le persone rubano quello che possono nella vita per non sentirsi soli. Lei vorrebbe rubarti a me per paura che io ti rubi a lei. Ma tu sei mia figlia e devi passare tempo con me, non trovi? I figli devono passare tempo con i propri genitori, giusto?”
Certo, papà
“E sei più mia che sua perché sei mia figlia, non sua”
Certo, papà
“E a lei non piace e quindi non le piaccio io”
Io rimasi sconvolta:
“Ma lei ha già due figlie!” 
E mio padre rise, era una cosa talmente rara che mi colpì particolarmente. Accarezzandomi il volto con una mano gelida disse:
“Forse non sei neanche solo mia, Del… sei un tipo tutto tuo, tu, non è vero?” disse ancora ridendo sommessamente, rialzandosi.
Beh, direi che si vedrà col tempo” disse allora, pensieroso, seguendo con lo sguardo le fronde ingiallite degli alberi. A volte sembrava che mio padre potesse vedere invisibili cose nel vento, come se ci fosse un’energia sempre con lui, qualcosa di antico e terribile. “Forza, andiamo a raccogliere la malva per il tuo decotto di stasera. Bisogna pur iniziare dalle piccole cose, si dice”.
Le nostre scampagnate diventarono un’abitudine. Imparai presto che mio padre preferiva stare all’aria aperta il più possibile e, in qualche modo, capii che odiava quella casa scricchiolante sulla collina. Non sapevo perché, ma sentivo anche io che in quelle stanze doveva essere capitato qualcosa di terribile. A volte, quando dormivo lì, mi venivano gli incubi: sognavo volti urlanti, traslucidi, come fantasmi nella notte. Allora mi svegliavo, madida di sudore e desideravo tanto che nonna Druella fosse con me in quel momento. La camera in cui dormivo era grande e il letto molto comodo, ma non aveva niente di familiare, sembrava così impersonale, così vecchia, così ostile. Tutto di quella casa sembrava impregnato di una malinconia deprimente. Così, uscire da sotto le coperte diventava ancora più spaventoso che rimanere rattrappita là sotto, avvertendo la sensazione inquietante che qualcosa si muovesse fuori dal mio campo visivo. Ma prendevo coraggio e, coi piedi nudi, correvo sul pavimento freddo per andare alla camera di mio padre, proprio davanti alla mia, il più veloce possibile perché il buio non mi afferrasse.
“Papà!”
Nove volte su dieci, mio padre era ancora sveglio, la luce ancora accesa. Una volta su dieci lo trovavo addormentato sulla sedia. Un giorno, si girò a guardarmi a labbra strette.
“Delphini, un altro incubo?”
Sì, papà
Sospirando, posò la penna sul foglio.
“Devo iniziare a pensare che non ti piace stare con me?” disse, massaggiandosi la fronte con le sue lunghe dita pallide.
“No! No, papà!” dissi, arrampicandomi sulle sue gambe per essere presa in braccio.
“E allora, perché tutti questi incubi, mmh?”
Ci sono i fantasmi
Rimase sorpreso da questa frase.
“Che fantasmi, Delphini?”
“Una donna e due uomini, papà. Sono molto tristi…”
Per un po’, non fui più accettata a casa sua e questo mi fece pensare che lo avessi fatto arrabbiare. Fu una settimana molto brutta quella in cui non mi volle a casa con sé e mia madre non sapeva darmi spiegazione di quel cambiamento così repentino. Un giorno, doveva essere il giovedì della settimana successiva, la sentii parlare con zio Rabastan e mia nonna:
“Credi che la bambina gli abbia dato noia, in qualche modo? È colpa nostra?”
“Ma no, Bella… lo sai com’è fatto. Non è la prima volta che si ritira…”
“Sì, ma è sua figlia!” sbottò mia nonna, da un angolo della cucina, l’antro dei complotti. Se c’era qualcosa da sapere, sarebbe stato detto in cucina, quando l’Elfa, Daisy, era distante a svolgere le faccende.
“Qualsiasi cosa possa aver detto o fatto, non può scomparire in questo modo!”
“Bada a come parli, madre!” s’infiammò mia madre “Delphini è abbastanza intelligente da poter imparare il suo posto al mondo. Non c’è bisogno di tutelarla come se fosse fatta di porcellana. È bene che impari chi è suo padre, se vuole far parte di famiglia!”
Allora la scena mi fu coperta dalla gonna di mia nonna, che si era portata verso la porta, privandomi della possibilità di sbirciare.
“È solo una bambina!”
Mia madre la sferzò con una risata secca, sardonica: “E quando credi sia meglio educarla? O sarebbe meglio aspettare che cresca come una selvaggia per rimpiangerla dopo? Io non farò lo stesso errore che hai fatto tu, madre! Non con sua figlia”
L’aria si fece pesante e io sentii un nodo stringersi nello stomaco.
“Come osi!” la voce di mia nonna era rotta “Ti credi grande, vero Bella? Ma ci sono tante cose che hai ancora da imparare e che neanche il tuo Signore potrà mai insegnarti!”
Detto questo, mia nonna fece per uscire e io feci appena in tempo a nascondermi tra i cappotti appesi nell’andito per non essere notata. Poco dopo, fu mia madre ad allontanarsi. Infine, zio Rab uscì dalla cucina, chiudendo delicatamente la porta. Stava per imboccare anche lui il corridoio quando, improvvisamente, si fermò nel mezzo.
“Delphini…”
Silenzio.
Sospirando, allora si avvicinò al mio nascondiglio e chinandosi mi scoprì il volto dai pesanti cappotti che sapevano di pioggia.
“Eccoti qua!”
“Zio Rab! Io non ho fatto niente! Perché papà è arrabbiato con me?” dissi con le lacrime agli occhi “io non voglio che mamma e nonna litighino…” continuai, iniziando a singhiozzare.
“Principessa! Io non credo affatto che tuo padre sia arrabbiato con te. Sono tua madre e tua nonna che dovrebbero smetterla di pensare che tutto giri attorno a te, piccolo sole. Neanche tu puoi raddrizzare quell’uomo – sorrise – e forse va bene così!”
“Cosa vuol dire zio Rab?”
“Che a volte tuo padre si comporta in maniera incomprensibile e non bisogna cercare di capirlo per forza. Non è una tua responsabilità e tua madre dovrebbe rilassarsi un po’. Lo conosco da trent’anni e ancora non c’ho capito un cavolo di lui!” disse Rab, mettendosi a ridere come un ragazzino, col suo forte accento irlandese
– un regalo di sua madre, mi aveva detto. La sua barba rossiccia si muoveva assieme alle sue guance squadrate “Hai capito, principessa? Ora esci da lì e andiamo a mangiare qualcosa di buono”.
La sapienza di mio zio ci avrebbe salvato da un bel paio di guai, se lo avessimo ascoltato di più. Forse, tra tutti, è quello che ha davvero capito come sopravvivere quando si vuole bene a una persona come mio padre.
Infatti, quello stesso sabato mattina, mio padre comparve dal nulla sulla soglia di casa Lestrange. Era cupo, ma non arrabbiato. Pareva un animale della foresta che era stato ferito e solo dopo che era riuscito a curarsi aveva potuto trovare la strada verso la sua tana.
“Del, sei pronta?”
Sarebbe difficile per me spiegarti come mi sentii in quel momento: un misto di confusione, gioia estrema e risentimento, credo. Mentre mia madre mi aiutava a fare i bagagli, ovvero ordinava all’Elfa Daisy cosa mettere nel baule, notai che anche lei doveva sentirsi come me.
Quando raggiunsi casa di mio padre, però, tutto si fece più chiaro: la mia camera era stata completamente trasformata! C’era una lampada a gas in ogni muro, a forma di fiammella; il pavimento era ricoperto di tappeti persiani dai colori caldi, sovrapposti gli uni agli altri; la stanza era stata riempita di colorati libri di bambini e fiori. C’era anche un cavalluccio a dondolo che non avevo mai visto prima. Il letto era decorato da una trapunta verde brillante e il vecchio baldacchino era sparito. Le finestre erano state ricoperte con tende chiare, così che la notte non potessero distorcersi in terribili spiriti oscuri. La camera ora sembrava molto più piccola, ma non c’era più l’impressione che qualcosa aleggiasse in attesa dietro gli angoli bui di quei vecchi mobili. Era tutto nuovo, come se mio padre avesse deciso di sfrattare dei vecchi e insofferenti inquilini. Ad oggi mi chiedo dove abbia trovato l’ispirazione per una tale restaurazione.
“OOOH!” esclamai per la sorpresa, lasciando cadere la mia valigetta.
Che ne dici?” chiese mio padre nella nostra lingua, appoggiato allo stipite della porta, le braccia incrociate al petto, mentre mi avvicinavo al centro della stanza, guardandomi attorno e sfamandomi lo sguardo di tutta quella novità.
È tutto mio?”
Mio padre ridacchiò.
“Non ho altre figlie, Del”
Io lo guardai perplessa: ero troppo piccola per capire l’ironia ma questo non frenava mio padre dal divertirsi alle mie spalle. Crede in un approccio vygotskijano, mio padre, per quanto concerne l’educazione.
“Avvisami se vedi qualche altro fantasma… devo ancora aggiungere la carta da parati”.

   
 
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