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Autore: rosy03    25/02/2023    4 recensioni
• || Storia Interattiva || Iscrizioni Chiuse || •
Tutto è determinato da forze sulle quali non abbiamo alcun controllo. Vale per l’insetto come per gli astri. Esseri umani, vegetali o polvere cosmica, tutti danziamo al ritmo di una musica misteriosa, suonata in lontananza da un pifferaio invisibile.
È questo il destino? Come vostro Umile Narratore non posso rispondere a una tale domanda.
Finora non ho mai visto nessuno abbandonare la pista, non ho mai incontrato qualcuno che fosse stato in grado di cambiare disco. Il destino è davvero già scritto?
Se sapeste la verità, penso proprio che mi odiereste.
Ma nonostante questo sono qui: a raccontarvi di questa mitica impresa. Sono qui a parlarvi di come la Bestia dagli Occhi di Luna ululerà, di come questo porterà il caos nel continente di Ishgar, di come seguirà un’infinita notte, di come le stelle smetteranno di brillare, di come la luna scurirà il suo colore... e magari anche di come sorgerà una nuova aurora. Chissà.
Il vostro Umile Narratore.
J.C.
|| • «Ho perso tutto. Ho perso la mia umanità, il mio tempo, la mia famiglia. Lei è l'unica cosa buona che mi sia rimasta...»
Genere: Azione, Commedia, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: Altri
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ancient Aurora'
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CAPITOLO 10. Dolceamari ricordi

 
 

 
§ Inizio Flashback §
 

 
L'inverno a Wilburn era secco e pungente. Alle otto di mattina c'era chi ancora spalava via la neve dal vialetto, mentre il buon odore di pane appena sfornato veniva trascinato lontano dal vento impetuoso.
Non v'era più ombra dei prati freschi e delle rose rampicanti; il bianco regnava sovrano e le montagne che circondavano la cittadina si ergevano oltre la coltre di nubi, nascondendo alla vista i loro picchi ghiacciati.
Per potersi riparare dalle intemperie, Eve si era rintanata nel vecchio mulino a vento che i coniugi Worth avevano lasciato al loro unico figlio perché si occupasse della sua manutenzione. Inutile dire che di restaurare quel rudere, John non ne aveva la minima intenzione.
Ma fu proprio grazie alla sua più totale negligenza che Eve riuscì a trovare un posto dove poter tirare un sospiro di sollievo. Certamente avrebbe preferito una casetta più raccolta dove poter accendere un fuoco senza il rischio di appiccare un incendio e ritrovarsi, di nuovo, senza un tetto sulla testa. Avrebbe preferito possedere qualche coperta in più e non quegli straccetti di cotone sgualcito che aveva trovato nei pressi della clinica cittadina.
Almeno sono riuscita a rubare un paio di scarponi decenti, pensò, rannicchiandosi contro il pilastro che sorreggeva l'intera struttura. Il fuocherello che era riuscita ad accendere si era spento dopo neanche dieci minuti e Eve si ritrovò ben presto a battere i denti dal freddo.
La porta era stata scardinata due giorni dopo il suo arrivo a causa di una forte, fortissima, raffica di vento. Aveva cercato di ripararla ma era stato inutile; non aveva la forza di correre, figurarsi se ne aveva per fissare i cardini una porta in legno massiccio a uno stipite!
Non aveva una casa. I pochi vestiti invernali che possedeva li aveva sgraffignati all'acida proprietaria della Glamour Boutique ma il cappotto in lana di pecora se l'era lasciato scappare a causa di un odiosissimo cane – quel maledetto sacco di pulci!
Aveva intenzione di conservare quei pochi Jewels che aveva per comprarsi da mangiare ma anche quello era diventato difficile.
Eve tremava per il freddo e per la fame. Tremava mentre dormiva, tremava quand'era in procinto di rubare qualcosa e tremava quando correva lontano dagli inseguitori, beccata con le mani nel sacco. Frequentare la zona più popolata di Wilburn era impossibile in quelle condizioni.
Non fa poi così freddo, si disse. Ma ecco che l'ennesimo soffio di vento la trasformò in una statua di ghiaccio. Sfregò le mani lungo le braccia per cercare di scaldarsi ma non servì a niente. Mi ci vorrebbe un infuso, pensò sognante. Un infuso bello caldo!
E si alzò come una molla, pronta a ottenerne uno.
Come previsto, il centro era ben più affollato della periferia. Eve si guardò attorno, attenta a non incontrare alcun viso conosciuto, e camminò accostata ai palazzi per tutta la via principale. Sorpassò un negozio di teiere, una libreria e una sartoria, dopodiché svoltò l'angolo e raggiunse il parchetto da cui si riusciva a scorgere l'insegna della caffetteria.
Fu in quel momento che Eve si accorse di avere già il fiatone. Le faceva male il petto – di nuovo – e si sentiva come se avesse corso una maratona.
Si portò una mano all'altezza del cuore, massaggiandosi la pelle come a voler cercare di alleviare quel fastidio e trattenne a stento una smorfia di dolore. Le sfuggì un colpo di tosse.
La testa girava e il petto continuava a dolerle, anche più di prima.
Ma perché? È da una settimana che va avanti... perché fa così male?
Tossì nuovamente ma questa volta Eve si trascinò veloce verso il primo vicolo e vi si immerse per non attirare sguardi indesiderati. Per un attimo si dimenticò di tutto, persino del suo nome.
Le mancava l'aria. Ancora con la mano stretta al petto, Eve spalancò la bocca in cerca di ossigeno e di aiuto, un qualsiasi aiuto, ma ciò che ne uscì fu soltanto un rantolo e un singhiozzo. Le ginocchia cedettero e l'ennesimo colpo di tosse la costrinse a piegarsi in due.
Aveva paura. Il freddo neanche lo sentiva più. Il cuore batteva tremendamente veloce – sembrava sul punto di esplodere. E il dolore era diventato ormai insopportabile. La tosse. Le ginocchia sbucciate. Il tremore. La stanchezza. La paura. La disperazione.
Eve pianse, convinta che mai più sarebbe riuscita a rivederli.
Mi dispiace. Mi dispiace. Mi dispiace. Mi dispiace. Mi dispiace, Fran.

 
 
§



Non si era nemmeno resa conto di aver perso i sensi.
Quando riaprì gli occhi, Eve si accorse di trovarsi immersa in un morbido materasso e avvolta da candide lenzuola che odoravano di timo. Si guardò attorno con circospezione e osservò la stanza illuminata dalla fioca luce di una lampada a olio posta sul comodino. Era stanca, troppo per potersi alzare e girovagare in quel luogo sconosciuto.
Si rigirò nel letto e un sorriso nacque spontaneamente sulle labbra screpolate dal gelo. Si sta proprio bene qui, pensò, e per un attimo si dimenticò di trovarsi a casa di uno sconosciuto che aveva avuto il cuore di prenderla dalla strada, curarla e accoglierla nella propria dimora.
Eve si diede del tempo per poter approfittare di quel tepore tanto agognato in quel mese di vagabondaggio, per poi riaprire gli occhi – letteralmente – sulla situazione. Aveva dodici anni, era giovane, ma non era stupida.
Accanto al letto c'era una scrivania dove regnava il caos più completo. V'erano libri sparsi ovunque – sulla sedia, sulla mensola, sul pavimento! – e pile di fogli volanti tenuti insieme da graffette storte e dai colori più disparati. Altri libri erano impilati a terra, sotto la finestra.
Chiunque viva in questa casa, deve amare parecchio la lettura!
Eve continuò a osservare la stanza con una certa curiosità – soffermandosi prima sulle tende color ocra, poi sullo specchio dell'armadio e, infine, sulla pila di vestiti abbandonati sulla poltrona – finendo per irrigidirsi al suono della maniglia che veniva abbassata.
Si tappò la bocca con una mano mentre con l'altra portò le coperte fin sopra la testa; nella foga del momento aveva inavvertitamente deciso che avrebbe finto di dormire.
Sentì dei passi avvicinarsi, un tintinnio piacevole, poi un tonfo. E un'imprecazione. Curiosa, Eve abbassò le lenzuola quel tanto che bastava per vedere una figura alzarsi da terra e maledire lo scarponcino che l'aveva fatta inciampare.
Certo, se si decidesse a mettere un po' di ordine, cose come questa non accadrebbero!
Indecisa se esserne divertita o meno, Eve non si accorse di essere stata notata. «Oh, sei sveglia?» La donna si voltò completamente nella sua direzione, mostrandosi in viso. I suoi occhi, nascosti da un paio di spesse lenti, le ricordarono il verde brillante dei prati in primavera; i capelli corvini, invece, erano tagliati in un morbido caschetto. «Sono Kyla Miriki e sono la proprietaria della libreria Flying Words. Sei stata incosciente per tre giorni. Come ti senti adesso?»
Troppe informazioni. Erano decisamente troppe informazioni tutte insieme. Eve conosceva quella libreria, ci era passata davanti tantissime volte ma non ci era mai entrata. Perché avrebbe dovuto? Nemmeno sapeva leggere!
Fece per dire qualcosa ma tossì un paio di volte prima di riuscire a riprendersi, accettando con bramosia il bicchiere che la donna le stava porgendo. Bevve quell'infuso tiepido in un singolo sorso, assetata, e dopo poco tempo la gola smise di farle male per via della troppa secchezza.
Tuttavia, si schiarì nuovamente la voce prima di parlare. «Mi chiamo Eve.»
«Bene, Eve. Dimmi, come ti senti? Ti sei beccata una bella polmonite, lo sai? Non puoi andare in giro con quei vestiti miseri ora che siamo in inverno.»
Gli occhi dorati della dodicenne si fecero umidi. «Scusa. E grazie.»
Kyla fu brava a nascondere la sua perplessità. Innanzitutto, dov’erano i suoi genitori? Possibile che qualcuno l'avesse lasciata girovagare senza una giacca adeguata al freddo pungente? Che fosse stata abbandonata? Che fosse scappata?
L’unico modo per poterlo scoprire era chiederlo direttamente a lei ma la ragazzina era ancora fortemente debilitata e credeva che non avrebbe retto una conversazione in quelle condizioni. Perciò, si arrese al pensiero di doverle dare un po’ di tempo.
«Devi stare a riposo finché non ti sarai ripresa. Intanto puoi stare qui» disse, sorridendo. «Quindi scordati di potertene andare. Prendi le medicine, dormi e ogni tanto ti porterò degli infusi che ti faranno stare subito meglio!»
Eve annuì, incapace di parlare per via del groppo in gola.
 
 

§
 
 

Kyla era una donna strana, estremamente materialista ma gentile – a modo suo – e molto colta. Da quando l'aveva presa con sé, le aveva permesso di lavorare nella sua libreria per poterla ripagare del disturbo. Certo, l'aveva pregata di non strafare, perché nonostante si fosse rimessa, nulla le avrebbe impedito di avere una ricaduta qualora si fosse sforzata troppo.
Ma nulla: Eve era sempre stata tremendamente testarda!
Poi, con l'arrivo della primavera, la poco più che dodicenne era pronta a tornare in strada con l'obiettivo di trovarsi una sistemazione decente: non voleva essere un peso per nessuno. Ma Kyla l'aveva presa per il poncho appena prima che varcasse la soglia della libreria, rischiando anche di farla cadere all'indietro. Le aveva proposto senza mezzi termini di restare con lei e che, per ripagarla, avrebbe potuto continuare a lavorare al Flying Word.
Con la gioia negli occhi e nel cuore, Eve finì per accettare, promettendo che si sarebbe data da fare il più possibile per aiutarla.
Un po' per volta, Kyla le insegnò a leggere e a scrivere e con il passare del tempo, Eve cominciò a divorare tutti i tomi presenti al negozio. Le raccontò la leggenda secondo cui il grande salice che si ergeva in centro, il giorno in cui venne fondata la città, era nient’altro che un germoglio.
Sotto gli occhi fieri e divertiti della donna, la ragazzina cresceva sia fisicamente che intellettualmente.
E tra un cliente e l'altro, trovò persino il tempo di mettersi a studiare le rune, emulando così la sua benefattrice. Non riusciva a spiegarselo, Eve, ma la passione della donna per gli antichi testi runici e i loro misteri l'avevano toccata sin nel profondo e la curiosità aveva avuto la meglio. Le settimane divennero mesi, i mesi divennero anni e la più giovane era ormai diventata un'ottima allieva e aiutante.
Kyla non poté esserne più felice.
Senza chiederlo, era diventata il punto di riferimento di quella bambina dalle lentiggini appena accennate e dagli occhi ferini color del grano. Alla sera, senza nemmeno accorgersene, si ritrovava a distogliere gli occhi stanchi dai libri per osservare meglio la piccola Eve dormire con le braccia strette attorno al cuscino; la bocca socchiusa; il nasino all'insù e i capelli sparsi tra le lenzuola aggrovigliate.
C’erano volte in cui la più giovane finiva per infuriarsi con Kyla a causa del suo disordine; altre in cui tornava a casa con caffè e dolcetti per lei, piccoli regali della signora Mirvin, la dolcissima proprietaria della panetteria all’angolo. Per il suo compleanno le comprò persino una fascetta verde che la donna aveva indossato con entusiasmo e che s’intonava perfettamente con il colore dei suoi occhi.
Senza accorgersene erano diventate anime affini. Senza accorgersene, Eve aveva cominciato a pensarci seriamente: Kyla era diventata la sua famiglia.
 

 
§

 
 
Eve stava sistemando i nuovi arrivi sugli scaffali mentre Kyla sbrigava i clienti. La scusa era stata che non avrebbe mai fatto meglio di lei che era ormai diventata un'abile catalogatrice – leggesi: era uno strazio stare a sistemare i duecento tomi appena arrivati e aveva mollato tutto alla sua “apprendista”!
Trasportò il carrello colmo di libri fino all'area dedicata ai romanzi d'avventura e ne inserì un paio tra quelli già presenti e usurati dal tempo. Il Flying Word vantava una collezione di libri esageratamente grande, tanto da riuscire a stupirla ogni volta!
Dopo qualche minuto a fare la spola tra l'archivio e gli scaffali delle poesie, Eve si imbatté in una trilogia di tomi impolverati. Se li rigirò tra le mani, incuriosita dagli intarsi presenti sulle copertine camosciate e rovinate da chissà quale disastro.
Non vi erano indici, né titoli. Erano diari. Tre diari scritti a mano ma senza alcuna firma. A quel punto la curiosità prese il sopravvento e senza aspettare neanche un secondo, si diresse spedita verso il bancone dove Kyla salutava quasi scocciata un signore anziano venuto a restituire un vecchio libro di storia – era nel pieno della sua lettura, dopotutto, e avrebbe voluto dedicarsi solo a quello.
Vedendola così trafelata, la donna sorrise. «Trovato qualcosa di tuo interesse?»
«Chi è l'autore di questi?»
Glieli posò sul banco e Kyla li osservò. Cominciò a studiarli con lo sguardo e con le mani, arrivando persino a mettere il naso tra le pagine ingiallite e a inspirare l'odore di carta spessa e dura. «Sono stati scritti da tre persone diverse, Eve.»
Lei corrucciò la fronte. «Come fai a dirlo?»
«Basta dare un'occhiata alla calligrafia. Questo qui,» – e sollevò il primo libro, quello con la copertina striata di rosso – «è stato scritto da un uomo cinico e dalla forte personalità. Naturalmente lo si può anche capire da ciò che ha scritto. Vedi?»
Una volta riavuto, Eve lesse ad alta voce alcune righe: «Non posso credere a quello che ho appena sentito. “Tutto è determinato da forze sulle quali non abbiamo alcun controllo. Vale per l’insetto come per gli astri. Esseri umani, vegetali o polvere cosmica, tutti danziamo al ritmo di una musica misteriosa, suonata in lontananza da un pifferaio invisibile. È questo il destino?” ‘Fanculo. ‘Fanculo lui e le sue forze misteriose. Io solo sono il padrone della mia vita e delle mie azioni. Gli altri possono pensare quello che vogliono. Ma che significa?»
Kyla ridacchiò, consapevole che fosse troppo piccola per poter comprendere a pieno il significato dietro quelle parole. Anzi, le mostrò il secondo tomo su cui vi era rappresentato un uroboro. «Questa è sicuramente opera di una donna. Le lettere sono morbide, piccole e ben ordinate.»
Eve le fece segno di ridarle il libro e così fece.
«Non ho ancora capito il motivo della mia esistenza. Perché sono qui? Il mio compito qual è? Questa montagna è la mia casa e questo tempio il mio letto di morte. Il gong suona; ciò vuol dire che le anime stanno perendo. C'è una guerra? Callisto dovrebbe seriamente smetterla di usare lo Specchio. Nostro fratello non sarà affatto contento quando lo scoprirà
A quel punto, anche Eve ridacchiò. «Forse è una bambina. Ci sono disegnate anche delle faccine.» E per rinforzare la sua tesi, indicò le nuvolette perplesse che l'autrice del diario aveva inserito qua e là tra gli spazi bianchi.
L'altra la imitò. «Sì, può darsi. E per finire, l'ultimo ha una calligrafia quasi femminile ma instabile, distratta; non saprei dirti di più.» Fece anche per consentirle di leggere ad alta voce una porzione di testo, così come aveva fatto precedentemente per gli altri due, ma qualcosa la fermò.
Sotto lo sguardo incuriosito di Eve, Kyla cominciò a studiare con particolare attenzione le prime pagine del diario. Restò lì impalata per cinque minuti buoni con la ragazza che scalpitava per poter riavere il libro e metterlo a posto ma Kyla alzò lo sguardo su di lei con un sorrisetto entusiasta. «Aspettiamo a catalogarli. Lasciali sulla mia scrivania.»
«Ma sulla tua scrivania c'è già un casino di roba! Prima o poi non avremo nemmeno più un letto dove dormire perché hai questa brutta abitudine di lasciare le tue cose in gir-!»
«Hai ragione. Li terrò io.» Preferì interromperla. «Questi diari sembrano interessanti e voglio leggerli il prima possibile. Pensa tu ai clienti!» esclamò, felice.
Eve sgranò gli occhi. «Ma devo catalogare e sistemare i nuovi arrivi! Mi hai detto tu di farlo.»
«Lo farai dopo.»
Fu più forte di lei e ci riprovò, conscia che Kyla avrebbe tirato fuori un’altra delle sue assurde scuse per defilarsi. «Non potresti darmi una mano, invece?» Sbatté le palpebre e assunse l’espressione più dolce del suo repertorio per poter convincere.
Kyla rise. «Neanche per idea. Dici sempre che non ne sono in grado e che il mio metodo è sbagliato.»
«Ma non è ver-»
«Sì che è vero! E te ne sei lamentata per giorni
La stava palesemente prendendo in giro ma Eve era talmente presa dalla discussione che sembrò non accorgersene. «Tu li sistemi in base al colore! Non puoi farlo!»
«E perché?»
«Perché no! Bisogna dividerli secondo il genere e poi sistemarli in ordine alfabetico...»
L’altra si limitò a un’alzatina di spalle. «Troppo difficile. Visto che sei tanto brava perché non te ne occupi tu?»
Eve sospirò, concedendosi un attimo per riprendere fiato. Era inutile discutere con Kyla: alla fine riusciva sempre a evitare i lavori più noiosi, rifilandoli a lei.
E quel giorno non fu diverso.


 
§
 
 

Aveva diciassette anni quando Eve accolse in libreria un signore dall'aspetto immacolato e dai grossi baffi scuri. Si era presentato come Coin, un vecchio amico di Kyla; un amico dalla strana risata e dalle guance paffute. Dopo aver chiuso i battenti del Flying Word, i tre si erano accomodati nel piccolo soggiorno di casa e Coin aveva messo sul tavolino alcuni fascicoli.
Non ci volle molto prima che entrambe chiedessero spiegazioni e allora il signore col panciotto parlò: «Io e la mia squadra stiamo per partire. Ti ricordi di Bam, no? Il tipo con gli occhialetti che balbetta sempre quando è davanti a una bella ragazza? Ecco. Lui ha scoperto qualcosa di interessante riguardo la posizione di un'antica spada dai poteri incommensurabili e fonti certe dicono che si trovi a Damocles.»
Kyla allungò il collo per poter leggere meglio le carte che il suo amico le aveva messo davanti agli occhi e con sua grande sorpresa si ritrovò a restare a bocca aperta. «Mi stai dicendo che alla fine quei diari sono serviti a qualcosa?»
Lui sorrise. «Esatto. Tu e la ragazza avete fatto un ottimo lavoro!»
Kyla le lanciò un'occhiata fiera e Eve ricambiò quello sguardo, seppur con un velo di preoccupazione. Ma rimase in silenzio, la rossa, in attesa di vederci chiaro su quella storia e la conferma di ciò che aveva tanto temuto, arrivò nell'immediato.
«Vorrei che ti unissi alla spedizione.»
«Io?»
Coin annuì. «Già. Sei in gamba e penso che una testa in più ci farebbe molto comodo.»
Ecco. Era arrivato quel momento; Eve se l'aspettava. Con la coda dell'occhio guardò Kyla, che non perse nemmeno un secondo a rispondere: «Va bene!»
«Voglio venire anch'io!» ribatté a un certo punto la più giovane. L'uomo fece per parlare ma l'amica gli fece segno di lasciar perdere, intenzionata ad ascoltare quello che l'altra avesse da dire. «Mi hai insegnato tantissime cose e sarei più che felice di poterti dare una mano con le tue ricerche! Ti prego, lasciami venire con voi!»
Prima dell'effettiva risposta, gli attimi di silenzio parvero eterni. Eve non capì i motivi della sua esitazione, né poteva immaginare cosa le stesse passando per la testa ma alla fine ogni dubbio evaporò: Kyla acconsentì alla sua richiesta e lei saltò in piedi dall'eccitazione.
La donna rise e la imitò, avvolgendole un braccio attorno alle spalle e sollevando l'altro in aria. «Perfetto! Si parte! Tutti a Damocles!» La sua risata euforica contagiò persino Coin che in un primo momento aveva osservato la scena stupito.
Eve la abbracciò e subito dopo cominciò a parlottare con il signore baffuto, neanche fossero stati amici da una vita. Kyla lo invitò persino a fermarsi da loro per la notte – si era fatto ormai tardi – ma lui dovette rifiutare a causa di alcuni impegni con il sindaco di Wilburn che, a quanto pareva, avrebbe finanziato la spedizione.
Preparò persino la valigia, Eve, riempiendola di libri e vestiti di ricambio, arrivando a sistemare anche quella di Kyla – un vero caos. Si addormentarono nel solito modo e nel solito letto, l'una accanto all'altra – pronte ad affrontare la più grande delle loro avventure.
 
 

§
 
 

A svegliarla fu un raggio di sole sparato dritto in faccia.
Il che fu strano perché era certa di aver impostato la sveglia molto prima dell'alba.
«Kyla...» Sbadigliò, assonnata. «Che ore sono?»
Niente. Nessuna risposta. Allora Eve sbuffò e si rigirò nel letto ritrovandosi a dover spalancare gli occhi quando notò l'assenza di qualcosa di importante: il quaderno degli appunti di Kyla era sparito dalla scrivania!
Si alzò di scatto e ignorando il capogiro per essersi mossa tanto velocemente, volse gli occhi alla ricerca di un indizio, un qualsiasi indizio che confutasse l'idea che le era balenata in mente e che era sul punto di farla scoppiare come un petardo. Non indossò nemmeno le pantofole e si precipitò al piano di sotto dopo aver fatto il giro della casa, trovandola vuota della sua presenza. Kyla non c'era.
Non c'è, cazzo!
«Se questo è uno scherzo, non è affatto divertente! Kyla!» gridò, arrivando poi al Flying Word. Nessuna traccia di lei neanche lì e Eve si ritrovò a sussurrare. «Non puoi averlo fatto davvero.»
Non puoi. Non puoi...
Tornò al piano di sopra e cominciò a rovistare nell'armadio che condivideva con lei, nella credenza, nei ripostigli e nei cassetti della sua scrivania, mettendo tutto a soqquadro. In un'altra situazione non avrebbe mai permesso a se stessa di generare quel caos ma era questione di vita o di morte!
Il suo unico pensiero era trovare Kyla. Così indossò i suoi anfibi saltellando e rischiando di sfracellarsi contro lo stipite della porta, legò i capelli in un pessimo chignon e afferrò il suo poncho, pronta a uscire di casa. L'avrebbe trovata. Avrebbe rivoltato la città come un calzino... l'avrebbe fatto se non avesse visto un biglietto che prima non aveva notato.
Era stato fissato sulla testiera del letto che Kyla aveva fatto fare da un falegname per avere qualcosa cui appoggiarsi la sera, anziché stare con la schiena contro il muro. Eve afferrò il pezzo di carta con mano tremante e ne lesse il contenuto con gli occhi spalancati.

 
I libri dei signori Geller vanno consegnati venerdì presso la loro residenza,
gli ordini per i nuovi libri vanno spediti entro giovedì cosicché il fornitore
possa portarti i nuovi acquisti il lunedì seguente.
Chiudi sempre le serrande del negozio, non
voglio che qualche ladro topo di biblioteca come te mi rubi la merce.
Quando torno due panini al tonno non sarebbero male.
Baci
Kyla
 

Odio. Provò un profondo, profondissimo odio per quella donna; tanto che arrivò al punto di vergognarsene.
Strinse la labbra in una smorfia e serrò gli occhi per non lasciare andare alcuna lacrima.
Non è possibile. Non è possibile. Se n'è andata!
«Mi ha lasciata qui da sola...» sussurrò, a denti stretti.
Si lasciò cadere sul materasso, frustata e delusa; lo sguardo perso nel vuoto. Tutto si aspettava tranne che... quello, che l'avrebbe abbandonata lì, a casa loro e a pensare al suo stupidissimo negozio. Avrebbe preferito andare con lei e aiutarla. Avrebbe potuto!
Non si fida di me? Non crede che possa farcela?! Cazzo, Kyla, perché?!
E intanto che i pensieri la dilaniavano, Eve accartocciò il biglietto e lo gettò con rabbia contro il muro, sicura che mai sarebbe riuscita a perdonarla.
 

 
§
 
 

Il Flying Word aprì con mezz'ora di ritardo quel giorno.
Eve aiutò un paio di ragazze in cerca di alcuni romanzi per la scuola e subito dopo sistemò alcuni saggi di storia che il giorno prima erano stati lasciati sul bancone in attesa di essere messi sui giusti scaffali.
Non riusciva ancora a credere che Kyla se ne fosse andata senza dire niente, con un misero – e stupidissimo – biglietto!
Dalla sua partenza non passava giorno senza che riprendesse in mano quel pezzo di carta rovinato. Leggeva e rileggeva quel messaggio sperando che all'improvviso le parole si mettessero a ruotare e che potessero spiegarle il motivo di quel gesto insensato.
Kyla non si era mai comportata così. Le aveva sempre detto – fino alla nausea, davvero – che avrebbero vissuto insieme e che, insieme, avrebbero superato qualsiasi difficoltà. Come quella volta che l'arcigna proprietaria della Glamour Boutique l'aveva riconosciuta come la ladruncola che pochi mesi prima si aggirava pericolosamente intorno al suo negozio: Kyla l'aveva minacciata di non spifferare niente di tutto ciò alle forze dell'ordine, altrimenti Eve sarebbe finita in orfanotrofio – di nuovo. Risultato? La signora Dana, con il terrore negli occhi, cambiava sempre direzione quando le incrociava per strada.
O come quando il proprietario di casa – l'appartamento sopra il Flying Word era in affitto – aveva cercato di sbatterle fuori: insieme si erano date da fare e avevano risparmiato tanto per sanare gli arretrati. Risultato? Kyla aveva litigato con quel tipo allampanato e questo si era fatto andare bene la cifra che erano riuscite a mettere insieme nonostante fosse sotto di tremila Jewels rispetto alla somma concordata.
Trascorsi una decina di giorni, Eve era ancora lì. Seduta al bancone della libreria in attesa che l'ennesimo cliente varcasse quella porta e con in mano il biglietto scritto a mano di Kyla.
Si era portata dietro solo alcuni vestiti, il suo quaderno degli appunti, due o tre libri – i suoi preferiti – e niente di più.
Mi ha persino mentito... mi aveva detto che saremmo partite entrambe.
Eve sbuffò, sbattendo con forza il foglietto di carta contro il libro che avrebbe dovuto leggere per portare avanti i suoi studi sulle rune. Ma ormai era diventato inutile, il suo unico pensiero era rivolto a Kyla e al suo tradimento – perché così si sentiva, Eve; tradita dalla stessa persona che le aveva salvato la vita!
Poi però notò un dettaglio curioso e d'un tratto – dopo secondi interminabili di blackout totale – la sua mente ebbe un'epifania. «Non può essere...» si disse, allibita.
Rigirò il biglietto di Kyla e , aveva ragione. La risposta ce l'aveva sempre avuta sotto gli occhi, possibile?! Si alzò trafelata per poter chiudere le serrande del negozio – non importava che fosse primo pomeriggio, per una volta non sarebbe morto nessuno – e accendere i lumi sul bancone. Prese un foglio, una penna e il dizionario runico e cominciò a trascrivere quelle che fino a quel momento le era sembrata una calligrafia disordinata.
Kyla non aveva mai avuto una brutta scrittura e inizialmente aveva pensato che il motivo poteva essere la fretta con cui se l'era data a gambe levate. Ma no. Non poteva essere così.
Impiegò circa un'ora per tradurre le rune che Kyla aveva nascosto nel suo messaggio e ciò che vi lesse, le fece mancare un battito:

 
Eve, sono perfettamente consapevole che tu sia una ragazza in gamba;
in fondo hai imparato dalla migliore.
Se hai davvero voglia di mettere in pratica quello che ti ho insegnato recati alla gilda 
Black Robin.
Clarence, il Master, mi deve parecchi favori;
gli ho parlato di te e non vede l'ora di conoscerti.
 

Ancora una volta, dovette arrendersi all'evidenza. Kyla non le aveva spiegato un bel niente.
 

 
§ Fine Flashback §
 
 

Parlare con Coin le era servito per avere chiara almeno una cosa: per poterle chiedere cosa diavolo le fosse passato per la testa il giorno in cui aveva scelto di mentirle e partire lasciandola a Wilbourn, avrebbe dovuto recarsi a Cortana. Avrebbe dovuto tirarla fuori di lì.
Qualsiasi fosse la situazione in cui era andata a cacciarsi.
Dopo aver ripulito la stanza dal sangue e dopo aver sepolto Tabitha, Eve si prese del tempo per provare a ragionare. Si allontanò dal gruppo e andò a sedersi ai piedi di un albero del cortile, piegata sul suo taccuino, cercando di sfogare su carta tutte le sue ansie. Si era legata i capelli in uno chignon, tenuto dal fermaglio che era solita portarsi dietro. Avere il marchio della gilda Black Robin tatuato sulla nuca era motivo di orgoglio per lei, ancor di più se mostrato. Eppure, non tutti la pensavano allo stesso modo.
C’era chi sparlava di loro, c’era chi li definiva sciacalli. Ma a Eve non importava, perché dentro quella gilda aveva trovato persone meravigliose.
Il vento fresco della sera le sfiorò la pelle d’oca facendola rabbrividire.
Sospirò, mordicchiandosi le labbra e carezzandosi il mento. Accanto a lei, il lampione le permetteva di rileggere quel che abbozzava sui fogli spessi del suo taccuino senza problemi di sorta.
Fu quando lo richiuse che si accorse di una figura in procinto di avvicinarsi. Killian incrociò le braccia e si appoggiò al palo della luce. «Tutto bene?»
«Fammi capire,» cominciò a dire, tornando a essere la solita Eve, quella ironica e che scoppiava a ridere per un nonnulla, «tu sei mezzo morto e chiedi a me come sto?»
Lui ridacchiò, divertito ma non osò controbattere.
«Piuttosto, toglimi una curiosità. Come mai il tuo potere “anti-magia” non ha funzionato con la fata
Killian alzò le spalle. «Contro di loro è sempre così» disse, semplicemente. «Comunque ripartiremo domani mattina. Andremo a Ridill.» E ancor prima che lei potesse chiedergliene il motivo – a dar conto alla mappa, avrebbero perso mezza giornata, non di più –, Killian continuò: «Naevin è nato lì vicino. Ha chiesto di fare questa piccola deviazione per poter adempiere alla tradizione della tribù Lakad.»
Eve annuì.
Il resto della serata la trascorsero a chiacchierare del più e del meno – lui si era lasciato scappare un complimento sul tatuaggio posto dietro la nuca, quello che raffigurava una rondine stilizzata – fino all’arrivo di Nypha che li avvertiva della cena pronta. Cenarono in una stanza separata dagli altri studiosi per fare il punto della situazione – e anche per rispetto verso coloro che aveva appena perso una preziosa collega e amica.
Diana non si fece vedere. Subito dopo l’esplosione vocale di Tabitha, si era allontanata barcollante verso il carro e aveva deciso di dormire lì, ignorando l’entusiasmo di Naevin che non aveva perso l’occasione di andarsi a stendere su un morbido materasso.
Subito dopo cena, i ragazzi occuparono una delle camerate vuote. Rehagan tirò fuori le provette di sangue e cominciò a studiarle, scrupoloso, raggiunto poi da Nimue. Quest’ultima entrò in stanza con la sua solita noncuranza, lanciando prima un’occhiata a Hydra e poi a Naevin, lasciandosi andare a un commento di apprezzamento – neanche lei sarebbe rimasta completamente impassibile davanti a una tale prestanza fisica. E poi erano a torso nudo!
Dopodiché, la dottoressa cominciò a parlottare con Rehagan di piante officinali, veleni e incantesimi di vario genere, come se non fosse successo niente.
Lo stesso fecero le ragazze – meno Diana. Dopo un bagno veloce, Eve andò a stendersi su un letto a caso e sospirò. Raggiunta prima da Nypha e poi da Lily; in un primo momento si limitò ad ascoltare la loro conversazione. Quella si era rivelata una giornata alquanto bizzarra e stancante, dopotutto.
«So che non sembra ma sono piuttosto brava in cucina» sentenziò Lily, senza mezzi termini. «Per questo ti dico che non puoi utilizzare il latte assieme all’arancia. Verrebbe uno schifo!»
«Mh. E il limone?»
La corvina le rivolse un’occhiata scandalizzata. «Tu sei matta» disse, sedendosi a gambe incrociate sul letto. Successivamente, si girò in direzione di Eve, per chiederle man forte.
«Lily ha ragione, verrebbe uno schifo» asserì, annuendo solennemente.
«Ma prima ti ho vista versare mezza bottiglia di vino in quella padella!»
«Ho semplicemente sfumato la carne con un po’ di rosso. E non era mezza bottiglia.»
Cercare di spiegare a Nypha in quali circostante si potesse utilizzare il vino in cucina fu drammatico; per tutte e due. Soprattutto perché sembrava dimenticare quegli insegnamenti man mano che il discorso progrediva e riusciva a tirar fuori certi orrori come solo un miscredente dell’arte culinaria poteva fare!
«Ti prego, non farlo!» esclamò Lily. Era entrata nel panico dopo averla sentita dire che le sarebbe piaciuto mettere in pratica tutto ciò che le stavano spiegando. «Una sola volta basta e avanza!»
Eve rise. «Nemmeno un uovo sodo?»
La più giovane le lanciò un’occhiataccia; fu abbastanza per poter capire come la pensasse a riguardo.
«Non posso morire, non ho ancora infilato la lingua nella bocca di Glen.»
Eve non capì. «Chi?»
«Non conosci Glen?!» esclamò, allibita. Quando la vide scuotere la testa, Lily crollò sul materasso, borbottando frasi del tipo: «Non ci posso credere» o «Tu non sei normale!»
Non avendo capito ancora nulla, Eve si rivolse a Nypha che, brevemente, le spiegò chi fosse: «È un modello molto famoso nel regno di Fiore. A quanto pare è super affascinante e tutte le ragazze vorrebbero... beh... baciarlo...»
«Baciarlo è dir poco. Comunque, è impossibile che tu non lo conosca!»
«Scusa se Glen non è una mia priorità...» la scimmiottò Eve, divertita. «E poi a Bosco non è così famoso.»
Lily si stizzì talmente tanto che arricciò il naso ma non fece in tempo a dire niente che la voce di Nimue attirò la loro attenzione; era appena tornata dalla camera condivisa dai ragazzi ed era riuscita a entrare senza fare il minimo rumore. «Glen è stata la prima cotta di Lily. Lo ha visto su una rivista quando aveva solo dieci anni e se n’è perdutamente innamorata.»
«Nim
«Cosa? È la verità.»
Eve scoppiò a ridere mentre le guance di Lily s’imporporarono leggermente per l’imbarazzo. Pallida com’era, si notò subito e questo bastò per far ridacchiare persino Nypha, nascondendo il sorriso dietro una mano.
Questa me la paghi! Pensò, guardando male la sua compagnia di gilda che, in tutta risposta, alzò le spalle con aria imperturbabile.
«Nypha, tu non dovresti proprio ridertela così tanto. Guarda che ho capito benissimo che tra te e Hydra c’è qualcosa!»
La chiamata in causa, sbiancò di colpo, e quasi rischiò di strozzarsi con l’aria. «Ma... ma che dici?! Non c’è niente!»
«Sì, certo, e io sono una persona equilibrata...!»
«G-Giacché siamo in vena di confidenze, Eve, tu cosa ci racconti?»
«Non osare cambiare discorso! Ti piace Hydra, vero?»
Nypha arrossì violentemente. «N-No. Non è vero!»
«Ammettilo!»
Intervenne la maga di Bosco. «Vorresti farci sesso?»
Ecco. Non solo aveva la faccia completamente rossa, ora la cacciatrice di taglia cominciò a tremare e il battito forsennato del cuore arrivò alle orecchie di Diana cui sembrò che qualcuno si fosse messo a suonare tamburi a caso nel cuore della notte. «Non è affatto come pensate voi!»
«E allora com’è? Non è che ci hai già fatto sesso?» domandò Eve.
«N-Non stavamo parlando di Lily?»
«Ti ho detto di non provare a cambiare discorso!»
Fu Eve a sovrastare le grida delle altre due. Scuotendo le braccia, attirò l’attenzione di entrambe – non che ne avesse avuto il bisogno dopo la bomba che aveva sganciato. «Per un periodo ho avuto uno scopamico!»
Lily si voltò a guardarla con le sopracciglia corrucciate. «Dici sul serio?»
L’altro annuì, sicura e ridacchiante.
«In che senso uno... beh, quello
«Sesso senza impegno.»
Lily storse il naso. «Sì, interessante, ma ‘sta volta sei stata tu a cambiare argomento. Stavo cercando di capire se i due piccioncini qui stanno insieme oppure no.»
«Non stiamo insieme!» esclamò l’argentea, indispettita. «E non facciamo i piccioncini
Eve rise. «Davvero? Sono un’ottima osservatrice e ho notato come ti guarda il sedere ogni volta che può.» Inutile dire che l’altra avvampò. «Per non parlare che è molto protettivo nei tuoi confronti.»
Nypha tremò. Tremò perché certe cose avrebbe preferito ignorarle. Avrebbe preferito non starci a pensare, non desiderare dell’altro. Per questo si morse il labbro e si coprì la faccia rossa con entrambe le mani e incassò la testa nelle spalle. «Noi non stiamo insieme» ripeté, imbarazzata fin dentro le ossa. «M-Ma non posso negare che ci sia stato... qualcosa... a un certo punto. Ma vi prego, non costringetemi a raccontarlo!»
Una qualsiasi persona – una qualsiasi persona normale –, dopo quella specie di “dichiarazione”, avrebbe pensato a quanto Nypha potesse essere carina mentre arrossiva e balbettava – magari con delle scene particolarmente piccanti a occuparle il cervello.
Ma Lily non era affatto una persona normale. E per quanto non sopportasse Hydra, moriva dalla voglia di sapere.
Allo stesso modo, Eve era estremamente curiosa della situazione. Perciò pensarono che alla prima occasione utile l’avrebbero senz’altro costretta a sputare il rospo.
 
 
 
§
 
 
 
Naevin era nato a Damocles, vicino al piccolo villaggio chiamato Ridill. Stando ai racconti, mentre suo padre consumava il terreno facendo avanti e indietro fuori la tenda che avevano allestito per l’occasione, sua madre sembrava pronta ad affrontare un branco di tigri. Aveva urlato tantissimo e aveva pianto non appena l’aveva visto avvolto negli asciugamani. Era filato tutto liscio ed era stato il medico della tribù a farlo nascere – a differenza dei suoi genitori, lui ed Amy erano stati parecchio più sfortunati!
Rivedere la terra dov’era stato dato alla luce era sempre un’emozione unica. Dopo aver fondato la sua propria tribù nomade, Naevin era tornato a Ridill ogni anno per via di quella tradizione e ogni volta veniva invaso dai ricordi, non per forza legati a quel luogo specifico; ma comunque importanti.
Questa volta, però, il moro dovette ingoiare il magone e lasciar scivolare via la rabbia e la frustrazione: Ridill era stata completamente rasa al suolo.
La gilda guidata da Kiel Reidar aveva scelto di usare quel villaggio come esempio, di distruggerla, annichilendo la speranza di chi, invece, avrebbe voluto lottare per la liberazione e la rinascita del regno.
La pianura che fino a poco tempo prima si estendeva rigogliosa attorno al villaggio era stata bruciata. Ricordava il profumo delle calendule, quella frescura che aveva lasciato il posto alla desolazione. I pochi abitanti superstiti si erano trasferiti alle pendici del monte – il più lontano possibile da Exca, da Kiel e dai suoi sottoposti.
Naevin davvero non riusciva a crederci. E si chiese, alla fine, se anche sua madre avrebbe provando quegli stessi sentimenti di disgusto verso il distruttore di quella che era stata – anche se per poche settimane – la sua casa.
 

 
§ Inizio Flashback §
 

 
La stagione delle rose era sempre stata la preferita di sua madre. Lynn era sempre stata una donna dal forte carisma che, nonostante il suo ruolo, non aveva mai rinunciato alla sua femminilità.
Anche se era solita indossare i pantaloni per poter stare più comoda, i suoi lunghi e folti capelli neri erano sempre finemente acconciati in una treccia e, talvolta, abbelliti con alcuni fiori che i più piccoli le portavano in dono. E Naevin l’ammirava.
Non poteva non sognare di diventare un capotribù come lei, un giorno.
Sua madre era forte, umile, gentile, testarda, autorevole... qualsiasi fosse il problema, riusciva a risolverlo senza usare la violenza.
Aveva appena compiuto sette anni, Naevin, quando a un certo punto si presentò davanti a sua madre, deciso a raggiungere finalmente il suo scopo. Con le mani sui fianchi e il faccino teso, il piccolo esclamò: «Sarò la tua guardia del corpo quindi-» Smise di parlare quando Lynn lo colpì bonariamente in testa con un ramoscello. «Ahia! Ma se non ho ancora detto niente!»
Lei ridacchiò, esasperata, ma al tempo stesso profondamente divertita. «È inutile che ci riprovi, non verrai in città con me. Ho molto lavoro da fare e poco tempo prima che si faccia sera.»
«Proprio per questo posso aiutarti!»
Da qualche tempo, ormai, Naevin si era incaponito sul voler necessariamente accompagnare sua madre in città. Gli era stato spiegato più e più volte che non tutti avrebbero visto di buon occhio un nomade girare per le loro strade come se niente fosse, ma Naevin era anche il bambino più testardo del mondo. Non si sarebbe mai messo il cuore in pace.
«Perché non ti alleni con il disegno, invece?»
Naevin sbuffò, annoiato. «È da tre giorni che lo faccio e ancora non riesco a evocare niente!»
«Ci vuole tempo per imparare la magia, lo sai. Io ho cominciato a studiarla quando avevo solo dieci anni, pensa un po’.»
«E sei bravissima» disse, ammirato.
Lynn sorrise e gli scompigliò dolcemente i capelli – un gesto affettuoso che gli riservava spesso quando erano soli. Gli si accovacciò davanti e lo guardò, incantata dalla sua bellezza, e gli sfiorò la guancia con il dorso delle dita. «Hai gli stessi occhi di tuo padre, sai?»
Naevin annuì. Glielo ripeteva sempre.
«Anche i tuoi sono bellissimi» replicò, con la sincerità tipica dei bambini. E, in effetti, aveva sempre trovato incantevoli gli occhi verde prato della sua mamma.
Il sorriso di Lynn si ampliò ancora. «Ora però devo proprio andare.»
Ciò lo fece sbuffare nuovamente. «Davvero non posso venire anch’io?» L’ultima chance di convincerla. L’ultima. Per questo, tentò il tutto per tutto e tirò fuori il labbro, guardandola con i suoi “occhi da cucciolo”.
Ma Lynn non era diventata capotribù per scherzo del destino, perciò gli ripeté la sua decisione con durezza. «No, Niv, non puoi venire.»
Allora lui si arrese e andò a sedersi in un angolo della tenda, tirò fuori il suo quadernino dei disegni – un insieme di fogli spillati e anche un po’ rovinati sui bordi – e afferrò la matita, cominciando a delineare la forma di un comunissimo bicchiere.
Lynn non si era mai mostrata debole a prendere decisioni ma quando si trattava di suo figlio una parte di lei soffriva a vederlo così abbattuto. Lei era la capotribù, non poteva permettersi di vacillare in nessuna situazione.
Persino quando era nato Naevin, si era a stento presa due giorni per sé, per potersi riprendere dal parto – tutto grazie all’insistenza di suo marito che l’aveva minacciata di non parlarle mai più se non si fosse riposata almeno un altro giorno. Aveva tante, tantissime responsabilità.
Doveva assicurarsi che tutti stessero bene, che tutti mangiassero e bevessero a sufficienza, difenderli da eventuali bigotti che vedevano la loro tribù come un ammasso di gente senza legge e senza morale. E da madre, sapere che Naevin avrebbe ereditato tutto il peso che questo ruolo comportava, le appesantiva il cuore. Certo, ora lo vedeva come un dolce bambino di sette anni ma poi sarebbe diventato un uomo.
Avrebbe dovuto costruirsi una propria tribù, una famiglia. Tutto da solo. Perché le tradizioni erano importanti e a sedici anni sarebbe partito, avrebbe lasciato lei e Fydor per vivere la sua vita di Lakad.
Lo salutò un ultima volta prima di uscire dalla tenda. In quel momento, proprio suo marito le si avvicinò. Aveva le spalle larghe e un viso non troppo squadrato: gli occhi azzurri urlavano amore e orgoglio ogni volta che si posavano su di lei.
«Niv ha fatto i capricci?» Fu una domanda retorica, perché ne immaginava la risposta. Lynn, infatti, annuì dispiaciuta. «Vega non è una città che vede di buon occhio noi Lakad, per questo è meglio che ci vada da sola.»
«Posso sempre venire con te.»
Lei non poté non sorridere. «È meglio di no, resta con Naevin. Ci è rimasto male e un po’ di svago potrebbe fargli bene. L’importante è che non-»
«Non ci avvicineremo al bosco, ‘sta tranquilla. Dovresti avere più fiducia in noi» la rimbeccò scherzosamente prima di stringerle i fianchi e lasciarle un bacio sulle labbra.
Di solito non amavano scambiarsi effusioni, specie in pubblico, ma dal momento che in giro non c’era anima viva perché tutti indaffarati, allora Lynn ne approfittò per approfondire quel contatto. Si allontanò da lui che entrambi sorridevano. «È che mi preoccupo» disse, riferendosi alla sua ultima affermazione.
«Lo so bene ed è per questo che ti amo. A Niv penso io, tu fa’ quello che devi.»
Lei annuì e dopo un «Ti amo anch’io» detto in un sussurro, si avviò.
 

 
§
 
 

Fydor era un uomo semplice; in molti non avrebbero nemmeno notato la sua presenza tanto riusciva a passare inosservato. Ma era anche un uomo attento ai dettagli a cui non sfuggiva niente; per questo, dopo aver salutato Lynn, si voltò ridacchiando verso la loro tenda.
Sapendo di essere stato colto in fragrante, suo figlio filò a nascondersi.
«Guarda che ti ho visto» esclamò, entrando a sua volta e trovandolo accovacciato su alcuni fogli ancora bianchi.
Naevin alzò la testa, fingendo di non capire. «Sto disegnando.»
Allora, Fydor scoppiò a ridere. Lo raggiunse, lo abbracciò fortissimo e cominciò a stampargli un migliaio di baci sulla testa, al punto che il più giovane cominciò a lamentarsene. «Eddai, papà! Smettila!»
I due erano soliti passare molto tempo insieme. Lynn aveva sempre qualcosa da fare e spesso tornava in tenda che Naevin già dormiva; ragion per cui era Fydor a occuparsi di lui.
Disegnavano, pescavano al fiume, si raccontavano storie. L’assenza di Lynn la sentiva eccome, ma non gli pesava così tanto se poteva comunque giocare con gli altri bambini e passare del tempo piacevole con suo padre.
«Alla fine, non mi ha permesso di accompagnarla.»
Fydor inclinò la testa per osservarlo meglio ma senza sciogliere l’abbraccio. «Lo sai che non lo fa con cattiveria.»
«Sì, lo so! Ma sono grande e posso aiutarla!»
Suo padre ridacchiò. «Sei un po’ troppo basso per essere definito “grande”!»
Naevin gonfiò le guance e roteò gli occhi al cielo, infastidito. «Non sei divertente…»
«Che ne dici di andare a farci una passeggiata? Camminiamo seguendo il fiume, peschiamo qualcosa e, magari, riuscivamo persino a trovare delle fragole come l’altro giorno. Che dici?»
Il piccolo pensò seriamente alla sua proposta. Alla fine accettò.
Trascorsero l’intero pomeriggio da soli, in compagnia l’uno dell’altro e Naevin si divertì tantissimo nonostante fosse partito col muso lungo fino ai piedi. Continuò a prendere in giro suo padre per tutto il tempo – aveva perso l’equilibrio dopo aver messo il piede su una roccia resa scivolosa dal muschio ed era finito in acqua due volte! – e rise fino alle lacrime quando un cucciolo di volpe riuscì a rubare una trota sotto il suo naso.
Fu una giornata stressante per Fydor, ma sarebbe pronto a subire di peggio se il risultato era sentirlo ridere a quel modo. Tornarono all’accampamento poco dopo il tramonto.
Naevin teneva in mano una piccola cesta piena di fragole squisite – alcune delle quali erano già finite dentro il suo stomaco; mentre Fydor trasportava due cestoni di pesce.
«È stato un pomeriggio parecchio produttivo, no?» In risposta il bambino annuì sorridente e, tenendo il cestino in bilico su una mano, usò l’altra per mangiare l’ennesima fragola. «Però se continui così non ce ne saranno per tutti gli altri!»
Nessuno dei due riuscì a rimanere serio, perciò scoppiarono nuovamente a ridere. Quando però gli occhi di Fydor si spostarono sul luogo in cui la tribù aveva montato le tende, il suo sorriso si spense.
Si arrestò di colpo e trattenne suo figlio per la spalla. «Aspetta un attimo, Niv.» Lui, confuso, guardò prima lui e poi l’accampamento.
Ciò che vide lo fece restare di stucco. Sgranò gli occhi e spalancò la bocca; in un primo momento gli sembrò assurdo. Le tende erano bruciate, ridotte a uno scheletro, non v’era più traccia di un singolo filo d’erba e persino gli alberi non erano stati risparmiati.
Poi, all’improvviso, la sentì. La paura. «Mamma!»
Il cesto di fragole cadde a terra e Naevin scattò in avanti, venendo fermato in tempo dal padre, preoccupato quanto lui. Questo si liberò a sua volta dal peso dei cestoni e si inginocchiò per poter guardare il bambino dritto negli occhi. «Non ti muovere da qui, ok?»
«Ma-»
«No, Niv. Ascoltami. Rimani qui, nascosto dietro questi cespugli e aspetta che torni, ok? Voglio solo controllare che quei vigliacchi se ne siano andati. La mamma sta bene, ne sono sicuro.»
Per nulla convinto, Naevin si ritrovò ad annuire con le lacrime agli occhi. Fece come suo padre gli aveva detto e restò seduto in mezzo al fogliame per diversi minuti, nel totale silenzio, ad aspettare. Trascorsero due, cinque, dieci minuti e intanto si asciugava le lacrime man mano che riuscivano a scivolargli lungo le guance.
Non voleva farsi trovare a frignare.
Si bloccò nel momento in cui udì qualcuno avvicinarsi. Divenne una statua di sale, incapace di muoversi, terrorizzato dalla paura, ma bastò la voce di suo padre a farlo scuotere.
Uscì dai cespugli e gli corse incontro, affondando in un abbraccio caldo e rassicurante. «Stanno tutti bene e la mamma è tornata. Andiamo.»
 

 
§
 

 
Lynn avrebbe dovuto prevederlo. Avrebbe dovuto essere lì. Avrebbe dovuto impedirlo.
L’incendio aveva distrutto quasi tutti i loro averi – tende, cibo, medicinali, vestiti – e la priorità era trovare un modo per sopperire alle ingenti perdite subite. Fortunatamente nessuno si era fatto male a eccezione della giovane Vivial, di Erik e del vecchio Jin. La prima aveva cercato di fermare la banda di bastardi – così li aveva chiamati – essendosi accorta della loro presenza prima degli altri, finendo per diventare vittima di un tentato stupro. Lynn tornò appena in tempo e aveva utilizzato Tattoo Stripe per dare una sonora lezione a quei miserabili.
Eppure, nonostante avesse impedito a Vivial di sperimentare una cosa tanto orrenda quanto vile, e nonostante avesse scongiurato la morte di Jin a causa di un ultimo e fatale colpo alla testa, Lynn non riusciva a non pensarci.
Non riusciva a non pensare che fosse solo e soltanto colpa sua.
Dopo aver medicato i feriti con il poco che erano riusciti a salvare e dopo aver individuato un posto ben più riparato e lontano da Vega dove poter trascorrere la notte, Lynn andò a sedersi accanto a Naevin.
Era tardi, tardissimo.
Credeva stesse dormendo – un bambino della sua età non avrebbe dovuto essere sveglio a quell’ora –, per questo si era limitata a scostargli i capelli dal viso. Ben presto, però, il piccolo si girò sul fianco opposto e la guardò con un’espressione confusa dipinta sul volto. «Abbiamo fatto qualcosa di male?»
Lynn gli rivolse un mesto sorriso. «No, tesoro.»
«Allora perché hanno bruciato tutto? Perché hanno fatto male a Erik, a Vivial e a nonno Jin?»
In un primo momento, lei si ritrovò con la mente annebbiata e a corto di parole. Come poteva spiegare al proprio bambino che al mondo esistevano tante cose brutte? Come poteva spiegargli che a causa del bigottismo e della superficialità di alcune persone, le tribù nomadi come la loro erano state perseguitate per anni? E per cosa? Per degli stupidi stereotipi!
«Ci sono persone che credono di conoscerci e che ci giudicano in modo affrettato» spiegò, infine.
Prima o poi capirà, si disse. È ancora troppo presto perché capisca.
«Quando sarò anch’io un capotribù voglio essere come te» sentenziò, infine. Lynn lo guardò ad occhi sgranati, altamente confusa. «Neil mi ha detto che sei riuscita a cacciare via quei brutti ceffi. Lo hai salvato. Hai salvato tutti. Sei stata fantastica!»
Naturalmente, Naevin ancora non comprendeva appieno quale peso sua madre portasse ogni giorno. Se non si fosse allontanata non sarebbe mai accaduto niente. Se avesse deciso di fermarsi altrove, forse...
«Non devi essere come me, Niv. Devi rimanere te stesso e fare quello che a te sembra più giusto.» Detto questo, gli carezzò la fronte, scostando dal viso alcune ciocche di capelli. «Ma adesso dormi. È già tardissimo.»
«Resti qui?»
Lynn ridacchiò e al contempo annuì. «Va bene, Niv.»
Il bambino si illuminò in un sorriso e poi si accoccolò contro il fianco di sua madre. Momenti come questi erano rari ma ricchi di amore e di significato. Fydor li raggiunse poco dopo, sedendosi accanto al figlio.
Guardò prima Naevin, già profondamente addormentato, poi si rivolse alla moglie per sussurrarle: «Ho aiutato Erik a fasciarsi la gamba. Per un po’ non potrà camminare. Vivial è ancora un po’ scossa ma la conosci, niente sembra riuscire a buttarla giù.»
Lynn sorrise mestamente. «Già. È davvero una ragazza forte.»
«So a cosa stai pensando.» Sua moglie lo guardò confusa. «Ti stai dando la colpa. Lynn, sei arrivata in tempo e nessuno si è fatto veramente male.» Nessuno è morto, avrebbe voluto dire, ma si trattenne. Soltanto l’idea che qualcuno sarebbe potuto morire gli faceva ribrezzo, così come impietriva il cuore di lei.
«Se penso che anche Naevin debba, un giorno, affrontare quello che sto affrontando io… mi piange il cuore.» Continuando a immergere le dita tra i capelli soffici del piccolo, Lynn alzò l’altra mano per poter carezzare la guancia ispida del marito. «Ma se penso che accanto a lui ci sarà qualcuno come te, qualcuno che sappia sostenerlo, che sabbia rimproverarlo quando serve, non avrà nulla da temere.»
Seppur sussurrate, quelle parole riuscirono a emozionarlo. Fydor era sempre stato il più sentimentale tra i due e le piccole lacrime raccolte all’angolo dell’occhio ne furono l’ennesima riprova.
Vedendole, Lynn rise e si piegò quel poco per baciargli prima la palpebra e poi la punta del naso. «Grande e grosso, eppure ti emozioni facilmente.»
Lui arrossì e la baciò piano.
«Ma d’altronde, ti ho sposato anche per questo» riprese, sorridendo sulle sue labbra. Poi lo sentirono ed entrambi abbassarono lo sguardo.
Naevin li fissava ad occhi sgranati.
Immediatamente, Lynn gli picchiettò un dito sulla fronte. «Non ti avevo detto di dormire?»
Il bambino si limitò a sorridere e a contorcersi quando suo padre, per punirlo, cominciò a fargli il solletico. Lo pregò di smetterla e giurò che si sarebbe addormentato immediatamente.
E così fu.

 
 
§
 
 
 
La sera prima della partenza, la tribù festeggiò in grande stile.
Al centro della larga pianura avevano allestito un falò. Per l'occasione avevano comprato del vino, cacciato cinghiali e raccolto più frutta del solito. Data la zona in cui avevano deciso di fermarsi non erano preoccupati di attirare l'attenzione della città vicina: lì avrebbero potuto ballare, cantare e divertirsi fino allo sfinimento e senza timore che qualcuno potesse cacciarli in malo modo. D'altronde, Damocles era ormai diventato un paese sicuro per le tribù nomadi.
Erano trascorsi novelunghissimi anni e Naevin aveva raggiunto l’età prefissata: il giorno dopo sarebbe dovuto partire. Era agitato, entusiasta, preoccupato, felice, triste... lo scuoteva un miscuglio di emozioni a cui era difficile dare un ordine preciso.
Aveva soltanto sedici anni, infondo. Aveva ancora tanta strada da fare.
Sua madre non gli aveva fatto alcun discorso, era ben consapevole che dovesse vivere la sua vita e fare le sue esperienze per poter diventare un eccellente capotribù, un po’ com’era successo a lei.
Certo, Lynn aveva ereditato quel ruolo da suo padre: i più anziani ancora ricordavano come da bambina amasse tuffarsi nelle acque cristalline dei fiumi vicino ai quali si accampavano. Naevin, inizialmente, sarebbe stato solo.
«Se fossi stata più giovane ci avrei senz’altro provato!» esclamò Vivial, completamente brilla. «Cinque. No, una decina. Una decina d’anni più giovane...!»
«Ma smettila! Se il tuo fidanzato ti sentisse!»
Seduta su un grosso tronco accanto al fuoco, Vivial rise. Lei – così come molti altri – lo avevano visto crescere, avevano giocato con lui, gli avevano insegnato molto. I lunghi capelli biondi e ricci erano lasciati sciolti sulle spalle; suo fratello minore Neil glieli scostò per evitare che finissero nel bicchiere di vino. «E poi non penso tu sia il suo tipo, vero, Niv?»
Il diretto interessato scoppiò a ridere. Ormai Vivial aveva ventisei anni, non reggeva bene l’alcol e quando si organizzavano delle feste era sempre la prima a entrare in stato confusionale. Niente di serio, in verità, ma si trasformava in una specie di dispensatrice di complimenti, cominciando a tessere le lodi di chiunque incrociasse il suo sguardo.
Naevin – che per via della sua amicizia con Neil, suo coetaneo, era sempre presente – finiva per essere idolatrato nei modi più disparati. «Grazie ma penso che questo genere di cose tu debba dirle a Erik, non a me.»
«E chi è Erik?» domandò, borbottando un singhiozzo.
Neil roteò gli occhi al cielo e proprio in quel momento, come fosse stato evocato, un uomo circondò le spalle di Vivial in un abbraccio per poi parlarle all’orecchio. «Sono io, Vì. Hai presente?»
Lei strinse la labbra – girare la testa per guardarlo era fuori discussine perché avrebbe, di certo, perso l’equilibrio – e poi spalancò gli occhi. «Oh, Erik, tesoro. Sei tu?»
«Sì, Vì» rispose, esasperato ma al contempo divertito. Tenendola ferma con un braccio si assicurò di rubarle il bicchiere da mano passandolo a Neil. «Direi che per stasera hai bevuto abbastanza.»
«Ma no, che dici? È solo il... il... il...»
«Il quarto?» suggerò il fratello, trangugiando il resto della bevanda.
Vivial scosse la testa, mortalmente offesa. «Il secondo. E, Erik, non pensi anche che tu Niv sia bellissimo
Il suo fidanzato guardò prima Naevin che a breve sarebbe rotolato giù dal tronco per le risate e poi si spostò, inginocchiandosi tra la bionda e il fuoco scoppiettante. «Non dicevi lo stesso di me ieri sera?»
Lei ridacchiò e gongolò. Dopodiché si piegò in avanti, appoggiando la fronte sulla sua. «Me n’ero dimenticata...» bisbigliò.
«Ok! Mi va bene tutto ma vedere mia sorella che limona, no! Addio!» esclamò Neil, incitandoli ad andarsene.
Naevin ridacchiò nel vedere Vivial fargli la linguaccia e trascinare via il suo fidanzato – probabilmente cercando un posto appartato per scambiarsi effusioni in totale libertà. Quei due si assomigliavano molto: avevano entrambi i capelli biondi e molto ricci, un fisico asciutto, lentiggini sulle guance e un paio d’occhi color cioccolato. E nonostante continuassero a negarlo, erano entrambi permalosi e particolarmente orgogliosi.
Da piccoli, lui e Neil giocavano a rincorrersi o facevano a gara a chi riusciva a pescare più pesci. Ad accompagnarli nelle loro “scorrerie” erano per lo più Fydor e Vivial – quest’ultima, in particolare, finiva per assecondare le loro follie infantili giocando loro qualche scherzo innocente, da brava sorellona.
Con il passare degli anni, Naevin aveva dovuto rinunciare a molti dei pomeriggi trascorsi a far nulla e a divertirsi perché voleva a tutti i costi imparare la magia Tattoo Stripes il prima possibile con la supervisione di sua madre.
Ora, però, Naevin avrebbe dovuto separarsi persino a lui.
«Pronto per domani?» gli chiese proprio Neil, a un certo punto.
Il modo sospirò, fissando lo sguardo cristallino nel liquido vermiglio contenuto nel suo bicchiere. «Credo di sì. Credo di essere pronto ormai.»
«Vedi di non cacciarti nei guai come tuo solito!»
Naevin sbuffò, ma non riuscì a non sorridere. «Sì, ho capito!»
«Piantala con i colpi di testa! E sii più responsabile!»
«Stai cercando di darmi dei consigli o mi stai facendo capire che sarei un pessimo capotribù?»
L’amico gli lanciò un’occhiataccia a metà tra lo stizzito e l’irrisorio. «Lo sai quello che voglio dire...»
«Sì, sì, lo so. Stavo scherzando.»
Si erano sempre capiti alla perfezione. Erano adolescenti e sicuramente avrebbero dovuto entrambi imparare molte cose; eppure, in quel momento, nessuno dei due era davvero pronto a salutarsi.
Fu Neil, contro ogni previsione, a parlare: «Mi mancherai.»
Naevin sorrise. Bevve il vino restante in un singolo sorso. «Anche tu, amico.»
Il giorno dopo, all’alba, tutti – nessuno escluso – si radunarono per salutarlo. Erik gli scompigliò i capelli, Vivial lo abbracciò ricacciando indietro le lacrime e Neil fece lo stesso, aggiungendoci una pacca sulla spalla.
Florestan gli augurò buona fortuna, l’anziana Uralia lo costrinse a portare con sé il pane dolce che aveva comprato apposta per lui, Bobby gli ricordò che era meglio tenersi alla larga dai cimiteri – aveva sempre avuto paura dei fantasmi –, la piccola Connie gli si aggrappò al ginocchio e per farla scollare ci sono voluti i suoi tre fratelli. Naevin salutò tutti con affetto per poi incrociare lo sguardo dei suoi genitori.
Fydor – neanche a dirlo – era nel mezzo di una lotta interiore. Avrebbe voluto sfogare le sue emozioni ma in questo modo avrebbe solo fatto preoccupare il figlio. Gli occhi chiari erano gonfi di lacrime e quando lo abbracciò, qualcuna riuscì a sfuggire lungo le guance ricoperte da un accenno di barbetta, chiara come i suoi capelli.
«Non ho dubbi che sarai un eccellente capotribù.»
Naevin annuì, improvvisando una smorfia per non scoppiare a piangere.
Aveva pensato a mille modi per salutare i suoi senza dover finire in lacrime ma una volta davanti a loro resistere fu molto più dura.
Lynn gli sorrise. Era bella come nove anni prima nonostante l’accenno di piccole rughe attorno agli occhi. Nel suo sguardo c’era orgoglio.
E per la prima volta, persino lei dovette arrendersi all’evidenza e lasciar andare un paio di lacrime prima di riuscire a proferire parola: «Sono fiera di te e lo sarò sempre, ricordatelo.»
Naevin annuì di nuovo. Non c’era bisogno di aggiungere altro.
Semplicemente avevano detto tutto. Fuori dalla città di Ridill, la tribù Lakad si esibì in un ultimo saluto. Con lo zaino in spalla e il cuore gonfio di emozione, Naevin s’incamminò gridando a tutti che prima o poi si sarebbero rivisti in qualche angolo di mondo.
D’altronde era quella la vita di un Lakad.
 


 
§ Fine Flashback §







 
 
 
 




 


Buonasera (o Buongiorno!)
A distanza di dieci giorni eccomi di ritorno! Alla fine l’antibiotico non mi ha uccisa – però cavolo se fa schifo! – e sono persino riuscita ad anticiparmi. Questo capitolo era praticamente già pronto – il flashback di Eve l’avevo cominciato prima di Natale, figuratevi… ^^

Spero non vi abbia annoiato. E soprattutto spero di aver soddisfatto le vostre aspettative, Kiss e Always_Merthur.
Naturalmente questo è solo un assaggio di tutto quello che questi due personaggi si portano dietro, ma, intanto, abbiamo cominciato a scavare un po’...

Ma, cosa più importante, avete notato qualcosa di particolare? Non so... una Lily stranamente chiacchierona...? ^^ no, non è Orias, tranquilli. Ve l’avevo detto che presto avrebbe cominciato a legare col gruppo… eheh XD

Piccola avvertenza: nel capitolo precedente c’era un piccolo errore che – ho notato – ha creato un po’ di confusione e che oggi stesso ho corretto. Ve la spiego in breve: Tabitha non è mai entrata a Cortana (– lei ricorda!) perché Kyla le ha detto di restare fuori (stessa cosa per Palomo, ovviamente). Mi sono accorta di aver detto che lei non ricordasse niente solo dopo aver pubblicato – errore mio, chiedo venia.
Tra l’altro non avrebbe avuto senso perché poi lei racconta ciò che ha visto (e subito).
Altro piccolo errore riguarda l’ascia magica: l’ho lasciata dov’è ma ho aggiunto un appunto che aiuta più o meno a capire qualcosa su Hydra.

Curiosità n.17 ► La storia di Killian e i farmaci. Lui non può prenderli perché su di lui hanno uno strano effetto. Quale? Segreto.

Curiosità n.18 ► Wilburn: come spiegato da Kiss nella scheda, il nome della città è stato creato partendo dalla parola Willow che significa Salice; Ridill: spada della mitologia norrena appartenuta al nano Regin.

No, non mi sono dimenticata dei disegni, ma ora come ora non ho nemmeno il tempo per disperarmi quindi non so quando riuscirò a finirli. Ad ogni modo un po' alla volta li sto terminando, abbiate fede.

Prossimo capitolo: Fragore 
– Udite, udite! Si torna a Magnolia! *occhiolino di chi sa cosa sta per succedere* Tenetevi pronti a tutto.

Alla prossima

Rosy


 
  
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