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Autore: steffirah    01/04/2023    1 recensioni
° 𝗦𝘁𝗼𝗿𝗶𝗮 𝗽𝘂𝗯𝗯𝗹𝗶𝗰𝗮𝘁𝗮 𝗮𝗻𝗰𝗵𝗲 𝘀𝘂 𝗪𝗮𝘁𝘁𝗽𝗮𝗱 °
In una notte di luna piena la nobile signora Li trova una bambina abbandonata nei pressi di un fiume. Malgrado le sue origini incerte, decide di crescerla nel proprio casato, battezzandola con il nome Yinghua.
Nel corso degli anni ella diviene parte integrante della famiglia, sennonché Xiaolang, il figlio della signora, non sembra averla presa in simpatia. Non fidandosi di lei, tenta di scoprire qual è il suo passato, portando così alla luce delle verità nascoste che stravolgeranno completamente la loro vita.
🌸
Estratti dal testo:
𝐼𝑜, 𝑝𝑖ù 𝑑𝑖 𝑐ℎ𝑖𝑢𝑛𝑞𝑢𝑒 𝑎𝑙𝑡𝑟𝑜, 𝑎𝑣𝑒𝑣𝑜 𝑝𝑒𝑐𝑐𝑎𝑡𝑜... 𝐸 𝑝𝑒𝑟 𝑐𝑜𝑠𝑎? 𝑃𝑒𝑟 𝑙𝑎 𝑟𝑒𝑎𝑙𝑖𝑧𝑧𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑑𝑖 𝑢𝑛 𝑚𝑖𝑛𝑢𝑠𝑐𝑜𝑙𝑜 𝑑𝑒𝑠𝑖𝑑𝑒𝑟𝑖𝑜...
𝑃𝑒𝑟 𝑒𝑠𝑠𝑒𝑟𝑒 𝑙𝑖𝑏𝑒𝑟𝑎...
𝑃𝑒𝑟 𝑣𝑖𝑣𝑒𝑟𝑒 𝑢𝑛𝑎 𝑣𝑖𝑡𝑎 𝑐ℎ𝑒 𝑝𝑜𝑡𝑒𝑠𝑠𝑒 𝑒𝑠𝑠𝑒𝑟𝑒 𝑠𝑐𝑒𝑙𝑡𝑎 𝑑𝑎 𝑚𝑒, 𝑒 𝑛𝑜𝑛 𝑐𝑜𝑠𝑡𝑟𝑒𝑡𝑡𝑎 𝑑𝑎 𝑎𝑙𝑡𝑟𝑖...
«𝑋𝑖𝑎𝑜𝑦𝑖𝑛𝑔... 𝐶ℎ𝑒 𝑐𝑜𝑠𝑎 𝑚𝑖 𝑠𝑡𝑎𝑖 𝑛𝑎𝑠𝑐𝑜𝑛𝑑𝑒𝑛𝑑𝑜?»
«𝑄𝑢𝑎𝑙𝑢𝑛𝑞𝑢𝑒 𝑠𝑖𝑎 𝑙𝑎 𝑐𝑜𝑠𝑎 𝑐ℎ𝑒 𝑡𝑖 𝑓𝑎 𝑝𝑎𝑢𝑟𝑎, 𝑛𝑜𝑛 𝑝𝑒𝑟𝑚𝑒𝑡𝑡𝑒𝑟ò 𝑐ℎ𝑒 𝑎𝑐𝑐𝑎𝑑𝑎.»
«𝐻𝑜 𝑎𝑡𝑡𝑒𝑠𝑜 𝑚𝑖𝑙𝑙𝑒 𝑎𝑛𝑛𝑖, 𝑝𝑒𝑟 𝑞𝑢𝑒𝑠𝑡𝑜...»
«𝑆𝑒 è 𝑐𝑜𝑠ì, 𝑡𝑖 𝑡𝑒𝑟𝑟ò 𝑐𝑜𝑛 𝑚𝑒 𝑝𝑒𝑟 𝑎𝑙𝑡𝑟𝑖 𝑚𝑖𝑙𝑙𝑒 𝑎𝑛𝑛𝑖, 𝑒 𝑎𝑛𝑐ℎ𝑒 𝑝𝑖ù.»
Genere: Fantasy, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Li Shaoran, Sakura, Sakura Kinomoto, Syaoran Li | Coppie: Shaoran/Sakura, Takashi/Chiharu, Touya/Yukito
Note: AU, Soulmate!AU | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 4










 
«Xiaolang-gēgē, non andare, ti prego! Ti scongiuro, come faccio a vivere senza di te!»
Meiling se ne stava avvinghiata al mio corpo come una scimmia su un ramo. I suoi singulti cominciavano a darmi sui nervi, e il parlottare dei miei compagni stava diventando sempre più irritante. Già giravano troppe voci sul nostro conto, e ora doveva anche fare queste scenate melodrammatiche.
«Meiling» la richiamai con fermezza, mentre anche la sua servitrice tentava di staccarmela di dosso, facendole notare quanto fosse disdicevole il suo comportamento. «Anche se vado via -»
«Xiaolang-gēgē!»
Se possibile il suo pianto divenne ancora più disperato e, di conseguenza, ancora più pietoso. Mi si allontanò, soltanto per gettarsi a terra, prostrandosi ai miei piedi.
«Abbi pietà del mio povero cuore!»
Ignorai le occhiate dei nostri spettatori e mi inginocchiai, poggiando le mani sulle sue braccia per aiutarla a rialzarsi. Lei si nascose il volto tra i palmi, singhiozzando.
«Meiling, è vero che sto per andare via, ma ciò non significa che non potremo più vederci.»
«Ma è stato così improvviso!» continuò a lamentarsi, tirando su col naso. «Solo io non ne sapevo niente!»
Sviai lo sguardo, colpevole. Se non gliel’avevamo annunciato prima era proprio per evitare che una situazione simile si protraesse per più giorni. Già stava andando avanti da un’ora.
«È tutta colpa vostra!»
Ecco, ora se la prendeva con il padre.
Scossi la testa, guardandolo mortificato. Anch’egli stava tentando di placarla in tutti i modi, con scarsi risultati.
«Piccola mia, il periodo di studio qui è finito per Lang-er. Credimi, spiace anche a me, ma non posso trattenerlo.»
«Non è finito!» replicò Meiling, probabilmente non stando neppure a sentire il resto. «Dovrebbero essere minimo tredici anni, ne sono trascorsi soltanto dieci!»
«In questi dieci anni ha già appreso tutto ciò che avevamo da insegnargli. Per cos’altro dovrebbe restare?» argomentò il padre.
«Per…» Sembrava stesse per dire qualcosa – potevo già immaginare la risposta –, ma alla fine parve mordersi la lingua e ragionare in fretta, ribattendo: «Per migliorare!»
«Ma se è già un prodigio così!»
«Lo so che Xiaolang-gēgē è il migliore al mondo, ma non si può che progredire col tempo, no?»
Mi portai una mano alla fronte. Ecco che diventava tutto ancora più imbarazzante.
«Certamente, ma può continuare ad apprendere anche senza il nostro aiuto! Ne abbiamo discusso insieme, e tutti i maestri si sono ritrovati d’accordo.»
«Traditori» sibilò mia cugina, adocchiandoli come una serpe.
«Mio signore.» Mi voltai alla mia sinistra, trovando un servo costernato. Lo riconobbi come quello del cocchiere. «Mi perdoni se oso tanto, ma dovremmo partire…»
Feci un cenno di comprensione e mi schiarii la voce, per attirare nuovamente l’attenzione di mia cugina.
«Meiling, zio ha ragione. Ormai ho raggiunto il massimo dell’educazione che potessi ricevere. Ho studiato e ricopiato tutti i classici che mi sono stati presentati, conosco a memoria poesie, biografie, trattati, antologie e dialoghi di filosofi e letterati. Ho portato avanti uno stile di vita stoico, privo di distrazioni, piaceri e divertimenti. Mi sono costantemente dedicato a lettura e scrittura, pittura, musica e combattimento. Ho quotidianamente meditato e mi sono allenato giorno dopo giorno, per perseguire la perfezione spirituale e carpire l’importanza della virtù alla base degli ideali di quest’accademia, e soltanto così facendo ho potuto vincere il campionato scolastico ogni anno e sono divenuto abile alla pari dei maestri di spada e di oratoria. Ora posso finalmente tornare a casa e prendermi cura di mia madre. Riesci a capirlo, no, che lo faccio per lei?»
Chinò lo sguardo, rimuginando, finché non ritrovò la dignità perduta.
«D’accordo. Se te ne vai perché sei in pensiero per zia Yelan e vuoi liberarti delle tue preoccupazioni, non ti fermerò. Abbi cura di lei, e… ogni tanto ricordati anche di me.»
Mi aprii in un piccolo sorriso, promettendoglielo.
Mi strinse a sé in un ultimo abbraccio, quasi stritolandomi. Salutai anche mio zio, i maestri e i miei compagni, a loro volta sull’orlo delle lacrime; dopodiché raggiunsi Enlai in carrozza.
Nel momento in cui furono spronati i cavalli scostai la tenda, affacciandomi. Meiling continuava ad allungare drammaticamente una mano nella mia direzione, quasi fosse una madre che diceva addio al proprio figlio. Anzi, neppure una madre l’avrebbe fatta tanto tragica – o perlomeno, questa non era stata la reazione della mia.
Quando ero dovuto partire per la capitale avevo otto anni; a dire il vero, ero già in possesso di gran parte dei requisiti richiesti nella formazione, per cui negli anni a venire i maestri non avevano fatto altro che affinare le mie conoscenze e competenze. Forse mia madre se lo aspettava, e per questo la sua unica dimostrazione di affetto alla mia partenza era stata coprirmi con un mantello che ella stessa aveva ricamato, dicendomi di usarlo in inverno. Naturalmente crescendo aveva iniziato ad andarmi piccolo, per cui negli anni me ne aveva fatto recapitare un altro identico, più lungo. Lo stavo indossando anche in questo momento, per tornare, se non uguale, almeno simile a come ci eravamo lasciati.
Chiusi la tenda, fronteggiando Enlai. Sorseggiava del tè alternandolo a dei datteri, senza pronunciarsi.
Me ne versai anche per me, domandandogli: «Hai deciso dove starai?
«Pensavo di pernottare alla casa di piacere di mia sorella.»
«Non puoi.»
Si aprì in un sorriso volpesco.
«Non sarai invidioso? Guarda che potrai venire a trovarmi anche tutti i giorni.»
Posai la tazzina, guardandolo austero.
«Mi servi.»
«Oh ecco, ammetti che hai bisogno di me!»
«Vieni a vivere da noi» tagliai corto. «Ti permetterò di andare a trovare Yueliang-gūniang. E puoi portare con te anche Taiyang» precisai.
Fissò il soffitto, poggiando la schiena contro il sedile.
«Insomma, avevi già capito che volevo riprendermi il mio gatto.»
«Perché so che a parte il gatto e tua sorella non hai altro interesse.»
«Potrei divertirmi con qualche donna» ammiccò.
«Quando sarai libero potrai avere il tuo harem, ma per adesso devi servirmi. Abbiamo fatto un patto.»
«Lo so, non posso tirarmi indietro» si arrese, intrecciandosi le dita dietro la nuca. «Vivrò con voi, ma non nella tua stessa stanza.»
Rabbrividì raccapricciato, al che gli lanciai un dattero, che mangiò al volo.
«Idiota. Naturalmente occuperai una delle vecchie stanze delle mie sorelle.»
«Hoho, dormirò nello stesso letto di una donna!»
«Mi duole infrangere i tuoi sogni da dongiovanni mancato, ma ho già avvisato mia madre e sono certo che abbia già deciso dove sistemarti. Di conseguenza, sarà stato cambiato anche il mobilio.»
«Sempre previdenti voi Li.»
Non riuscii a mascherare un sorriso. Questo era vero. Noi eravamo strategici, calmi, riflessivi. Ecco perché non riuscivo a spiegarmi come mio padre potesse essere stato assassinato a tradimento. Dovevo assolutamente scavare più a fondo nella faccenda, e per farlo mi serviva un uomo astuto e carismatico. Tale ruolo non poteva che essere ricoperto da Enlai.
 
 
֍
 
 
Quando giungemmo alle porte della città il sole era alla massima altezza nel cielo, nascosto da poche nubi sottili.
Mi sedetti composto, rassettandomi. Non osavo mostrarmi trasandato al cospetto di mia madre. Sicuramente si sarebbe erta in tutta la sua magnificenza. Non era ammissibile neppure un capello fuori posto.
«Xiaolang, tranquillo. Ti assicuro che sei perfetto, bellissimo come sempre. Se Meiling-shīmèi[1] fosse presente convolerebbe a nozze con te senza pensarci due volte.»
Poco ci mancò che rigettassi la colazione.
«Non dire stupidaggini.»
«Che cuore di ghiaccio» mi criticò, scuotendo la testa. Non appena ci inoltrammo nel traffico del mercato, tuttavia, si esaltò, alla pari di un bambino. «Ci siamo quasi! Sto per incontrare la famosa Li-fūren!»
«Comportati a dovere» lo misi in guardia. Mia madre era sempre stata una donna rigida e severa, con poca predisposizione a tollerare sgarberie.
«Sarò impeccabile e non ti farò fare brutta figura. Anzi, non parlerò proprio se non vengo interpellato» assicurò, picchiettandosi la bocca.
«Ci conto.»
Non appena la carrozza si fermò mi alzai, aggiustandomi il mantello. Presi un respiro profondo, prima di uscire.
La prima persona che vidi fu Shanyuan, il quale prontamente allungò una mano per aiutarmi a scendere. Erano trascorsi dieci anni, quindi ormai avrebbe dovuto avere ventiquattro anni; eppure il suo aspetto non sembrava quasi per niente mutato, se non in altezza e nei lineamenti non più delicati e tondi, come una volta. Lasciai perdere il suo aiuto e lo esortai a recuperare i nostri bagagli.
Toccato terra sollevai lo sguardo verso il portale d’ingresso della nostra dimora. Seguii ogni pietra dello scalone, avvertendone la solennità e pesantezza trasferirsi nel mio animo. Giunsi fino a una figura dalle vesti cupe ma sontuose. La misi a fuoco in tutta la sua interezza, chiedendomi che espressione avrebbe ospitato il suo viso. Quando i miei occhi incontrarono i suoi, quel che ne ricevetti mi lasciò senza parole. Malinconia e stanchezza erano lì a tinteggiare le sue iridi d’inchiostro, ma su di esse scintillava una felicità a stento repressa.
Mi affrettai a raggiungerla, inchinandomi.
«Madre, sono tornato.»
A un suo cenno mi risollevai.
Non disse nulla. Continuò a fissarmi a labbra serrate, con un contegno forse forzato. Ne approfittai per osservarla con scrupolo. Era più magra di quanto ricordassi, la sua pelle sembrava molto più sottile e trasparente, e tra i capelli si intravedevano sottili fili argentei.
Accorgendomi che Enlai mi aveva affiancato mi affrettai a presentarglielo ufficialmente. Lei gli diede il benvenuto, in tono cordiale. Agli occhi di chiunque sarebbe parso strano che le sue prime parole le avesse rivolte ad un estraneo piuttosto che al figlio, ma io me lo aspettavo. Sapevo già che non avrebbe mai reagito come le classiche madri che accoglievano i figli di ritorno dalla capitale. Non avrebbe pianto. Non avrebbe mai ammesso di aver sentito la mia mancanza. Non si sarebbe lasciata sopraffare da alcun sentimento, in presenza di altre persone.
Ci fece segno di entrare, ordinando a qualcuno di chiudere il portone; solo dopo che fu fatto ciò si fermò dinanzi a me, adagiando l’intero suo palmo su una mia guancia. Enlai, alle sue spalle, mi fissò sbalordito. Ero altrettanto costernato.
Mi contemplò tacita per un tempo interminabile, con iridi che andavano inumidendosi sempre più, mentre correvano lungo tutto il mio viso. Si aprì in un minuscolo sorriso e mi strinse brevemente tra le sue braccia, facendomi così notare che ero io ad avvolgere del tutto lei, nella sua piccolezza, e non viceversa.
«Bentornato» sussurrò accanto al mio orecchio.
Prima che potessi rispondere si allontanò, aggiustandomi capelli e abiti, sembrando lieta del fatto che avessi indossato il mantello.
Ci invitò poi a procedere, e noi la seguimmo in cortile, dove trovai la servitù ad attendermi. Si inchinarono tutti insieme, salutandomi cortesemente. Scrutai i loro visi: ce n’erano molti di giovani e nuovi. Mi arrestai dinanzi a Yuanmei, notando che malgrado la vecchiaia manteneva ancora la gagliardia di dieci anni fa. Mia madre mi aveva assicurato che adesso, oltre ad ella e alla sua precedente dama di compagnia, Hualing, la affiancavano la figlia di quest’ultima, Chunhua, e Yinghua, nel prendersi cura di lei. Ma a questo non volevo ancora pensarci.
Siccome faceva freddo ordinai a tutti di tornare alle proprie mansioni.
«Shanyuan, mostra a Enlai dove alloggerà. Tu, prepara un tonico per mia madre» aggiunsi, rivolgendomi alla prima cameriera più prossima a noi.
«E del tè per mio figlio» soggiunse mia madre, posandomi una mano sull’avambraccio. «Andiamo nel padiglione delle peonie» propose. Ossia, il padiglione che aveva condiviso con mio padre, tuttora occupato da lei.
Nella sala da tè cedetti a lei la poltrona più morbida, sedendomi trasversalmente alla finestra.
«Madre, come vi sentite?»
«Sto bene, Xiaolang» mi rassicurò.
Cercai conferma in Hualing, la quale assentì col capo.
«Chi torna da un viaggio non è mai la stessa persona che era quando è partita» recitò mia madre, non capivo se con aria malinconica o meno. «Adesso sembri più premuroso e meno viziato.»
Sorrisi forzatamente, rammentandole: «Allora ero immaturo. Se vi ho mai mancato di rispetto mi dispiace».
«Non mi hai mai mancato di rispetto. Al contrario, mi sei sempre stato devoto.»
Si scambiò uno sguardo con Yuanmei, prima di tornare da me, con aria solenne.
«Ricordi cosa dicesti prima di partire?»
Scavai nei miei ricordi, tentando di capire a cosa si stesse riferendo. Celando ad arte l’agitazione mi schiarii la gola, negando.
«Non mi sovviene.»
Sorprendentemente si aprì in un placido sorriso.
«Molto meglio così. Magari le cose non andranno male come temevamo» ridacchiò con Yuanmei.
«Non è soltanto chi parte a cambiare, ma anche chi resta, a quanto pare» mi feci sfuggire.
«Xiaolang, si dice che la vita sia come un fiume che scorre sempre in un’unica direzione. Tuttavia, col passare delle stagioni l’acqua cambia, può ingrossarsi o prosciugarsi, può diramarsi in rigagnoli, può trovare un ostacolo lungo il percorso ed essere costretta a confluire in nuovi sbocchi. Così siamo anche noi. Oramai sono anziana, ho vissuto e affrontato innumerevoli perdite, ma è proprio grazie a ciò che ho compreso quanto sia essenziale fare tesoro di ogni momento che ci è dato per poter stare con le persone a noi care. Un giorno, quando avrai la mia età, lo capirai anche tu.»
Si voltò verso la cameriera che le stava porgendo il suo tonico, mentre replicavo: «Madre, siete ancora giovane. Non dovreste fare questi discorsi funesti. So che avete avuto tanto da sopportare in questi anni, ma adesso sono tornato. Non dovete più preoccuparvi di nulla, gestirò io la casa. Vi solleverò da ogni carico».
«Ti ringrazio.»
Soffiò sul liquido contenuto nella ciotola e ne bevve un sorso, prima di fissarmi, come se fosse in attesa. Mi feci teso, sentendomi sotto pressione. A un suo cenno col mento adocchiai la fanciulla inginocchiata in mezzo a noi, intenta a versarmi il tè.
Sembrava avere su per giù la mia età, ma ero abbastanza sicuro di non averla mai vista. Il suo capo era incoronato da trecce tenute da fermagli floreali che mi sembravano troppo pregiati per il suo rango. Il resto dei capelli era diviso in due code morbide, leggermente allentate, che le incorniciavano il pallido viso, scivolandole fino al ventre. Per un attimo mi chiesi se non fosse qualche signorina ospite da noi, ma i suoi abiti erano gli stessi indossati dalla servitù: la parte superiore del ruqun[2] era di un caldo arancio, ricamata da rametti di pruno in fiore, mentre quella inferiore era di diverse sfumature color pesca.
Tornai a fissare mia madre, perplesso.
«Xiaolang» mi richiamò, come se mi fossi comportato in maniera sgarbata, indicando la cameriera. «In accademia non ti hanno insegnato a ringraziare?»
Tornai dalla fanciulla, chiedendomi se non fosse sul serio la figlia di qualche nobile. Che le avesse chiesto di travestirsi per mettermi alla prova? Con quale scopo? Non intendeva mica combinare un matrimonio tra noi?
Mantenendo la testa china, la sconosciuta allungò la tazzina nella mia direzione, senza neppure fiatare.
Perché non parlava? Le sue dita stavano tremando? Che avesse paura di me? Possibile?
«Grazie» bofonchiai, togliendole il tè dalle mani. Lo annusai con discretezza, prima di berlo. Il sapore non aveva nulla da invidiare alla sua aromatica fragranza.
Posai la tazzina sul vassoio, e lei prontamente la riempì. Per essere tanto celere, doveva essere abituata a farlo da una vita. Quindi o era davvero una cameriera, oppure era un’attrice professionista.
Mia madre tenne gli occhi fissi su di noi anche mentre beveva, come se stesse studiando i nostri movimenti. Cos’aveva architettato?
«Certo che non me l’aspettavo» osservò dopo poco, mentre io accettavo nuovamente la tazzina.
«A cosa vi riferite?»
«Al fatto che tra tante persone che sono al nostro servizio tu abbia dato l’ordine proprio a Xiaoying.»
Per poco il tè non mi andò di traverso. Tossii, poggiando la tazzina di lato.
La cameriera – Yinghua – mi porse un fazzoletto, allarmandosi.
«Shàoyé, prego, si pulisca con questo.»
Finalmente sollevò lo sguardo da terra, ma non appena lo posò nel mio mi rubò del tutto il respiro. Il suo viso ovale sostituì completamente quello paffuto che in qualche modo ancora sopravviveva, nei miei ricordi. Grandi occhi verdi incorniciati da lunghe ciglia le illuminavano il volto, come un mattino di primavera. Le sue labbra erano candide e delicate, simili a un bocciolo di rosa. Quelle fattezze…
Sgranai gli occhi, sentendo la mia testa farsi pesante.
Perché era tanto simile alla fanciulla che mi appariva in sogno? Possibile che fosse stato un sogno premonitore?
Ma era davvero Yinghua? Era… diversa. Una volta i suoi capelli non erano così scuri, quasi dello stesso colore della notte. Il suo portamento, in passato, era molto meno aggraziato. Non faceva che combinare guai, imbranata com’era. E la sua voce era sempre stata squillante, vivace, mentre adesso era così… così pacata, sottile. Era totalmente sconosciuta, eppure… eppure mi era altrettanto conosciuta.
«M-mi dispiace se non le ho rivolto prima la parola, ma temevo che lei… che…»
Si morse il labbro, come in difficoltà. Aggrottai la fronte, chiedendomi perché fosse tanto intimorita, ma mi bastò pensare a come l’avevo trattata in quegli anni di convivenza per capire. E improvvisamente ricordai anche la minaccia con cui ci eravamo separati.
Le resi il fazzoletto, facendole segno di lasciar perdere.
«Puoi stare tranquilla. Confesso che ho provato a chiedere di te in giro, ma non ho scoperto nulla.»
E il problema stava proprio in quello. Da dove diamine era spuntata fuori? Qual era la sua famiglia d’origine?
Mi guardò stupita. Emise solo un tenue «Oh…», prima di domandare: «Quindi non… non ha intenzione di cacciarmi?»
Alzai un sopracciglio, offeso.
«Mi consideri tanto insensibile? So che mia madre ci tiene a te, non ti allontanerei mai da lei, a meno che non sia necessario.»
«N-non volevo insinuare questo!» si affrettò a riparare, nervosa, scuotendo le mani davanti al viso.
Guardò mia madre in cerca di aiuto, e anch’io mi volsi verso di lei, supponendo che ne avessero già discusso.
«Madre, potete mettere pace nel vostro animo.»
«Quindi accetti di vivere nuovamente con lei? Non sarai più geloso?»
Sospirai pesantemente, sforzandomi di mantenere un’espressione neutrale.
«Non sono mai stato geloso, né ho ragione di esserlo.»
«Visto, Xiaoying? Non hai nulla da temere» la rassicurò, sorridendole calorosamente.
Guardai Yinghua con la coda dell’occhio, notando che annuiva con iridi lucide, quasi fosse profondamente commossa. Oh, per l’amor del cielo…
Prima che potessi pensarci io mi tolse la tazzina dalle mani e la rimise sul vassoio, rivolgendomi un timido sorriso, insieme a un accorato bentornato. Mi lasciò basito, ma tale sconcerto durò un attimo fugace quanto un fulmine. Il mistero continuava ad avvolgerla e, per questo, non potevo assolutamente permettermi di abbassare la guardia. Non in sua presenza. Sarei riuscito a scavare nel suo passato, a qualsiasi costo.





 
 

[1] Shīmèi = indica una compagna di accademia o un’apprendista di arti marziali più giovane (sia d’età che di esperienza) rispetto a chi parla.
[2] Tipologia di abiti tradizionali femminili (consiglio di cercare le immagini per visualizzarlo meglio).
  
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