Anime & Manga > Yu-gi-oh serie > Yu-Gi-Oh! ZEXAL
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Autore: carachiel    03/03/2023    0 recensioni
Questa storia partecipa alla “Headcanon Challenge” indetta dal forum Siate Curiosi Sempre.
Raccolta di one shot e flashfic disordinate su Faker e Byron, il loro travagliato rapporto e tutto ciò che hanno imparato dopo la fine di Zexal
– Parzialmente legato alla mia long Impulso, sebbene leggibile a prescindere –
[Post WDC, Decieveshipping]
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Byron Arclight/Tron, Dr Faker
Note: Raccolta, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Impulso–verse'
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Attenzione: sono presenti temi delicati.





La prima volta che Byron sparisce, Faker non si preoccupa. È passato qualche mese da quando stanno insieme, e poco di più da quando è tornato... Nuovamente. Immagina che probabilmente avrà solo bisogno di un po' più di tempo per assestarsi alla situazione e lasciare che i suoi figli facciano lo stesso.
E difatti ricompare dopo tre giorni alla sua porta, all'appartamento e alla vita che adesso condividono, in una casa che hanno scelto appositamente per la possibilità di mantenere ognuno le proprie abitudini e i propri spazi, pur nella forzata vicinanza che il convivere impone.
Non dice nulla del tempo che è passato, solo un'ombra scura negli occhi e Faker non fa domande, un po' per vizio acquisito, limitandosi a continuare nella loro routine, che anni di chimica professionale hanno contribuito a cementare e a rendere stabile.
Continua tranquillamente le sue attività, cercando di assestarsi allo stesso modo nella vita di Hart senza che vi siano troppi scossoni e le risposte taglienti di Kite ad ogni suo tentativo, il suo evitarlo ancora quando lo incrocia nel corridoio lo distraggono, trascinando avanti il tempo come se avesse il piede premuto sull'acceleratore.
Si rende conto del tempo che è passato solo quando si accorge che le giornate si sono ormai allungate e le cose, nella sua famiglia come ad Heartland, hanno preso una piega migliore, o comunque, se non tale, almeno stabile.
Hart ha iniziato a frequentare di nuovo le scuole elementari, Kite si divide fra il tempo in famiglia e svariati progetti da cui emerge solo la mattina seguente, progetti per cui Faker inizia cautamente – e non senza sforzo, temendo ad ogni istante le ripercussioni di una parola di troppo, a rompere quel fragile equilibrio creato dalle loro personalità fin troppo contrastanti – a fare domande, ad azzardare un consiglio, il che viene accolto con non poco stupore.
La città cresce e si espande, sorge un nuovo centro benessere che Faker va a inaugurare assieme al nuovo sindaco, che finalmente sembra iniziare ad abituarsi al suo nuovo ruolo, da semplice portaborse quale era e lui può finalmente godersi un momento di quiete dal trovarsi un giorno sì e l'altro pure il suddetto alla porta, che insiste per avere un consiglio o l'approvazione di un progetto.

"Papà, da quanto tempo è che non vedi Byron?" domanda un giorno Hart mentre Faker gli prepara la merenda e la domanda lo coglie impreparato – anche se, considerando la frequenza con cui ormai lo nomina, dovrebbe farci decisamente l'abitudine –, rendendosi conto che non sa come rispondere.
Vivono nella stessa casa, eppure hanno iniziato ad avere orari talmente diversi che Faker non sa neppure dire con certezza l'ultima volta che lo ha visto o sentito per telefono, per quanto sia più che sicuro che sia passata almeno una settimana, se non di più.
Ed è la domanda del figlio che lo spinge a tornare a casa, rendendosi presto conto che nel frattempo è passata un'altra settimana, un'altra settimana assorbito nella routine e che non lo ha visto. E stavolta la cosa che lo stupisce è come, insieme alla presenza fisica, stiano diminuendo gradualmente anche le tracce del passaggio dell'altro in casa, siano essi fascicoli di lavoro abbandonati sulla scrivania o il modo inusuale in cui è solito disporre i piatti nella lavastoviglie.
Lo rivede casualmente due giorni dopo, fermandolo sulla porta mentre rientra.
"Bentornato" dice incerto a mò di saluto.
"Grazie."
"Come stai?"
"Avrei bisogno di dormire, qualunque cosa tu mi voglia dire può aspettare fino a domani?" replica in tono gentile ma stanco al suo vago tentativo di conversazione, togliendosi lentamente la giacca. "Non vuoi cenare prima? Ho fatto lo stufato con le verdure" replica Faker, cercando di guardarlo negli occhi e trovandoli lucidi e arrossati, probabilmente per la stanchezza.
"No, grazie, ho davvero bisogno di dormire" dice, caracollando con passo malfermo verso la loro camera da letto. Faker rimane in silenzio ma, quella stessa notte, può sentire il collega girarsi e rigirarsi penosamente per ore, prima di cedere al sonno a sua volta e svegliarsi con l'altro lato del letto già vuoto e freddo.

Il tutto non lo stupisce, considerando quanto bene conosce le vicende familiari dell'amico e comprende che doversi prendere cura da solo di tre figli e bilanciare il tutto con il lavoro non sia affatto facile, al punto che col graduale avvicinarsi dell'autunno è tentato di dire al compagno di prendersi qualche settimana di ferie, solo per non avere la sensazione che l'altro gli stia sfuggendo via dalle dita come acqua.
Che gli stia diventando un estraneo.
E di nuovo, lo vede sparire e riapparire sempre più stanco finché una delle poche sere a settimana che riescono a cenare insieme non gliene accenna e l'altro spinge via il piatto ancora pieno per metà, come se la sola menzione gli avesse fatto passare l'appetito.
"Faker..."
"Dico sul serio, pensaci" replica, prendendo un sorso di vino.
"Non ora, ti ho detto. Sono nel bel mezzo di un progetto importante."
"Sono settimane che non fai altro che apparire e poi sparire, dannazione, stai anche mangiando meno del solito..."
"Starò bene, ma questo progetto mi sta richiedendo tutta la concentrazione di cui sono capace" dice, per poi guardarlo con un tenue sorriso "Ti prometto che quando lo avrò finito le cose andranno meglio."

Passa altro tempo e Faker vorrebbe davvero credere alle parole del collega, dargli fiducia, forse, ma nel frattempo il suddetto non dorme più con lui, spostandosi nella stanza degli ospiti perché la sua insonnia non migliora.
"E so che non vuole farmi preoccupare, ma così non va meglio" pensa, appuntandosi mentalmente di parlare con Kite.
Eppure, nemmeno questo tentativo va a buon fine, dato che il figlio gli replica solo di avere pazienza e che in fondo sono passate solo poco più di due settimane e che il suo problema di insonnia potrebbe essere passeggero.

E Faker decide di mettersi il cuore in pace e seguire il suo consiglio, finché un weekend decide che ne ha abbastanza e di buon mattino trascina l'altro a fare un'escursione. E, soprattutto, fuori casa.
"Come sarebbe a dire? Tu odi le escursioni!" esclama Byron, salendo il macchina malvolentieri.
"Su su, ti farà bene!"
"Avrei preferito dormire, sai com'è" protesta.
"E allora abbioccati, che la strada è lunga" replica, ormai inamovibile, mettendosi al volante.
"Vedi di non farmi svegliare morto."
Faker rabbrividisce.

Ore dopo, lo sveglia quando arrivano a destinazione e Byron, più che scendere dalla macchina, vi si trascina fuori.
"Su, che ne è valsa la pena, guarda che bel panorama!"
"Stai usando le stesse parole che ho usato io l'ultima volta" gli fa notare seccamente e Faker incassa, per poi dirigersi verso un sentiero.
"Di qua."
"...Ti devo ricordare come è finita quella volta?" replica Byron stancamente, per poi seguirlo.
"Stavolta andrà bene!"
E Faker ci vorrebbe davvero credere a quanto ha detto, aggrappandosi alla promessa che l'altro gli ha fatto, ma gli è bastato uno sguardo per capire alcune cose che sono cambiate dall'ultima volte che sono stati lì, sebbene sia passato poco più di un anno, specialmente in Byron. Il suo sguardo stavolta è molto più umbratile e stanco, e Faker si sente come se la situazione dell'ultima volta si fosse rovesciata, laddove era lui a esitare stavolta è quello che sprona.
Tuttavia una parte di lui continua a voler andare avanti e così proseguono, inerpicandosi per stretti sentieri che li costringono ad avanzare uno alla volta, fino a ritrovarsi in cima, in un largo piazzale con un prato, costellato solo da rocce chiare su cui Byron si lascia cadere. E, non appena gli si siede accanto, lo vede respirare con affanno, come se gli mancasse l'aria.

Si volta a guardarlo, notando un'ombra di barba sulle sue guance di solito ben rasate e non fa altro che non far sembrare il suo viso improvvisamente smunto. Ha occhiaie profonde sotto gli occhi chiari e Faker non può fare a meno di domandarsi quali siano i pensieri che lo tormentano e non lo fanno dormire la notte.
Lo bacia piano e le labbra dell'altro sembrano una lastra di marmo per quanto sono immobili e, sebbene sembri ancora qualcosa di familiare non c'è calore in esso, anche quando risponde. È un bacio breve, che sa di freddo e gli ricorda tutte le cose che ha perso, fomentandogli una sensazione di soffocamento nella gola.
Quando si staccano Byron abbassa gli occhi e Faker gli prende gentilmente una mano tra le proprie.
"Stai... Bene?" domanda piano, sebbene attorno non ci sia nessuno.
"Mai stato meglio, devo solo... riprendere fiato."
"Vuoi tornare indietro?" domanda, scostandogli una ciocca di capelli con una carezza.
"Non sono stanco" replica fermamente.
Rimangono lì per qualche minuto, a fissare il sole che illumina la fitta boscaglia sotto di loro, finché Faker non sente che il respiro dell'altro sembra essersi regolarizzato.
E anche così, quando tornano alla macchina lo nota massaggiarsi assentemente le gambe e si chiede quanto era realmente stanco, per non aver emesso nemmeno un lamento durante tutta la discesa.

Passano altri giorni e Faker non può fare a meno di notare la distanza che intercorre tra loro, e non è solo il freddo nel suo letto o la sedia vuota a cena.
È il silenzio che lo inquieta e, se è vero che Byron non è mai stato un tipo rumoroso non era raro che anche nei giorni più impegnati e frenetici si sforzasse di fare due chiacchiere, anche solo per chiedergli come andava o se c'erano novità.
Vorrebbe davvero fidarsi, conscio che la fiducia sia la priorità in un momento delicato come quello, eppure comincia a diventare sospettoso quando l'assenza, da un paio di giorni, si trascina in una lunga, penosa settimana, in cui sogna di averlo accanto, di mettere il naso nei suoi capelli – che odorano sempre di shampoo e di qualcosa che non sa definire esattamente, un qualcosa che sa di sole e di caldo –, solo per poi risvegliarsi e trovare di nuovo il vuoto sotto le sue dita.
Deciso a cercare di non farsi prendere dall'ansia, ma con un groppo in gola che non può non ignorare, decide di bussare piano alla porta dell'altro.
"Byron?" domanda, incerto su cosa fare.
"Sì?" risponde una voce fioca e impastata dall'altra parte.
"Stai bene?"
"Sono in ferie."
"Da quando? Perché non me lo hai detto?"
"Due giorni" si interrompe, Faker sente un colpo di tosse soffocato dall'altra parte "Non sto molto bene, ho preso una settimana."
"Posso entrare?" domanda e quanto l'altro annuisce apre la porta, trovandolo steso sul letto con i capelli sciolti, che gli dà le spalle, la stanza immersa nella penombra.
"Hai mangiato?" gli domanda e l'altro fa cenno di no.
"Vieni, ti faccio un po' di pasta."
"Non... Non ho fame" mormora con voce rauca.
"Non costringermi a trascinarti fuori dal letto di peso."

Alla fine, mentre è seduto davanti a lui a mangiare lentamente un piatto di pastina in brodo, Faker ha modo di osservarlo meglio e nota che non solo gli pare più magro e smunto di quanto non avesse visto alla gita, con le occhiaie in contrasto col colorito smorto, ma anche che gli tremano appena le mani, e ha dei lividi violacei sullo zigomo.
Vorrebbe fare domande, tante, ma lo conosce troppo bene per non sapere che agitarsi lo porterebbe solo che a chiudersi e a non rispondere, perciò tutto quello che può fare è stringerlo a sé, portarlo sul divano e carezzargli i capelli, cercando di trasmettergli tutta la forza che ha ancora dentro, cercando di tenerlo stretto così che non se ne vada e lui lo perda di nuovo. Passano così tutto il pomeriggio, stretti sotto un plaid a guardare film, finché non nota che si è addormentato profondamente e lo lascia dormire sul divano, sperando che riesca a recuperare almeno un minimo.

Passa così la settimana e Byron sembra riprendersi, ricominciando a mangiare di gusto, ma poi le ferie finiscono e Faker non può che esserne preoccupato mentre lo vede tornare velocemente alle vecchie abitudini, in contrasto con la lentezza con cui era sembrato riprendersi e tornare a una parvenza del suo stato originario. Tuttavia il tempo non aspetta nemmeno lui e si ritrova di nuovo impegnato a destreggiarsi coi propri impegni, senza poter tenere sott'occhio l'altro perché i loro orari tornano a essere divergenti.
Passa così un'altra settimana e poi un'altra, ed è ormai quasi Natale quando, durante una pausa di una riunione chiama Kite per la telefonata di rito.
"Ciao papà. Problemi?"
"No, no, ero in pausa da una riunione e volevo sapere come stavi" dice, giocherellando con una penna mentre la sala è ancora vuota.
"Capisco... Volevi sapere cosa comprare ad Hart per Natale, quindi."
"Esatto..." mormora Faker imbarazzato "Glielo avevo chiesto, ma 'qualunque cosa' è un po' generico, e tu, beh..." Alla fine, racimolata qualche idea, Kite gli domanda timidamente "So che non dovrei chiedertelo... Ma hai sentito Byron nelle ultime settimane?"
"No, perché?"
"Chris mi ha detto che non lo vede da due settimane, è tutto okay?" dice, e Faker sente una sensazione bruciante invadergli la parte posteriore della gola, come se avesse ingoiato fil di ferro e chiodi.
Chiude la comunicazione e, con l'ansia che gli serra la gola come le fauci di un orso, telefona con una scusa a un loro amico in comune, che sa essere suo collega, ma gli risponde che non lo vede da più di due settimane e che non gli risulta sia in ferie.
Incurante di tutto, si lancia fuori dalla sala riunioni. "Dottore! La riunione..." cerca di richiamarlo una segretaria agitata.
"Me ne sbatto della riunione! Ho problemi decisamente più urgenti!" replica veementemente, per poi fiondarsi fuori, in macchina, accendendo il motore in pochi gesti convulsi.
Sente a malapena il segnalatore della cintura di sicurezza sopra il frastuono dei propri pensieri mentre la sua mente corre a tutti gli scenari possibili.
Spero che sia a casa, che sia ancora vivo e che non abbia preso niente, pensa, con la vaga consapevolezza di star guidando ben oltre il limite di velocità, chissà se anche la volta scorsa aveva mentito...
Ed è lì che capisce che qualcosa decisamente non va e che la routine che hanno costruito per venire incontro alle esigenze di entrambi si è inceppata.
Quando ha iniziato a scivolargli via?
Parcheggia in fretta e quando apre il cancello con mani tremanti il groppo in gola è quasi insopportabile, continuando a opprimerlo anche mentre apre la porta, rischiando di farsi sfuggire il mazzo di chiavi.

La casa è buia e silenziosa e Faker può sentire le lacrime cominciare a pizzicargli gli angoli degli occhi, ma si costringe a reprimere quella sensazione, sforzandosi di essere silenzioso e cauto, quasi fosse in un tempio.
Controlla prima in soggiorno, poi in bagno, in cucina e in camera da letto, obbligandosi a fare meno rumore che può, per quanto più di una parte di lui vorrebbe crollare in ginocchio e urlare il suo nome fino a non avere più voce, maledicendolo e insultandosi per aver creduto a quella stupida promessa, per essere stato così stupido, così cieco per ogni volta che ha trovato il frigo ancora pieno o il lavandino vuoto, mentre le confezioni di caffé e té sembravano durare sempre meno.
Concluso il suo giro di perlustrazione la casa sembra ancora deserta e silenziosa, senza che manchi qualcosa o che ci sia qualcosa fuori posto. Rimane solo la camera degli ospiti, e Faker deve lottare contro l'istinto di aprirla, limitandosi ad appoggiare un orecchio contro il legno freddo.
Sente un respiro irregolare, appena percettibile, ma che gli segnala che è lì, e che è ancora vivo.
"Byron?" chiama piano.
Dall'altra parte giunge un borbottìo soffocato
"Mi hai svegliato... Sono in ferie."
"Byron, sei un pessimo bugiardo" replica, cercando di mantenere il tono calmo.
"È la verità" risponde con voce soffocata e attutita, appena comprensibile.
"Nessuno ti vede da giorni!" esclama, improvvisamente frustrato dal ripetersi di quel copione.
Cade il silenzio, una cortina di melassa densa sulle sue spalle e Faker esita, il groppo alla gola che minaccia di soffocarlo, per poi domandare nuovamente "Posso entrare?"
E quando arriva alle sue orecchie un mugugno che potrebbe significa sia sì che no, Faker entra comunque.
Trova la stanza completamente buia e procede con passo incerto, tastando con le mani per orientarsi, con solo la luce dalla porta ad aiutarlo. Alla fine trova la persiana e lentamente la alza, abbastanza per far entrare delle lame di luce che gli rivelano Byron buttato sul letto, seminascosto sotto le coperte.
"Vai via" gli mormora, in un sussurro roco e spezzato e Faker deve lottare con sé stesso, con tutto il suo autocontrollo pur di non piangere, saltargli addosso e scuoterlo solo per ottenere una reazione che non sia quel tono rassegnato, limitandosi a sederglisi vicino.
"Non vado da nessuna parte senza di te."
"Starò bene, vai dai tuoi figli."
"Non dire stronzate" mormora, carezzandogli la spalla attraverso le coperte "È stato Kite a dirmi che Chris non ti vedeva da due settimane."
Passa un momento carico di tensione e poi sente l'altro sospirare pesantemente "È finita, allora", seguito da un suono che riconosce a malapena provenire dalla sua gola. Non lo sente da anni.
È il suono che farebbe un bambino dopo aver pianto troppo a lungo, al punto che non suona nemmeno come un singhiozzo, solo un lamento spezzato senza più lacrime.
"Non è finito un bel niente."
Gli scosta delicatamente le coperte di dosso, notando che ha i capelli sciolti, sporchi e arruffati, che gli ricadono addosso come lunghi viticci chiari.
"Faker..." mormora assentemente, continuando a dargli le spalle.
"Ti va di dirmi cosa è successo..." fa una pausa, pensando che forse non era nemmeno questione di giorni o settimane.
Erano mesi interi che l'altro aveva cominciato a comportarsi così e lui se ne è reso conto solo quando ormai era quasi troppo tardi, déi, come era stato cieco... "negli ultimi tempi?"
"Abbiamo litigato spesso" mormora e Faker non ha bisogno neppure di chiedere con chi, limitandosi ad accarezzargli lentamente i capelli "anche se credo che i problemi siano iniziati quando è tornato beh, lui".
Faker si blocca, stupito dalla menzione. Byron non amava del tempo trascorso come Tron, e questo non lo stupiva, affatto, ma ciò che lo sorprende stavolta è il come ne parli come di una persona esterna, innominabile.
Non più 'io' o 'Tron', solo 'lui'.
"Non avevi le tue facoltà mentali al tempo, non devi rimproverartelo."
"Lo so... ma vivo col perenne promemoria delle conseguenze che ciò ha portato" si interrompe, guardandosi le mani smagrite come se neppure le riconoscesse come proprie "e nemmeno tornare a questo aspetto ha cambiato qualcosa."
"E invece ha cambiato tutto" ribatte Faker, prendendogliele tra le proprie e sdraiandoglisi accanto, il naso contro il suo orecchio "Sei qui con me, sei vivo, e stai cercando di rimediare agli errori commessi. Non è già abbastanza?"
"Gli ho dato tre volte tante ragioni perché non lo sia."
"Lo so, non ti dico che dopo sarà più facile, ma farà meno male... Il tempo sistema molte cose" mormora, citando quelle stesse parole che l'altro gli aveva detto, in quello che ormai gli appare talmente distante da parergli un altro tempo, un'altra vita.
Finalmente si gira e Faker può sperare per un istante, un instante soltanto, che le cose andranno meglio, che tutto tornerà al suo posto. Che si sveglierà e tutto questo non sarà altro che un brutto sogno e la luce del sole se lo sarà mangiato.
   
 
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