Il Richiamo
di Cthulhu: Il Guardiano
Capitolo I
Campus universitario,
Arkham, 23 ottobre 1928
Erano diversi gli aggettivi
con cui Ellen Lawlier era
solita descrivere se stessa: solitaria, intelligente, curiosa. Molti di
più
erano quelli utilizzati dalle persone che, nel corso dei suoi ultimi
anni di
vita, avevano avuto la sfortuna di incontrarla: fastidiosa, supponente,
arrogante, testarda, antipatica erano solo alcuni di essi. Eppure,
quella
mattina di un consueto ottobre dal cielo coperto da fitte nubi
nerastre, Ellen
aveva appena scoperto un nuovo termine per definire se stessa:
entusiasta.
Soltanto un’ora
prima credeva di dovere affrontare l’ennesimo,
tedioso lunedì sprecato dietro le fandonie di Peabody, che
in aula si
comportava come fosse il migliore insegnante sulla faccia della Terra,
quando a
sentirlo parlare diveniva evidente che non lo fosse nemmeno comparato
al
proprio riflesso nello specchio. Quasi settanta anni dopo la
pubblicazione
delle teorie di Charles Darwin che avevano rivoluzionato il mondo delle
scienze, il “professor” Peabody si ostinava a
negarle; non le confutava, le
negava e basta. Se fosse stato un docente di Teologia, Ellen se ne
sarebbe
infischiata, ma lavorava all’interno della facoltà
di Biologia, tenendo uno dei
corsi obbligatori, e le innumerevoli lamentele che lei aveva posto al
decano
Miller non erano riuscite a mettere quantomeno in discussione il suo
incarico:
i Peabody erano una famiglia influente di Arkham, e a quanto pare
ciò bastava
per permettere loro di sparare stronzate a destra e a manca.
Quel lunedì,
però, Ellen non avrebbe dovuto seguire il
corso di Peabody, perché la sua presenza era stata richiesta
altrove. Aveva
ricevuto una convocazione nell’ufficio del decano, il quale
la invitava a
presentarsi alle nove nella Science Hall. Ellen ne aveva approfittato
per fare
una sostanziosa colazione in sala mensa, stirare in lavanderia la sua
divisa
migliore e sistemare meglio che poteva i corti capelli ramati. Alle
otto e
cinquanta minuti era fuori dall’Upman Hall, il dormitorio
femminile, e si trovava
di fronte alla statua del decano Hasley quando una voce
richiamò la sua
attenzione.
Non si era rivolta a lei, ma
ne aveva riconosciuto il
timbro. Pensando che quella giornata stesse andando di bene in meglio,
si voltò
e si affrettò a raggiungere la sua sola amica al mondo. Il
volto di Janet Holmes
era nascosto dietro la sciarpa di lana, tirata su fino al naso, e una
sola
ciocca bionda le scappava ribelle dal cappello; l’archeologa
era immersa in una
fitta conversazione con il professor Wingate Peaslee, docente di
Psicologia, e
quando sollevò lo sguardo e incontrò quello di
Ellen le rivolse un sorriso carico
d’affetto.
«Ellie!»
Nonostante non si vedessero
da appena qualche giorno,
Ellen era convinta che avrebbe cercato di abbracciarla se solo non
avesse
trasportato dei libri tra le mani, e fu grata a suddetti volumi per
averla
preventivamente tratta d’impaccio.
«Ciao, Janet. Come
mai sei da queste parti?» Si voltò poi
verso il professor Peaslee, aggrottando la fronte per la sorpresa.
«Buongiorno,
professore.»
«Buongiorno,
signorina…?»
«Lawlier»
intervenne Janet. «Lei è la signorina Ellen
Lawlier, studia nella facoltà di Biologia. Te ne avevo
parlato» aggiunse con
colloquialità, e questo confuse Ellen ancora di
più.
Da quanto tempo la sua amica
conosceva il professor
Peaslee? Perché erano entrambi vicini allo Science Hall? E
per quale motivo
Janet gli aveva parlato di lei?
«Perdonami, ma
sono di fretta» disse, ricordando l’appuntamento
con il decano. «Ci vediamo a pranzo?»
«Stiamo andando
nella stessa direzione.» Janet sorrise,
ma era un sorriso teso, nervoso. «Il decano Miller ha
convocato anche il
professor Peaslee e me.» Esitò. «In
realtà… Sai di cosa si tratta?»
Certo che lo sapeva. La
richiesta di Miller non era stata
accompagnata da delucidazioni, ma al Campus non si parlava
d’altro dalla sera
prima. La mattina precedente, infatti, qualcuno aveva rivenuto una
carcassa
sulle sponde del Miskatonic River; a una rapida analisi, era stato
chiaro che
appartenesse a una creatura ignota, o probabilmente non identificabile
nell’immediato,
forse proprio per via delle ferite che l’avevano condotta
alla morte. Sulle
dimensioni c’erano pareri discordanti: alcuni sostenevano che
fosse lunga
quindici piedi e robusta quanto un orso bruno, altri che superasse di
poco la
stazza di un cane di medie dimensioni e che fosse in gran parte
scheletrica.
Ellen non si era interessata alla notizia, certa che si trattasse di un
animale
deturpato dal suo predatore e dal tempo trascorso in acqua, fino a
quando non
era stata chiamata in causa. Una convocazione ufficiale aveva
risvegliato
completamente il suo interesse accademico, facendole intuire che, sotto
lo
strato della bizzarra diceria, ci fosse qualcosa di vero.
«Girano delle voci
su una carcassa» rispose infine. «Un
animale ritrovato sul Miskatonic River.»
«Esattamente.»
«Quindi sono
vere?» Le sfuggiva ancora la presenza di
Janet e del docente di Psicologia. «Tu l’hai
vista?»
Janet esitò, poi
rispose: «Io l’ho
trovata, Ellen.»
«Dovremmo
andare.» La voce del professor Peaslee si
stagliò nel silenzio appena sceso fra loro. «Il
decano Miller non ama i
ritardatari.»
***
Quando il trio giunse
nell’ufficio del decano Miller, lo
trovò affollato. Oltre al cinquantottenne, che sedeva con
gli occhiali sul naso
dietro l’imponente scrivania, c’era un altro membro
del corpo docenti.
Riconoscere la professoressa Mary Baker, insegnante di Biologia
Animale, le
fece storcere il naso – esattamente lo stesso gesto eseguito
dalla donna non
appena la vide. Si scrutarono a fondo prima di distogliere entrambe lo
sguardo.
Ellen non provava simpatia per la professoressa, ed era reciproco: la
Baker mal
sopportava i suoi interventi durante le lezioni, nonché il
tono supponente che
la ragazza non si curava di mascherare. Si erano riprese a vicenda
più di una
volta, confutando quanto appena detto dall’altra, e, sebbene
fossero
consapevoli di rappresentare uno spettacolo divertente per il resto
della
classe, non si sentivano per nulla divertite a loro volta. Ellen lo era
stata,
la prima volta in cui aveva interrotto una lezione della Baker per
farle notare
un errore grossolano durante la spiegazione, ma ben presto la
professoressa
aveva avuto la sua rivincita, e allora ogni lezione ed esame di
Biologia
Animale era divenuto terreno di scontro.
Girandosi, Ellen riconobbe
anche il dottor Crown,
anatomopatologo del St Mary che per decenni aveva insegnato Anatomia
Patologica
alla Miskatonic University; giunto alla veneranda età di
sessant’anni l’uomo
aveva deciso di operare per via esclusiva all’interno
dell’ospedale, con grande
sollievo delle studentesse di Medicina, che da oltre un lustro avevano
quindi
smesso di sentirsi molestate dai suoi occhi indagatori, fin troppo
spesso fissi
all’altezza del seno, e dalle sue richieste di dare gli esami
in sede privata.
Per fortuna, il lavoro che svolgeva in quel momento gli impediva di
importunare
le tirocinanti: ormai poteva molestare soltanto i cadaveri.
C’era una quarta
persona nell’ufficio, un uomo alto che
dava loro le spalle, intento a fumare accanto a una delle due finestre
della
stanza. A Ellen non parve di conoscerlo.
«Signorine,
benvenute» le salutò il decano non appena
furono entrate. I suoi occhiali però erano puntati sul solo
uomo che era con
loro. «Professor Peaslee, a cosa devo la vostra
presenza?»
«Ho pensato di
accompagnare la signorina Holmes. Spero
non sia un problema.»
«No,
affatto.»
L’espressione di
Miller pareva suggerire il contrario;
tuttavia, il decano si limitò a inspirare profondamente e a
fare alle donne
cenno di accomodarsi – non c’era spazio per il
professor Peaslee, ma ciò non lo
dissuase dal sedersi nella poltrona riservata all’uomo in
piedi, il quale dal
canto suo non diede alcun segno di fastidio. Ellen si
ritrovò a fissarlo
intensamente, cercando di riconoscerne i lunghi capelli neri o la
figura
slanciata, ma era sempre più certa di non averlo mai visto
prima.
«Come ben
sapete» proseguì Miller «ci sono delle
voci nel
Campus riguardo il motivo per cui vi ho chiesto di essere qui, questa
mattina.»
Crown ne
approfittò per interromperlo subito. «Abbiamo
sentito… parlo per me, certo, ma credo che le voci siano le
stesse. Abbiamo
sentito di un… ritrovamento, mi sbaglio?»
«Non
sbagliate» rispose Miller, assottigliando le labbra.
«La scorsa mattina la signorina Holmes, che alcuni di voi
conoscono in quanto
collaboratrice presso la nostra facoltà di Archeologia, ha
scovato presso le
rive del Miskatonic la carcassa di un animale che non ha ancora potuto
identificare…»
«Sfido»
lo interruppe stavolta la professoressa Baker,
rivolgendosi a Janet. «Voi siete un’archeologa, no?
Che cosa pensavate di
capirci?»
«Certo molto
più di quello che potete capire voi senza
neanche avere visto la carcassa.»
La voce di Ellen fece calare
il gelo nell’ufficio. Miller
e Crown erano chiaramente a disagio, Peaslee si era lasciato sfuggire
una
smorfia divertita, e perfino l’uomo alla finestra le aveva
lanciato uno sguardo
incuriosito. La Baker sembrava furiosa.
«Come mai questa
ragazzina è qui? Credevo si trattasse di
un consulto serio.»
«E lo
è, signorina Baker.»
«Professoressa»
ringhiò lei, mentre Ellen
sorrideva intimamente.
Miller la ignorò.
«La signorina Lawlier è qui su
richiesta della signorina Holmes» proseguì, e
ciò inferse un colpo all’orgoglio
di Ellen. Fino a quel momento, era stata certa che la sua presenza
fosse dovuta
alle doti scolastiche, alla media che la rendeva la migliore
studentessa di
Biologia, a…
A niente,
rifletté. Sono
qui solo perché
lo ha voluto Janet.
«Credo sia il
momento opportuno per fare le
presentazioni» parlò finalmente l’uomo
alla finestra, spegnendo la sigaretta e
girandosi verso di loro.
Ellen si era aspettava un
volto misterioso, occhi color
ghiaccio, un qualunque tratto distintivo, e invece si
ritrovò di fronte una
persona comune. Aveva bei tratti, un viso pulito, rasato di fresco. La
sola
cosa che destò di nuovo la sua curiosità fu il
suo accento. Non lo riconobbe:
non era inglese, né italiano, e neanche latino. Da dove
poteva venire?
La risposta giunse
inaspettatamente da Miller.
«Avete ragione,
dottor Fauerbach. Tra di noi ci
conosciamo tutti… più o meno… ma
è necessario fare delle presentazioni prima di
continuare. Conoscete già Mary Baker.» Miller
evitò di aggiungere “signorina” o
“professoressa”. «Il dottor Robert Crown,
un tempo docente di Anatomia
Patologica e attualmente il nostro migliore anatomopatologo. Il
professor
Wingate Peaslee, insegnante di Psicologia. La signorina Janet Holmes,
un’archeologa
che ha spesso partecipato alle spedizioni compiute insieme
all’università di
Harvard, e la signorina Lawlier, nostra allieva. Signori, lui
è il dottor
Michael Fauerbach, altro collaboratore della nostra illustre
università.
Trovandosi ad Arkham, ha acconsentito volentieri a unirsi
all’equipe.»
Il dottor Fauerbach fece un
cenno con il capo per
ringraziare Miller, poi sorrise in direzione di Janet. «Vi
prego, signorina
Holmes, potete dirci del vostro ritrovamento?»
Ora che la tensione pareva
essersi dissipata, Janet
sorrise a sua volta. «Grazie, dottore. Come il decano Miller
stava illustrando,
domenica mattina durante una passeggiata nella Downtown con
un’amica ho notato
uno strano esemplare sulle rive del fiume. Siamo scese a controllare e
infine,
di comune accordo, abbiamo allertato la vicina stazione di
polizia.»
«L’esemplare
era ancora in vita?» domandò la Baker.
«No. Al momento
però non ne eravamo certe, e date le sue
dimensioni temevamo potesse rappresentare un pericolo. Per fortuna, gli
agenti
sono accorsi a controllare e io stessa sono riuscita a mettermi in
contatto con
l’università, certa che la scoperta potesse essere
di vostro interesse.»
«Possiamo vederlo?
È qui nel Campus?»
«Un momento,
signorina Baker» si intromise Miller.
«Professoressa Baker.»
Per la seconda volta, il
decano la ignorò. «Preferisco
che veniate prima messi a parte dell’aspetto della creatura.
Vederla potrebbe…
destabilizzarvi.» Ellen si accorse che lo sguardo
dell’uomo si puntò in
particolare modo su di lei e sulla Baker.
Siamo biologhe, pezzo di
merda,
avrebbe voluto rispondergli. Abbiamo
visto più cadaveri animali
di te, che sei solo un patetico esempio di nepotismo.
Janet però
annuì. «Sono d’accordo. La carcassa che
abbiamo rinvenuto ha un aspetto inusuale. Assomiglia a un anfibio,
possiede
arti palmati e branchie ai lati del collo tozzo, ma è
incredibilmente grande,
di dimensioni più che umane. Non abbiamo neanche compreso il
motivo della sua
morte, e questo forse è il particolare più
inquietante.» Deglutì. «Dobbiamo
fare attenzione, perché accanto a lui abbiamo trovato anche
un banco di pesci.
Morti. Non perché fossero fuori
dall’acqua… no, tutti loro manifestano segni di
avvelenamento. Potrebbe essere stato lo stesso veleno che ha ucciso la
creatura, o al contrario averlo generato lei stessa morendo. Non sono
che un’archeologa»
proseguì, ma non lanciò sguardi significativi
alla Baker «però so che bisogna
fare attenzione a specie a noi ignote.»
Dopo un minuto di silenzio,
il dottor Fauerbach parlò.
«Dove si trova adesso?»
«L’abbiamo
fatta trasportare nel laboratorio A» rispose
Miller, alzandosi. «Albert Proctor, un nostro ricercatore, ci
sta lavorando in
questo momento.» Lanciò un’occhiata a
Janet. «Provvisto di strumentazione e
maschera adeguate, ovviamente.»
***
Il Charles Tyner Science Lab
si ergeva adiacente lo
Science Hall, di fronte al campanile neogotico e accanto
all’edificio preposto
all’insegnamento di lingue, letterature e arti. Era
relativamente giovane,
inaugurato solo otto anni prima in onore del dottor Tyner, insigne
ricercatore
della Miskatonic University; al momento rappresentava anche la
struttura più
all’avanguardia del Campus, con i suoi laboratori dedicati
alla fisica e alla
chimica, e ovviamente alla biologia. A eccezione dello Science Hall e
del
dormitorio femminile, era insieme alla Miskatonic Library il luogo del
Campus
maggiormente frequentato da Ellen.
Non appena ebbero superato
il portone di ingresso,
svoltarono a destra per salire al piano superiore e poi a sinistra
verso il
magazzino in cui erano riposte tutte le attrezzature necessarie per le
analisi,
suddivise per campo e utilizzo. Un incaricato procurò loro
una mascherina e un
paio di guanti ciascuno, e Miller li rassicurò che sarebbero
bastati per il
solo esame visivo della carcassa.
Ellen però non ne
fu certa finché Janet non glielo ebbe
confermato. «All’esterno non ci sono stati
problemi, ma all’interno… non posso
esserne sicura, ecco. Però la analizzeremo a distanza, solo
per darvi un’idea
del suo aspetto. Forse non dovremo neppure entrare nel
laboratorio.»
La fai facile tu,
pensò Ellen, che con i suoi scarsi cinque piedi di altezza
stentava a
raggiungere le finestrelle montate sulla doppia porta dei laboratori.
Infilò i guanti e
fece aderire con cura la mascherina al
volto. Tutto procedette nel massimo silenzio, come se i pensieri di
ciascuno
fossero concentrati sulla misteriosa creatura che di lì a
poco avrebbero
visionato. A parlare, infine, fu Miller.
«Professor
Peaslee» esordì. «Se preferite voi
potete
attenderci fuori…»
«Nessun disturbo,
decano Miller. È un onore per me poter
assistere alla vostra indagine.»
Un onore che,
rifletté Ellen, Miller gli avrebbe
volentieri negato.
«Procediamo,
allora.»
Scesero di nuovo al piano
inferiore e procedettero verso
il fondo del corridoio, diretti al laboratorio A. Superarono diverse
svolte e,
a un certo punto, Ellen avvertì chiaramente un pizzicore
sulla nuca. Si voltò
di scatto, pronta a fronteggiare l’ennesima occhiataccia
della professoressa
Baker, ma incontrò il volto del dottor Fauerbach. Il tedesco
– o
austriaco, quel che è –
le sorrise affabile, ma lei non
ricambiò: quell’uomo la inquietava. Non
l’aveva mai incontrato al Campus, né ne
aveva sentito parlare, e a quanto sembrava conosceva la Baker. Tutti
ottimi
motivi per tenersene alla larga.
Era ancora sovrappensiero
quando raggiunsero la doppia
porta del laboratorio A, così andò a cozzare
contro la schiena di Miller, che
si era fermato di colpo.
«Cosa succede,
decano?» domandò Crown facendosi avanti.
«Non trovate le chiavi…?» Si
bloccò anche lui, guardando attraverso la finestra
rettangolare in alto.
Si erano ammutoliti
entrambi. Ellen dovette alzarsi in
punta di piedi per scoprire cosa avevano visto i professori, ma non
appena il
suo sguardo vagò oltre il vetro si sentì
pietrificare.
La prima cosa che aveva
notato era la viscida carcassa
verdastra, stesa sul primo tavolo da lavoro e aperta in due.
La seconda era il corpo che
dondolava sopra la creatura.
Guardando meglio, Ellen
riconobbe Proctor.
Una fune
robusta cingeva il suo collo spezzato.