Saltellava per Saturno,
Serafico moveva Vespero,
Sugli anelli, l’astro diurno
Sorrideva nel suo riverbero.
"Ei che controlla l'intero universo,
Essendo frutto del suo antico ingegno,
Non ha potere in un mondo diverso
Qual la mia mente, infinito regno!
Può cancellare, se lo volesse,
L'intera fatica del suo creato
Ma ciò che move le stelle stesse
Del mio voler non scuote un fiato!
Se potesse manovrarmi
Com'estensione del suo braccio
Perché appropinquo a prender armi
E il mio proposito non taccio?
E perché ancora ci minaccia
D'annichilire l'esistenza
A chi ribelle in cuor si faccia
Se potesse farlo senza?
Spiare può, ciò che ho in testa,
Come a tutte noi figliuole,
Ma il vigilare spesso arresta,
Forse strema oppur non vuole."
Così pensava e già Titano
In un balzo avea raggiunto.
Slitta sopra un mare ciano
Dell’eterno ghiaccio unto.
Da Xanadu, poi levato
Fra magnetic’onde carpa
Ferrigneo nucleo l’apparato
È pizzicato come un’arpa
E quel suono celestiale
Scorre come latte e miele
Inaudito a chi mortale
Tien l’orecchio e quelle tele
Della galassia fredda e nera
Dipinge fasci suoi del prisma
E l’accende in primavera
Come fior di quella risma
E sboccian quindi mille soli
In un giardino floreale
Fin dell’universo ai poli
Della gioia collaterale.
Or notando lo splendore
Della via sì detta Làttea
Creata a fuga in poche ore
E non presenta ancor la bràttea,
Un cupo cherubino, Uriele,
S’approssima a capire cosa accade
E immischiandosi in stellari ragnatele
Quasi contro una cometa cade
“Ma che succede al mio quadrante
Sono forse io impazzito?
Mi distraggo un solo istante
E un cataclisma m’è sfuggito!”
Cinge salda la sua spada
Foggiata in folgore irrequieta
E la mena a farsi strada
Scindendo in due un pianeta;
Dopo il fendente un colpo dritto
Nel cuore in atomica fusione
Di verde stella, Nil d’Egitto,
E deflagra in sconquassione
Piegando la realtà del rione
Come la fiamma delle candele
Getta di miglia via un milione
E rintronò appena Uriele.
“Or conviene ch’el degenerato
Mi sveli alfin la smargiassata
Oppure penta d’esser mai nato
Or che ancor gli lascio fiata!”
Si dimena e si digrigna
Come un cerbero infernale;
Teso il collo di sanguigna,
Indefinito, lacera e assale.
“Tu m’invochi, cordial sorella?
Perché m’impropèri in buffa maniera?
Son qua, dimmi, hai un’aria fella
E par ti sia fatta dei lividi bandiera.”
Scese Lucifero con grazia danzante
Sul suo ferito subordinato
E questo, stranito, lo guarda trionfante
In ogni suo gesto e il viso luminato.
“Perché sei qui, signore del giorno?
Cosa ti spinge nel cosmo ai crepacci
Dove sol regna lo scarto del forno
Del nostro padrone in lugubri ghiacci?
Perché danzi con passi di punta?
Perché t’inchini e voli di nuovo?
Perché, falena, a foglia raggiunta
Spargi scintilla in ogni tuo covo?
Non ti è bastato il reame del sole?
Ora qui pure lo vuoi portare?
Il tuo imperare inver mi dole.
Chi, la tenebra, dovrà guardare?”
“La tenebra sempre esistere deve
Perché lo spazio lo è di natura
Ogni dominio di luce è assai breve
Perché attiva è la premura
Mentre all’abisso basta dormire
E anche se meno, sempre più resta.
Mai riuscirai lo spazio a coprire
Pur di percorrerlo dai piedi alla testa.
Vola Uriele, non è poi lontano
Appena a qualche miliardo da qui
Troverai pece, detriti e alla mano
Il piacer di preservarli ogni dì.
Il sole mio è destino si spenga
Molto prima di quanto si spera:
È così dura che si mantenga
Un’amabile facciata sincera.”
“Tu par felice, pur questo mi dici
Sei disperata,mia sorellina?
La pazzia coglie chi le radici
Vede estirpate da altra dottrina.
Se il sole tuo dovesse morire
Ti dispera il dover riprovare
Ancora e ancora per anni a venire
Che una condanna è il tuo lavorare?
Chiedi tosto al caro padre
Se dell’altro può assegnarti
E con delle nuove squadre
Misurarti può le parti.”
“No, davvero, son commossa
Ma il mio dolore ho ottenebrato
Al mio cuore ho mente mossa
E radioso vedo il fato.”
E già, Uriele, volava baldo
Spiralizzando verso il ponente
E dietro lasciava il principe araldo
D’un sole raggiante nella sua mente.