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Autore: keska    12/09/2009    37 recensioni
Tranquilli è a LIETO FINE!
«Perché… anche la pioggia, sai» singhiozzai «anche la pioggia tocca il mio corpo,
e scivola via, non lascia traccia… non… non lascia nessuna traccia. L’unico a lasciare una traccia sei stato tu Edward…
sono tua, sono solo tua e lo sono sempre stata…».

Fan fiction ANTI-JACOB!
E se Jacob, ricevuto l’invito di nozze non avesse avuto la stessa reazione? Se non fosse fuggito? Come si sarebbe comportato poi Edward?
Storia ambientata dopo Eclipse. Lupacchiotte, siete state avvisate, non uccidetemi poi…
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan | Coppie: Bella/Edward
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Eclipse, Breaking Dawn
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'CULLEN'S LOVE ' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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«Edward, corri

«Tesoro, prendi la tisana» mi disse Rosalie, porgendomela. Ero sul divano, distesa con una soffice coperta e dei cuscini per farmi stare comoda.

«Non dargliela» ribatté Alice a voce bassa.

Rose sospirò. «Ha la valeriana e la melissa, la farà stare bene e rilassare».

«Non la farà stare bene, vomiterà ancora. La melissa puzza di piedi».

Rosalie stava per ribattere ancora, ma la interruppi. «Va bene, lasciamela qui accanto, per favore. È ancora molto calda, la berrò quando si sarà raffreddata» provai a placarle con un sorriso «magari più tardi non vomiterò. In effetti ho ancora lo stomaco un po’ scombussolato» dissi, abbracciandomi la pancia. Non mi ero ancora ripresa dall’ultimo attacco di nausea e mi sentivo molto debole.

Le mie sorelle badavano amorevolmente a me, standomi accanto così tanto che quasi non mi pareva di essere tornata a casa mia e di Edward. Lui, in compenso, non c’era. Quella mattina si era allontanato perché aveva qualcosa di molto importante da dirsi con Carlisle, e anche se non l’avrei mai ammesso la mia nausea c’entrava anche un po’ con la sua assenza.

«Sono a casa» disse la sua voce, mentre una piccola folata di vento mi faceva capire che aveva aperto la porta d’ingresso.

Sorrisi, ma per poco. L’odore della tisana di Rose mi arrivò al naso: sapeva davvero di piedi. Mi ritrovai a correre verso il bagno.

«Come ti senti?» domandò preoccupato mio marito, passandomi un pezzetto di carta igienica per pulirmi le labbra.

«Tutto bene?» chiese suo padre, bussando alla porta aperta del bagno.

Storsi le labbra, fissandolo di sottecchi. «Non mi convincerai a farmi delle iniezioni anche per smettere di vomitare» biascicai, la guancia schiacciata contro la tavoletta del water.

Ridacchiò. «Posso provare a darti delle compresse a base di zenzero, ma non funzioneranno» fece, sicuro.

Mi sollevai, lasciandomi aiutare da Edward. Mi sentivo così spossata. «Chi sei, Alice? Dammi tutto lo zenzero che hai, non mi lascerò bucare ancora da un ago se non per un’ottima causa».

Mio marito sollevò gli occhi al cielo. «È per un’ottima causa. Sei magrissima» ribatté, prendendomi il polso fra il pollice e l’indice.

Anche Alice e Rosalie ci raggiunsero in un attimo. «Te l’avevo detto che l’avrebbe fatta vomitare» disse la prima.

Strinse i denti. «Magari non avrebbe vomitato se tu non avessi detto che odorava di piedi» ribatté.

Sospirai. Non era la prima volta che si scambiavano quelle frecciatine. «Ehi, cos’è, il club del vomito?» scherzai debolmente, tirando lo sciacquone e tentando di alleggerire la tensione. Odiavo che battibeccassero in quel modo. Per me.

Edward le guardò e loro si zittirono facendo dietrofront. Non feci in tempo a chiedergli spiegazioni che mi bloccò dicendomi «Andiamo in camera. Abbiamo trovato qualcosa che potrebbe aiutarci molto».

«Ho paura» scherzai, lasciandomi trascinare nella nostra stanza.

Carlisle era elettrizzato, aveva il suo sguardo magnetico che gli avevo visto avere solo di fronte ad un’importante scoperta scientifica.

«Che devo fare?» domandai, lasciando trapelare solo una punta della mia preoccupazione. Era ovvio che quella scoperta comprendeva me, o meglio, ciò che era contenuto nella mia pancia.

«Tranquilla Bella» mi rassicurò mio marito con un sorriso divertito sulle labbra «ti piacerà. Vogliamo solo che scopri la pancia».

Scrollai le spalle. «Okay, va bene?» dissi, sollevando la maglietta.

«Posso?» disse, e quando annuii abbassò di qualche centimetro i miei pantaloni, rivelando la mia pancia ancora super piatta. «Fidati di noi, okay?» mi chiese guardandomi negli occhi.

Annuii.

Carlisle prese uno strano marchingegno dalla sua borsa. Non era tanto tecnologico, aveva un aspetto piuttosto antiquato. «Il punto è che ciò che ci ha ingannato di più riguardo la diagnosi della gravidanza è che non è come le altre».

Crucciai le sopracciglia, perplessa. Sapevo che non era come le altre.

Sorrise, collegando il marchingegno alla presa elettrica e avvicinando l’altra estremità alla mia pancia. «Un vampiro, almeno» si bloccò «uno attento, è in grado di fare una diagnosi di gravidanza circa alla sesta- settima settimana di gestazione. Il seno cresce, la pelle si distende, i capelli diventano più lucidi, ma soprattutto» fece, posando la placca di metallo contro la mia pancia. I suoi occhi si allargarono, sorpresi. Edward balzò in piedi, avvicinandosi all’attrezzo. Erano elettrizzati. Alice e Rosalie si precipitarono in camera, sorprese.

«Che sta succedendo?» domandai scocciata.

«Si sente il battito del cuore!» esclamò Alice contenta.

«Che cavolo… davvero?» chiesi sconvolta. «Oh mio Dio».

«Ero sicuro!» trionfò vittorioso Carlisle «non ce l’avremmo mai fatta con l’effetto Doppler, era impossibile. Dovevamo usare questo amplificatore di suoni. Bella. Perdonami, sono andato troppo avanti» si scusò con un gran sorriso «sentiamo il suo cuore che batte come avremmo sentito in qualunque altra gravidanza. Abbiamo dovuto utilizzare una vecchia tecnologia obsoleta basata sull’amplificazione dei suoni, accantonata dopo la scoperta dell’effetto doppler che è la base dell’ecografia, molto più efficace normalmente, ma che nel tuo caso non avrebbe funzionato. Mi dispiace solo non potertelo fare sentire, è davvero troppo basso per l’udito umano».

«Sta bene?» balbettai emozionata.

Edward si avvicinò a stringermi la mano fra le sue e baciarne il dorso. «È meraviglioso».

Gli carezzai i capelli con la mano libera, annuendo fra le lacrime. «Va bene così».

Quella sera venne anche Esme a casa e riuscii a mangiare la cena senza vomitare, con grande sollievo di tutti. Edward e Carlisle parlarono tutto il tempo della gravidanza e per la mia salute mentale decisi di non prendere parte a tutte le congetture che poteva partorire la mente di un vampiro. Alice e Rosalie erano ancora entusiaste di aver potuto sentire il battito del bambino, tanto che mi accudirono tutta la sera con dolcezza senza litigare neppure una volta. Almeno per quella sera.

«Bella» mi sentii chiamare «Bella, svegliati, Bella» mi chiamò ancora quella voce, mentre delle piccole mani fredde mi scuotevano.

Aprii le palpebre, contrariata. «Alice. Che succede?» domandai stropicciandomi gli occhi. Non credevo di aver dormito abbastanza. Mi faceva male la testa e mi sentivo stanca.

Mi sorrise serenamente. «Hanno appena lanciato la linea esclusiva Armani premaman. Vorrei che la vedessi».

Sbattei le palpebre, sconvolta, portandomi una mano alla testa.

Ci fu una folata d’aria nella stanza, e Rosalie si materializzò al mio fianco. «Davvero l’hai svegliata per questo? Ti avevo detto di non farlo. Alice» sospirò, sollevando gli occhi al cielo.

Alice ridusse gli occhi a due fessure. «Le piacerà» disse a denti stretti «l’ho visto».

La sorella fece scioccare la lingua. «Certo».

«Okay» sospirai, sollevando le mani a mo’ di resa. Non capivo cosa avessero, ma odiavo sentirle bisticciare. «Fatemi fare colazione e poi… possiamo vedere la collezione Chanel tutte e tre insieme, okay?».

«È Armani, non Chanel, Bella. È una collezione esclusiva di pezzi unici» ribatté esasperata Alice.

Sollevai gli occhi al cielo, marciando verso la cucina. «Qualunque cosa».

Mangiai la colazione che mi aveva preparato Edward, che mi fece compagnia per tutto il tempo che mi servì per terminarla. Quando fu sicuro che non sarebbe finita nel water mi guardò, incerto, ed io gli dissi che mi sarebbe stato bene se fosse andato da Carlisle a fare altre ricerche. Mi promise che ci avrebbe messo meno tempo possibile e mi lasciò un lunghissimo bacio sulle labbra. Mi sarebbe servito per riuscire a capire se potevo sopravvivere a me stessa per qualche ora al giorno senza di lui, per poter ridurre davvero la mia dipendenza da psicofarmaci.

«Smetterai prestissimo, l’ho visto» disse Alice mentre ne mandavo giù una compressa.

La guardai insicura. «Davvero?». A volte mi sembrava che l’ansia che mi accompagnava non sarebbe mai scomparsa del tutto, e la paura di avere un nuovo attacco di panico mi tormentava.

Rosalie si materializzò al mio fianco in cucina. Trasalii a quello spostamento così veloce. «Non ti mettere pressione, tesoro. Seguirai lo schema che ti ha dato Carlisle e se ne avrai bisogno prolungheremo un po’ il tempo. Hai già scalato il dosaggio, sei stata brava. Non è necessario andare più veloce del dovuto» finì, e l’ultima parte della frase non era rivolta a me.

Alice si avvicinò a passo umano, continuando a fissare la sorella in cagnesco, prendendomi il bicchiere dalle mani per riporlo in lavastoviglie. «Infatti sarebbe più facile se tutti andassimo a passo umano in questa casa, proprio come Bella ci ha chiesto».

M’irrigidii. Ecco che stava succedendo ancora. Dovevo proprio capire che cosa stesse succedendo alle mie sorelle vampire, e c’era solo una persona che poteva aiutarmi, ma non era lì in quel momento. «Beh, ragazze» dissi, saltando giù dallo sgabello della cucina. «Io andrei di là a farmi…» biascicai, aggrappandomi al bancone della cucina per non cadere. Mi ero alzata decisamente troppo in fretta a giudicare da come mi girava la testa «…una doccia» soffiai, quando la testa smise di girarmi.

Rosalie mi strinse le braccia, assicurandosi che fossi stabile sui miei piedi. «Bella, tesoro, lascia che ti accompagni» sussurrò preoccupata.

Volevo scuotere il capo, ma avevo paura che mi sarebbe girata ancora la testa.

«Vuoi che ti accompagni io?» domandò Alice, con una punta di insicurezza.

Sentii la presa di Rosalie irrigidirsi. «Scusa, ma…».

«Tranquille ragazze» feci, sollevando le mani ed allontanandomi dalla presa di Rose. «Va tutto bene, mi sono solo alzata troppo in fretta. Vado a fare la doccia e torno, voi intanto predisponente tutto per la sfilata di… umh… Gucci».

«È Armani!» esclamò Alice mentre mi allontanavo verso il bagno.

«Cosa vuoi che gliene importi chi è Alice, non si è mai interessata di moda».

«Senti, se ho agito così è perché avevo le mie buone motivazioni, ne puoi stare certa».

«Sì, infatti, le tue “visioni”…».

 Sgusciai via e mi chiusi la porta della camera alle spalle. Presi un respiro. Per fortuna che era insonorizzata. Osservai il telefono sul mio comodino. Volevo chiamare Edward e chiedergli di venirmi a dare una mano a capire che diavolo stesse accadendo alle due vampire, ma sapevo che non appena avesse visto uno squillo di una mia chiamata si sarebbe preoccupato da morire. Soppesai il cellulare fra le mie mani. Forse sarebbe bastato un messaggino. “Tutto okay?” scrissi, poi lo cancellai. Avrebbe capito che qualcosa non andava. “Spero che le vostre ricerche vadano bene” scrissi invece, ed esitai, mordicchiandomi un labbro, incerta su come proseguire “ricordami che devo chiederti una cosa quando tornerai”. E premetti il tasto invio con un sospiro, il tempo di sollevare il capo e guardarmi allo specchio. Feci una smorfia. Era davvero arrivato il tempo di farmi una doccia.

Fu una doccia tiepida, perché non potevo ancora sopportare il calore e i suoi ricordi. Conoscevo i miei limiti. Quando uscii lo specchio del bagno era appannato, così lo asciugai con una mano giusto quanto bastava per guardarmi in faccia. Sollevai con una mano una ciocca di capelli bagnati. Erano lunghissimi e sapevo che ci avrei messo una vita a metterli in piega. Quello era un compito che una sorella vampira avrebbe svolto più che volentieri, e chissà, magari avrei potuto convincerle a lavorare su di me insieme, anziché continuare a litigare.

Con quel proposito uscii dal bagno, aprendo appena la porta che dava sulla camera.

«È inutile che le prepari questi vestiti! Non vanno bene per lei, te l’ho detto. Il denim le fa ancora male».

«Voglio solo che il veda Rose!» esclamò Alice arrabbiata. «Voglio che sappia che può scegliere».

Rosalie strinse i denti. «La farà solo soffrire non poterli scegliere!».

«Non la farà soffrire» gridò a voce più alta «l’ho visto!».

«Certo, come stamattina quando l’hai svegliata senza motivo dopo tutta la fatica che io ed Edward avevamo fatto per farla addormentare!».

Alice tremò in tutta la sua piccola statura «Avrebbe avuto un terribile incubo se non l’avessi svegliata con quella scusa della collezione Armani!» urlò arrabbiata.

Trattenni il fiato, indietreggiando. Era stato per quello allora. Deglutii, provando a gestire la mia ansia insieme al battito del mio cuore. Mi occorse qualche secondo per calmarmi, ma quando pensai di essere di nuovo padrona di me stessa sentii un fastidio, come un crampo, crescere ed intensificarsi sulla mia pancia.

Ansimai, sorreggendomi al muro. Sapevo bene cosa significasse. «Aiuto» ansimai.

Entrambe le vampire si materializzarono in bagno. «Bella» soffiò Alice preoccupata.

«Tesoro, reggiti a me» fece Rose, venendo subito al mio fianco «tranquilla, va tutto bene».

Gemetti, piegando lo sguardo verso il basso. Scostai un poco l’accappatoio, quanto bastava per osservare la piccola gocciolina rosata che scivolava lungo il mio interno coscia.

«Che diavolo…?».

«Edward» singhiozzai, sollevando lo sguardo su mio marito.

I suoi occhi si spalancarono, fermi sullo stesso punto che stavo osservando fino a un secondo prima. «Shh, tesoro. Va tutto bene. Ora ci penso io a te» mormorò al mio orecchio, sollevandomi fra le sue braccia. «Calmati, calmati. Questa agitazione non vi fa bene» disse, portandomi verso il letto.

«Edward, noi…» iniziò Rose.

«Non ora» sibilò contrariato. «Chiama Carlisle, e andate via per favore».

«Alice» piansi, tendendo un braccio nella sua direzione «ti prego, dimmi che andrà bene, che il bambino starà bene».

«Veramente io…» esitò, incerta.

«Adesso è troppo complicato Bella» la interruppe Rosalie «cercheremo di capirlo dopo. Ora stai tranquilla» fissò la sorella «andiamo a chiamare Carlisle» disse a denti stretti, prima di scomparire.

Alice mi guardò ancora un secondo, combattuta. Poi scomparve anche lei.

Stavo per chiedere una spiegazione a mio marito, ma mi piegai ancora sulla pancia. Non erano proprio delle fitte, ma quasi un senso di peso e di tensione al bassoventre che mi dava fastidio, come quando stava per venirmi il ciclo. Intrecciai la mia mano con quella di Edward. «Ho paura» mormorai «voglio che stia bene».

«Lo so, anch’io» mi rispose mio marito «l’unico modo che abbiamo per farlo è che tu stia tranquilla, okay?» fece, guardandomi negli occhi.

Annuii.

Carlisle decise di anticipare l’iniezione di progesterone e non mi importò nulla dell’ago quando in gioco c’era la vita di mio figlio. Il fastidio alla pancia scomparve quasi subito e non ebbi più perdite. Mi disse che sarei dovuta stare a riposo davvero, che sarei dovuta stare in un ambiente tranquillo e che non mi sarei dovuta alzare dal letto se non per andare in bagno. E poi, aggiunse, molto serio, che fatto tutto questo dipendeva solo da quanta voglia avesse questo bimbo di venire al mondo.

Edward era arrabbiato con le sue sorelle e non permise loro di rientrare in camera. Mi asciugò i capelli con il phon con dolcezza e per quel giorno decisi che sarebbe andato bene anche legarli in una crocchia disordinata. «Perché sei tornato così presto?» domandai, giocherellando con la fede al suo anulare.

Sollevò un sopracciglio. «“Spero che le vostre ricerche vadano bene”?» domandò scettico carezzandomi i capelli.

Scrollai le spalle. «Era un messaggio come un altro» borbottai imbarazzata.

Sorrise, sollevandomi il mento con una mano. «Era il grido d’aiuto di mia moglie. Cos’è successo? Di cosa mi vuoi parlare?».

Lo guardai negli occhi. «Perché Alice e Rosalie litigano in continuazione?» chiesi, andando dritta al punto.

Sospirò. «Era questo allora. L’avevo immaginato».

«Quindi?».

Scosse il capo. «Non posso dirtelo».

«Ma come?» domandai sorpresa.

«Bella» mi ammansì, «non posso» fece serio «non mi hanno detto nulla, ho solo letto i loro pensieri. Se mi avessero confidato qualcosa magari te ne avrei parlato, ma non posso dirti cosa c’è nelle loro menti. È una regola non scritta che mi porto dentro da un centinaio di anni di convivenza in questa famiglia. Se andassi in giro a raccontare i loro problemi l’uno all’altro non li risolverei in alcun modo, li aiuterei solo a spaccarsi. Mi dispiace molto, ma non posso fare un’eccezione per te, lo capisci?».

Annuii, sorridendo. Gli carezzai una guancia. «Capisco che gli vuoi molto bene».

Fece un piccolissimo ringhio ferino. «Adesso vorrei ammazzarle. Gli avevo chiesto di vegliarti, tenerti tranquilla e al sicuro, e ti ho ritrovata in questo stato».

«Probabilmente sarebbe successo comunque» provai ad ammansirlo.

Sospirò. «È probabile. Ma ci parlerò, e se litigheranno ancora in tua presenza non metteranno più piede in questa casa».

Sorrisi, accucciandomi sul suo petto e sbadigliando. «Le perdonerai» dissi sicura.

Mi abbracciò. «Certo che le perdonerò» ammise dopo un po’. «Bella» aggiunse «non posso rivelarti i loro pensieri, ma ricordati sempre che anche loro ti vogliono molto bene. Puoi provare a parlarci, se vuoi».

Annuii contro la sua maglietta, abbassando le palpebre. «Lo farò» mormorai stanca.

«Shh» sussurrò al mio orecchio, carezzandomi i capelli e cullandomi un po’ avanti e indietro. «Dormi, tranquilla».

Nella settimana che seguì capii una cosa fondamentale: fra stare a riposo e stare a riposo assoluto c’era una bella differenza. Ero vero, ero sempre stanca e dormivo tantissimo, ma passare tutto il mio tempo, anche da sveglia, a letto, era una tortura che di giorno in giorno mi rendeva più insofferente. Non potevo più mangiare a tavola, prepararmi la colazione, farmi una doccia, fare una piccola passeggiata in cortile. Niente. E mi annoiavo a morte, nonostante Edward avesse spostato la TV in camera e tentasse d’intrattenermi in ogni modo, portandomi di tanto in tanto sul divano del soggiorno.

In più aveva parlato con le sue sorelle, e la brillante soluzione che avevano trovato era venire a trovarmi a turni, in modo da non incontrarsi. Jasper ed Emmett erano ancora in giro per il mondo a fare ricerche e Edward mi aveva detto che non sarebbero tornati prima di una settimana almeno, così loro continuavano a dedicarmi tutte le loro attenzioni. Era una situazione davvero ridicola e che mi agitava molto, ma non volevo dirlo a Edward perché sapevo che le avrebbe cacciate e io volevo capire cosa diamine stesse succedendo. Anche se si ostinavano a non dirmelo.

«Va bene così?» mi chiese Rose, massaggiandomi la base della schiena, seduta alle mie spalle sul letto.

«Grazie, sì. Non c’è bisogno che tu lo faccia» biascicai, mentre mugolavo di piacere. Avevo davvero la schiena a pezzi per essere stata così tanto tempo a letto.

Ridacchiò. «È strano, non ricordo da avere un mal di schiena da circa un centinaio di anni. Dev’essere davvero fastidioso per voi umani».

«Eh già, poveri umani» borbottai sarcastica, gli occhi al cielo, facendola ridere ancora.

«Senti» iniziò dopo un po’, cauta, come se si sentisse in colpa, «non hai più avuto dolore alla pancia, vero?».

Mi voltai a guardarla da sopra la spalla. «No, Rose, va tutto bene. Carlisle ha detto che sarebbe successo comunque, probabilmente».

«Probabilmente» fece schioccare la lingua.

«Rosalie» la chiamai ancora preoccupata, prendendo le sue mani fredde fra le mie e fermandola. «Non è stata colpa vostra».

Mi guardò come se fosse sull’orlo delle lacrime. «Non mi sarei mai perdonata se aveste perso vostro figlio per colpa mia».

«Oh Rose» sospirai, voltandomi per abbracciarla. «Non ti ho mai ringraziato abbastanza per quello che hai fatto per me. Mi hai salvato la vita. Grazie» dissi, facendola trasalire.

Sollevò il suo sguardo triste su di me. «Figurati» fece «dopotutto… siamo sorelle, vero?» domandò insicura.

Ansimai, sconvolta. Perché me lo chiedeva? «Certo che siamo sorelle!» esclamai. «Cosa vuol dire? Ha qualcosa a che fare con i tuoi litigi con Alice?».

Si bloccò, retraendosi. In un attimo era in piedi. «No, affatto» guardò l’orologio. «Va tutto bene con Alice. Anzi, fra poco è il suo turno, dovrei iniziare ad andare».

«Tutto bene?» domandai sarcastica «ma se fate a turni per venirmi a trovare».

Si avvicinò in un lampo. «Calma Bella, respira. Facciamo a turni perché tu devi stare tranquilla e non è bene che ci sia troppa gente intorno ad infastidirti. Tutto qui» mentì, accompagnando quella menzogna con un bel sorriso a trentadue letali denti.

«Rosalie» fece Alice sorpresa entrando nella stanza.

«Cosa ci fai qui? È ancora presto» ribatté la sorella sorpresa.

«Sono stata io ad anticipare il suo turno» dissi. Se non avessero voluto dirmi la verità l’avrei scoperta, in un modo o nell’altro. «A me fa piacere che ci siate entrambe, non mi infastidite affatto» scandì lentamente.

Rosalie si allontanò a prendere la sua borsa, evitando lo sguardo della sorella. «Io avrei un impegno però, magari facciamo domani».

«Rose» la chiamai, facendo per alzarmi dal letto. Ricaddi fra i cuscini. «Ti prego, resta. Restate, entrambe. Vorrei tanto farvi vedere i vestitini che ho trovato su internet per il bambino» mormorai imbarazzata, mordicchiandomi il labbro «non sono tanto esperta, avrei bisogno del vostro aiuto» le supplicai.

Si scambiarono un lento sguardo silenzioso.

«Vi prego» incalzai, desiderosa più che mai a mettere pace fra i loro problemi.

Annuirono contemporaneamente.

Alice si volse nella mia direzione. «Vediamo che disastro hai combinato» trillò, saltando sul letto accanto a me.

La loro tensione si sciolse man mano che il pomeriggio passava. Edward entrò un paio di volte in camera a portarmi il pranzo e la merenda, ed assicurarsi che le sue sorelle non litigassero. Gli avevo fatto promettere che mi avrebbe lasciata un po’ sola con loro, per cercare di capire cosa avessero. Di sicuro non me ne importava niente dei vestitini per il bambino, almeno non in quel momento.

«Bella non puoi fargli tutto il corredino giallo o verde, dovremmo aspettare di sapere se è un maschietto o una femminuccia» fece Rosalie con un sorriso, elegantemente seduta alla mia destra sul letto. Mi carezzò delicatamente la pancia «Chissà a chi somiglia questo piccolino».

«Alice» feci, volgendomi a guardare la sorella. «Tu lo devi sapere. Non riesci a vederlo?».

S’irrigidì sul letto. «Umh, io…» i suoi occhi si fecero vacui «credo che starà bene, penso».

«Pensi?» la incalzai.

Scosse il capo, ritornando con gli occhi alla realtà. Esitò. «Bella, mi dispiace».

Sospirai, torcendomi le mani in grembo. «Dici sempre che ci sono delle decisioni da prendere riguardo questa gravidanza ed il bambino, per poter vedere più chiaramente, ma cosa vuol dire?» domandai incerta «Io ed Edward abbiamo deciso di portare avanti la gravidanza qualunque cosa accada, quindi non dipende da noi. Allora? È ancora troppo a rischio?».

Sentii il materasso alzarsi sul lato di Rosalie. Si alzò dal letto e posò le sue eleganti mani sulle mie spalle. «È così purtroppo, per questo non ti devi agitare. Non fa bene né a te né al bambino».

Alice si materializzò al suo fianco, guardandomi con i suoi occhi dorati molto seri. «In realtà non è così».

«Alice» sibilò Rosalie, chiudendo lentamente le palpebre.

«Cosa intendi?» domandai preoccupata, intuendo per la prima volta che c’era qualcosa che mi stavano nascondendo che riguardava me, non solo loro.

«Non riesco a vedere il futuro del bambino perché è un buco nero» sputò d’un fiato prima che la sorella la potesse zittire.

«Cosa?» esclamai, mettendomi seduta sul letto.

«Alice!» ruggì Rosalie arrabbiata.

Presi un fiato, aggrappandomi alle lenzuola. «Mi stai dicendo che mio figlio è un buco nero nelle tue visioni?» domandai con il fiato corto «proprio come lo era Jacob?» esclamai, la voce solo un sibilo stridulo nelle ultime parole.

«Non glielo dovevi dire!» gridò Rosalie.

Alice strinse entrambi i pugni lungo i fianchi. «Era un suo diritto saperlo!».

«Tu pensi solo a te stessa e quello che credi sia giusto. Edward si arrabbierà tantissimo e non ci permetterà più di venire da lei!» esclamò, indicandomi e facendomi trasalire.

Edward sapeva. Certo, pensai, portandomi una mano alla gola, lui leggeva tutto.

«Non mi importa cosa dice Edward!» sibilò Alice «Per me la cosa più importante è che lei sappia. Che sappia che sono disposta a perderla pur di dirle la verità».

La porta della stanza si aprì di scatto, lasciando passare mio marito.

Mi portai le mani alle labbra, sentendo le guance bagnate. Scossi il capo.

«Basta. Andate via» sibilò, furente e angosciato, fissando il mio viso.

Quella volta non lo ascoltarono.

«Non è vero» gridò Rosalie, avvicinandosi sempre di più alla sorella «credi sempre di fare la cosa giusta con lei, ma non è così! Non sempre sputarle in faccia la verità è la cosa che la fa stare meglio! Non è più quella che conoscevi» gridò, facendola sussultare.

«Ha il diritto di sapere!» urlò ancora Alice, puntandole un dito al petto «quanto pensi che avrei ancora potuto tenerglielo nascosto?!».

«Ragazze» ringhiò Edward, mettendosi fra le sorelle.

«Le tue visioni fanno schifo! Ci hai detto di andare a caccia che sarebbe andato tutti bene e l’abbiamo trovata svenuta a terra fra i sonniferi. Hai detto che poteva smettere con gli anti-depressivi e le hai quasi fatto venire una crisi d’astinenza…».

Alice si dibatté per superare Edward. «Non è colpa mia».

«E cosa più importante non sei riuscita a vedere quando il mostro è venuto per rapirla e stuprarla, quindi non gliene frega un dannatissimo niente degli stupidi buchi neri nelle tue visioni!» sbottò, tentando a sua volta di divincolarsi dalla presa di mio marito.

Ansimai.

«Basta, smettetela» le riprese ancora Edward, trattenendole.

Alice prese un profondissimo respiro, come se stesse singhiozzando. «Sei una stronza! Come puoi dire una cosa del genere? Ti sei ricordata di lei solo adesso, dopo che credi di aver condiviso qualcosa di tragico con lei che vi unirà per sempre, ma non è così».

«È così invece! Perché io sono stata stuprata!» sputò Rosalie, disperata.

«Ed io sono stata drogata!» urlò Alice disperata.

«Basta». Era il mio singhiozzo sconvolto.

«Guarda cosa le hai fatto!» gridò Rosalie indicandomi.

«Sei stata tu ad iniziare!».

«Basta!» gridai a mia volta, ma mi ignorarono. Continuarono ad urlarsi contro e tentare di saltarsi addosso.

Mi sollevai in piedi e corsi fuori dalla stanza. «Bella!» mi chiamò mio marito, ma era troppo impegnato a trattenerle per potermi seguire. Afferrai il mio cappotto e lo indossai sopra il pigiama. Infilai le scarpe da tennis e mi avvolsi la sciarpa attorno al collo. Presi le chiavi della mia auto e in meno di cinque minuti ero fuori dal vialetto di casa, guidando senza una meta. Solo lontano.

Guidai per almeno mezz’ora sulle strade bagnate di Forks, forse verso Port Angeles, forse verso Seattle. Non me ne accorsi neppure. Dentro la testa sentivo un ronzio, la paura, il senso di tradimento e la rabbia.

Ad un certo punto sentii un piccolo colpetto, poi lo sportello del passeggero si aprì e un attimo dopo c’era Carlisle.

Strinsi il volante, fissando dritto davanti a me e continuando a guidare.

«Sei arrabbiata con me adesso, lo so».

Non dissi nulla, ma gli occhi cominciarono ad appannarsi di lacrime.

«So che sei ferita, ma l’abbiamo fatto per proteggerti».

Singhiozzai, e Carlisle allungò la mano sul volante.

«Lascialo a me» disse, convincendomi a lasciai scivolare il piede dall’acceleratore e a fermare l’auto.

Sprofondai con il viso sul volante, continuando a piangere. «Sono molto arrabbiata» balbettai fra le lacrime «cosa vuol dire? Che in realtà è di Jacob? Che sarà come lui? Che tornerà?» singhiozzai angosciata.

«Non lo sappiamo» mi consolò, carezzandomi la schiena. «Per questo non volevamo dirtelo. Non può essere di Jacob, però. Ho fatto dei controlli, ho chiesto ad Emily e Sam e ho confrontato le loro ecografie, e il bambino non aveva queste caratteristiche. Questo ti fa sentire un po’ meglio?» domandò speranzoso.

«No» sbottai, sollevando il viso pieno di lacrime «Perché mi avete mentito!».

Sospirò. «Lo so, scusaci. Mi dispiace molto. Shh» fece, abbracciandomi, «abbiamo sbagliato».

Scossi il capo. «Alice e Rosalie, loro… pensano che mi debbano contendere. Pensano che sia una gara per chi ha in comune con me le cose più terribili» singhiozzai.

Mi carezzò i capelli. «Non è così, Bella» mi disse serio, guardandomi negli occhi «loro sono solo gelose».

Mi bloccai, stupita. Tirai su con il naso e Carlisle mi offrì il suo fazzoletto di stoffa. Che vampiro d’altri tempi. «Gelose di me? Del bambino?» domandai confusa e preoccupata.

«No!» esclamò. Sorrise «sono gelose l’una dell’altra. Perché ti adorano, ti vogliono un mondo di bene e vorrebbero averti per sé senza doverti condividere con l’altra. Hanno paura che arriverai a preferirne una delle due».

Spalancai gli occhi, sconvolta. «Come possono pensarlo? E chi te lo ha detto? Edward?» domandai sorpresa. Non l’avrebbe mai fatto.

Carlisle ridacchiò. «Sono vampiro da più di trecento anni e padre da più di cento. Credi davvero che mi serva leggere il pensiero per sapere cosa passa nella testa delle mie figlie?» disse, facendomi l’occhiolino.

Mi fece sorridere debolmente. «Stanno bene adesso?».

«Non preoccuparti» disse, sfilando le chiavi dalla toppa. «Se ne sta occupando Esme. Ha un talento naturale nel rimettere in riga i suoi figli. Ora» aggiunse, osservando il cellulare che vibrava con il nome “Edward” «io guido, tu rispondi, prima che al mio figlio più ansioso venga un attacco di panico. Non so come curarlo in un vampiro» scherzò ancora.

Quando arrivammo a casa i tre vampiri erano seduti sul divano ed Esme stava camminando avanti ed indietro di fronte a loro facendogli una ramanzina.

Edward fu il primo ad alzarsi e comparirmi accanto in un batter d’occhio. «Stai bene?» domandò scrutandomi.

Annuii.

«Il bambino sta bene?» chiese ancora, indicando la mia pancia come per chiedermi il permesso.

Annuii ancora, e lui si avvicinò a sfiorarla con un sospiro, chinandosi sulle ginocchia. Gli carezzai i capelli, poi li strinsi fra le dita per convincerlo a guardarmi negli occhi. «Non mi hai ancora chiesto scusa» dissi crucciata.

«Era per il tuo bene» provò a ribattere, ma presto gli portai un dito sulle labbra, fissandolo seria. Sospirò. «Scusami per averti mentito».

Mi chinai a mia volta, lentamente, sulle ginocchia. «Scusami per non averti dato modo di fidarti di me abbastanza da dirmelo».

Mi circondò fra le braccia, stringendomi forte contro il suo petto.

Le mie sorelle entrarono in camera insieme quella sera, e mio marito s’irrigidì al mio fianco.

Alice sollevò le mani. «Edward, questa volta andrà bene. Io l’ho…».

«L’ha visto» concluse Rosalie, scrollando il capo. «Pare».

Mi voltai a guardare mio marito. «Amore, va bene così» dissi debolmente. Era stata una giornata molto lunga ed ero terribilmente stanca. Gli strinsi le mani fra le mie. «Lasciaci un attimo sole».

Mi carezzò il viso. «Sei molto stanca, non devi farlo per forza stasera».

Gli baciai la punta del naso. «Non riuscirò a dormire altrimenti».

Annuì, lasciandoci sole, non prima di aver scoccato un’occhiata di avvertimento alle sorelle.

«Venite qui» feci, battendo con le mani su entrambi i lati del letto. In un secondo erano accanto a me, sedute ai miei fianchi. Le abbracciai. Con Alice fu più facile, era minuta e si accoccolò subito al mio fianco. Rosalie, invece, aveva il corpo teso e si manteneva un po’ distante.

«Hai sempre avuto un rapporto speciale con lei» sussurrò dopo un po’, gli occhi bassi fissi sul copriletto. «Pensavo di aver guadagnato quel posto nel tuo cuore, dopo quello che abbiamo condiviso. Ho avuto paura che adesso che non avevi più bisogno di me saresti tornata da Alice e non mi avresti più voluto bene. Non come prima» mormorò pianissimo.

«Oh, Rose» la chiamai. Non potevo immaginare l’immensità della sua tristezza. «Non ti voglio bene per ciò che hai fatto per me. Non solo, almeno, capisci? Ti voglio bene e basta, e il posto che hai nel mio cuore non lo potrà mai prendere Alice» dissi, facendo trasalire quest’ultima. Mi voltai a guardare anche lei. «Non potrà, perché tu hai un tuo personale posto, tutto solo per te. Vi voglio bene. E voglio bene a entrambe, e mai l’amore per una escluderà quello per l’altra, okay?».

Alice annuì.

Mi voltai a fissare Rose, che guardava la sorella. «Scusa» sputò, abbandonando per un attimo il suo orgoglio. «Non volevo dire quelle cose cattive su di te e sulle tue visioni».

Alice sorrise, soddisfatta. «Lo sapevo, l’avevo già visto. Scusa anche tu comunque».

«Tu» esclamò scandalizzata «avevi già visto tutto».

Ridacchiò. «Proprio così! E comunque, Bella, smettila di crucciarti per questa storia del buco nero, perché mentre mia sorella mi impediva di stare con te perché era il suo turno, sono diventata bravissima a vedere intorno al bambino. Nascerà e starà bene. E non sembrerà un pipistrello».

«L’hai visto?» domandai sconvolta.

«Beh, no. Ma ho visto che gli compravo delle adorabili tutine che gli andavano a pennello!».

«Alice!» esclamammo insieme io e Rose, per poi scoppiare a ridere tutte e tre insieme.

 

   
 
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