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Autore: Chevalier1    04/02/2023    5 recensioni
Quando lesse sul dispaccio il nome di Oscar François de Jarjayes, come nuovo comandante designato per i soldati della Guardia, un momento di preoccupato stupore attraversò l’altrimenti rigido aplomb del Colonnello d’Agoult: «Ci mancava solo questa, una donna qui, in un momento così difficile», sospirò nella solitudine del proprio ufficio, «è proprio vero che non è necessario aver la testa calda per domandarsi se a Versailles non abbiano davvero perduto il senso della realtà», si disse mentre controfirmava, perplesso, dandolo per ricevuto, l’ordine di servizio che indicava l’insediamento del nuovo comandante per un paio di giorni dopo. (Le notti agitate torneranno...)
Genere: Introspettivo, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, André Grandier, Oscar François de Jarjayes, Soldati della guardia metropolitana di Parigi
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Quando lesse sul dispaccio il nome di Oscar François de Jarjayes, come nuovo comandante designato per i soldati della Guardia metropolitana, un momento di preoccupato stupore attraversò l’altrimenti rigido aplomb del Colonnello d’Agoult: «Ci mancava solo questa, una donna qui, in un momento così difficile», sospirò nella solitudine del proprio ufficio, «è proprio vero che non è necessario aver la testa calda per domandarsi se a Versailles non abbiano davvero perduto il senso della realtà», si disse mentre controfirmava, perplesso, dandolo per ricevuto, l’ordine di servizio che indicava l’insediamento del nuovo comandante per un paio di giorni dopo.

La fama dell’ex comandante delle guardie reali e del suo “segreto” la precedeva a Parigi da non poco tempo: le voci avevano le ali e Versailles non era notoriamente luogo che si distinguesse per la discrezione, meno che mai in quel periodo in cui la reggia non godeva di buona stampa e in cui ogni scusa era colta per alimentare maldicenze. Lo scandalo della collana e le memorie non meno scandalose di Jean de la Motte ci avevano messo del loro alimentando favola e leggenda: chi dipingeva la misteriosa donna in divisa da ufficiale come bellissima, lasciando intendere che non celasse troppo sotto l’uniforme le grazie del canone di avvenenza del tempo, e chi alimentava la diceria del mezzo uomo che faceva girar la testa alle dame, annoiate dalla routine di matrimoni insoddisfacenti.

In realtà D’Agoult aveva come tutti sentito parlare di lei, del resto non c’era da stupirsi che un caso così singolare suscitasse curiosità morbose, ma non aveva mai avuto notizie di prima mano sul suo conto né dai superiori, né dai pari grado, né dai sottoposti, segno che almeno – calcolò tra sé senza sapere se fosse logica deduzione o solo speranza – il colonnello de Jarjayes doveva almeno essere un tipo discreto, che dava poca confidenza ai corridoi: diversamente qualche pettegolezzo sarebbe certo corso fin lì da sopra o da sotto lungo la catena di comando. Ma se il campionario delle dicerie proveniva per la gran parte da feuilleton di quart’ordine che non perdevano occasione di gettare discredito sulla corte, contribuendo ad alimentare la diffidenza, pronta a trasformarsi in astio contro i nobili nelle strade di Parigi, l’unica voce giunta fin lì dall’interno dei corpi d’armata, a proposito di Oscar Francois de Jarjayes, insinuava soltanto che non sarebbe arrivata dov’era senza i meriti del casato. Nel qual caso, pensò D’Agoult, - mettendo in conto anche la tara da fare all’invidia di qualche scavalcato, variabile indipendente nelle vicende umane - non sarebbe stata questa gran novità.

Discendente da una famiglia d’antico lignaggio le cui sostanze si erano assottigliate, prima di giungergli in una modesta eredità, preda del combinato disposto tra antenati malaccorti e amministratori infedeli, il colonnello D’Agoult aveva trascorso anni a fare il secondo, in quella caserma semidimenticata in un clima da periferia dell’impero, ma che in quel periodo di grande tensione sociale avrebbe potuto proprio malgrado finire da un giorno all’altro nell’occhio del ciclone e rivelarsi cruciale, nel bene o nel male, per il controllo dell’ordine pubblico. Dalla sua posizione defilata, aveva visto avvicendarsi molti comandanti, per lo più finiti lì in conseguenza di qualche provvedimento disciplinare o perché carenti di qualità professionali per ambire a posti di maggior prestigio. Il comando della Guardia metropolitana, guarnigione di soldati di bassa estrazione sociale, arruolatisi per necessità, con abnegazione e disciplina commisurate alla paga da fame con cui erano gratificati per le notti di guardia al freddo o all’afa, non era un incarico ambito. Ci finiva, nella migliore delle ipotesi, chi aveva dovuto ridimensionare le ambizioni non avendo di meglio che i quattro quarti di nobiltà richiesti per ricoprire incarichi da ufficiale. D’Agoult ne aveva visti arrivare e partire tanti: aristocratici equipaggiati di tutto punto quanto fisicamente in disarmo, con gli alamari tesi sul davanti e boria direttamente proporzionale alla circonferenza del girovita, propensi a compensare con l’autoritarismo l’autorevolezza in difetto. In genere duravano poco: chiedevano un trasferimento il prima possibile, sperando di migrare verso meno scomodi lidi.

Nel vorticare dei vertici, D’Agoult era l’elemento di stabilità, la colonna che teneva in piedi la baracca, fuor di metafora perché da quelle parti di crepe e di muri sbrecciati ce n’erano parecchi.

Il suo lavoro non cambiava granché nella rapida rotazione dei superiori: al massimo si trattava di abituarsi a qualche fissazione del nuovo venuto, e poi di darsi da fare sobbarcandosi il grosso del lavoro testa bassa e, con rispetto parlando, culo di pietra, per dirla con il gergo in uso in caserma, dal momento che quelli, terminata la rivista, passavano le giornate in ufficio a firmare dispacci, lasciando a lui sia le parti operative, ronde di notte comprese, sia la burocrazia che i superiori si limitavano a controfirmare, non senza prima essersi lamentati di questo e di quello e aver minacciato rapporti di qua e di là soltanto per dare una giustificazione alla propria presenza graduata e ai propri emolumenti.

D’Agoult, che era uomo preciso e affidabile, immune al sentimento dell’invidia, teneva per sé le proprie considerazioni su quella miseria imparruccata, augurandosi che non avesse mai a prendere in mano l’ordine pubblico che certo le sarebbe sfuggito, e lavorava con diligenza. Il suo ruolo, che sarebbe andato stretto a molti meno capaci di lui, comunque non gli dispiaceva: aveva bisogno di quel lavoro vicino a casa: da un anno era rimasto vedovo, aveva due figlie quasi in età da marito che non avrebbe voluto sposare al primo che passasse pur di accasarle al prezzo della loro infelicità e per di più nutriva qualche preoccupazione per le intemperanze della più giovane che, rimasta priva della guida materna, trascurava i doveri che avrebbero dovuto fare di lei una signorina per bene quasi pronta a debuttare in società. Ragion per cui D’Agoult preferiva non restare lontano da casa oltre il tempo necessario alle esigenze di servizio e si sentiva rassicurato dal fatto che, dato lo stato dell’arte, nessuno, indispensabile com’era, lo avrebbe spostato di lì se non fosse stato lui a chiederlo. Aveva anche finito con l’affezionarsi a quel reggimento che, con l’eccezione di qualche testa calda per troppa ignoranza e di rari avanzi di galera ripuliti cui l’esercito sempre affamato di carne fresca s’era adattato per tappare i buchi, era composto in fondo per lo più di buoni diavoli provati dalla vita e un po’ rozzi ma non certo per colpa loro. Non tutti in verità, c’era n’era anche qualcuno in gamba che avrebbe meritato di molto meglio se solo la società avesse dato a ciascuno il suo: Alain De Sausson per esempio, in cui quel “de” rivelava una nobiltà decaduta da generazioni, cresciuto in una famiglia poverissima ma per bene e ragazzo di un’intelligenza – pensò sorridendo per tra sé D’Agoult – seconda solo alla sua insolenza.

Aveva portato lui l’ultimo arrivato, un certo André Grandier, che a D’Agoult aveva suscitato un’immediata simpatia per le sue, inedite in quel luogo, buone maniere. Che fosse un uomo del popolo era evidente dalle mani con cui aveva firmato la ferma: mani da lavoratore. Eppure c’era in lui un che di aristocratico a cominciare dalla firma: non la croce di molti dei suoi commilitoni, ma neanche il compitare scolastico di chi scriveva raramente, bensì uno svolazzo sicuro ed elegante che aveva visto solo agli ufficiali affidati da piccoli ai migliori precettori. Quel dettaglio colpì il Colonnello D’Agoult che, da quando aveva visto per la prima volta quel bel ragazzo dagli occhi verdi, - uno solo in verità perché l’altro era sempre coperto dal ciuffo ed era noto comunque che una guarnigione come quella facesse buono tutto, guerci compresi -, si interrogava sulla storia del nuovo venuto che nessuno conosceva e si disse che appena questi avesse concluso il periodo di addestramento obbligatorio avrebbe trovato il modo di prenderselo a redigere rapporti e dispacci, dato che quella firma poteva averla solo chi avesse studiato e un bel po’ più del minimo indispensabile. Al contrario dei comandanti che in genere erano lì, a lui non sarebbe mancato nulla per ambire ai gradi di ufficiale, fuorché il requisito formale della nobiltà.

«Certo che devi proprio averla combinata grossa, qualunque cosa voglia dire, Colonnello Oscar François de Jarjayes perché ti abbiano infilata in questo buco», commentò tra sé D’Agoult mentre si accingeva ad aprirne il fascicolo, tentato di aggiungere illazioni su che genere di buco si trattasse, salvo mordersi la lingua nel ricordare che in presenza del nuovo superiore avrebbe dovuto per ovvie ragioni moderare il linguaggio da caserma, cui pure non era troppo portato pur avendo lì dentro trascorso la vita.

Abituato per lunga pratica ad aver a che fare con le formule ingessate del linguaggio burocratico aveva imparato a leggere tra le righe della ripetizione dei moduli sempre uguale a sé stessa, era diventato abile a decrittarne gli arzigoli in cerca di indizi nascosti: capì che Oscar François de Jarjayes non era arrivata lì subendo l’imperio d’un trasferimento d’ufficio, ma che aveva chiesto lei di lasciare il comando della Guardia Reale durante il quale aveva riportato anche encomi, e notò che nella domanda non aveva indicato alcun ordine di preferenza, né escluso a priori alcuna destinazione, neppure le più disagiate come la marina, e che quando le era arrivata la nomina a Comandante di quel reggimento periferico della Guardia metropolitana – lo si capiva dalle date - aveva firmato senza por tempo in mezzo quella che evidentemente era la prima offerta utile. A giudicare dalle righe in apparenza asettiche dei documenti che ne disegnavano il percorso, la donna che sarebbe stata il suo nuovo superiore gerarchico poteva essere soltanto tre cose: o molto sprovveduta o molto temeraria o molto coraggiosa. D’Agoult pregò in cuor suo che non si avverassero le prime due ipotesi, ma ammise dentro di sé che erano le più probabili.

Oscar François de Jarjayes giunse in caserma un giorno prima dell’insediamento ufficiale, cortese e formale si presentò a lui, che sapeva già essere il suo vice, e chiese di essere accompagnata nelle camerate per poter conoscere i suoi soldati. D’Agoult represse lo stupore, un po’ perché nessuno mai, prima, si era preso la briga di presentarsi in anticipo, un po’ perché la realtà somigliava poco a come se l’era immaginata sulla carta. Si trovò davanti una donna tanto bella quanto sobria, una corporatura alta come la sua o poco di più, elegante e molto asciutta, ma con un passo elastico che rivelava una certa prestanza. Lunghi riccioli biondi e incolti, niente parrucca, e due occhi azzurri come il mare, penetranti e austeri, che davano l’idea senza che questo sembrasse contraddittorio di sommare un lampo di determinazione e un velo di tristezza. Gli diedero la sensazione di essere stati abituati a esibire una studiata freddezza, non del tutto spontanea. Dovette ammettere dentro di sé di essere rimasto colpito da quello sguardo e di averne provato una cosa che, se fosse stato onesto con sé stesso, avrebbe dovuto definire un lieve senso di soggezione e che non dipendeva dal fatto di trovarsi di fronte una donna: di certo non se l’aspettava così. Riconobbe in coscienza che le physique du rôle certo non le mancava, senza che questo pensiero nascondesse alcunché di malizioso: Oscar François de Jarjayes era nell’aspetto come avrebbe dovuto essere un ufficiale donna se mai fosse esistito. Si capiva alla prima occhiata che l’uniforme, che portava con la disinvoltura di un’abitudine acquisita da molto tempo, non la metteva a disagio. D’Agoult strinse la mano affusolata che gli veniva tesa e che gli rese una stretta asciutta e decisa, alla pari, da cui ricavò la certezza di non avere di fronte affatto la caricatura di un soldato: glielo rivelarono le durezze nel palmo che dicevano di una consuetudine quotidiana con la spada che nei predecessori non aveva notato. Si chiese quanta sostanza nascondesse quella forma impeccabile. Se fosse stata un uomo l’avrebbe detta professionale. Augurò a sé stesso e soprattutto a lei di non essersi sbagliato: anche così l’avrebbe avuta molto molto dura.

Oscar François de Jarjayes abituata alle dorature e agli specchi di Versailles non diede vista di scomporsi quando vide il degrado in cui versavano gli alloggi che i soldati chiamavano, non a torto, “le baracche”. Si presentò, austera e senza preamboli, solo con una nota di durezza che, notò D’Agoult, con lui non aveva avuto e che non avrebbe saputo dire se tradisse un filo di emozione o se fosse un modo per mettere subito in chiaro chi comandava. Soltanto quando lo sguardo del comandante si era posato sul volto di Grandier D’Agoult aveva colto un impercettibile cambio di espressione, come se avesse riconosciuto una faccia nota, una minima incrinatura subito recuperata in una corazza molto ben costruita. Era certo opera del padre, il generale de Jarjayes, militare di una lealtà impeccabile, integerrimo e preparatissimo cui solo una certa inclinazione alla franchezza mal sopportata nei ranghi militari e un tratto di impulsività nel carattere avevano impedito forse di trovarsi nel posto occupato dal generale Bouillé che de Jarjayes per fedeltà e competenza, per tacere dell’efficienza fisica, avrebbe meritato certo di più. D’Agoult si domandò quanto quell’impulsività avesse agito nella decisione di deviare così il destino di una figlia. Si ricordava il generale de Jarjayes, che aveva conosciuto a inizio carriera durante l’addestramento, come un istruttore assai rigoroso che si faceva rispettare per la sua competenza e temere per la sua severità: un duro che pretendeva moltissimo da sé stesso e dagli altri.

La donna in uniforme che davanti a lui parlava ai soldati con voce salda, camminando su e giù lungo la camerata con le mani dietro la schiena, somigliava al padre nelle movenze più di quanto avesse D’Aguolt osato immaginare, si distrasse chiedendosi come fosse stato crescere ogni giorno dalla nascita sotto quella forgia. E, a giudicare da come la vedeva muoversi e dalla fermezza del suo sguardo in quell’esordio non semplice, gli parve di poterlo un poco indovinare.

Ne ebbe la prova la mattina successiva. Era andato a chiamarla quando già i soldati si erano schierati sulla piazza d’armi per la prima rivista del nuovo Comandante, ma quando arrivò cavalcando dietro di lei sulla piazza la trovò vuota, presente solo l’ultima recluta mandata a riferire che non si erano schierati «perché non avevano intenzione di prendere ordini da una donna», D’Agoult si sentì morire. Ebbe pena per la recluta, quel Grandier che era certo un bravo ragazzo e che si trovava tra due fuochi; e ne ebbe per lei, che gli dava l’impressione di non meritare quella gratuita insubordinazione, ma il sentimento di pena non durò. D’Agoult ebbe modo, infatti, di ammirare subito l’autocontrollo del suo nuovo superiore: la vide precipitarsi, senza scomporsi, alle camerate e senza un tremito nella voce, neppure quando aveva rischiato di prendersi una coltellata in pieno volto da uno che giocava a freccette con un pugnale contro lo stipite della porta, la vide sfidarli a sangue freddo, determinata a conquistarsi la loro fiducia sul campo e l’ammirò. Aveva visto fior di generali vacillare per molto meno.

Ma fu quando la vide avere ragione con la spada di un marcantonio che la sopravanzava in tutte e tre le dimensioni che D’Agoult si rese conto che Oscar François de Jarjayes aveva tutto quello che era mancato ai suoi predecessori: una padronanza delle armi che aveva visto di rado in carriera; un’innegabile autorevolezza; un carisma raro e un coraggio fisico non comune che nulla aveva a che fare né con la sprovvedutezza né con la temerarietà. Doti a dispetto delle quali, pensò D’Agoult con dispiacere, le avrebbero comunque reso, in quanto donna e aristocratica, la vita un inferno.

Quella sera D’Agoult tornò a casa portandosi dietro le scorie di una giornata difficile, gli dispiaceva che anche i soldati per bene si fossero fatti trascinare in quella prova di forza, che non avrebbe risolto i loro problemi, ma che soprattutto faceva del nuovo comandante il bersaglio di un fuoco incrociato di cui lei era solo un pretesto. Si rendeva conto che non lo meritava, anzi e gli faceva rabbia assistere a quell’ingiustizia. Si sentiva a disagio per non essere riuscito a evitarla e anche un po’ per il fatto di aver dovuto assistere a quell’insubordinazione umiliante. E, per di più, dato che era stato lui a chiamarla dicendole che i soldati erano schierati sulla piazza, gli seccava oltre misura la cattiva figura che gli avevano fatto rimediare agli occhi del suo nuovo superiore. Quando arrivò a casa la soglia della sua pazienza era già giunta al limite e quando venne a sapere che la figlia minore era stata scoperta a leggere di nuovo di nascosto a lume di candela la notte il libro che le aveva già proibito, senza tanti preamboli, fece partire uno schiaffo non appena la ebbe davanti, cosa che non gli accadeva di frequente: «Sophie, mi sembrava di essere stato chiaro: ti avevo già ripetutamente spiegato che non mi paiono letture consone a una giovanissima nobildonna, non sentirò più ragioni: sei pregata di dedicarti ad attività più adatte alla formazione di una ragazza. E ora fila in camera tua!»

    «Ma padre... io...»
«No, niente ma».

La vide allontanarsi con le lacrime agli occhi e se ne dispiacque, avrebbe voluto la forza di discuterne ancora, di farla ragionare ma quella sera non ne aveva le energie. Quel braccio di ferro con la ragazzina, pur sapendo da padre di dover tenere il punto, lo estenuava, anche perché aveva la sensazione che non sarebbe finito tanto presto, di certo non con lo schiaffo di quella sera.

Diversi intensi giorni erano passati, i soldati della guardia si erano ben comportati avendo sventato un attentato al principe di Spagna, salvato personalmente dal comandante Oscar François de Jarjayes, che si era guadagnata un encomio, soddisfazione immediatamente frustrata dalla grana di un soldato che si era venduto il fucile, cui era seguita l’ingiusta convinzione da parte dei commilitoni che fosse stato il loro comandante a denunciarlo. D’Agoult non era presente quella sera, ma si sentiva sicuro che le cose fossero andate diversamente: ne ebbe la prova quando vide il Colonnello de Jarjayes lottare come una furia andando a parlare con il generale Bouillé in persona finché ottenne di far liberare il suo sottoposto che rischiava la Corte marziale. Si rese conto che il successo in quella battaglia sarebbe stato la chiave con cui lei aveva inteso guadagnarsi il rispetto dei suoi uomini: in quel momento D’Agoult comprese che di lì in poi l’avrebbero seguita anche all’inferno e l’ammirò ancora di più perché non aveva mai neanche provato a cercare la scorciatoia dell’autoritarismo, a costo di dover sconfiggere in duello de Sausson sotto il diluvio.

«Mi avete fatto chiamare, Comandante?»

«Sì, Colonnello D’Agoult, i rapporti sono tutti firmati, per questa sera abbiamo finito. Potete andare. Io mi fermerò qui questa notte, piove a dirotto e domattina sono attesa a un impegno esterno molto presto».

«Grazie, Comandante... scusate... non vorrei approfittare del vostro tempo, ma mi piacerebbe domandarvi se non aveste per caso la cortesia di cinque minuti da dedicarmi, desidererei parlarvi di una cosa delicata...»

Oscar s’irrigidì: dopo la vicenda della proposta di matrimonio di Girodelle, giunta come un fulmine a ciel sereno foriero di tempesta, provava una sorda inquietudine ogni volta che un uomo dava vista di accennare a parlarle nel chiuso di una stanza di qualunque cosa non sembrasse strettamente servizio. Il Colonnello D’Agoult intuì il disagio e precisò: «Non si tratta di un argomento che vi riguardi, è un mio problema in famiglia».

Oscar sentì la tensione allentarsi e, un po’ stupita, lo invitò ad accomodarsi.

«Ditemi, Colonnello, vi ascolto».

«Vedete Comandante, mi trovo in un momento di difficoltà con la mia figlia minore, Sophie: ha 13 anni, sta crescendo e da quando non c’è più mia moglie io non so bene come comportarmi con lei. Da qualche tempo si è scoperta una passione per gli studi matematici, trascura le altre attività che dovrebbero servire all’educazione di una giovane donna, per dedicarsi a un astruso trattato pieno di formule. Ho provato a farla ragionare, ho provato anche a punirla, una sera che sono rientrato nervoso mi sono anche lasciato scappare uno schiaffo cosa che non è nelle mie abitudini e di cui neppure vado fiero, ma niente. Ho scoperto che ora si cava gli occhi la notte al lume delle candele pur di continuare a studiare teoremi di nascosto. Vedete, io non ho nulla in contrario a che una ragazza studi, sono stato io a incoraggiare entrambe. Ma ora temo che questo campo così ostico possa portarla su una strada foriera solo di frustrazioni e delusioni, finendo per farla soltanto soffrire e non so come comportarmi».

«Colonnello, io non vorrei che riponeste in me più fiducia di quanta meriti: non mi intendo molto di educazione di figli e temo che mi verrebbe difficile mettermi nei panni della madre che vostra figlia non ha più. Ma se, invece, siete venuto da me perché sono una donna che ha affrontato una strada impervia, le cui difficoltà avete visto fin troppo bene con i vostri occhi, e vi state chiedendo se – potendo – avrei voluto una vita diversa...».

Il Colonnello annuì come scusandosi

«...allora vi dico che no, che rifarei tutto, anche se non l’ho esattamente scelto io. Vedete, le donne non hanno quasi mai scelta, subiscono la strada segnata. La mia è stata diversa dalle altre e sono grata a mio padre per questo: è stata dura, anche molto in certi momenti, ma non l’avrei cambiata con quella delle mie sorelle che come tutte sono semplicemente state date come un oggetto a uno sconosciuto da sposare. Io non so quale pensiate sia il bene di vostra figlia, Colonnello, ma se questo suo talento non è un capriccio è probabile che il suo bene sia la libertà e la responsabilità di provare a seguire la sua strada. Non vi dico che sarà facile anzi vi assicuro che non lo sarà affatto, ma se è davvero quello che vuole troverà la forza di affrontare le difficoltà. Credo che nel caso sarà anche vostro dovere metterla in guardia: è bene che conosca prima tutti gli ostacoli che troverà. Solo una cosa, Colonnello, permettetemi di domandarvi a suo nome: se deciderete di lasciarla scegliere non lasciatela sola dopo. Ci penserà la vita a farla sentire sotto esame ogni minuto, non fatelo anche voi».

«Grazie, Comandante, mi siete stata di grande aiuto».

«Dovere, Colonnello, fatemi sapere...».

«Buonanotte, Comandante, cercate di riposarvi. Mi sembrate molto stanca».

Il Colonnello D’Agoult uscì da quella stanza sollevato. Il sorriso triste e grato che la donna gli aveva restituito mentre diceva che da padre non era a suo agio con gli schiaffi gli diede una misura della severità con cui era stata educata: si chiese il prezzo di quella vita. Ma pensò che, per la persona che ne era uscita, ne fosse valsa la pena. Lo sollevò il sapere che lo pensava anche lei.

20 ottobre 1795

Quando giunse in cima alla collina, incendiata di rosso dal foliage, nei dintorni di Arras, il Colonnello D’Agoult, che era stato confermato nel suo ruolo e nel suo grado nella Guardia Nazionale, dato che i suoi soldati sopravvissuti avevano testimoniato il fatto che avesse denunciato in ritardo la diserzione dei 50 fuorusciti schieratisi con i rivoluzionari sotto la Bastiglia, rivolse alle due semplici croci che aveva davanti il saluto militare.

Comandante, mi dispiace enormemente che sia andata a finire in questo modo, avreste meritato entrambi molto di meglio. Mi rinfranca solo un poco il fatto che a voi almeno sia stata risparmiata la lenta agonia cui vi avrebbe portata la malattia che avete provato invano a nascondere. Sono venuto a dirvi che mia figlia sta studiando con grande profitto all’ École Polytechnique , solo non frequenta le lezioni ma si fa mandare le dispense, perché presentarsi vorrebbe dire rivelare che Antoine-August Le Blanc, iscritto all'École, ha abbandonato gli studi e che a mandare i lavori al suo posto è una ragazza di nome Sophie. Vorrebbe dire farsi cacciare perché le donne non sono ammesse (1). Speriamo che arrivino tempi migliori. Ci tenevo che lo sapeste perché è un po’ anche merito vostro.

(1) I nomi e la storia sono un omaggio a Sophie Germain nata a Parigi nel 1776, una delle prime donne a passare alla storia della matematica.

   
 
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