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Autore: EleWar    14/04/2023    7 recensioni
“Non dovevi andare in quel club per imparare a sparare, non ti permetterò di uccidere nessuno!” sentenziò l’uomo, cercando di ergersi sull’esile figura della socia.
E' difficile non ricorrere alle pistole quando si è degli sweeper professionisti, ma Ryo non vuole che Kaori diventi un'assassina... eppure... sarà solo questo che metterà in subbuglio i nostri amati City Hunter?
Genere: Angst, Avventura, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Kaori Makimura, Nuovo personaggio, Ryo Saeba, Saeko Nogami
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: City Hunter
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Eccomi qua!
Morivo dalla voglia di aggiornare, già da ieri, ma anche di rispondere alle vostre rec deliziose, però tutto mi è andato storto O_o
Quindi ho dovuto fare una scelta, stasera: rispondere alle recensioni o aggiornare… e se state leggendo questa intro, la risposta la sapete già :D
Allora buona lettura!
Con affetto
Eleonora
 
Ps: questo capitolo, ma idealmente tutta la fic, la dedico a quelle lettrici che ‘hanno bisogno’ di leggere storie leggere per alleggerirsi l’anima, che si rifugiano in questo pazzo mondo fatto di eroi e eroine di carta, per affrontare meglio la vita reale; eppure sono loro le vere eroine, e a queste va tutto il mio rispetto. ^____^
Ele

 
 
Cap.11 - Ritrovarsi… o quasi
 
Dopo essersi dissetata con la neve sciolta nei palmi delle mani, ed essersene passata un po’ sul viso per ripulirsi dalla sporcizia che sentiva di avere, il freddo riprese il sopravvento e Kaori si ritirò nuovamente all’interno del rifugio, nella parte più lontana dalla porta d’entrata.
Il suo stomaco brontolava già da un po’e se, in qualche modo, aveva placato la sete, la fame non dava segni di volerla abbandonare, anzi.
Non appena si era ridestata da quel penoso dormiveglia della notte, si era detta che avrebbe lasciato il riparo e si sarebbe messa in cammino, in cerca di salvezza, ma un’ondata di spossatezza aveva costretta a raggomitolarsi in un cantuccio, coperta dalla lurida cerata, alla ricerca di un po’ di calore.
Se giusto il giorno prima sarebbe stato difficile camminare ed orientarsi, in quella landa desolata costellata di soli abeti, adesso, con un fitto manto nevoso, sarebbe stato anche peggio e molto più stancante.
 
Non voleva iniziare a cedere, non voleva lasciarsi andare, però, e, istintivamente, iniziò a pensare intensamente a Ryo: il suo pensiero le avrebbe dato la forza.
Ripensò a tutti i giorni felici e spensierati passati insieme: ai pericoli scampati, alle loro avventure rocambolesche, ai piccoli grandi riavvicinamenti che avevano avuto, ai pochi momenti romantici e significativi vissuti, ai dietrofront di Ryo che invariabilmente ne erano seguiti.
Ripensò a tutte le loro litigate: a quelle epiche che si concludevano con le solite fughe e martellate, a quelle più piccole e a volte più dolorose, alla gelosia che l’aveva infiammata, alla rabbia, alle lacrime rimangiate insieme ai magoni.
Ripensò a tutta la vita che aveva passato con Ryo, che, per intensità, aveva offuscato tutti gli anni vissuti prima di averlo incontrato; certo, prima c’era stato l’adorato fratello, ma l’amore che provava per Ryo era diverso, più intenso e totalizzante.
Ryo: la sua croce e la sua delizia, colui che aveva il potere di innalzarla nel cielo della felicità, e subito dopo sprofondarla nell’inferno buio del dolore.
 
Ryo, Ryo, Ryo!
 
L’uomo che l’aveva cambiata per sempre, che aveva invaso ogni cellula del suo corpo e della sua anima; l’uomo che più desiderava al mondo, e che continuava ad amare malgrado tutto.
Non sarebbe riuscita mai e poi mai a dimenticarlo, a fare a meno di lui, anche a costo di consumarsi come una candela, aspettandolo.
 
Ryo, Ryo, Ryo, mormorava quasi come una litania…
E perfino il rumore ovattato di un aereo, che passava sopra di lei, la fece pensare a lui; e che stranezza abbinare le due cose, quando appunto Ryo odiava volare, aveva il terrore dei velivoli… eppure… ogni cosa le ricordava il suo amato Ryo, colui che forse non avrebbe rivisto mai più.
 
 
In quello stesso momento, mentre lo sweeper stava planando con il paracadute, non aveva che un pensiero in testa: Kaori.
Non sentiva nemmeno il vento freddo che lo investiva, avvicinandosi sempre più a terra; gli scalfiva il viso come lame affilate, eppure non ne era minimamente cosciente.
Cercava di rimanere in assetto, così come gli aveva spiegato una volta un istruttore di lanci, ma poi non aveva mai fatto pratica ed ora doveva fare ricorso alla sua proverbiale memoria; il paracadute si era comunque aperto senza problemi e, tirando le debite cordicelle, riusciva a frenare la caduta e a non allontanarsi troppo dal punto che aveva scelto per l’atterraggio.
Perché da quando aveva annunciato a Shoko di volersi lanciare, era sicuro che Kaori fosse lì: lo sentiva, lo sapeva, non poteva sbagliarsi.
Era attirato come una calamita verso il suolo, e non lo preoccupava che, apparentemente, non ci fossero in vista dei manufatti di origine umana, costruzioni di sorta, case, rifugi o ammassi rocciosi tali da giustificare una rientranza, se non una grotta, come riparo.
Kaori doveva essere lì, anche contro il buon senso.
E la sua fiducia cieca lo guidava in quella discesa per lui pericolosa, la prima della sua vita; si rallegrò che ad aspettarlo ci fosse una discreta coltre di neve ad attutire il rimbalzo, perché non era sicuro di riuscire a raggiungere il suolo senza spaccarsi le gambe; l’atterraggio era il momento più difficile.
 
A pochi metri dal suolo, una folata di vento più forte lo fece sbandare e lo risospinse in aria, ritardando il momento di toccare terra, ma quell’improvvisa frustata fece cadere un po’ di neve da un intrico di rami e alti cespugli, che si trovavano lì vicino, scoprendo quello che aveva tutta l’aria di essere un tetto.
 
Con non poca difficoltà, Ryo riuscì finalmente a posare i piedi per terra e subito affondò nella neve; il paracadute ormai sgonfio gli si attorcigliò intorno e le corde quasi lo strozzarono, avvoltolandolo.
Imprecando, tagliò tutti i lacci e si liberò dell’impiccio; il suo innato senso di sopravvivenza gli suggerì di recuperarlo perché sicuramente gli sarebbe tornato comodo, ma la smania di trovare Kaori non gli permetteva di perdere tempo a ripiegare la stoffa del paracadute e arrotolare le corde.
 
Aveva lasciato in sospeso perfino la sua tremenda vendetta contro il clan Minamoto-Kamakura, perché la sua priorità era ritrovare Kaori, possibilmente viva; figurarsi se si sarebbe messo a sistemare uno stupido, per quanto provvidenziale, paracadute.
Quando sarebbe tornato a Shinjuku, quei balordi avrebbero desiderato morire e non per mano sua, anziché subire la sua fredda ira, ma ognuno di loro sapeva che la sua vendetta pendeva sulle loro teste come una spada di Damocle: che si disperassero nell’attesa, che sparissero dalla faccia della terra, tanto lui li avrebbe ritrovati e gli avrebbe dato la giusta lezione.
Per quanto riguardava il paracadute, beh… più prosaicamente sarebbe potuto restare lì, magari legato al tronco di un albero, affinché il vento non lo portasse via.
 
Comunque sia, non appena si fu districato, si guardò intorno e iniziò a gridare con quanto fiato aveva in gola:
 
“Kaori, Kaori dove sei?” e, affondando nella neve ad ogni passo, gravato dal peso del suo zaino, cercava di dirigersi verso quelle quattro mura sbreccate che facevano capolino sotto la vegetazione spinosa, poco distante.
 
“Kaori, Kaoriiiiii. Sei qui?” continuava ad urlare, con le mani a cono, attaccate alla bocca, sperando di ampliare il suono.
 
La ragazza, che dentro il rifugio si era ormai ripiegata su sé stessa e, come una nenia, non faceva che ripetere il nome del socio, per un attimo si zittì e si disse:
 
“È così forte il mio desiderio di rivedere Ryo, che mi sembra quasi di sentirlo chiamare il mio nome” e un sorriso amaro le distorse la bocca screpolata dal freddo.
 
Ma quando quel richiamo iniziò ad udirlo sempre più vicino e distintamente, si riscosse: non è che per via della fame e della spossatezza, iniziasse ad avere anche delle allucinazioni uditive??
Possibile che fosse veramente Ryo quello che la stava chiamando, e non piuttosto il vento che sibilava fra le assi del tetto e del pavimento, e che si insinuava nelle numerose aperture del magazzino abbandonato?
 
Allucinazioni o meno, irrazionalmente decise di rispondere, e rizzandosi in piedi gridò:
 
“Ryo! Ryo, sono qui!” rivolgendosi all’apertura più grande, quella che fungeva da entrata, lo sguardo puntato verso il bianco abbacinante dell’esterno.
 
E un attimo dopo vide un’ombra, una sagoma stagliarsi sull’uscio del rifugio, ad oscurare la luce bianca del giorno; un uomo, che indossava una pesante giacca a vento e un berretto di lana calato sui folti capelli neri, fece il suo ingresso nel suo campo visivo, e Kaori seppe che quello era Ryo Saeba in carne ed ossa.
 
Per un lungo istante si guardarono, mormorando ciascuno il nome dell’altro, incapaci di dire o fare di più, poi Kaori fece un passo e le cadde la cerata dalle spalle, rivelando al partner la sua parziale nudità; a quel punto Ryo posò lo zaino a terra, e avanzando verso di lei, si slacciò la giacca a vento, poi, quasi rabbiosamente gliela lanciò, dicendole:
 
“Copriti!”
 
Kaori, colpita dal livore del socio – e riaccesasi in lei la rabbia, la stessa che li aveva animati nella loro ultima disputa – fu percorsa da una scarica di adrenalina che la riscosse fin nel profondo.
Raddrizzò le spalle e, incurante di tutto, della stanchezza, della fame e del freddo, avanzò con passo marziale verso il nuovo venuto, con gli occhi fiammeggianti, dicendogli:
 
“È tutto qui quello che sai dirmi?” e gli piombò addosso, sferrandogli uno schiaffo; ma un secondo dopo, esaurite le forze, gli si accasciò addosso svenuta.
Lui fu rapido a raccoglierla fra le sue braccia, sulle labbra di lei un “Idiota” appena mormorato.
 
 
 
 
Quando Kaori rinvenne, la primissima sensazione che provò fu di caldo, un tepore che l’avvolgeva tutta, e riaprendo gli occhi fu colpita da una strana luce calda che contrastava con il nitore della neve all’esterno e con la penombra del rifugio.
Il primo pensiero che formulò fu: “Ryo” e non si accorse quando lo disse ad alta voce; si stupì di sentire l’amata voce risponderle:
 
“Sono qui…”
 
La ragazza provò a muoversi, a tirarsi su col busto, e si avvide di essere distesa accanto ad un fuoco da bivacco, che provvidenzialmente Ryo aveva acceso durante il suo stato d’incoscienza, ma soprattutto di aver giaciuto con il capo appoggiato alle sue gambe.
Non appena capì in che posizione si trovasse, arrossì violentemente e si strinse le braccia sul seno, a coprire ciò che restava della sua biancheria; fu allora che, invece della pelle nuda, sentì sotto le dita la consistenza quasi scivolosa della tela impermeabile della giacca di Ryo, quella che lui le aveva gettato con malagrazia quando era arrivato.
 
L’uomo invece, apparentemente più a suo agio, non si scompose: continuava a buttare sul fuoco crepitante, piccoli legnetti e rametti, raccolti chissà dove, e ad alimentare le fiamme.
 
Quando si erano rivisti, nonostante il sollievo provato, e che tacitava la disperazione e la frustrazione che avevano rischiato di sopraffarli, in un certo senso avevano ripreso a litigare, lì da dove si erano interrotti quella famosa sera prima della festicciola al One Shot.
In fondo litigare gli veniva sempre bene, e faceva parte integrante di quel loro strampalato ménage.
Ma ora, che comportamento tenere?
Kaori, che, un minuto prima di vederselo davanti, lo aveva pensato così intensamente fin quasi ad evocarlo, disperando di rivederlo ancora, e struggendosi aveva passato in rassegna mentalmente tutta la vita passata insieme a lui, ora non sapeva cosa dirgli.
E Ryo, che non si era dato pace finché non l’aveva ritrovata, che aveva pure sfidato la sua atavica paura di volare e si era perfino lanciato col paracadute in un deserto innevato, con la sola forza della disperazione a fargli da guida, animato dalla sensazione forte e precisa di saperla lì, ora riusciva solo a badare al fuoco.
 
La sweeper avrebbe tanto voluto rimanere lì, accoccolata accanto al socio e vicino al fuoco, senza dover aggiungere null’altro, né riprendere un discorso lasciato a metà, ma si costrinse a tirarsi su a sedere e, nello sforzo, si lasciò scappare un lamento.
 
“Ti fa molto male?” le chiese subito Ryo, aiutandola a sistemarsi meglio, alludendo alla ferita che stava diventando violacea.
 
“Un po’” rispose a denti stretti Kaori.
 
Non sapeva ancora se lasciarsi andare e dirgli la verità, e che cioè la lesione le causava un discreto dolore, oppure minimizzare.
Ryo era capace di darle della sciocca e della sprovveduta, e addossarle l’intera colpa per essersi trovata in quella situazione, come se essere capitata in un covo di malavitosi, con tanto di boss eccentrico e maniaco delle pistole, aver dovuto lottare contro una banda di balordi, e poi con due maniaci che volevano approfittarsi di lei, e poi ancora essere scampata al freddo e al gelo, vagando mezza nuda in una landa dimenticata da dio, se lo fosse andata a cercare!
 
In ogni caso, sedendosi davanti al fuoco, finì per dare le spalle a Ryo; allungò le mani sulle fiammelle danzanti e pensò che un bel fuoco è sempre una benedizione.
Per il momento voleva solo concentrarsi su quello, sulle fiamme e sul calore, e il non dover necessariamente guardare in faccia il socio, la sollevava dal disagio di quella strana situazione di stallo.
 
Quasi sobbalzò quando lui le disse, ad un passo dall’orecchio:
 
“Tieni, prendi questo: ti riscalderà”.
 
Kaori girò appena il busto e vide la forte mano di Ryo stringere una borraccia termica; aveva veramente pensato a tutto, andandola a cercare.
Il thermos conteneva il caffè più buono che avesse mai assaggiato, era per giunta zuccherato come piaceva a lei, e le spuntarono due lacrime: Sugar Boy.
Ruotando su sé stessa, si ritrovò di fronte a lui e, finalmente, si guardarono negli occhi:
 
“Grazie” gli disse soltanto.
 
Ryo continuava a guardarla in silenzio, mentre lei sorbiva quel nettare che sapeva di casa, di amore, di consolazione e nostalgia, ma non abbassava lo sguardo; lo fissava al di sopra della piccola ciotola che fungeva da tappo, volendogli trasmettere tutta la sua gratitudine.
Kaori si disse che il bisogno di cibo patito, unito alla mancanza di forze, avevano alterato le sue percezioni, l’avevano resa più sentimentale e più fragile; ma poi pensò che, a quel punto, non aveva più senso sminuire i suoi sentimenti: era felice che Ryo fosse lì con lei, che l’avesse trovata e salvata dal freddo e dalla fame, e anche un caffè zuccherato faceva inevitabilmente la differenza.
Che si fosse commossa, era normale.
Voleva fare e dire molto di più di un semplice grazie, ma era come paralizzata.
Improvvisamente era diventato tutto difficile fra loro due; possibile che la questione del corso al poligono li tenesse ancora così penosamente prigionieri in quel limbo di incomprensione?
Era come se tutto il disastro successo in mezzo non avesse avuto luogo affatto.
 
Ryo, che, al pari della sua compagna, non riusciva a parlare, lui che dell’incomunicabilità era maestro, non sapeva come portare un po’ di normalità in quel frangente.
Era certo che prima o poi Kaori gli avrebbe chiesto come fosse riuscito a ritrovarla, era solo questione di tempo, eppure, realizzò all’improvviso, non si sentiva più così tanto pronto a raccontarle tutte le peripezie che aveva dovuto affrontare per arrivare fino a lei.
Non sarebbe riuscito a spiegarle come aveva trascorso quelle ore interminabili nella stazione di polizia, con Saeko ad interrogare quei due cretini, e con la frustrazione di non riuscire a scoprire una pista, e soprattutto un motivo per la sua sparizione, dal momento che nessuno dei suoi numerosi nemici aveva rivendicato il rapimento.
Era stato sul punto di perdere la testa, voleva spaccare il mondo, voleva fare… cosa?
Si era rivolto a tutte le divinità conosciute affinché gli dessero un aiuto qualsiasi e, pur di non perdere tempo prezioso, non aveva neanche sfogato la sua rabbia sui responsabili di quello che era occorso a Kaori.
Aveva fatto così tanto, per lei, che ora si sentiva come svuotato da un lato, e dall’altro schiacciato da un enorme macigno; sperò che Kaori in qualche modo gli spianasse la via.
 
A Kaori, dopo aver preso un’altra abbondante sorsata dal termos, venne spontaneo offrirlo anche a Ryo, ma lui, sorridendole timidamente, scosse appena la testa.
 
“Ah, è vero, dimenticavo che tu lo bevi amaro” e gli sorrise di rimando.
 
Questo permise loro di sciogliere la tensione, almeno un po’.
 
Quindi Ryo, come a ricordarsi di una cosa, si allungò verso lo zaino posato lì vicino e, mentre armeggiava con le zip e le tasche, Kaori alzò gli occhi sopra di lui, di loro, e si stupì di ritrovarsi all’interno di una specie di tenda improvvisata, colorata, ed assicurata alle assi delle pareti e a dei ganci che non aveva ancora notato.
Guardò interrogativamente il suo socio che, quasi distrattamente, le rispose:
 
“Quello è il mio paracadute. Ho pensato di utilizzarlo come una tenda da campeggio” e nel dirlo le sorrise, per poi ritornare a rimestare nel suo zaino; evidentemente non riusciva a trovare ciò che stava cercando, nonostante ciò proseguì nella spiegazione: “Messo così ci riparerà ancora di più dal freddo e il calore del fuoco non si disperderà. Questa specie di magazzino è così grande. Eccolo!” finì la frase con esultanza e, afferrato l’oggetto che stava così disperatamente cercando, glielo porse.
 
Kaori lo prese: aveva tutta l’aria di essere uno snack, una merendina, ma non ricordava di averne mai viste di simili, né di averle mai mangiate.
Vedendo la sua espressione perplessa, Ryo chiarì:
 
“Questa è una di quelle barrette multivitaminiche che di solito si portano in giro gli escursionisti, o chi va per monti e boschi. Le usano quando si trovano improvvisamente senza forze o con un importante calo di zuccheri: possono ricorrere a queste che in un attimo li rimettono in forma. Sono delle vere e proprie bombe, delle iniezioni di energia, e sono sufficienti per riprendere la strada del ritorno. Non riempiono lo stomaco, questo no, o comunque il senso di sazietà è relativo, ma ho pensato che sarebbe stato utile portartene un po’… da quanto tempo non fai un pasto completo?”
 
“Oh Ryo, ma hai davvero pensato a tutto!” esclamò Kaori profondamente commossa.
 
L’uomo, per tutta risposta, iniziò a ridacchiare a disagio, grattandosi la testa; non era abituato a ricevere complimenti dalla sua Kaori, e lei era vistosamente felice e grata delle sue premure.
Amava quella donna e avrebbe voluto vederla sempre felice e contenta, anche se stroppo spesso il motivo della sua infelicità era proprio lui.
Non ne combinava mai una giusta, ma alla sua maniera voleva farle capire che per lei ci sarebbe stato sempre, che sarebbe andato a cercarla anche in capo al mondo, e l’avrebbe riportata a casa… da lui.
 
Kaori scartò in silenzio la barretta e l’addentò con cautela, era proprio curiosa di sapere che sapore avesse e la trovò deliziosa, tanto che emise un mugugno di soddisfazione, socchiudendo gli occhi quasi in estasi; solo allora si accorse di essere affamata.
Ryo le aveva chiesto quale fosse stata l’ultima volta che aveva mangiato, ma lei davvero, fra tutto, non riusciva a ricordarselo.
Dentro di sé benedisse Ryo e le sue innegabili premure: avrebbe dovuto ringraziarlo per questo?
Ma poi lui come l’avrebbe presa?
 
Lo stava giusto osservando, mentre ravvivava le braci con un rametto, il viso illuminato dalla luce del fuoco, il profilo perfetto, il naso affilato, un principio di barba, gli occhi scavati… Ryo si era preoccupato per lei oltre ogni dire.
 
D’improvviso Kaori esclamò:
 
“Ma aspetta, ho capito bene? Questo è il TUO paracadute?”
 
“Sì, perché?” le rispose lui voltandosi a guardarla.
 
“Vorresti dirmi che ti sei lanciato da… da cosa? Un aereo? Magari quello che ho sentito sorvolare il mio rifugio?”
 
“Credo… credo di sì…” e tornò a stuzzicare le braci.
 
“Ma chi ti ha portato fin qui? E come facevi a sapere che ero qui?” chiese tutto d’un fiato Kaori.
 
Ecco che la socia si era sbloccata, e le domande iniziarono a piovere a raffica; poco male, pensò Ryo, d'altronde sapeva che prima o poi sarebbe arrivato il tempo delle spiegazioni; e ancora una volta, proprio come aveva sperato, era stata l’amata compagna a dare il via a tutto.
Si dispose a raccontare ogni cosa, o meglio, a rispondere alle tante domande della compagna.
Le raccontò, quindi, la storia fin dall’inizio, di quando, cioè, tornando a casa quella notte non l’aveva trovata e subito si era allarmato, della ricerca vana che aveva fatto per tutta Shinjuku, dell’aiuto che aveva richiesto a Saeko e degli interrogatori a Kurai e a Seitaro, tralasciando i modi usati, i suoi scoppi d’ira, la disperazione e frustrazione provate tutto il tempo.
Lo sweeper si concentrava solo sui fatti e sulle notizie nude e crude, come se fosse un semplice cronista, come se non fosse stato lui il protagonista di quella storia.
Ogni tanto le buttava un’occhiata in tralice, per spiare le sue reazioni, per vedere se lei riusciva a leggere fra le righe di quella lunga narrazione, tutta la sua angoscia; se si era allarmata o preoccupata per quello scemo di Seitaro, se era rimasta delusa di Kurai; ma Kaori taceva e interiorizzava tutto senza dire una parola.
Ryo le raccontò di come, alla fine, avesse rintracciato prima Kama e quindi Shiro, ma non le disse come li aveva trattati; Kaori temeva che lui li avesse eliminati o puniti severamente, nella foga della vendetta, perché sapeva che Ryo Saeba non lasciava nessuno impunito, del resto era un giustiziere, ma stavolta fu lui a precisare:
 
“Se te lo stai chiedendo, no, non li ho uccisi né torturati… non ancora. Mi premeva di più ritrovarti sana e salva. Al nostro ritorno in città vedremo di regolare i conti…” e il suo sguardo si accese di uno strano brillio.
 
Kaori, allora, istintivamente allungò una mano a prendergli il braccio, una stretta decisa che attirò la sua attenzione; l’uomo trasalì.
 
“Ti prego, Ryo…” gli disse, che stava a significare di non trasformarsi ancora nell’Angelo della Morte, che avrebbe dovuto essere magnanimo e clemente.
Lo supplicava di non farlo, per lei, e tutto questo il suo socio lo capì perfettamente e ne rimase colpito.
Kaori era fantastica: nonostante tutto il male che aveva ricevuto da quei bastardi, era ancora pronta al perdono, alla misericordia; la sua bontà lo scosse nel profondo.
 
Con voce roca le rispose:
 
“Vedremo…”
 
Ma era più per placare la sua coscienza, come a darsi una possibilità, come a non voler cedere; in fondo lui era lo sweeper e il giustiziere, e non s’era mai sentito che il grande Ryo Saeba lasciasse impunito un qualsiasi criminale; stavolta poi c’era di mezzo Kaori, l’altra metà di City Hunter, e l’affronto era stato enorme.
Non voleva scontentare Kaori, ma nemmeno perdere di credibilità nello spietato mondo del crimine; non reagire, sarebbe stato interpretato come un segno di debolezza da parte sua, e questo lo sapeva molto bene anche lei.
Però la socia lo aveva profondamente cambiato, lo aveva migliorato e di questo gliene era profondamente grato: cedere agli antichi istinti, sarebbe stato come regredire.
Per il momento accantonò qualsiasi decisione e, dopo averla guardata intensamente, a suggellare quel suo “Vedremo”, riprese a spiegarle come fossero andate le cose:
 
“E infine, stamattina sul presto, ho telefonato a Shoko Amano…”
 
“La pilota?” lo interruppe lei, provando all’improvviso come una stilettata di gelosia: si ricordava molto bene dell’affascinante donna pilota, dell’appeal che aveva avuto su Ryo anche se, si disse, questo lo avevano tutte le belle donne su di lui.
Le sovvenne anche che la stessa ragazza si era invaghita del socio, e sperava di aver trovato l’uomo adatto a lei, forte e coraggioso, e che era rimasta assai delusa della sua paura di volare.
Per Shoko era inconcepibile una cosa del genere, lei che avrebbe voluto volare anche dormendo.
Nell’ultimo volo fatto con Ryo, al termine del quale era sceso stravolto, Shoko le aveva fatto uno strano discorso, che non aveva capito fino in fondo, perché era troppo presa a soccorrerlo.
In seguito a quell’avventura, Kaori non aveva più sentito parlare di lei, ma ecco che ora rispuntava fuori; forse, nonostante tutto, Ryo aveva continuato a frequentarla… forse si sentivano di tanto in tanto… forse…
 
Come avesse letto nei suoi pensieri, Ryo si affrettò a dire:
 
“Per fortuna avevo ancora il suo telefono scritto da qualche parte… ci ho pure messo un po’ a ritrovarlo, eh eh eh eh” e di nuovo si grattò la testa in imbarazzo; gli scocciava dover ammettere che non era il super efficiente sweeper numero uno del Giappone, ma poi aggiunse una cosa inaspettata: “Se ci fossi stata tu, l’avresti ritrovato subito” e le rivolse un sorriso disarmante.
 
Kaori fu assalita da uno strano guazzabuglio di sentimenti: la gelosia che trascolorava in sollievo, e in consolazione, amore per quel testone a volte buffo e gigione, tenerezza per quell’uomo buono che sapeva ispirare affetto, e che la spingeva alle coccole.
Anche in quel momento avrebbe voluto volargli fra le braccia, ma lui, lui non voleva, non la voleva.
Si trattenne e provò quasi un dolore fisico; concentrò nello sguardo tutto quello che avrebbe voluto fargli e dirgli, e rimase così in sospeso, come sempre del resto.
Inghiottì a vuoto, e annuì incapace di dire nulla.
 
Ryo, vedendo che la socia non aveva protestato, non si era risentita riuscendo a trattenere la sua gelosia, ammesso che ne provasse ancora per la bella pilota, proseguì:
 
“Ad essere sincero non so bene perché mi sono rivolto a lei; forse perché ho pensato che un aereo sarebbe stato più veloce di un elicottero, e dato che la distanza da percorrere era notevole… Comunque sia, le ho detto di contattare Saeko e soprattutto Falcon al rientro alla base, di dargli le nostre coordinate e di tornare a prenderci, stavolta con un elicottero, perché sarà più facile recuperarci. Con questa nevicata le strade sono tutte bloccate, e solo dal cielo possono tirarci su” e finì per ridere, sinceramente.
 
Era incredibile come Ryo parlasse di volare e di velivoli con disinvoltura, come non fosse lui terrorizzato dalle altezze e dai mezzi che non toccavano terra per muoversi.
Kaori lo guardava stupita e affascinata insieme, perché nonostante Ryo non glielo avesse detto, in pratica lui aveva fatto tutto questo per lei, solo per lei; lui le aveva raccontato tante cose, certo, ma si era premurato di nascondere le più importanti, e in particolar modo la motivazione per cui le aveva compiute.
Aveva vinto le sue paure, affrontato i suoi demoni personali, aveva smosso mari e monti per trovarla ed era inutile che facesse finta di nulla: lui si era comportato così perché l’amava, perché tenerlo segreto?
Ma Kaori non poteva costringerlo a dirglielo, non poteva obbligarlo a dirle la verità, non ci sarebbe mai riuscita, e se mai lui si fosse sbilanciato, e un secondo dopo avesse sconfessato i suoi sentimenti come era solito fare, lei ne avrebbe sofferto tantissimo e non voleva ricaderci ancora.
Si accontentò di ciò che lui, volutamente, le aveva detto e taciuto, tanto le azioni che aveva compiuto parlavano per lui, erano davanti a lei, e farglielo notare l’avrebbe fatto chiudere in sé stesso.
 
Però era bello riaverlo lì, accanto a lei, rilassato, sorridente, a suo modo premuroso; mentre lei era incosciente aveva approntato una specie di campo base, con tanto di fuoco e riparo, l’aveva dissetata e riscaldata, l’aveva anche rifocillata ed effettivamente ora si sentiva meglio, le erano tornate le forze e il buon umore.
Se non avesse avuto quella brutta ferita alla coscia, sarebbe potuta essere una piacevole avventura, un campeggio sui generis.
E nemmeno a farlo apposta, spostando la gamba, le scappò un lamento che subito attirò l’attenzione del socio:
 
“Che stupido sono stato” esclamò allora “Ho parlato, ho parlato, e mi sono dimenticato della tua ferita alla gamba”.
 
“No, non-non fa niente, figurati” si affrettò a minimizzare la donna.
 
“Avanti, fa vedere” e già allungava le braccia costringendola a distendere la gamba nella sua direzione.
 
Kaori si sentiva un po’ in imbarazzo sentendo le sue mani sulla coscia, era un misto di disagio e desiderio; d'altronde lei non era di legno, era una donna fatta e finita e amava quell’uomo, lo desiderava perfino, e bramava il contatto fisico.
Anche se non era quello il momento per lasciarsi andare a simili pensieri.
 
“Uhhhmm, questa ferita si sta infettando. Prima di tutto dovrò lavarla e poi vedremo il da farsi. Il tuo Ryuccio ha portato anche il kit del pronto soccorso, lo sai?” le disse per sdrammatizzare, perché in realtà la lesione aveva assunto un colorito ed una consistenza preoccupante, e non voleva far agitare la socia.
 
“Torno subito” disse alzandosi e dirigendosi verso l’esterno.
 
Kaori rimase lì pensierosa, a chiedersi cosa ci fosse di normale in tutto quello che stavano vivendo, perché di tante avventure passate insieme, questa era la più strana e la più assurda.
Però almeno non stavano litigando, avevano definitivamente accantonato il livore derivante dai contrasti sull’imparare a sparare o meno; Ryo non le aveva rinfacciato nulla, né l’aveva redarguita, sgridata o presa in giro; si stava occupando di lei, e se anche lo avesse fatto solo ed esclusivamente perché sentiva ancora l’obbligo verso Hideyuki, beh che facesse pure: lei, Kaori, ne beneficiava comunque.
Aveva sognato tutta la vita che Ryo fosse gentile con lei, che la trattasse come una donna, una donna di cui prendersi cura, indifesa e fragile, come tutte le clienti che avevano avuto.
Per orgoglio, e per farsi accettare da lui, aveva rinunciato anche a questo aspetto della sua personalità, si era sempre mostrata forte ed autosufficiente, pur di non risultare una pappamolla, pur di essere all’altezza del grande Ryo Saeba, ma adesso… adesso era arrivato il suo turno.
 
Sospirò.
 
Poco dopo ritornò il socio, reggendo nelle mani poste a coppa un bel mucchietto di neve:
 
“In mancanza di altro, dovrò usare questa, e sarà anche meglio perché il ghiaccio sfiammerà l’irritazione” e nel dirlo si inginocchiò davanti alla socia “Sarebbe bene… sarebbe bene che tu… ti togliessi i pantaloni” le disse un po’ a disagio “Non vorrei bagnarli…”
 
Kaori annuì arrossendo, ma seguì il consiglio del partner: con non poca fatica si sfilò i jeans sudici e laceri e mostrò così le gambe all’uomo, il quale non mancò di notare altre ecchimosi e graffi: valutò che l’aggressione subita era stata notevole, ma se la socia era lì davanti a lui, tutta intera, e senza nemmeno un osso rotto, voleva dire che si era difesa come una leonessa.
Probabilmente i suoi stessi assalitori ora non stavano certo meglio di lei.
 
Non appena Ryo passò la neve sulla ferita, Kaori rabbrividì di freddo e di dolore, ma strinse i denti; lui, sentendola mugolare, alzò gli occhi a guardarla, ma lei gli fece segno di proseguire; ben presto il freddo della neve agì come anestetico e la ragazza si rilassò.
Una volta ripulita, la ferita si rivelò meno preoccupante del previsto e Ryo si lasciò sfuggire un:
 
“Credevo peggio”.
 
“Eh?” chiese di rimando la socia.
 
“È che di primo acchito mi sembrava più profonda ed estesa, e invece tolto il sangue rappreso è risultata più contenuta. Adesso la medicherò con un disinfettante generico e te la fascerò, ma non appena saremo a casa, vorrei che ti vedesse il Doc”.
 
“A proposito… quando pensi che arriverà Umibozu?” domandò allora la ragazza, mentre Ryo aveva già preso a fasciare la sua gamba, facendo passare il lungo rotolo di garza intorno alla coscia.
Aveva una manualità così spiccata che davvero dimostrava di averlo fatto milioni di volte; Kaori ebbe un brivido.
 
Ryo si fermò un attimo e guardò in direzione dell’entrata principale, attraverso il tessuto teso del paracadute; stava rapidamente scendendo la notte, e volare al buio, per Umi, non sarebbe stato facile.
Anche se avesse avuto la vista acuta come un tempo, non li avrebbe ritrovati comunque in quella landa desolata, e loro due non avevano modo di portare il fuoco all’esterno, lì in mezzo alla neve, per segnalare la loro presenza.
Si decise a parlare, tanto era inutile tergiversare:
 
“Credo che Polipone verrà a prenderci domattina, alle prime luci dell’alba. Adesso sarebbe un suicidio”.
 
Kaori accolse la notizia senza batter ciglio, d’altra parte, a quel punto, non era poi così urgente andare via di lì; c’era Ryo ora con lei, non rischiava di morire assiderata perché avevano un fuoco e un riparo dentro il riparo, il suo stomaco era stato messo a tacere e per qualche ora poteva ancora resistere, la neve la dissetava e nel thermos c’era ancora quello squisito caffè: poteva chiedere di più?
Buttò lì un: “Immagino…”, giusto per dire qualcosa.
   
 
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