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Autore: Marilu2003lulu    16/04/2023    0 recensioni
Inghilterra, inverno 1940. Due giovani e ardimentosi piloti dell'aviazione militare britannica, Edward Jones ed Albert Smith, trascorrono le loro giornate abbattendo aerei da caccia tedeschi, facendo a gara a chi ne colleziona di più. I due sono legati da un indissolubile sentimento di amicizia e stima reciproca, e condividono la dura vita del campo sostenendosi e spalleggiandosi a vicenda. Ma quando un Messerschmitt tedesco viene abbattuto a poche centinaia di miglia dal campo, i due dovranno fare i conti con una serie di complicanze suscitate dagli occupanti di quell'aereo, che metteranno a dura prova le loro vite..
Genere: Drammatico, Introspettivo, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Guerre mondiali
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Il sole all'esterno era sorto da molto poco, mentre fuori l'aria persisteva ancora qualche istante nella sua gradevole freschezza mattutina, quando un ragazzo dalla chioma rossiccia e gli occhi più scuri della pece aprì con irruenza le palpebre, direzionando istantaneamente lo sguardo verso la branda che si trovava affianco alla sua. Il letto che in circostanze normali avrebbe dovuto occupare il suo migliore amico era vuoto e ben fatto, e, pensò Edward con profonda tristezza e malinconia, lo sarebbe stato ancora per un lasso di tempo che non era assolutamente in grado di pronosticare. La colluttazione nella quale era stato coinvolto il giovane qualche pomeriggio prima gli aveva provocato l'inevitabile rottura di una costola, oltre ad uno spaventoso livido, dalle proporzioni straordinariamente gigantesche, comparsogli improvvisamente sullo sterno. Edward ricordò come Albert avesse incominciato ad accusare una sintomatologia che presupponeva costante malessere generalizzato nell'attimo stesso in cui, dopo aver avuto il privilegio di assistere ad eventi dalla portata quanto mai eccezionale, i due erano stati in grado di rientrare nella propria stanza, tastandosi dolorosamente e con entrambe le mani la zona presumibilmente colpita con estrema violenza dal piede del crauto, per poi ritrarle di scatto assumendo delle decise espressioni che lasciavano intendere quanto fosse oppresso dall'angustia e dalla sofferenza. L'amico si era visibilmente preoccupato viste le condizioni nelle quali versava il compagno, ed aveva provveduto tempestivamente a condurlo in infermeria. Albert lo aveva seguito controvoglia e con il viso atteggiato ad una smorfia che esprimeva chiaro disappunto, si vedeva che avrebbe di gran lunga preferito non recarvisi, e le motivazioni erano molteplici. Desiderava ardentemente sia non generare sospetti infondati, che facessero anche solo intendere il fatto che non si sentisse bene, sia evitare di suggestionarsi più di quanto gli fosse lecito fare. Ma alla fine lo strazio era divenuto insostenibile, ed aveva infine stabilito, spinto anche dalle insistenti preghiere dell'amico, di recarcisi a dispetto della sua stessa volontà. Il referto li aveva raggiunti nella sala adibita al consumo dei pasti poche ore dopo, ed aveva avuto lo sgradevole effetto di procurare ad entrambi disorientamento ed una profonda costernazione interiore. Albert aveva due costole rotte ed un braccio il cui osso era stato sul punto di spezzarsi : avrebbe dovuto essere ricoverato provvisoriamente nell'ospedale del campo, e molto probabilmente vi si sarebbe dovuto trattenere quantomeno per le prossime due settimane. E, nonostante Edward lo andasse a trovare ogni singolo giorno e talvolta restasse per un lasso di tempo infinitamente più lungo di quanto gli fosse stato preventivamente concesso, non poteva non avvertire, dentro di sé, la sua eterna mancanza. Era l'unico col quale avesse instaurato, ancor prima dell'inizio di quel maledetto conflitto, un rapporto duraturo ed insostituibile. Conosceva tutto di lui, i suoi pregi, i suoi difetti, le debolezze, le paure, i desideri. Non sarebbe mai riuscito a creare un sodalizio simile con nessuno dei commilitoni presenti attualmente nel circondario del campo, e non perché non volesse o non sentisse la necessità impellente di tentare, ma per la semplice motivazione che riteneva l'amico l'unico in grado di comprenderlo veramente. O, almeno, questo era quello che si sforzava di credere.
Ora che ci rifletteva accuratamente, si rendeva conto di non aver rivelato neanche a colui che pensava il suo confidente più caro e prezioso i tormentosi dubbi che lo perseguitavano dal medesimo attimo in cui aveva posato i propri occhi sulla fisionomia del prigioniero tedesco. Da quel momento il suo sguardo dai contorni misteriosi e seducenti, allo stesso modo di quegli enigmatici occhi vitrei e cerulei, gli si erano letteralmente impressi nella mente, non lasciandolo sfuggire per un solo secondo della sua assillante ed angosciosa giornata. Si alzava all'alba col suo volto onnipresente nella memoria, rivedendo il suo inebriante profilo anche quando si apprestava a svolgere le mansioni quotidiane che la dura mattinata di combattimenti gli imponeva; la sua reminiscenza era una costante fissa, capace, talvolta, di ottenebrargli i pensieri e le congetture prodotte persino in riferimento a tutt'altre questioni. Scorgeva le sue fattezze ovunque guardasse, e non passava momento alcuno senza arrovellarsi il cervello su cosa potesse essergli effettivamente successo una volta condotto nei sotterranei tradizionalmente adibiti a prigioni militari del campo. Pochi giorni prima, una volta uscito dal consultorio dove si recava quasi giornalmente per andare a trovare l'amico ricoverato, aveva tentato di allontanarsi dal distaccamento principale del suo plotone, avvicinandosi il più impercettibilmente possibile alle celle in cui erano detenuti i soldati degli schieramenti avversarsi sequestrati durante i fatidici scontri, almeno quelli che erano stati abbastanza sfortunati da essere rinvenuti ancora vivi, per poi desistere con pronta immediatezza quando aveva udito il timbro squillante ed iracondo del suo comandante dirigersi nella sua stessa direzione. Abbozzò un sorrisetto ironico ed infastidito al ricordo; una volta resosi conto della sua presenza aveva provveduto a rintanarsi celermente dietro il tronco di un albero, allungando di tanto in tanto il capo per scorgere i suoi movimenti. Collins era arrivato su di un furgone guidato da uno dei suoi attendenti, che aveva provveduto a fermarsi esattamente a pochi metri dal luogo in cui si nascondeva. Il comandante ne era sceso accompagnato da altri due ufficiali in divisa, che Edward non ricordava di aver personalmente mai visto, anche se credeva fossero di rango molto elevato considerando la quantità impressionante di stemmi ed emblemi militari che ornavano i loro indumenti. Rimembrava inizialmente di averli visti confabulare a lungo tra di loro, nonostante non fosse stato in grado di cogliere gran parte delle cose che si dicevano, in quanto la distanza che li separava era eccessivamente estesa prendendo in considerazione anche il fatto che si erano, nel frattempo, allontanati di parecchio, dirigendosi visibilmente in direzione dell'ingresso che conduceva alle prigioni. Non davano l'impressione di stare aspettando che si palesasse qualcuno, e questa convinzione gliela dava l'idea che continuassero semplicemente a chiacchierare, come si faceva tra vecchi amici, senza mostrare di starsi spazientendo dall'attesa, o, ancor peggio, palesando chiari segni di inquietudine e fastidio. Ed infatti, poco dopo, Edward scorse il capitano inclinare leggermente la mano verso l'entrata, indicando ai due che sarebbe proprio stato il caso di affrettarsi ad entrare. Si mossero con circospezione in direzione dell'ingresso, e una volta che furono spariti alla sua vista passò un'infinità di tempo prima che si ripresentassero ai suoi occhi. Anche se non riusciva a ricordare con esattezza quanto fosse effettivamente trascorso dall'attimo in cui erano sfuggiti al suo sguardo, presumibilmente dovevano essere state ore. Forse due, se non addirittura tre. Per tutto quel lasso di tempo sapeva di essere rimasto ad aspettare appiattito contro il tronco dell'albero, incerto e tremante, con il cuore che gli batteva incessantemente, senza dare accenno di volerla smettere, e il sudore che premeva per uscirgli dai pori, invadendo ogni singolo centimetro di pelle asciutta che riuscisse a trovare. Una moltitudine di domande tartassavano la sua povera mente, quesiti destinati per il momento a rimanere senza risposta. Cosa stavano facendo quei tre lì dentro? Era naturale che si fossero recati a far visita al nuovo arrivato, d'altronde non poteva essere altrimenti. Recentemente non erano giunti molti nuovi prigionieri alle carceri del campo, e quei pochi sventurati a cui era toccato dover vivere vicissitudini del genere erano o morti per le ferite riportate, naturalmente lasciate a marcire senza che fosse garantita loro qualsiasi forma di intervento ed assistenza, o caduti in un deprimente torpore, il quale non sarebbe stato in grado di essere scalfito nemmeno a suon di manganellate ad intervalli regolari.
Edward si domandò se avessero provato ad interrogarlo; probabilmente avevano tentato, senza tuttavia ottenere risultati soddisfacenti. Aveva compreso sin dal primo secondo in cui gli aveva posato gli occhi addosso la risolutezza e la tenacia di quel soldato. Non si sarebbe fatto uscire parola di bocca neppure se lo avessero minacciato con le frustate. Ammirevole, sicuramente, ma decisamente sciocco in quelle circostanze. La cosa migliore da fare quando avvenivano situazioni di quella portata era sempre cercare di farsi amico il proprio carceriere, e solitamente non si proseguiva nell'adempimento del servizio militare se prima non ci si era bene impressi nella mente alcune fondamentali regole di sopravvivenza : qualunque cosa accadesse, mai provare a scappare senza aver precedentemente sondato il terreno e provveduto a studiare accuratamente un piano. Ma quel dannato crauto aveva tutta l'aria di possedere un cervello duro, con una quasi sicuramente innata e fervente predisposizione alla testardaggine e alla spavalderia, e per certo poco propenso ai compromessi, ed Edward era assolutamente convinto che avrebbe preferito farsi ammazzare piuttosto che rivelare anche solo un miserevole dettaglio sul perché si trovasse in quel luogo, e soprattutto quali fossero le sue generalità complessive.
Ad un certo punto Edward ebbe la chiara percezione di una lunga serie di movimenti circostanziati all'area in cui si trovava, chiaro segno del fatto che qualcuno stesse procedendo in direzione del suo nascondiglio; il cuore prese ad accelerargli come mai era successo prima, mentre la sudorazione del suo corpo aumentava a dismisura, procedendo a scendergli con incredibile velocità lungo le tempie.
"Allora, cosa ne pensate?" sentì biascicare dal suo comandante con trepidante eccitazione, come se l'ometto si aspettasse dalla formulazione di quella domanda una rivelazione incisiva che avrebbe potuto fornirgli una radicale soluzione a quell'increscioso problema, rappresentato naturalmente dalla presenza del soldato tedesco, che si era ritrovato a dover affrontare.
Il più basso degli uomini che proseguivano al suo fianco e che lo accompagnavano, dai capelli biondi e gli occhi piccoli e maliziosi, prese improvvisamente a ridere di getto, come se avesse assistito ad una scena esilarante, e fissò il suo superiore atteggiando i lineamenti in modo da formare un'evidente espressione sarcastica.
"Ad essere sinceri mi è sembrato essere esclusivamente un ragazzetto che quasi se la faceva addosso alle prese con una sottospecie di crisi isterica; direi di appendergli un cappio al collo e di spedirlo all'inferno senza fare tante cerimonie." proruppe quello con voce astiosa ed un pizzico di maldicenza, nel frattempo che ruotava il capo verso il suo collega che gli camminava accanto.
"Parker, tu che dici? Voglio sentire la tua opinione a tal proposito." proruppe il capitano volgendo lo sguardo sui baffi grigi dell'individuo che procedeva lentamente alla sua sinistra.
Parker sollevò le palpebre assumendo un'aria annoiata.
"Non ti so dire James, davvero. Se devo essere franco e schietto, credo di condividere in parte il parere di Robertson.
Presumibilmente, e secondo le numerose ipotesi da noi precedentemente formulate, quella che personalmente ritengo essere più attendibile, è che si tratti di un moccioso nazista da quattro soldi, senza arte né parte, indrottinato a dovere da un regime di pazzi e finito qui per puro caso, senza possedere nemmeno la più fioca idea delle motivazioni che lo spingevano ogni mattina a salire su di uno stupidissimo aereo per accoppare militari britannici. Credo che la cosa migliore da fare sia istruire accuratamente un cecchino affinché gli pianti una bella pallottola nel cervello e ci liberi definitivamente della sua fastidiosa persona; ho l'impressione che tu abbia espresso congetture troppo romantiche giudicando che potesse trattarsi di una spia del regime o roba simile, fidati di me."
Collins abbassò la testa in un impeto di desolazione.
"Eppure, vi dico la verità, c'è qualcosa in quel crucco che non mi convince. Sarà stato il modo in cui mi ha guardato in quella cella buia ed umida, forse, non so..la sensazione di quella faccia da cane che provvedeva a scrutarmi con furia animalesca, con l'unico e palese desiderio di saltarmi alla gola per strozzarmi.." e detto questo Edward vide l'uomo iniziare a contorcersi spasmodicamene in preda all'orrore nel rievocare lo straordinario interrogatorio tenutosi solo mezz'ora prima.
Parker gli gettò un braccio intorno al collo nel tentativo di consolarlo.
"Vedi il lato positivo, abbiamo perlomeno scoperto che farfuglia qualche parolina d'inglese. Non me l'aspettavo, sai? Non sono molti i crauti che lo conoscono."
Edward, all'immediato suono di quelle parole, spalancò le palpebre frastornato e confuso, nella consapevolezza sconcertante di avere scovato un dettaglio
estremamente interessante. Era stato, fino a quel momento, assolutamente convinto che il tedesco non parlasse la loro lingua, e che, anzi, non intendesse neppure la più semplice sillaba. Avrebbe dovuto rendersi conto dei gesti di scherno perpetrati durante l'interrogatorio, nei momenti in cui era verosimilmente intento a cogliere ogni medesimo significato reale delle loro parole e delle loro frasi, a dispetto del fatto che apparentemente avesse finto di non comprendere alcunché; era stato decisamente astuto, ed aveva provveduto a studiare accuratamente la situazione in cui si era ritrovato contro la propria volontà mascherando le riflessioni che faceva sotto un'apparente patina di crisi isterica dovuta al catturamento da parte dei britannici. Edward si chiese interiormente come e, soprattutto, dove avesse imparato la sua lingua, per poi, un attimo dopo, prendere coscienza dell'assurdità di quel pensiero appena formulato. L'inglese al giorno d'oggi aveva connotazioni di carattere internazionale, chiunque avesse anche solo voluto assicurarsi un miserevole posto nell'ambito dell'amministrazione pubblica o privata avrebbe dovuto quantomeno conoscerne le settorialità. Lo avessero appreso in istituti scolastici, o fossero stati coercitivamente obbligati dal loro governo ad acquisirne la conoscenza, non rivestiva la benché minima importanza. Adesso sapeva di avere uno strumento efficace e a sua completa disposizione con il quale sarebbe stato in grado di parlargli e di instaurare una qualche forma di dialogo duraturo. Ma prima di incontrarlo personalmente avrebbe dovuto eludere la sorveglianza dei numerosi cecchini presenti all'esterno dello stabilimento, ed era totalmente consapevole del fatto che non sarebbe stato semplice. Erano uomini scelti e soldati rigidamente selezionati tramite numerosi iter di reclutamento, detentori di addestramenti anomali e d'eccezione, oltre ad essere portatori di requisiti inusitati e fuori dal comune, che avevano il doveroso ed inderogabile compito di proteggere la sicurezza degli ostaggi e di non permettere assolutamente, per qualunque ragione al mondo, che potessero anche solo prendere in considerazione l'idea di sabotare la stretta vigilanza e di darsi alla fuga. Edward ne conosceva solamente uno, un ragazzetto di una ventina d'anni piuttosto grassoccio e dalla pelle olivastra, cui si era accertato, negli anni precedenti, che i parenti provenissero, con un margine di sicurezza indiscutibile, dalle terre orientali, che era stato reclutato per quella spiacevole mansione in virtù delle sue sgradite origini familiari, che avrebbero sicuramente provocato tensioni e scontri nei normali drappelli. Non ricordava nemmeno come si chiamasse, ma serbava perfettamente la memoria del suo carattere irascibile e del tutto privo di freni inibitori. Ci aveva litigato parecchie volte, e talvolta erano giunti addirittura alle mani, ma in fin dei conti tentare non costava nulla e, soprattutto, sarebbe giunto immediatamente alla conclusione di chi fosse conveniente fidarsi, e delle eventuali persone che, invece, dovevano essere tenute drasticamente alla larga dalle sue intenzioni.
Collins e gli ufficiali erano risaliti in macchina ripartendo in fretta, senza nemmeno accorgersi della presenza del giovane, nascosto accuratamente dietro al fortuito pezzo di legno. Accertatosi del loro effettivo dileguamento, prese a muoversi con circospezione, dirigendosi il più velocemente possibile verso la piccola caserma grigia, la cui funzione palese  consisteva nell'essere esclusivamente un luogo di detenzione per combattenti nemici o eventuali avieri britannici che avessero provveduto a scatenare rivolte e a macchiarsi di crimini abietti e immorali. Come nelle sue congetture più profonde il mulatto stava piazzato d'innanzi all'ingresso con il pesante fucile in entrambe le mani, anche se dava visibilmente l'impressione di stare morendo dalla noia e di volersene unicamente ritornare a letto. Di tanto in tanto le palpebre prendevano ad abbassarsi e la testa gli ricadeva bruscamente di lato, anche se immediatamente dopo riprendeva ad ergersi dirimpetto sull'attenti. Edward camminava lentamente e con estrema avvedutezza, sperando intimamente che l'indiano non lo riconoscesse o, quantomeno, che lo scambiasse per un ufficiale di alto rango per via delle sue innumerevoli medaglie al valore, e che di conseguenza gli lasciasse libero l'accesso alla prigione senza fare tante storie. Ma disgraziatamente non ebbe nemmeno il tempo di mettere piede sul selciato che anticipava l'accesso all'edificio, in quanto, resosi conto del rumore dei passi, quello arrancò pigramente nel suo stesso senso.
"Ehi! Parlo con te, stonato! Dove credi di andare? Qui non si entra se prima non si.." ed improvvisamente si bloccò nel bel mezzo della frase. Scrutò accuratamente il volto del giovane ufficiale che provava a mascherare i propri lineamenti fissando corruciato il terreno solo per cominciare, successivamente, a ridere di getto.
"Non posso crederci..no, non è proprio possibile! Jones? Sei tu, Edward? Fottuto stronzo, sei proprio tu? Non riesco minimamente a pensare di essere riuscito a trovarti dopo tanto tempo..hai anche solo la più pallida e fioca idea dell'ammontare dei giorni spesi provando a localizzare la tua posizione negli stabilimenti, cercando l'occasione propizia per rompere questo tuo bel faccino da inglesino candido e pulito.." la voce era secca e graffiante, con delle leggere sfumature rauche e rabbiose. Procedeva trascinando mollemente le gambe nel mentre che gli sorrideva maliziosamente, con la mano tenuta saldamente sulla canna del fucile e l'altra stretta a pugno.
"Era da una vita che desideravo rincontrarti ed ora, finalmente, ce l'ho fatta..sai che abbiamo un conto in sospeso.." proruppe con furia animalesca, rinsaldando ulteriormente la presa sull'arma stretta fra le braccia.
"Ehm, senti, Adjud.." biascicò Edward col sudore che gli colava lungo le tempie e il cuore che fremeva irrimediabilmente nel petto.
"Pezzo di merda, Arjun, non Adjud! Dì un po', ti sei divertito a picchiarmi quella volta, non è vero? Quando ero solo un indifeso moccioso diciottenne appena sbarcato in questo schifo di paese dopo un viaggio durato settimane su di una delle vostre navi da bastardi imperialisti..oh, ma certo che è così..tu e quell'altro avanzo di galera del tuo amico! Maledetti razzisti!" urlò con tutto l'odio che aveva in corpo.
Edward assunse un'espressione di puro orrore. Il meticcio, frattanto, scrutava ogni suo movimento iracondo e drasticamente risentito.
"Ascoltami, io..mi dispiace davvero. All'epoca ci contenevamo poco di fronte ai..ehm..nuovi arrivati. Comunque, non sono qui per portare alla luce vecchi errori passati. Io..devo vedere un prigioniero. Un tedesco che dovrebbe essere stato condotto nelle celle adibite ai militari nemici qualche pomeriggio fa..fammi passare e ti prometto che non farò mai più niente che possa intaccare la tua reputazione. Ci lasceremo tutto alle spalle e riprenderemo da zero..sei d'accordo?" sussurrò sommessamente Edward, pallido in volto e con il palese desiderio di porre una fine a quella incresciosa situazione.
Arjun lo fissò assumendo una chiara espressione stordita e per poco non  incepiscò su sé stesso, nel mentre che indietreggiava fingendo di simulare un evidente collasso per lo stupore e lo sbigottimento. La mano era ancora fermamente aggrappata all'arma che reggeva in pugno, anche se ora dava l'impressione che la stessa presa fosse meno salda, sostenuta, come se fosse venuta improvvisamente a mancare la forza, il coraggio di portare a termine ciò che si era prefissato originariamente.
Edward si era appiattito contro la parete ed osservava sconcertato la canna del fucile risolutamente puntata contro il suo petto, aspettandosi da un momento all'altro di sentirvi partire un colpo che, andandosi a piantare dritto nel suo cuore, avrebbe posto fine ad ogni singola cosa, cancellandolo per sempre dalla faccia dell'umanità. Inspiegabilmente non si sentì particolarmente turbato da quel pensiero, era come se fondamentalmente non gli importasse di morire o, peggio, che qualcuno di proposito ponesse termine alla sua esistenza; non ricordava di avere mai maturato, neanche nei momenti più critici e disperati, evidenti propositi suicidi, ma quella circostanza conduceva lentamente nel suo animo una duratura malinconia, una finale accettazione, un sentimento di muta e perenne approvazione, accoglienza, forse addirittura di gradimento. Lo tormentava esclusivamente il maledetto pensiero che, se fosse stato realmente ucciso quella mattina, non sarebbe stato in grado di poter fare assolutamente nulla per la drastica situazione in cui veniva a trovarsi il tedesco imprigionato a pochi metri di distanza. A lui sarebbe andata tutto sommato bene; si sarebbe congedato dal mondo in cui si trovava a vivere, maciullato dai conflitti e dalle guerre, provando un dolce impulso di abbandono e di distacco..ma cosa sarebbe accaduto al giovane soldato che invano aveva cercato di salvare dalla furia omicida del suo comandante? Era del tutto convinto che non lo avrebbero mai lasciato andare; presumibilmente quel che più concretamente lo attendeva erano solo e solamente torture, interrogatori, macchinazioni psicologiche di ogni sorta per tentare di estrapolargli quante più informazioni possibili. Questo era più che certo sarebbe successo, esclusivamente dolore, sofferenza, terrore, desolazione, solitudine, malinconia, ardente volontà di scampare a quella barbarie perpetrata, forse una vana riuscita..ed alla fine, morte.
Edward sgranò gli occhi frastornato ed in preda all'inquietudine più preoccupante mai sperimentata in precedenza, quelle mere ipotesi formulate lo avevano devastato e traumatizzato oltre ogni dire; anche Arjun se ne accorse ed abbassò impercettibilmente l'armamento, domandandosi interiormente cosa accidenti fosse preso a quel dannato scriteriato.
"Sei fottutamente patetico, Jones. Sparisci immediatamente da questo posto e non farti mai più vedere se ci tieni alla pelle. La prossima volta non sarò altrettanto buono, te lo assicuro. E sappi che senza autorizzazione scritta personalmente dalla mano di Collins, tu qui dentro non ci entri nemmeno tra duecento anni. Mi occuperò personalmente affinché tu non possa intravedere neanche la più pallida ombra di un miserabile ratto presente nei cunicoli di queste celle."
Edward, alzando lentamente lo sguardo, incastrò i suoi occhi direttamente in quelli del suo nemico. Ci vide immenso rancore ed una dose infinita di rabbia malamente repressa. Voltandosi silenziosamente dall'altra parte, si allontanò senza proferire alcuna parola.
 
 
La stanza una volta condivisa col migliore amico era avvolta dalla luce della penombra. Il suo letto aveva un aspetto penoso; era completamente sfatto, con le coperte, i cuscini e le lenzuola buttate violentemente per terra, ad assumere una forma dai vani contorni terrificanti e misteriosi. Edward sedeva solo, con la testa fra le mani, sul materasso sfondato, circondato da un alone di semioscurità il cui unico risultato era far assumere alla sua figura fisionomie dalle accezioni quasi macabre, afflitto, abbattuto, con il cuore che batteva a mille e la gamba che sembrava non avere alcuna intenzione di smettere di tremare. Era totalmente demoralizzato e non aveva la più fioca idea di cosa diavolo fare, e di come avrebbe dovuto continuare. Appena aveva messo di nuovo piede al plotone un ragazzino di neppure vent'anni, che ricordava malamente di aver scorto probabilmente una volta a cena, gli era corso incontro zoppicando all'impazzata, fermandoglisi di getto d'innanzi per chiedergli se per caso conoscesse un tizio che di nome faceva Albert Smith, dicendogli che aveva l'obbligo di trovare immediatamente il suo compagno di stanza per poterlo condurre in infermeria, e che la cosa era molto grave. Al suono di quella domanda, formulata con incertezza ed una vaga dose di preoccupazione malcelata, il giovane aveva preso ad impallidire come riteneva non gli capitasse da decenni, e, afferrate brutalmente le bretelle della camicia di quel moccioso con i capelli rossi e la pelle ricoperta interamente da lentiggini, si era messo a starnazzare furiosamente, dando increscioso spettacolo di sé e conferendo alla moltitudine di gente assiepata nei dintorni quasi l'impressione di stare sperimentando sintomatologie compatibili con l'insorgere di un'evidente crisi isterica, urlando in preda alle lacrime cosa diamine fosse accaduto. Dopo averlo scosso per un bel po', impaziente e furibondo, con il sudore che gli scendeva lungo le membra ed il corpo che sembrava non rispondere più agli stimoli, si era successivamente accorto di come il colore delle guance del giovane soldato piantatogli di fronte fosse mutato a velocità inaudita, trasformando radicalmente le sfumature diafane che caratterizzavano precedentemente la pelle liscia e senza imperfezioni di bambino, in due chiazze rosso mattone, a tal punto imporporate da apparire sanguigne e sul punto di scoppiare; dava l'idea che presto sarebbe caduto a terra stecchito come un sasso, svenendo per l'orrore dell'essere stato così ferocemente importunato. Edward allora, smettendo di strillare come un ossesso, cercò di conferirsi finalmente un contegno, togliendogli le mani dalle spalle tremanti e allontanandosi dalla sua persona. Quello sembrò allora riprendersi leggermente, risistemandosi con cura le cinghie dell'uniforme, per poi prendere a fissarlo come se ritenesse di trovarsi di fronte una qualche sottospecie di grottesco caso psichiatrico.
"Senti, io..insomma, diavolo, sì, lo conosco, sono il suo compagno di stanza, il suo migliore amico..che cosa è successo? Dimmelo, ti prego, non restartene lì impalato."
Il giovane lo scrutò lievemente risentito, distanziandosi palesemente di qualche altro passo.
"Certo, poi, se non mi saltavi addosso in quel modo, come un leone che arraffa una gazzella, avrei potuto dirtelo molto prima..comunque, il tuo amico è peggiorato. Molto, a dire il vero. Ha la febbre alta e sembra non capirci nulla. L'ultima cosa sensata che ha detto è che voleva vederti. Collins ha dato il via libera per trasferirlo in un ospedale militare più grande ed attrezzato ad una quindicina di chilometri da qui..poi mi ha chiesto di andare a cercarti, ma, a dire il vero, non trovandoti nella vostra stanza, ho pensato che.."
Edward gli diede a stento il tempo di finire la frase. Riusciva addirittura a sentire il soldato che parlava ancora, mentre  iniziava a correre fulmineamente in direzione dell'edificio grigiastro adibito ad ospedale per feriti e militari prossimi alla morte. Si sentiva maledettamente in colpa, ed in quel momento tutti i suoi pensieri erano proiettati verso il migliore amico. Erano trascorse tre lunghe giornate dall'ultima volta che era andato a trovarlo, gli aveva promesso come ogni sera che sarebbe ripassato sicuramente il pomeriggio seguente, ma poi Collins lo aveva trattenuto per almeno tre giorni fino a notte inoltrata nel suo ufficio, ripieno come al solito di cartacce ed impregnato di un disgustoso odore di sigaro, mostrandogli alcune mappe con sopra codificate nuove postazioni di attacco e difesa che aveva preparato accuratamente assieme ai suoi attendenti qualche settimana prima per il suo battaglione. Non era di conseguenza riuscito a presentarsi negli orari prestabiliti dal rigido controllo perpetrato dagli infermieri, che stabilivano gerarchicamente quali fossero gli orari disponibili per andare a trovare i loro pazienti; ed ora, scoperto quale fosse il destino del suo compagno, e non sapendo neppure quando sarebbe stata la prossima volta in cui lo avrebbe rivisto nuovamente, si precipitava speditamente, per quanto gli era consentito dalla forza dei suoi muscoli contratti ed affaticati, da lui, pregando con tutto il cuore che avessero preso seriamente la sua ultima volontà prima del trasferimento, e non avessero provveduto a portarlo via prima che gli fosse garantita la possibilità di salutarlo, magari, sperava risolutamente che non fosse così, per l'ultima volta.
Dopo aver scandagliato l'intero palazzo alla ricerca della sua camera, nel frattempo avevano infatti badato a mutarla più volte, Edward vi si fiondò dentro come una belva, rischiando quasi di precipitare a terra per la rapidità con cui procedeva. Notò subito che erano presenti all'interno tre uomini con la divisa a cui era attaccato il cartellino che attestava la loro professione medica, un infermiere dalla corporatura magrissima, con il viso pallido ed emaciato, una donna con una siringa nella mano sinistra che sedeva in un angolo con la faccia rivolta al pavimento, ed infine Collins, piazzato di fronte al letto del suo amico con le mani dietro la schiena ed una espressione di chiara esitazione sul volto. Appena si accorse della sua presenza, gli gettò un'occhiata infastidita, come se fosse incredibilmente risentito del suo ritardo, per poi fargli successivamente spazio e permettergli di avvicinarsi al compagno.
"Io..sono qui..Albert.." mugugnò Edward senza forze, bianco come un fantasma.
Collins assunse un'espressione sarcastica.
"Ben arrivato Jones, ho mandato Moore a cercarla tre quarti d'ora fa più o meno, credevo si sarebbe fatta notte frattanto. Potrebbe fare la gentilezza di spiegarmi dove accidenti si era cacciato nel mentre?"
Edward lo guardò senza sapere cosa dire, o come svincolarsi da quell'evidente interrogatorio. Non poteva, per nessuna ragione al mondo, rivelargli di avere seguito lui e i suoi scagnozzi fino alle prigioni, premurandosi diligentemente di non far scorgere in modo lampante chiari segni della sua presenza, per poi essersi arrischiato niente di meno ad eludere la stretta sorveglianza che vigeva nei pressi delle prigioni, cercando di infiltrarsi di nascosto per vedere un prigioniero, cui non sapeva nemmeno cosa dire se fosse stato realmente in grado di incontrarlo. Lo avrebbero preso di certo per matto. Forse già pensavano che lo fosse, o lo stesse quantomeno diventando.
"Edward.." mugugnò sommessamente l'amico, tendendo le braccia verso la sua figura per supplicarlo di avvicinarglisi.
L'amico non se lo fece ripetere due volte, fiondandosi al suo capezzale con gli occhi lucidi e le labbra che tremavano. Gli sorrise dolcemente accarezzandogli una guancia, per poi stringerlo forte a sé, mantenendoselo vicino con tutto il vigore di cui era dotato.
Collins, alla vista di quella che giudicava intimamente una deprecabile e quanto mai imbarazzante manifestazione di affetto, credette di avere un travaso di bile.
"Per l'amor del cielo, datevi un contegno.."
Edward non diede neanche l'impressione di stare ad ascoltarlo, continuando semplicemente a tenersi stretto al petto il corpo piccolo e, in quel momento critico, dalle connotazioni oseremmo dire addirittura drastiche, bisognoso di tenerezza del suo compagno, per poi staccarsi con decisione, solo per incastonare risolutamente i suoi occhi scuri, neri come la pece, in quelli limpidi e cerulei del migliore amico.
"Però, non ti fai mai mancare nulla, eh? Una bella vacanzetta di qualche settimana..senza la prospettiva di far nulla, se non la corte a qualche giovane crocerossina. Sempre il solito." proruppe con tono ironico, abbozzando una piccola smorfia divertente, pur essendo perfettamente consapevole del lieve sentore malinconico e nostalgico che impregnava ogni medesima sillaba pronunciata.
Albert, contrariamente alle aspettative di Edward, non accolse alla stessa maniera la battuta del commilitone. Non rise e non sembrò neppure risollevato dal modo in cui quest'ultimo pareva l'avesse presa.
"Edward, se io non..insomma, lo sai, se dovessi peggiorare ed eventualmente..non tornare..Margaret.." farfugliò debolmente senza completare quel che aveva in mente di dire, complice una grande stanchezza.
Edward ebbe un momento di esitazione e la sua espressione sembrò per un secondo riprendere l'aria cupa e tenebrosa che aveva assunto nell'attimo stesso in cui, giunto in quel casermone dalle luci soffuse e l'odore costantemente intriso di una maleodorante puzza di candeggina, l'aveva scorto sofferente, straordinariamente pallido, emaciato e deperito, in quella vecchia brandina smunta dall'aspetto totalmente deplorevole. Sapeva di volergli troppo bene per riuscire a figurarsi concretamente nella testa l'ipotesi realistica di non doverlo più rivedere, ed aveva, inoltre, la consapevolezza innata di quanto quel pensiero gli fosse assolutamente insopportabile da sostenere.
"Non dirlo manco per scherzo, idiota. Fidati di me, sono o non sono il tuo confidente più fedele? Tempo quindici giorni e torni come nuovo, ristabilito e in ottima salute, pronto per scrivere nuovamente letterine strappalacrime alla tua cara donzella che io, naturalmente, mi premurerò di consegnarti personalmente, visto che, a quanto mi risulta, la posta non credo sia mai stata una tua priorità." sentenziò amabilmente l'amico, dandogli per scherzo un pizzicotto sul braccio.
Fu allora che Albert parve riprendersi dallo stato di catatonico torpore in cui si era lasciato affogare fino a qualche istante prima. Sollevando lo sguardo spossato verso il compagno, si lasciò sfuggire dalle labbra una risatina allietata, che ebbe come grande risultato quello di rallegrare lo stesso umore di Edward, affranto e addolorato sino a qualche minuto prima.
"Va bene. Giuro solennemente che non mi azzarderò a fare la corte nemmeno alla più pallida di fanciulla con abitino bianco, e cercherò di riprendermi il prima possibile."
Edward sorrise dolcemente e gli strinse la mano il più saldamente possibile, cercando di trasmettergli implicitamente la forza che lo animava in quei frangenti.
Improvvisamente però Albert, fissandolo sbiecamente e con un misto di timore ed incertezza, gli intimò con il braccio di avvicinarglisi maggiormente, e di accostare l'orecchio alle proprie labbra. Aveva qualcosa da dirgli, e non voleva assolutamente che Collins, che tra l'altro li fissava profondamente stizzito da almeno un quarto d'ora, partecipasse alla conversazione.
Edward lo guardò confuso.
"Albert, che c'è? Cosa vuoi dirmi?"
L'amico si sforzò per ricominciare a parlare, la tosse che lo stava letteralmente consumando non contribuiva di certo a rendergli facile il proponimento.
"Edward, per l'amor del cielo, giurami su quello che hai di più caro al mondo di stare lontano da quel tedesco. È un maledetto animale, quando mi ha tirato quel calcio alle costole mi è sembrato di provare un dolore incredibilmente più grande e tremendo, contrariamente a quanto fosse realmente forte il colpo. Te ne prego, ho notato che sei interceduto per la sua causa..non farti accecare da nobili sentimenti. Sono disgustosi invasati che meritano di soffrire e perire nei modi più astrusi per quello che stanno provocando con le loro politiche folli al resto del mondo. Essere gentili e compassionevoli non porta a nulla, rischi solo di lasciarci le penne tu stesso. Non posso, per tutto l'oro di questo mondo, andarmene via e lasciarti da solo se prima non mi prometti solennemente di non avvicinarti alla sua persona neanche ad una distanza giudicata unanimemente sicura. Per favore, tieni fede a questa parola."
Edward si sentì mancare al suono di quelle parole. Ma il volto dell'amico era a tal punto penoso, esprimeva una preoccupazione talmente veritiera che il compagno non se la sentì di contrariarlo o, peggio, di svelargli quali fossero i suoi reali pensieri ed intenti relativamente a quella faccenda.
"Edward.."
"Te lo prometto, amico. Te lo prometto sulla nostra amicizia, la cosa più sacra da quando siamo arrivati in questo luogo infernale."
Albert assunse un'espressione di beatitudine pura. Lo salutò con gioia e sollecitudine, ma Edward, nel mentre che procedeva tristemente verso i propri alloggi, non poté non farsi scendere una lunga lacrima sul viso.

Nel refettorio, quella sera, c'era più gente del solito. L'intera sala era gremita da una moltitudine indistinta di militari in uniformi scialbe, ragazzetti dai volti imberbi esultanti per aver abbattuto il primo aereo nemico che, immancabilmente, festeggiavano allegri assieme ai compagni e compatrioti, ed una lunga sfilza di vecchi generali, attempati nei loro costumi dai connotati quasi burleschi, ripieni di medagliette e stelle al valore, che masticavano svogliatamente il contenuto delle loro stoviglie, chiacchierando a bassa voce di faccende strettamente private ed inconoscibili. La luce soffusa garantiva un'atmosfera dai contorni a dir poco inquietanti, ed il giovane aviatore ebbe una sgradevole sensazione di oppressione al petto. Gli sembrava che tutti gli occhi delle persone radunate lì dentro si fossero posati sulla sua fisionomia nell'attimo in cui aveva varcato la soglia del grande stanzone, e che perseguissero nel fissarlo con espressioni a dir poco commiserevoli.
Scrutava perplessità, incertezza, timore, forse addirittura sdegno, disappunto e profondo biasimo per gli atti di cui si era macchiato solo pochi giorni prima. Giudicarli con riprovazione e risentimento gli pareva eccessivo, ma comprendeva gli stati d'animo dei suoi concittadini. I crucchi, dall'inizio del conflitto, e molto probabilmente anche da prima, avevano assunto atteggiamenti e comportamenti che ritenerli abominevoli e sprezzanti suonava quasi come un complimento. Le loro concezioni politiche, così come l'aspirazione perpetrata nei confronti di teorie dai contorni imperialistici ed invasionistici non avrebbero potute essere condivise da alcuna persona sana di mente.
Occorreva che qualcuno contribuisse a fermarli ed anche in fretta, e naturalmente gli inglesi, nella loro visione da popolo la cui missione possedeva inevitabilmente carattere universalistico, oltre che salvifico, avevano giurato sulla salvezza della loro patria di snaturare quella minaccia irruenta e focosa dalla breccia del mondo. Edward non era mai stato un cocente nazionalista, ma allo scoppio della guerra, contrariamente ad Albert che fin dall'inizio si era mostrato inequivocabilmente contrariato al dover abbandonare per un tempo indeterminato e non prevedibile ogni singola cosa a cui teneva di più, come tutti i giovani della sua età, si era visibilmente entusiasmato alla parvenza di importanza che rivestiva, e di cui era imbevuto, il suo ruolo. Si sentiva schierato dalla parte giusta, quella benefica, l'unica che avrebbe potuto restituire diametralmente alle nazioni europee la pace e l'equilibrio imperituri.
Faceva molto caldo e la sensazione di affanno si accentuò esclusivamente.
Ebbe l'impulso improvviso di sbottonarsi la camicia per lasciare trapelare un minimo d'aria, la pressione di quel luogo era insopportabile. Si accasciò quasi al tavolo posandosi il palmo sulla fronte imperlata di sudore, ed abbassò la testa per non dare soddisfazione a nessuno di averlo anche solo guardato, mettendosi entrambe le mani sugli occhi. Era molto stanco, la gamba gli tremava, ed era consapevole di trovarsi in uno stato di grande agitazione, nonostante non ne conoscesse i motivi e non sapesse come fare per calmarsi. Una cameriera dalla chioma bionda e dagli occhi castani gli si avvicinò furtivamente, poggiandogli accanto un vassoio scuro contenente una miscela di zuppa e verdure calde. Edward la ringraziò distrattamente, per poi ripiombare nell'intrico insormontabile dei suoi stessi pensieri. Le richieste di Albert lo avevano turbato e non poco, anche se non riusciva a figurarsene le motivazioni. Dopo tutto, il suo amico non aveva detto niente di strano; aveva semplicemente cercato di avvertirlo e di metterlo in guardia, forse addirittura con la consapevolezza che i suoi consigli non sarebbero stati seguiti dal testardo amico.
Era confuso e non sapeva assolutamente come proseguire. Le giornate filavano incessantemente, succedendosi ognuna uguale alla precedente, senza procurare nient'altro che dolore, false aspettative, incertezze, maledetti timori.
Edward gettò uno sguardo distratto intorno a sé, e si sentì incredibilmente sbalordito quando si rese conto che una figura dai contorni indistinti, pallida e vestita tra l'altro con indumenti vecchi e logori, proseguiva lentamente, e senza ombra di dubbio, nella sua direzione. Aguzzò la vista per tentare di comprendere chi fosse quel soldato visibilmente emaciato e se per caso lo conoscesse, e quando si rese effettivamente conto della sua identità, per poco non finì per andargli di traverso il boccone di carne che stava masticando. Avrebbe desiderato incontrare chiunque in quel momento, forse persino Collins, tranne quel ragazzetto biondo con l'espressione da ebete che, sorridendogli in maniera inquietante, provvedeva a sistemarsi al suo stesso tavolo. Non sapeva molto di lui; rimembrava a stento il nome, gli sembrava di ricordare che si chiamasse Dylan, presumibilmente Dylan Malcolm, britannico a tutti gli effetti, se non per qualche lontana ascendenza danese. Si mormorava, fino a due anni prima, che si fosse arruolato in uno dei tanti reggimenti di terra solamente per sfizio, non provando intrinsecamente nell'animo reali sentimenti di fedeltà nei confronti della patria, e si insinuava, in vari plotoni, perfino che sperasse interiormente vincessero i tedeschi il lungo conflitto che già da parecchi mesi li teneva costantemente impegnati. Albert parlava spesso dei suoi comportamenti apertamente stravaganti, e in un'occasione gli aveva anche confidato che in caserma si nutrivano seri sospetti relativamente alla sua integrità sessuale. Giravano molteplici voci che giuravano solennemente di averlo scorto in atteggiamenti di natura intima con altri compagni della stessa unità.
Uno assicurava di averlo veduto, una mattina, mandare con il palmo della mano un bacio ad una giovane recluta arrivata da poco che, notandolo, si era immediatamente premurata di ricambiare affettuosamente il gesto sussurrando "aspettami questa sera, verrò da te il prima possibile." Altri asserivano di averlo beccato più volte "abbracciare" e stringersi forte al petto, forse con eccessiva vivacità, numerosi compagni d'armi, e quando glielo si era fatto giustamente notare, aveva sempre addotto come scusa l'immenso affetto che li teneva legati a sé.
Ad Edward faceva ribrezzo la sola idea che un invertito di tal fatta, macchiatosi di turpitudini simili, osasse avvicinarglisi senza porsi alcun tipo di problema, ma decise di trattenersi, anche se ci riuscì a stento, dall'urlargli in faccia di andarsene all'istante e di sparire dalla sua vista se non desiderava presentarsi l'indomani mattina all'appello con un occhio nero e qualche costola rotta.
"Ehilà Jones, come ti butta?" proruppe concitatamente il farabutto, poggiandogli dolcemente due dita gelide sulla guancia, gesto che per poco non fece scattare in piedi dalla rabbia e dal disgusto il giovane soldato, nel mentre che gli si sedeva accanto.
"Una chiavica, Malcolm. Lasciami in pace."
Dylan non demorse. Gli chiese cosa fosse successo e se qualcosa lo turbasse, Edward fece inizialmente finta di non sentire, per poi, alle continue insistenze del ragazzo, affermare di essere piuttosto nervoso per cose sue. Dylan gli domandò se le motivazioni del suo nervosismo fossero da attribuire alla guerra e alla loro situazione attuale, ed Edward dichiarò che naturalmente c'entrava anche il conflitto, anche se non ne era la causa principale.
"Adesso ho capito! È sicuramente colpa del tedesco arrivato qualche settimana fa se stai così!"
Edward, quando comprese il significato di quelle parole, fece appena in tempo a non strozzarsi seduta stante con la forchetta che reggeva sbadatamente fra le mani. Si girò furibondo verso il suo interlocutore, fissandolo malevolmente con gli occhi accecati dal risentimento e dal disprezzo.
"Cosa diavolo stai dicendo?" esclamò senza riuscire a contenersi.
"Molto carino, su questo non sussistono dubbi..ci stavo anche io quando l'hanno portato qui. Ho sempre avuto un debole per i biondini dall'aria decisa e risoluta, mi comunicano sensazioni belle..quelle espressioni così ferme e determinate, si vede perfettamente che sono pronti a morire per le cause che difendono e in cui credono ciecamente, senza provare remore né timori. E quel tedesco..beh, seguirà pure una dottrina folle, ma con che ardimento.."
Edward non ce la fece più. Si alzò violentemente dalla tavola e gli gettò un'occhiata esasperata.
"Malcolm, piuttosto che stare in questo stanzone puzzolente ad ascoltare il racconto delle tue schifose infatuazioni, me ne vado a farmi ammazzare da un fottuto crucco in questo preciso istante. Vattene, o parla di cose che meritano di essere sentite."
Dylan aggrottò le sopracciglia stupefatto. Non si aspettava quella reazione ed Edward se ne rese conto istantaneamente, vergognandosi indicibilmente e credendo di aver fatto una pessima figura.
"D'accordo, non ti scaldare..beh, cose che meritano di essere sentite dici? Quelli del plotone principale hanno stabilito la settimana scorsa che sono totalmente inadatto al volo e troppo imbecille per fare qualunque altra cosa degna di nota, quindi mi hanno affidato l'incarico di smistare e catalogare tutta la roba che viene sottratta ai crauti una volta catturati. Per lo più ci capitano tra le mani orologi di scarso valore, a volte qualche monile di pregio, medagliette, decorazioni e distintivi di sufficiente rilievo da destare la nostra attenzione. Si trovano impantanate nelle uniformi anche fotografie sbiadite e letterine strappalacrime. Una volta ho trovato nei pantaloni di un tizio una bottiglia di Jägermeister, si tratta di un amaro a base di erbe. Era molto buono, io ed un mio amico lo abbiamo provato e non era male; ho pure la roba del tedesco arrivato da poco, comunque, se ti interessa ti porto a fare un giro nei magazzini, tanto non ho niente di meglio da fare e non ho proprio voglia di ritornare in camerata a quest'ora. Ci stai?"
Edward ci rifletté sopra. Era una proposta estremamente allettante, ed anche se provava ripugnanza e non sarebbe riuscito ad ammetterlo nemmeno a sé stesso, moriva dalla voglia di scoprire cosa fosse stato sottratto al giovane ufficiale. Si trattava, a dispetto di tutto, sempre e comunque di oggetti e beni personali, e se gli fosse andata bene sarebbe magari stato in grado di entrare in possesso di una qualche lettera o fotografia, che gli avrebbero consentito di sapere qualcosa in più su di lui; se aveva fratelli o sorelle, da quale città della Germania proveniva, se era sposato o in procinto di contrarre matrimonio a breve..
"Jones? Stai dormendo? Allora, me la dai una risposta o no?" sbadigliò svogliatamente Dylan, osservandolo annoiato.
Edward lo guardò a sua volta. Riuscì a percepire chiaramente il proprio battito cardiaco prendere ad aumentare con virulenza senza che ci fosse alcuna spiegazione plausibile, e una forte oppressione al petto, scaturitagli dal nulla, gli impedì di rispondere all'istante. Rimase in silenzio qualche secondo di più del consueto, per poi fargli un leggero sorriso, annuendo, e dicendo con insolita frenesia : "D'accordo. Andiamo, ti seguo."
 
La cantina del magazzino principale era avvolta dalla penombra e scarsamente illuminata. I corridoi davano l'impressione di essere stretti ed infiniti, e si era immancabilmente costretti a camminare a tentoni, cercando di schivare contemporaneamente una moltitudine eccezionale di sacchi e scatole, dalle più svariate dimensioni, riposte alla rinfusa per terra e sugli scaffali. C'era un disordine cronico, fortemente caotico ed estremamente disagevole, che avrebbe mandato in confusione totale anche l'individuo più sciatto e trasandato presente sulla faccia della Terra.
Edward si guardò attorno aguzzando la vista il più possibile, tentando di far abituare i suoi occhi alla scarsa luminosità presente nel luogo, riuscendoci a malapena; innumerevoli cartacce erano poggiate a casaccio su un tavolone di legno di quercia, mentre una quantità spropositata di pacchi, recipienti e contenitori, che racchiudevano le cose più impensabili, tra cui indumenti intimi, uniformi, orologi, portafogli, astucci, bottiglie di liquori, missive, fotografie ed oggetti della più svariata natura, erano gettati malamente in ogni singolo angolo dell'enorme seminterrato. Edward si domandò, non potendo in alcun modo soddisfare la sua curiosità, chi fossero tutti quei soldati ai quali apparteneva quella schiera immensa ed inusitata di beni, come si chiamassero, da dove venissero, cosa stavano facendo in quel momento, se erano stati talmente fortunati da riuscire a rimanere ancora in vita, e a quali condizioni avessero dovuto sottostare. Erano stati torturati? Li avevano picchiati, malmenati, costretti con la forza a fornire informazioni, di cui molto probabilmente non erano neppure a conoscenza, sui piani del loro regime? E il tedesco giunto da poco, a cui non smetteva di pensare nemmeno per un istante, anche lui aveva fatto la stessa fine? Cosa gli era accaduto, e perché accidenti non riusciva a sopportare l'ipotesi, estremamente veritiera in fin dei conti, che i suoi superiori avessero provveduto a maltrattarlo?
"Jones, fa' attenzione a tutta questa robaccia. È un cazzo di immondezzaio sto posto, lo detesto." la voce di Malcolm contribuì a distrarlo dalle sue riflessioni, ed Edward si rese conto del fatto che stava effettivamente calpestando un intero fascicolo di documenti, raccolti insieme da un piccolo elastico.
"Ehm, cavolo.." mugugnò il giovane visibilmente imbarazzato.
"Lo so, è un casino di merda. Sta' tranquillo, penso di aver trovato la roba che appartiene al tuo tedesco. È tutto qui dentro."
Edward ebbe un moto di spaesamento nel sentire pronunciare dal compagno l'avverbio "tuo" in riferimento al soldato nazista, ma diede l'impressione di non avergli prestato particolare attenzione. Si concentrò piuttosto sul contenuto della scatola di cartone che, con mani sudate e la voce infarcita di un misto di entusiasmo ed apprensione, gli cedeva il giovane ufficiale sfiancato dal duro lavoro.
Gli parve quasi uno scherzo, e rimase terribilmente deluso. Non che si aspettasse di trovare album di famiglia o videocassette riassuntive di ogni capitolo della sua vita, intendiamoci, ma la materia presente era drasticamente inutile a costituirsi anche la più fioca e pallida idea di chi dovesse essere stato prima di arruolarsi e partire per la guerra. Conteneva a stento un paio di oggetti, dai connotati e le caratteristiche tremendamente comuni, una classica uniforme indossata dai soldati schierati con le forze militari naziste, qualche distintivo che non sembrava essere particolarmente importante, l'immancabile pistola che ogni pilota era strettamente vincolato a portarsi dietro nell'attimo in cui procedeva a decollare, mezza tavoletta di cioccolato fondente e una sottospecie di portafogli, che sfortunatamente era privo di qualsivoglia attrattiva degna di nota.
"Solo questo? Sicuro che non c'è altro?" domandò sommessamente, sperando fin nelle viscere che Malcolm gli mostrasse quantomeno un altro contenitore, che possedesse finalmente le cose che lui sperava, con tutto il cuore, di trovare.
"Beh Jones, se ce ne stava una sola con le sue generalità..credo proprio che non ci sia altro. Mi spiace."
Edward abbassò la testa e soffocò un'imprecazione.
"Certo..capisco. D'accordo, senti, io..ho molto da fare e devo andarmene, non posso restare. Ti ringrazio ugualmente per la disponibilità. Ci vediamo."
Si voltò tristemente, dirigendosi a passi lenti verso della porta, quando l'urlo inaspettato di Dylan squarciò brutalmente il silenzio venutosi a creare, facendolo voltare di scatto in preda al panico.
"Edward, aspetta! Credo di aver trovato qualcosa di estremamente interessante..vieni qui!" biascicò gioiosamente l'altro.
Il giovane si precipitò accanto al commilitone visibilmente estasiato, che si premurò di porgergli con irruenza nelle mani un pezzo di carta stracciato e dai contorni bucherellati. Edward la rivoltò velocemente, con l'ansia che gli divorava letteralmente il petto, su sé stessa, e per poco non ebbe l'impressione che gli scoppiasse il cuore nel petto alla visione dei due individui fotografati che, sorridenti e smaniosi di cominciare a ridere a crepapelle, indicavano divertiti l'obiettivo che provvedeva a ritrarli. Il giovane riconobbe in uno dei due il "suo" tedesco, quel dannato nazista che da più di due settimane rivestiva il ruolo di protagonista indiscusso dei suoi sogni, oltre che dei suoi pensieri quotidiani; era talmente strano poterlo osservare, anche se per mezzo di una semplice fotografia, in quella maniera, così spensierato, sereno, allegro, perfettamente felice. L'unica volta in cui lo aveva visto le circostanze non potevano essere che drammatiche e miserevoli, mentre in quella piccola diapositiva sembrava essere racchiuso un intero mondo da scoprire, da conoscere, da comprendere. Stringeva tra le braccia un ragazzino che all'epoca poteva avere una quindicina d'anni, che gli somigliava incredibilmente, avendo lo stesso naso e la medesima espressione. Indicavano entrambi con le dita qualcosa che si trovava oltre l'obiettivo, ed era palese che si stessero sforzando di non ridere per evitare di rovinare lo scatto. Qualche centimetro sotto si noteva una piccola scritta fatta con penna stilografica; Edward non era grado di parlare il tedesco, ma comprendeva fondamentalmente qualche parola, e quando si rese conto che il significato della frase allegata era "dicembre 1933, io e il mio fratellino" il cuore gli si strinse nel petto e ci mancò poco che non si frantumasse in mille pezzi. Il sudore prese a scendergli lungo le tempie, gli iniziò a girare la testa, e la foto gli scivolò dalle mani crollando a terra.
Dylan lo fissò sbigottito.
"Edward? Che diavolo ti prende, ti senti bene?" gli chiese preoccupato, avvicinandoglisi di un paio di passi per sincerarsi delle sue condizioni.
"Ehi, sta' calmo, non ti agitare..quel dannatissimo tedesco è una vera e propria botta in fronte, non è così? Dimmi un po', non ti starai mica innamorando di lui, Edward..?" gli sussurrò dolcemente, accarezzandogli con la punta delle dita un lembo di pelle.
Edward, al suono di quelle parole, ebbe un tuffo al cuore. Lo allontanò brutalmente da sé, per poi scaraventarglisi addosso con tutta la forza di cui era munito, mollandogli un ceffone in pieno viso.
"Vaffanculo, non osare mai più, mi hai capito Malcolm, mai più insinuare una cosa del genere! Non sono e non sarò mai un cazzo di invertito ripugnante e degenerato come te, e la prossima volta che ti permetti di fare ipotesi di questo tipo, giuro su quello che ho di più caro al mondo che non mi limiterò ad un semplice schiaffo. Non avvicinarti mai più a me, mi fai ribrezzo!" urlò con tutto il fiato che aveva in corpo.
Dylan si sollevò lentamente, poggiandosi una mano sulla guancia arrossata, e lo scrutò con aria risentita.
Edward gli rivolse un'ultima occhiata infuocata, per poi avviarsi in direzione dell'uscita.
"Non scordarti mai, Jones, che chi disprezza vuol comprare!" fu l'ultima cosa che le sue orecchie percepirono, prima che la porta venisse sbattuta violentemente.
 
"Allora, me lo fai questo favore o no?"
Avvolto in un pesante cappotto dalla foggia sufficientemente ricercata, Edward fissava angosciato il giovane interlocutore seduto di fronte a lui. Era un ragazzetto di poco più di vent'anni, con i capelli rosso carota, gli occhi serafici piccoli e azzurri, ed un'espressione fortemente sarcastica costantemente stampata in faccia. Aveva il braccio piegato e il mento appoggiato sul dorso del palmo, segno palese teso a dimostrare le accurate ponderazioni che dovevano stargli ronzando nella mente.
"Beh, Edward..chiedi il mondo ad uno che attualmente ha solo un piccolo, minuscolo appezzamento di terra. Che cosa ci ricavo io in tutto questo? Tra l'altro, se mai dovessero scoprirmi, non oso neppure immaginare la fine che mi farebbero fare.." mormorò fintamente contrito il giovane soldato.
"Tranquillo, ho già pensato accuratamente a quest'eventualità. Se mai dovessero effettivamente beccarmi, mi prenderò io la colpa di tutto. Non sapranno mai che sei stato tu, te lo prometto."
Ma quello non sembrava minimamente dare l'impressione di esserne convinto; continuava piuttosto a borbottare sommessamente fra sé e sé, adducendo inutili grattacapi e rogne su rogne.
"Per favore, sei l'unico che può aiutarmi..nessuno sa riprodurre bene la firma di Collins quanto te. Se fossi stato in grado di farlo io, non avrei assolutamente pensato di includere una terza persona, ma non sono capace, si noterebbe palesemente, tutti conoscono lo stile di scrittura di quel caprone.." lo implorò mestamente Edward, poggiandogli una mano sulla spalla.
Fu abbastanza convincente, perché il ragazzetto, dopo ulteriori congetture che durarono come minimo lo spazio di un'ulteriore abbondante mezz'ora, si alzò vivacemente dal materasso sul quale era accasciato e, stringendogli la mano, promise di prestargli soccorso.
"Va bene, ci sto. Non mi interessano le motivazioni, ma devi farmi un favore."
"Certo, tutto quello che vuoi."
"Ecco..al paese, da un po' di tempo, mi reco frequentemente in una locanda dove fanno festicciole molto carine quasi ogni settimana. Ci sta una ragazza che sarei interessato a vedere, ma se lo chiedo a quel bastardo del capitano non mi farà andare neanche se dovessi prostrarmi ai suoi piedi, cosa che non farei, tra l'altro, nemmeno se fossi in punto di morte. Facciamo così, io ci vado lo stesso, di nascosto si intende, e tu mi copri con una scusa qualsiasi, d'accordo?" mormorò audacemente il giovanotto.
Edward annuì, sorridendogli soddisfatto. Dopo essersi stretti la mano, promisero solennemente di prestarsi aiuto reciproco.
 
Friedrich spalancò gli occhi urlando a dismisura. Era l'ennesima volta che accadeva. L'ennesimo sogno che faceva in cui gli inglesi irrompevano in quello spazio ripugnante e disgustoso per avvolgergli un laccio al collo con l'intenzione di strangolarlo. Un piccolo raggio di luce solare penetrava imperterrito nei meandri di una finestrella posta in alto, inonando la cella buia in cui era riverso, disteso su di una minuscola branda, il giovane soldato tedesco. Si alzò con estrema lentezza, tastandosi delicatamente l'intero corpo in preda a dolori lancinanti, e gettò uno sguardo smarrito alle poche cose che lo circondavano. Era stato letteralmente fatto prigioniero in uno spazio di pochi metri di diametro, uno stanzone ripieno di muffa ed umidità, puzzolente e sporchissimo. Vi erano contenuti esclusivamente un materasso che da tempo immemorabile lottava per non soccombere all'irruenza degli acari, ed un secchio per i bisogni fisiologici dei detenuti; altro non si riusciva a scorgere, ed era di gran lunga meglio così.
Da due maledette settimane la sua intera esistenza si era ridotta ad una routine giornaliera di poche ore assolutamente degradante anche per il più abietto degli uomini; dormiva la maggioranza del tempo, intontito contemporaneamente sia dai sonniferi che provvedevano quei cagnacci dei britannici a somministrargli quotidianamente per farlo rimanere tranquillo e impedire che potesse sviluppare eventuali sentimenti di aperta ribellione, ed anche a causa dei molteplici pestaggi cui era stato oggetto dal momento stesso in cui aveva posto piede in quel luogo infernale. Solitamente si presentavano nel tardo pomeriggio, e venivano sempre accompagnati da più ufficiali. Lo facevano inizialmente percuotere con calci e pugni per una buona mezz'oretta, per poi, successivamente, incatenarlo ad una sedia con la scusa di interrogarlo. Friedrich rimembrava esclusivamente che gli avevano domandato più volte se provenisse dai servizi segreti, e ad ogni sua risposta negativa era partito sempre ed immancabilmente un colpo. Erano certi mentisse e non avevano demorso neppure per una singola giornata; alla fine gli lasciavano poche ore di riposo allo scopo di consentire che si riposasse e non soccombesse prima del tempo dovuto, ossia prima di fornire informazioni estremamente allettanti ed appetibili sui piani del proprio regime. Aveva tentato più volte di dire che lui con quegli apparati di polizia non c'entrava nulla, non gli avevano dato ascolto ed anzi, avevano solamente intensificato le sue sofferenze. Erano oramai passati più di quindici giorni, e Friedrich era consapevole del fatto che non sarebbe stato in grado di resistere a lungo. Incominciava già a cedere e presto lo avrebbe fatto del tutto. E quando tale momento sarebbe arrivato, sarebbe parallelamente sopraggiunta la sua fine.
Una lacrima solitaria prese a scendergli sul volto lurido ed estenuato, ed il giovane non fece nulla per evitare che seguisse il suo cammino. Non si vergognava dei suoi sentimenti, riteneva piuttosto che esprimerli apertamente potesse, seppur secondariamente, alleviare i suoi supplizi.
Più di ogni altra cosa gli mancava suo fratello; per tutto quel tempo si era insistentemente sforzato di non pensare a lui, con esiti drammaticamente sfavorevoli.
Stefan era il suo cruccio continuo, non osava neanche immaginarsi cosa fosse accaduto al campo quando ci si doveva essere resi conti del fatto che non era rientrato per tempo, e figurarsi come lui ed Hans dovevano aver reagito era quanto di più angosciante potesse esserci in quei frangenti.
Friderich abbassò le palpebre sconsolato e si poggiò una mano sulla fronte.
Era colpa sua.
Era colpa di quel dannatissimo inglese se adesso si trovava in quella situazione, se era finito incatenato in quelle celle rivoltanti assieme a tanti altri suoi connazionali.
Era soltanto per merito suo.
Ebbe un attimo di esitazione quando notò, nella sua mente, la comparsa della sua figura. Quel suo sguardo penetrante e indagatore, la fisionomia del volto dai contorni delicati e dolci, l'irruenza e la fermezza della voce quando era stato a tal punto intrepido da intercedere in suo favore, nonostante fosse perfettamente a conoscenza dei rischi che correva.
Friedrich ebbe un moto di profonda incertezza al ricordo. Pensò a come quello spocchioso non avesse esitato un singolo istante per difenderlo, alla velocità con cui si era gettato nella mischia impedendo che gli venisse fatto del male, al modo in cui successivamente i loro occhi si erano incrociati, e alla moltitudine indiscussa di emozioni che tali occhiate avevano comportato. Gli era sembrato quasi che l'inglese fosse stato in grado di riconoscerlo, l'aveva osservato completamente impallidito e con gli occhi intenti a scrutare ogni medesimo dettaglio della sua persona. L'aveva guardato come si guarda qualcuno che non si vede da tanto tempo, e Friedrich sentiva l'umiliazione del dover ammettere alla propria coscienza come tali sbirciate avessero avuto esclusivamente l'effetto di fargli aumentare i battiti a dismisura. Aveva compreso quel che aveva detto; aveva avuto addirittura l'impressione che suono più melodico e soave non potesse uscire da bocca umana. E quando era stato zittito gli era parso a momenti di aver intravisto nelle sue fattezze una profonda tristezza.
Non riusciva a capire assolutamente di che natura fossero i sentimenti che nutriva nei suoi confronti; da un lato sperimentava un incredibile risentimento per colui che credeva essere il solo artefice della sua situazione attuale, mentre, dall'altra parte, era in un certo senso consapevole dell'attrattiva e del fascino che quel soldato rivestiva su di lui, ne aveva apprezzato l'indicibile coraggio ed era anche sicuro del fatto che, in realtà, nonostante non riuscisse ad ammetterlo nemmeno a sé stesso, sotto le apparenze e le semplici convenzioni, ci fosse qualcosa di diametralmente più grande ed importante di quello.
Aveva trascorso tre lunghissime settimane nel tentativo disperato di sopraffarlo in volo ed infine compiere la sua missione uccidendolo; si era illuso di odiarlo, di considerarlo un nemico, un semplice e fastidioso ostacolo alla realizzazione dei suoi piani; ventuno disgraziati giorni costituiti da nulla se non una miriade di incertezze, fallimenti, delusioni e rimpianti.
Aveva fallito il compito affidatogli dal comandante procurando sicuramente ai più un immenso dispiacere, era stato fatto prigioniero, aveva perduto suo fratello e molto probabilmente non l'avrebbe mai più rivisto; che cosa gli rimaneva se non piangere e disperarsi? Non aveva alcun futuro davanti a sé; sarebbe stato torturato fin quando non avrebbe confessato qualcosa di utile, e visto che non disponeva di alcunché di opportuno da ammettere, ci avrebbe sicuramente rimesso la vita.
Improvvisamente Friedrich avvertì uno spostamento d'aria. Spalancò gli occhi tenuti abbassati per la stanchezza fino ad un attimo prima; due scarponi neri, macchiati di fango, occupavano per intero lo spazio di pavimento che era intento a fissare. Alzò molto lentamente lo sguardo, temeva di trovarsi di fronte nuovamente uno di quegli sgherri che gli venivano spediti quotidianamente per obbligarlo a parlare. Ma, quando si rese conto che le due pupille cerchiate di un caldo color nocciola erano quelle che appartenevano al suo nemico, per poco non gli si gelò il sangue nelle vene. Era lui. Era Edward Jones.
 
Edward non credeva di essersi mai sentito male come in quello specifico frangente.
Sentiva il cuore battergli a mille e proprio non sapeva come fare per calmarsi. Il soldato nemico lo stava frattanto fissando sconcertato e impallidito, assolutamente sbigottito e completamente avvinghiato su sé stesso, senza pronunciare nemmeno una parola. Sembrava fosse sul punto di mettersi ad urlare da un momento all'altro, ed Edward sapeva di dover impedire ad ogni costo che una cosa del genere avvenisse se non voleva che lo scoprissero. Venire scovato avrebbe significato una drastica punizione, oltre ad una probabile espulsione dai ranghi per lui, e la quasi sicura condanna a morte immediata per il crauto, alludendo come motivazione potenziale favoreggiamento di terzi.
Cercò di essere il più gentile possibile. Gli si avvicinò pacatamente e tentò di allungargli una mano, ma il tedesco reagì prontamente; si sollevò di scatto e si ritrasse spaventato da quel contatto, relegandosi contro la parete e persistendo nell'osservarlo totalmente frastornato. Dava l'idea di essere incredibilmente perplesso, e quella strana apparizione gli aveva esclusivamente generato un profondo disorientamento.
Edward abbassò lentamente il braccio e gli sorrise debolmente.
"So che comprendi la mia lingua. Ascolta..non so neppure io perché sono qui, in questo posto, e le cose che ho fatto per arrivarvi..sentivo però di doverti incontrare, anche se non ne conosco le ragioni. Pensavo in un primo momento fosse solo per restituirti questa, ma poi..diamine, davvero non ne ho la più pallida idea. Io..mi dispiace immensamente per le cose che ti hanno fatto. È stato uno scontro magistrale, quello che sei stato capace di condurre. Da settimane sognavo un Messerschmitt simile al tuo, mi tormentava ogni singola notte, presto o tardi sarei arrivato ad impazzire.."
Senza rendersene conto, e forse a causa dell'eccessiva tensione emotiva, Edward si fece scivolare via dalla tasca la fotografia appartenente al tedesco. Friedrich se ne accorse istantaneamente, e spalancò le palpebre assolutamente sconcertato. Aveva implorato fin allo stremo, fin quando non gli erano mancate le forze, affinché non gliela portassero via; era l'unica cosa che gli rimaneva del fratello, l'ultimo appiglio di speranza, il solo oggetto che ancora gli ricordasse la sua non appartenenza a quel maledetto luogo infernale. Non era stato ascoltato. Gliel'avevano strappata con brutalità assieme ai restanti suoi effetti personali, senza mostrare anche soltanto un briciolo di pietà.
Il giovane soldato alzò lo sguardo in direzione delll'inglese che aveva di fronte. Gli fissò la faccia, le labbra, gli occhi, e in un momento, senza che fosse in grado di figurarsene in alcun modo la motivazione, dimenticò tutti i pensieri e le congetture prodotte su di lui, e realizzate dalla sua mente solo qualche attimo prima; pensò alla sua diretta implicazione nella vicenda, rimembrò come non avesse avuto scrupoli nell'attaccarlo fino a farlo capitolare per i troppi colpi inferti. Si rese conto di come fosse lui, esclusivamente lui, lo sciagurato responsabile del suo abbattimento, della sua conseguente prigionia, del suo drastico allontanamento dagli affetti più cari, dalla patria di appartenenza, da ogni specifica cosa rivestisse per lui una seppur minima forma di importanza.
Il sangue gli si gelò nelle vene, e contemporaneamente presero ad infervorarsi le membra; in un impeto irrazionale di furia e di rancore incontrollato, gli si scagliò addosso di peso, afferrandogli il collo con le mani gelate, usufruendo di tutta la forza che ancora gli rimaneva. L'inglese indietreggiò sbigottito, non comprendeva cosa stesse accadendo ed, internamente, dava l'impressione di non esserselo aspettato nemmeno.
"È colpa tua se sono finito qui! È solamente colpa tua!" urlò ferocemente Friedrich, trattenendo a stento le lacrime.
Edward non capiva. Non riusciva, a nessun costo, a capacitarsi di come fosse possibile che una cosa del genere si stesse verificando, proprio a lui, in quel frangente. Le mani del crauto gli si erano saldamente strette intorno alla gola, senza che potesse opporre in alcun modo una qualche forma di resistenza. Decise semplicemente di abbandonarglisi tremando a dismisura come una foglia; non aveva la capacità di fronteggiare quell'attacco dettato dalla pura intensità della disperazione, e, a dire la verità, non se la sentiva nemmeno. Sapeva che non era la cosa giusta da fare.

L'ultima cosa che credette di udire fu il grido concitato di qualcuno che si dirigeva nella loro medesima direzione, e si ricordò anche di due grosse e muscolose braccia che gli afferrarono prepotentemente il torace, allontanandolo velocemente da quella stretta diabolica, sospingendolo indietro ad una insignificante, e, nonostante questo, fondamentale distanza di sicurezza.
 
"Stefan, non hai idea di quello che mi stai chiedendo".
Avvolto in un pastrano nero dalla foggia enormemente raffinata, Hans Bauer fissava sconcertato e con gli occhi fuori dalle orbite il giovane soldato tedesco che gli si stagliava di fronte. Stefan non dava l'impressione di starlo a sentire; fissava completamente assorto un punto indefinito all'orizzonte, e tutto si sarebbe potuto pensare, tranne che avesse compreso realmente quel che il suo migliore amico gli stava dicendo.
"Mi stai ascoltando, per Dio? Davvero mi hai svegliato nel cuore della notte, facendomi venire quasi un infarto tra l'altro, per portarmi in un fottuto hangar e dirmi..questo?" L'amico gli si avvicinò rapidamente per poggiargli le mani sulle spalle, cercando di attirare miseramente la sua attenzione.
Stefan parve d'un tratto rinvenire. Gli sorrise gentilmente, e poggiò saldamente le proprie mani sulle sue.
"Comprendo il tuo sconcerto, Hans, ma non posso restarmene qui impalato a contare le mosche aspettando di ricevere notizie inconcludenti quando mio fratello potrebbe essere là fuori, vivo e vegeto, magari fatto prigioniero in uno stramaledettissimo accampamento britannico.." proruppe con tono deciso che non ammetteva repliche.
Hans sembrò sul punto di farsi venire una crisi isterica.
"Stefan, ti rendi conto che ti stai basando su un'ipotesi completamente campata per aria? È vero, non sono stati rinvenuti i resti dell'aereo in mare, ma niente esclude che possa essere stato tranquillamente messo alle strette e abbattuto in territorio inglese..per favore, togliti questo folle proposito dalla testa, Friedrich non avrebbe mai voluto che tu facessi una cosa così stupida e priva di senso! Pensa ai rischi che correresti, maledizione! Tu che a stento hai pilotato un velivolo in tutta la tua esistenza, forse per una decina di minuti, metti a repentaglio la tua stessa vita per seguire una possibilità remotissima in una marea di certezze..hai sentito anche tu cosa ha detto Schulz, diamine! Ti ha addirittura concesso di ritornartene a casa! Lo ha fatto in virtù della grande stima che nutriva nei confronti di tuo fratello..dobbiamo metterci l'anima in pace, amico mio, anche io gli volevo un gran bene, ma adesso lui..lui.."
Stefan lo fissò furente. Spinse via le braccia che lo stringevano caparbiamente alla figura dell'amico, e gli puntò addosso uno sguardo colmo d'ira.
"No! Basta! Stammi a sentire, perché ti assicuro che queste parole le sentirai uscire dalla mia bocca una volta sola..mio fratello è vivo, capito? È vivo! Sono certo che lo sia! Non chiedermi come faccio a saperlo, ma ne sono più che sicuro. Non posso permettere che gli sia fatto del male, devo andare da lui. Devo cercarlo, lo devo riportare qui, da noi. È questo il luogo a cui appartiene."
"Stefan.."
Stefan gli voltò le spalle, e, d'improvviso, prese a camminare lentamente per la vastissima rimessa, osservando rapito i numerosi aeromobili riposti.
"Sai, quando eravamo piccoli, giocavamo molto spesso nelle radure immense che si estendevano tutt'attorno alla nostra magione di campagna. Ricordo che, tra uno dei nostri divertimenti preferiti figurava il nascondino..passavamo ore intere a studiare accuratamente anfratti sconosciuti nei quali avremmo potuto rifugiarci senza farci scoprire da nessuno, e ci divertivamo tantissimo. Un pomeriggio stava piovendo e la nebbia era molto fitta..nostro padre ci sconsigliò di uscire fuori ma noi non gli demmo retta, e andammo lo stesso. E successe purtroppo l'irreparabile. Ci perdemmo ed alla fine io persi lui. Avevo un pessimo senso dell'orientamento, ma, non so ancora come, alla fine riuscii a tornare a casa..con le lacrime che mi scorrevano irrefrenabilmente lungo le guance. Passammo cinque lunghissimi giorni a cercarlo. Mio padre era disperato ed io..come catapultato in una sottospecie di stato catatonico..non facevo altro che girare a vuoto per quei boschi rarefatti urlando il suo nome. Alla fine passò più di una settimana e mio padre rinunciò alle ricerche, scrisse una lettera alla madre di Friedrich in cui le annunciava il terribile avvenimento esortandola a raggiungerci il prima possibile, e si rinchiuse in casa assieme a me, sigillando con la chiave tutte le porte per impedirmi di uscire fuori. Diceva che non voleva mi capitasse quel che malauguratamente era avvenuto a lui. Io fingevo di assecondarlo ma la notte, complice la serratura rotta di una piccola finestrella in camera nostra, mi mettevo a correre all'impazzata per la radura con una torcia in mano, gridando angosciatamente che ero io, Stefan, suo fratello, che non doveva avere paura, che lo avrei riportato a casa sano e salvo. Ed alla fine lo trovai. Lo trovai, Hans. Terrorizzato, lo ammetto, con i vestiti laceri e imbrattati, la pelle sporca e affamato come un cucciolo sottratto ai genitori, ma era lui. Era mio fratello, ed era vivo. Avevo sempre saputo che lo era, ecco perché non avevo mai smesso di cercarlo. Io sento che questa volta è esattamente la stessa cosa. Lui è là fuori, probabilmente pensa di continuo a noi, non sa come tornare ed io..io non posso starmene qui a non fare nulla. Lui mi ha sempre protetto, ora tocca a me fare lo stesso."
Hans lo guardò confuso e a tratti commosso, senza avere la più pallida idea di cosa dire.
"Stefan, io..capisco perfettamente ciò che intendi, ma.."
Stefan non gli diede nemmeno il tempo di finire la frase.
"Ascoltami bene, Hans. Friedrich ha passato tutta la vita a dirmi cosa potevo o non potevo fare. Per una volta..per una sola volta, voglio poter decidere io cosa è giusto per me."
Detto ciò, si avvicinò furtivamente ad un piccolo aereo posto nell'ombra. Gli carezzò dolcemente la facciata, per poi sussurrare lentamente : "Questo andrà benissimo."
Hans sembrò sul punto di mettersi a piangere.
"Non c'è davvero niente che io possa dire o fare per convincerti a non andare?"
Stefan lo guardò.
"No. Mi spiace."
"E come farai ad orientarti? A sapere quale accampamento è quello giusto? Ce ne saranno a decine lì e, se dovessi sbagliare.."
"Non devi preoccuparti. Ho avuto davvero molto tempo a disposizione per riflettere e stilare dei punti chiave, seguendo le indicazioni del navigatore di bordo prima che si scaricasse."
Bauer non sembrò per niente convinto.
Stefan non gli diede retta; si arrampicò celermente sopra una fiancata del velivolo e prese repentinamente ad aprire, tentando di non far troppo rumore, l'enorme portellone. Una volta posizionatosi ai comandi, gettò un'ultima occhiata verso colui che era stato uno dei suoi più grandi amici in quel maledetto luogo.
"Aspettami, Hans. Aspettami perché ti assicuro che tornerò, e lo farò con Friedrich."
Lo vide partire. Lo vide innalzarsi in volo e sparire all'orizzonte, nella notte buia e ripiena di tenebre. Si sentì quasi mancare; si fece dunque subito il segno della croce, per poi mettersi a pregare augurandosi vivamente che tutto andasse per il meglio.

 
   
 
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