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Autore: steffirah    18/03/2023    1 recensioni
° 𝗦𝘁𝗼𝗿𝗶𝗮 𝗽𝘂𝗯𝗯𝗹𝗶𝗰𝗮𝘁𝗮 𝗮𝗻𝗰𝗵𝗲 𝘀𝘂 𝗪𝗮𝘁𝘁𝗽𝗮𝗱 °
In una notte di luna piena la nobile signora Li trova una bambina abbandonata nei pressi di un fiume. Malgrado le sue origini incerte, decide di crescerla nel proprio casato, battezzandola con il nome Yinghua.
Nel corso degli anni ella diviene parte integrante della famiglia, sennonché Xiaolang, il figlio della signora, non sembra averla presa in simpatia. Non fidandosi di lei, tenta di scoprire qual è il suo passato, portando così alla luce delle verità nascoste che stravolgeranno completamente la loro vita.
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Estratti dal testo:
𝐼𝑜, 𝑝𝑖ù 𝑑𝑖 𝑐ℎ𝑖𝑢𝑛𝑞𝑢𝑒 𝑎𝑙𝑡𝑟𝑜, 𝑎𝑣𝑒𝑣𝑜 𝑝𝑒𝑐𝑐𝑎𝑡𝑜... 𝐸 𝑝𝑒𝑟 𝑐𝑜𝑠𝑎? 𝑃𝑒𝑟 𝑙𝑎 𝑟𝑒𝑎𝑙𝑖𝑧𝑧𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑑𝑖 𝑢𝑛 𝑚𝑖𝑛𝑢𝑠𝑐𝑜𝑙𝑜 𝑑𝑒𝑠𝑖𝑑𝑒𝑟𝑖𝑜...
𝑃𝑒𝑟 𝑒𝑠𝑠𝑒𝑟𝑒 𝑙𝑖𝑏𝑒𝑟𝑎...
𝑃𝑒𝑟 𝑣𝑖𝑣𝑒𝑟𝑒 𝑢𝑛𝑎 𝑣𝑖𝑡𝑎 𝑐ℎ𝑒 𝑝𝑜𝑡𝑒𝑠𝑠𝑒 𝑒𝑠𝑠𝑒𝑟𝑒 𝑠𝑐𝑒𝑙𝑡𝑎 𝑑𝑎 𝑚𝑒, 𝑒 𝑛𝑜𝑛 𝑐𝑜𝑠𝑡𝑟𝑒𝑡𝑡𝑎 𝑑𝑎 𝑎𝑙𝑡𝑟𝑖...
«𝑋𝑖𝑎𝑜𝑦𝑖𝑛𝑔... 𝐶ℎ𝑒 𝑐𝑜𝑠𝑎 𝑚𝑖 𝑠𝑡𝑎𝑖 𝑛𝑎𝑠𝑐𝑜𝑛𝑑𝑒𝑛𝑑𝑜?»
«𝑄𝑢𝑎𝑙𝑢𝑛𝑞𝑢𝑒 𝑠𝑖𝑎 𝑙𝑎 𝑐𝑜𝑠𝑎 𝑐ℎ𝑒 𝑡𝑖 𝑓𝑎 𝑝𝑎𝑢𝑟𝑎, 𝑛𝑜𝑛 𝑝𝑒𝑟𝑚𝑒𝑡𝑡𝑒𝑟ò 𝑐ℎ𝑒 𝑎𝑐𝑐𝑎𝑑𝑎.»
«𝐻𝑜 𝑎𝑡𝑡𝑒𝑠𝑜 𝑚𝑖𝑙𝑙𝑒 𝑎𝑛𝑛𝑖, 𝑝𝑒𝑟 𝑞𝑢𝑒𝑠𝑡𝑜...»
«𝑆𝑒 è 𝑐𝑜𝑠ì, 𝑡𝑖 𝑡𝑒𝑟𝑟ò 𝑐𝑜𝑛 𝑚𝑒 𝑝𝑒𝑟 𝑎𝑙𝑡𝑟𝑖 𝑚𝑖𝑙𝑙𝑒 𝑎𝑛𝑛𝑖, 𝑒 𝑎𝑛𝑐ℎ𝑒 𝑝𝑖ù.»
Genere: Fantasy, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Li Shaoran, Sakura, Sakura Kinomoto, Syaoran Li | Coppie: Shaoran/Sakura, Takashi/Chiharu, Touya/Yukito
Note: AU, Soulmate!AU | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 2








 

Quel freddo giorno d’autunno sedevo nel padiglione d’osmanto con la signorina Feimei e la signorina Huanglian, dedita ad una nuova attività. Con le figlie della mia padrona era impossibile tediarsi, poiché riuscivano sempre a trovare qualcosa di nuovo con cui impegnarsi, coinvolgendo di volta in volta anche me. E ora, la loro nuova passione era diventata l’intaglio.
Entrambe stavano per maritarsi, e se da un lato erano entusiaste di poter finalmente vivere insieme agli uomini che amavano, dall’altro si sentivano prostrate all’idea di abbandonarci. Tentai pertanto di tirargli su il morale, facendo notare che non si sarebbero trasferite molto lontano dalla loro dimora d’origine, e che per questo, ogni volta che ne avrebbero sentito il desiderio, avrebbero avuto la possibilità di ritornare.
Entrambe mi guardarono con le lacrime agli occhi, stringendomi in un abbraccio.
«Mèimèi, ci mancherai così tanto!»
Avvolsi a mia volta le braccia attorno alla loro esile schiena, chiudendo gli occhi. Sarebbero mancate tantissimo anche a me; tuttavia, per non rattristarle ulteriormente, mi tirai leggermente indietro, con aspettativa.
«Mi racconterete delle vostre nozze, non appena ci rivedremo?»
«Ovvio che te ne parleremo!» confermò Huanglian-jiějiě, ammiccando.
«Ti descriveremo tutto nei minimi dettagli» assicurò Feimei-jiějiě.
Sorrisi loro grata.
Sempre perché c’era il veto sulla libera uscita, finora non avevo potuto presenziare a nessun matrimonio. Sia con Fudie-jiějiě che con Xuehua-jiějiě avevo solo avuto modo di aiutarle a prepararsi, per poi salutarle all’ingresso, dicendo così loro addio – per quanto non si trattasse di un congedo eterno, visto che anch’esse tornavano con assiduità per assicurarsi che la madre fosse in buona salute. Negli ultimi tempi sembrava soffrire di emicranie ricorrenti, ma per nostra fortuna in città si era trasferito un nuovo medico nella spezieria gestita dal signor Song e da suo figlio. Un giorno, quando venne in casa per visitare la mia padrona, ebbi modo di sbirciare da una fessura tra le travi, e grande fu la mia sorpresa quando scoprii si trattasse di una donna. Era indubbiamente un’esperta, considerando che con sole cinque sedute era riuscita a stabilizzare le vertigini della mia signora, attraverso l’agopuntura e prescrivendole dei decotti. Da allora ogni mese veniva a trovarci, per assicurarsi che le condizioni di Li-fūren fossero stabili.
Scossi leggermente la testa, concentrandomi sul mio operato. La mia intenzione era riuscire a ricavare la mia signora da quel ciocco di legno, per poi fargliene dono. Sembravo starci riuscendo abbastanza bene, per quanto fosse complessa l’elaborata acconciatura che usava portare.
Le signorine, invece, stavano raffigurando i loro futuri mariti. Adoperarsi tanto in una nuova arte soltanto per essi, dimostrava quanto affetto provassero.
Chissà com’era innamorarsi. Era uno dei tanti interrogativi che mi ponevo, insieme a “Chissà com’è vedere il mondo di fuori”. Non che avessi di che lamentarmi, non mi dispiaceva la mia vita; ma dopo diciassette anni avevo memorizzato ogni singolo angolo e anfratto, ogni singola stanza, ogni singolo padiglione, ogni singolo stagno, ogni singola infiorescenza di quella dimora. Le uniche novità erano le persone, le conversazioni, le stagioni che variavano e il cielo, che non era mai lo stesso.
Amavo guardare il cielo. Amavo farlo soprattutto di notte, quando spuntava la luna. Amavo ammirarla in silenzio, e amavo ascoltare i racconti che si tramandavano sulle vite nel cielo e gli abitanti della luna. Forse era quella la forma del mio innamoramento? Una sorta di nostalgia, di struggimento, che mi portava ad anelare una libertà che non mi era concessa?
 
 
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Prima del previsto giunsero le nozze di Huanglian-jiějiě e di Feimei-jiějiě. Insieme alle loro due fedeli servitrici, che sarebbero andate via per restare al loro fianco, chiesero anche a me di aiutarle a prepararsi nei rispettivi giorni di congedo; per me fu un onore poterle avvolgere nelle loro pregiate vesti di seta scarlatta, truccarle con finezza e adornarle di preziosi gioielli. Con gli anni mi ero esercitata in segreto su Chunhua, avendo quest’ultima già previsto che mi sarebbe stato chiesto, conoscendo i loro caratteri, affinché potessi renderle talmente belle da mozzare il fiato.
Quando la loro onorevole madre ebbe modo di vederle, a stento trattenne le lacrime. Si mantenne composta, come sempre in pubblico, e abbracciò le figlie, prima di permettere loro di intraprendere la propria strada.
Fu la notte del matrimonio di Feimei-jiějiě, dopo che ella ci aveva già lasciati, che trovai la mia signora nel padiglione del silenzio, a contemplare tacita la luna sulla superficie del laghetto.
Mi avvicinai ad ella con passo felpato, per non disturbarla. Mi sedetti composta al suo fianco, seguendo il suo sguardo, rivolto verso il buio.
Quello era un giorno propizio e fortunato, scelto con cura dal calendario. La casa era adorna di fiori, nodi e drappeggi rossi; eppure, era come se la prosperità, il calore e l’amore l’avessero lasciata per sempre.
«Xiaoying…» sussurrò la mia signora in un tono fragile, che trasmetteva tutta la sua vulnerabilità. Una vulnerabilità che osava manifestare solamente in mia presenza. Continuava a fissare le increspature sull’acqua, senza sembrare realmente vederle. «Mi sei rimasta solo tu.»
Sgranai gli occhi, avvertendoli riempirsi di lacrime.
«Non è vero» negai con dolcezza, prendendo una sua mano tra le mie. «Le signorine hanno promesso che verranno sovente a trovarla. E poi, non deve dimenticare che mancano soltanto due cicli lunari al ritorno del giovane signore.»
Assentì col capo, prima di poggiarlo su una mia spalla.
«Fino ad allora mi terrai compagnia?»
«Tutte le volte in cui lo desidera» assicurai, stringendo la sua mano.
 
 
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Dopo quella promessa, trascorsi ogni giorno insieme alla mia padrona, pur continuando a portare avanti le mie mansioni.
Un mattino mi convocò di punto in bianco, mentre mi stavo occupando delle pulizie; affidai il resto a Luli e Chenguang, affrettandomi a raggiungerla nel giardino, dove già sapevo l’avrei trovata seduta su una roccia al di sotto di un hoang mai[1] in fiore. Un tappeto di petali dorati si apriva sotto i suoi piedi. L’oro la circondava, facendo scintillare tutta la sua figura. Vista così, era la degna cugina dell’imperatore.
«Mia signora, cosa posso fare per lei?»
«Ah, Xiaoying, eccoti qui. Mi servirebbe della stoffa all’emporio gestito dalla signora Renxiang. Pensavo di cucire a Xiaolang un nuovo shenyi,[2] per quando torna.»
Consapevole del buongusto di Chunhua, suggerii di mandare lei.
Ella approvò, cogliendomi alla sprovvista nell’aggiungere: «Puoi andare con lei».
Sbattei le palpebre, facendomi più vicina. Dovevo aver capito male.
«Mando Chunhua…» ripetei, confusa.
«E puoi andare anche tu» confermò, lasciandomi a bocca aperta.
«Ma…»
Tacqui, incapace di formulare alcunché. Avrei voluto domandarle come avrei dovuto comportarmi dinanzi agli estranei, cosa avrei dovuto fare se mi avessero guardata con insistenza, come spostarmi senza perdermi, ma, soprattutto, perché avesse improvvisamente cambiato idea.
Scambiai uno sguardo con la signora Hualing, la madre di Chunhua, in cerca di spiegazioni. Ella semplicemente sorrise, facendo un cenno d’assenso col capo.
Li-fūren si voltò allora a guardarmi, con aria compiacente.
«Le mie figlie mi hanno scritto, chiedendomi di lasciarti un po’ di libertà.»
Impallidii, sentendomi venir meno. Ora avrebbe erroneamente pensato che avessi avuto da lamentarmi…
«Inizialmente non volevo assecondare le loro richieste, ma devo ammettere che hanno ragione. Non sei più una bambina, di certo te la sai cavare. E poi, non saresti da sola. Chunhua ha una bella parlantina, ed è piuttosto astuta. Saprebbe come proteggerti.»
Non sapevo cosa dire. Se non era un sogno, se era tutto vero, per quanto provassi un po’ di timore, non vedevo l’ora di uscire.
Ella dovette accorgersi del mio fremere, perché mi congedò, trattenendo un sorriso.
La ringraziai di cuore, correndo via felice. Raggiunsi in fretta le cucine e saltai al collo della mia amica, esclamando: «Chunhua! Possiamo uscire insieme!»
Si voltò a guardarmi stupita, prima di sorridere con scaltrezza.
«Scommetto che sono state le signorine ad intercedere.»
«Come lo sai?» domandai sbigottita, allontanandomi da lei per darle possibilità di sciacquarsi le mani dalla farina.
«Perché una volta stavano discutendo al riguardo» spiegò sottovoce.
Si avvicinò al padre, dicendogli che saremmo tornate subito, prima di portarmi fuori dalle cucine, prendendomi a braccetto.
«Provi un po’ d’ansia?» si accertò con premura.
«Un po’» ammisi. «Ciononostante, non vedo l’ora di scoprire com’è fatta la città!»
Rise con me, e mi scortò fino all’ingresso. Poggiò una mano sul portone, assicurandosi che io fossi pronta; ad un mio cenno di assenso lo aprì.
Quasi rimasi accecata dal bagliore che trovai ad aspettarmi al di là di esso.
Immediatamente fui sopraffatta dal vociare assordante dei compratori che contrattavano sul prezzo, dalla lucentezza delle collane di perle e dei braccialetti di giada esposti nelle bancarelle, dall’olezzo pungente delle spezie e delle vivande che giungeva dai ristoranti. Pittori esponevano con orgoglio le proprie opere, maestri di calligrafia scrivevano con pennellate fluide nomi e poesie su giganteschi ventagli e lanterne, artisti di strada si esibivano per allietare il loro pubblico. C’era un viavai di uomini e donne, adulti e anziani, bambini che giocavano scorrazzando per le strade, voci allegre e spensierate che si fondevano ai vivaci richiami dei venditori…
Seguii Chunhua meravigliata, continuando a tenerle un braccio per non perdermi per le vie del mercato. A mano a mano che procedevamo, lei mi indicava gli edifici e le botteghe che fiancheggiavano la strada, informandomi sulla loro funzione. Salimmo poi su un ponte in legno più alto e lungo degli altri, dal quale si intravedeva il mare. Sapevo già che noi vivevamo in una città portuale, dove erano frequenti gli scambi e i commerci, e che per questo apportavamo prosperità al regno; tuttavia, non avevo mai visto il porto, né le giunche e le navi che vi attraccavano, né i fiumi del delta che si insinuavano per le strade. Schiusi le labbra, rapita dalla lattiginosa luce invernale che si posava sulle onde, rendendole luminescenti. Prima di imbambolarmi del tutto, però, e rischiare così di perderla di vista, affiancai Chunhua.
Continuai a guardarmi curiosamente intorno, finché non giungemmo alla bottega della seta, dove su alte file di scaffali che toccavano il soffitto c’era una quantità incommensurabile di stoffe e vestiti. La signora Renxiang, una giovane donna coi capelli acconciati in uno chignon doppio, ornato da ciocche sorprendentemente ondulate, venne subito a servirci, riconoscendo Chunhua. Non avevo mai visto capelli con curve così sinuose! Forse in città non era poi così straordinario vedere rarità.
Lasciai che fosse Chunhua a selezionare il broccato che più avrebbe donato al nostro signore, spostandomi intanto verso corridoi delimitati da appendiabiti. Scorsi vesti di cotone, organza e lino, sempre più stupita. Ne esistevano di infiniti colori, tipologie e varietà. Noi di norma sfoggiavamo abiti aranciati, che richiamavano i colori del tramonto, anche se in occasioni particolari ci era concesso di indossare persino abiti di seta dalle tonalità delicate di rosa e celeste, oppure di un verde brillante quando avevamo ospiti – perché il verde, insieme all’oro, era il colore del casato Li.
Allungai una mano verso un completo dello stesso colore dei glicini, affascinata da quella tinta così realistica; contemporaneamente, qualcuno fece altrettanto. Riconobbi il medico che aveva in cura la mia signora. Ora che la guardavo meglio da vicino, rimasi completamente incantata. Non avevo mai visto prima una persona tanto… eterea. Come fosse uscita da un dipinto.
Vedendomi ella sgranò gli occhi, prima di prendere entrambe le mie mani nelle sue, con giubilo.
«Lei lavora presso la famiglia Li, non è così?»
Confermai a mezza voce, colta alla sprovvista da tanto entusiasmo e tanta formalità. E poi, non mi aspettavo mi conoscesse.
«L’ho già vista nella dimora, ma non c’è mai stata occasione per presentarci, e non volevo disturbarla mentre lavorava» spiegò, forse leggendo le mie domande nei miei occhi. «Io mi chiamo Zhishi, da poco mi sono trasferita qui. Ma immagino che la sua padrona gliel’abbia già riferito.»
Annuii, rivolgendole un breve inchino: «Zhishi-gūniang, è un piacere conoscerla. La ringrazio per tutto quello che sta facendo per la mia signora».
«La prego, non sia così formale con me. Sono soltanto un umile medico.»
«In tal caso, anche tu, sii informale con me.»
Rifiutò, spiegando: «Preferisco esprimermi in questo modo, sono più abituata».
Non ci avevo pensato, ma in effetti, considerati i suoi lineamenti, la sua pelle più candida della neve, i suoi occhi del colore delle orchidee e i suoi capelli neri e ondulati, molto probabilmente proveniva da qualche paese del nord. Forse il linguaggio formale le sarebbe risultato più facile e naturale, per quanto io non fossi abituata a ricevere tanto rispetto.
«Il suo nome è…?»
Avvertii le mie guance scaldarsi. Come avevo potuto dimenticare di presentarmi?
«Yinghua.»
Si aprì in un sorriso più grande, volgendosi poi verso il vestito che aveva attirato l’attenzione di entrambe.
«Era intenzionata ad acquistarlo?»
Scossi la testa.
«Mi aveva incuriosita il colore. A ben guardarlo, ti starebbe benissimo.»
Quel giudizio uscì spontaneamente dalle mie labbra, ma non pensavo che potesse renderla talmente felice da spingerla a provarselo e a comprarlo senza pensarci due volte.
Mentre lo pagava mi accostai a Chunhua, notando che aveva scelto una stoffa d’un brillante color smeraldo, ricamata con motivi floreali argentei poco sfarzosi, a malapena visibili in controluce.
Mentre la signora Renxiang la piegava per bene, incartandocela, Chunhua adocchiò Zhishi-gūniang.
«Buongiorno Zhishi-yīshēng» le si apostrofò, chinando di poco la testa.
«Buongiorno a lei, Chunhua-gūniang. Siete qui per fare compere?»
Chunhua confermò, prendendo il pacco e ringraziando la signora Renxiang, prima di invitarmi ad uscire. Poi parve improvvisamente ricordare qualcosa, perché si voltò verso Zhishi-gūniang, domandandole se quel pomeriggio dovesse venire a portarci un nuovo impacco; dato che confermò propose: «Se vuole posso evitarle il viaggio, di certo avrà anche altri pazienti di cui occuparsi».
«In effetti, sarebbe più comodo se ve li dessi adesso» approvò, facendoci strada. «Chunhua-gūniang, ha ancora la ricetta col procedimento?»
«Sì, ma anche se la perdessi non sarebbe grave. Ormai l’ho memorizzata.»
«Sarebbe un’ottima apprendista» osservò Zhishi-gūniang, ridacchiando.
«Non ne ha?»
«Una fanciulla, trasferitasi qui da poco, e il suo servitore. Si chiamano Bingqing e Kuo, ma hanno ancora molto da imparare.»
Lasciai chiacchierare loro due, memorizzando intanto il percorso che conduceva dallo speziale: magari, con un po’ di fortuna, dalla volta successiva la mia padrona avrebbe permesso anche a me da sola di venire fin qui, a prendere le sue medicine.
Ci arrestammo dinanzi ad un grosso portone ligneo, che fu aperto da Zhishi-gūniang. Entrammo dietro di lei, percorrendo un vialetto sterrato che conduceva fino all’ingresso. Ai lati di esso, sotto il riparo di un porticato, erano allineati vassoi con diverse tipologie di erbe. Una giovane fanciulla dagli occhi celesti come il cielo e i capelli del colore della cenere le stava suddividendo, appuntando a mano a mano qualcosa su un rotolo. Era talmente presa dal suo compito da non accorgersi neppure di noi.
Zhishi-gūniang le si avvicinò, al che lei si affrettò a raddrizzarsi, salutandoci cordialmente. Facemmo altrettanto, prima che la sua maestra le indicasse dove dovesse mettere la radice di aconito rispetto ai semi di crotontiglio, in base al trattamento.
Chunhua parve perplessa quando udì il nome del primo.
«Da quel che sapevo, l’aconito è velenoso.»
«Molti veleni vengono utilizzati in medicina, come terapia.»
Zhishi-gūniang  non potette aggiungere altro, che una delicata voce maschile aggiunse: «L’importante è essere accorti al dosaggio e alle reazioni dei pazienti, giusto?»
«Vedo che stai imparando» sorrise, annuendo.
Mi voltai verso il nuovo arrivato, scoprendo un giovane dagli occhi del colore delle viole e i capelli d’inchiostro. Che fosse un fratello di Zhishi-gūniang? Per quanto i loro lineamenti non si somigliassero affatto: i suoi erano affilati, avrei osato dire volpeschi; Zhishi-gūniang invece aveva un volto ovale, delicato, e i suoi occhi erano molto grandi, simili a un litchi.
«Lui è Kuo, mentre lei è Bingqing» li presentò.
Ci inchinammo, facendo altrettanto; dopodiché proseguimmo verso l’interno dell’edificio, lasciandoli lavorare.
«Ad ogni modo» riprese Zhishi-gūniang, «tutto sta nel coglierlo nel posto e al momento giusto, affinché la quantità di veleno sia minima e non si corrano rischi».
Corrugai la fronte, accertandomi: «Nel decotto prescritto alla nostra padrona non ci sono veleni, vero?»
Mi sorrise compiacente, rassicurandomi: «Contiene come ingredienti principali fiori di crisantemo, rénshēn[3] e zenzero. Nulla di cui preoccuparsi».
Ci accompagnò fino al bancone, dietro il quale sostava un uomo ancora giovane, dall’aria austera. Salutò Chunhua, guardandomi poi con un sopracciglio alzato.
«E questa bambina?»
Bambina?
Assottigliai gli occhi, mentre Chunhua tossicchiò, replicando: «Tengfei-yīshēng, non siate scortese. Si chiama Yinghua, anch’ella è al servizio della nostra signora».
«Oh? È così piccola che non l’avevo mai notata» celiò, irritandomi maggiormente.
Gonfiai le guance, sbottando: «Non sarò cresciuta molto in altezza, ma non per questo sono una bambina!»
Mi stupii di me stessa: era la prima volta in vita mia che mi sentivo tanto criticata, e anche se di solito riuscivo a tenermi i miei pensieri per me, con questo famigerato Tengfei-yīshēng – che supponevo essere il figlio del proprietario della spezieria – non riuscivo proprio a tacere.
«Che caratterino.» Mi scrutò con attenzione, aprendosi poi in un ghigno enorme. «Hai la faccia di un mostriciattolo.»
«Come?!»
Guardai Chunhua in cerca di supporto, ma lei era piegata in due dalle risate.
«Non vi date troppo peso, fa così con chiunque» ci pacificò Zhishi-gūniang, avvicinandomisi poi per sussurrare: «Può essere informale con lui, e chiamarlo anche “fratellone”. Facciamo tutti così».
«Tengfei-gēgē, se non ti sbrighi a servirci ne parlerò con la mia padrona, e vedremo poi quali saranno le conseguenze» lo minacciai, puntandogli un dito contro.
Sembrava essere sul punto di ribattere, ma Zhishi-gūniang intervenne tempestivamente: «Dàgē,[4] ci penso io qui».
Lui superò il bancone per prendere una borsa, annunciando che aveva delle visite casalinghe di cui occuparsi; prima di andarsene, però, passò accanto a me, dandomi dei colpetti leggeri in testa.
«Spero di vederti più spesso, mostriciattolo.»
«Non sono un mostriciattolo!» gli urlai dietro.
Lui proseguì per la sua strada senza voltarsi.
«Per essere le tue prime interazioni con degli estranei, devo ammettere che sono piuttosto interessanti. Ma non preoccuparti, non ne farò parola con la nostra padrona» sibilò Chunhua.
La ringraziai con uno sguardo; ci sarebbe solo mancato che Li-fūren scoprisse che fossi stata tanto indisponente.
«Lo perdoni se può» intervenne Zhishi-gūniang, porgendomi il sacchetto con le erbe. «Credo che in lei abbia rivisto la sua sorellina, e per questo si comporta così.»
«Ha una sorellina? Non ne avevo idea!» esclamò Chunhua.
Zhishi-gūniang chinò lo sguardo, contrita.
«Purtroppo lo ha lasciato molti anni fa, quando era ancora una bambina. Nemmeno noi medici siamo onnipotenti. Non abbiamo la capacità di curare qualsiasi malattia. Dàgē e Song-dàifū hanno tentato il tutto per tutto, ma alla fine non sono riusciti a salvarla. È per questo che considera tutti noi che lavoriamo in questo posto come suoi fratelli e sorelle minori.»
Ci mortificammo entrambe, ma io presi nota di questa nuova informazione: se tale era il caso, per quanto mi irritasse, avrei cercato di assecondarlo. Magari sarei riuscita a portare anche nel suo cuore un po’ di gioia.
Prima di rientrare, davanti al portone d’ingresso, fermai Chunhua, tirandola indietro per una manica.
«Chunhua, tu credi che sia presuntuoso da parte mia desiderare di poter fare qualcosa per risollevare l’animo degli altri?»
Lei mi sorrise con gentilezza, riprendendomi per mano.
«No, Yinghua. È solo indice di generosità, e ritengo che sia una delle tue migliori doti. Per questo la nostra padrona ti adora.»
Mi aprii in un piccolo sorriso, e sentendomi più leggera le misi fretta per raggiungere la nostra signora, in modo da narrarle della mia prima esperienza in città.




 

[1] Si tratta di un fiore giallo, conosciuto come ochna integerrima.
[2] Veste lunga caratteristica dell’hanfu (abiti tradizionali utilizzati durante gran parte del periodo precedente alla dinastia Qing, quindi prima del XVII sec.)
[3] Nome cinese del ginseng.
[4] Fratello maggiore
  
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