Anime & Manga > City Hunter/Angel Heart
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Autore: EleWar    24/04/2023    6 recensioni
“Non dovevi andare in quel club per imparare a sparare, non ti permetterò di uccidere nessuno!” sentenziò l’uomo, cercando di ergersi sull’esile figura della socia.
E' difficile non ricorrere alle pistole quando si è degli sweeper professionisti, ma Ryo non vuole che Kaori diventi un'assassina... eppure... sarà solo questo che metterà in subbuglio i nostri amati City Hunter?
Genere: Angst, Avventura, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Kaori Makimura, Nuovo personaggio, Ryo Saeba, Saeko Nogami
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: City Hunter
Capitoli:
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Bene, il tanto agognato momento dell’incontro fra i nostri amori, c’è stato, nel capitolo precedente, con tanto di notte d’amore. Quasi quasi la storia avrebbe potuto concludersi qui, che ne dite? E invece mancano ancora alcune cosine da raccontare, prima di mettere la parola fine a questa fic. Non manca tanto.
Nel frattempo, gustatevi (?) questo tredicesimo capitolo.
GRAZIE di tutto a tutti
Eleonora

 
 
 
Cap. 13 - Salvarsi
 
Tlic, tlic, tlic.
Un persistente, disarmonico, ritmico gocciolare li ridestò.
Kaori fu svegliata da un’unica goccia gelida, che a tratti le cadeva sul viso giungendo chissà da dove, e riuscendo ad attraversare la barriera del paracadute di Ryo che faceva loro da riparo.
Si mosse a disagio e aprì gli occhi.
Erano ancora avvinghiati, coperti alla meglio con i vestiti di Ryo e con quella cerata di fortuna che aveva preservato il calore corporeo dei due.
Il fuoco era ridotto a poche ceneri fumanti e, senza altra legna da aggiungere, le fiamme non avrebbero ripreso a danzare, scaldandoli.
Muovendosi finì per svegliare anche Ryo che, sbattendo più volte le palpebre, infine le sorrise.
 
“Direi che la neve si sta sciogliendo!” esclamò l’uomo.
 
“Bene, almeno potremmo uscire di qui e avere più libertà di movimento. Magari con un po’ di fortuna Falcon riuscirà anche ad atterrare!” rispose Kaori entusiasta.
 
Anche se quella strana avventura aveva preso una piega davvero piacevole, era stanca di restarsene accampata ancora lì in quel tugurio, con pochi vestiti sporchi e laceri, senza fuoco, senza cibo, senza potersi lavare; si sentiva sudicia e bramava un bagno caldo, anzi bollente.
 
“Sugar, mi dispiace deluderti, ma qui non c’è abbastanza spazio per un elicottero, credo che dovrà issarci con una scaletta di corda volante, o con un verricello…”
 
“Wow, non ci facciamo mancare niente, eh?” gli disse lei ridacchiando.
 
“Non saremmo i City Hunter, sennò!” le rispose di rimando, tirandosi su a sedere, e stirandosi pigramente “Dovremmo provare a rivestirci” suggerì.
 
“Ad averli, dei vestiti!” ribatté Kaori sospirando.
 
Lui si limitò a sorriderle, infilandosi il maglione e i calzoni, mentre lei recuperava ciò che restava dei suoi pantaloni e provava ad infilarseli, ma la gamba fasciata faceva resistenza sul tessuto stracciato, e Ryo l’aiutò.
Quando indossò la sua giacca a vento, sul petto nudo, lui si offrì di chiuderle la zip, e lo fece con sguardo malizioso; sembrava volerle dire: “Per il momento lascio perdere, altrimenti…”; Kaori, che se ne accorse, ridacchiò arrossendo.
 
Si guardarono intensamente.
 
Avevano passato una nottata stupenda, che aveva superato perfino la loro prima volta insieme, forse perché ora erano più consapevoli e più innamorati ancora; Ryo si era finalmente deciso, in tutto e per tutto, e non sarebbe tornato sui suoi passi, Kaori ne era certa e il compagno appariva sereno e felice, quasi leggero, come non l’aveva mai visto.
Sì, quella era l’alba di un nuovo giorno, di una nuova vita insieme.
 
Tutto stava a riuscire ad andarsene via da lì.
 
Ryo si diresse all’entrata del rifugio per controllarne l’esterno; il sole baluginava ad est e inondava di luce rosa quel mare scintillante di neve e ghiaccio, e per un attimo rimase senza fiato: quello era uno spettacolo insolito per chi era abituato a una metropoli come Tokyo e lo sweeper pensò che lì, immersi nella natura, anche l’anima si alleggeriva dalle brutture del mondo.
 
Si voltò, quasi commosso, a guardare la compagna e le fece segno di raggiungerlo.
Kaori gli andò incontro e, non appena gli si avvicinò, lui le disse, mostrandole il crepuscolo:
 
“Guarda: non è magnifico?”
 
Kaori emise uno wow di stupore e, prendendolo a braccetto, si strinse a lui; gli appoggiò la testa sulla spalla e, sospirando, si disse che era la donna più felice del mondo.
 
Quando la luce calda del giorno si stemperò nei colori freddi del panorama, rabbrividendo tornarono verso il bivacco.
 
“Che peccato non aver più legna…” mormorò Ryo, smuovendo le braci e la cenere.
 
“Potremmo bruciare questo!” esordì Kaori, porgendogli il suo reggiseno ormai inservibile e facendogli l’occhietto; non si capiva se fosse seria oppure no.
 
“Di-dici sul serio?” chiese Ryo al colmo dello stupore.
 
“Be’, tanto è diventato un cencio!” rispose con un sorriso divertito.
 
Lei glielo lanciò e lui, presolo al volo, se lo portò al viso, affondandoci il naso.
 
“Dai, Ryo, non fare il melodrammatico! Quello ormai non vale più niente!” lo canzonò la compagna.
 
“Hai ragione, eppure voleva dire molto per me…” continuò lui con un velo di amarezza nella voce, però poi, a malincuore, lo gettò sulle braci e tutto sommato prese fuoco, sprigionando delle timide fiamme che ebbero solo il pregio di illuminare il bivacco, e non certo quello di riscaldarli.
 
Fissarono entrambi le fiamme in silenzio, ognuno assorto nei propri pensieri, che a dispetto dell’atto apparentemente drammatico, almeno per Ryo, erano piacevoli e dolci; poi il socio si riscosse e disse:
 
“Dovrei avere ancora un’altra barretta energetica, da qualche parte” e si dispose a frugare nello zaino, mentre borbottava fra sé: “Considerata l’attività fisica di questa notte, me ne servirebbe un quintale, ma non immaginavo di certo che sarebbe andata a finire così…. Però non mi lamento, anzi!”
 
“Di cosa stai parlando?” gli domandò la donna avvicinandosi.
 
“Niente, niente, eh eh eh eh eh” finì per ridacchiare Ryo, estraendo trionfante la famosa barretta “Temo che dovremo fare a metà con questa” le disse porgendogliela “Forse c’è rimasto anche un goccio di caffè nel termos, anche se ormai sarà freddo” concluse, stringendosi nelle spalle con aria dispiaciuta.
 
“La più bella e buona colazione di sempre!” esclamò allegra la ragazza, sorridendogli.
 
Consumarono la loro parca colazione senza parlare, assaporando fino in fondo le poche cibarie, grati comunque di essere lì e insieme.
Poi, nel silenzio della landa innevata, sentirono in lontananza l’inconfondibile rumore di un velivolo in avvicinamento.
Drizzarono le orecchie e si misero in ascolto; sì, era il rumore di un elicottero.
Stava arrivando Falcon!
 
Si precipitarono di fuori e iniziarono a sbracciare e a gridare:
 
“Siamo qui! Siamo qui!”
 
“Falcon! Falcon, qui, qui!”
 
Il gigantesco mercenario li avvistò subito, nonostante i problemi alla vista; c’era da chiedersi come facesse a pilotare un elicottero o a guidare un qualsiasi altro mezzo di trasporto, ma perdendo la vista aveva sviluppato al massimo tutti gli altri sensi e, comunque, le aure dei due amici erano così potenti che le avrebbe riconosciute a chilometri di distanza.
 
Umibozu prese a girare in tondo sopra il rifugio ma, come aveva predetto Ryo, non c’era abbastanza spazio per atterrare; si decise ad aprire il portellone e i due sweeper videro chiaramente Miki gettare fuori bordo un lungo cavo metallico, a cui era assicurato, in fondo, un enorme gancio a moschettone ed un’imbracatura.
 
Ryo si preoccupò di afferrare il cavo oscillante e, facendo segno a Kaori di raggiungerlo, iniziò a sbrogliare le fasce dell’imbracatura.
Erano entrambi tutti presi a districare le protezioni e ad infilarcisi dentro, quando un boato li fece voltare di scatto.
Era il rifugio alle loro spalle che, con uno schianto improvviso, era collassato su sé stesso; non aveva retto al peso della neve che si stava sciogliendo e agli spostamenti d’aria dei rotori dell’elicottero.
 
I due sweeper si guardarono, sorpresi e preoccupati, e pensarono entrambi che avevano fatto giusto in tempo ad uscire e che probabilmente, anche senza le sollecitazioni delle correnti d’aria, quella baracca avrebbe ceduto ugualmente.
Mentalmente tirarono un sospiro di sollievo, ma il tutto durò lo spazio di un secondo perché Falcon stava sospeso a mezz’aria sopra di loro, aspettando di poterli issare a bordo, e non c’era tempo da perdere; non dovevano sprecare carburante e prima ripartivano da lì, meglio era.
 
Quando Kaori fu perfettamente imbracata, Ryo l’abbracciò stretta, ancorandosi perfettamente agli spallacci e alle bretelle: a quel punto diede il segnale a Miki di procedere con il ritiro del verricello, e lentamente vennero tirati su, verso l’alto.
 
Kaori stava rabbrividendo, lei che era la meno vestita dei due, perché più si staccavano dal suolo più l’aria era fredda, e in quel turbinio di vento che le scompigliava i capelli e le gonfiava un po’ la giacca di Ryo che le andava decisamente troppo larga, gli spifferi che le si infilavano dappertutto, le ghiacciavano la pelle nuda sotto la stoffa impermeabile.
Non si lamentava, per non fare la figura della donnicciola, Ryo però, che la sentiva rabbrividire sotto le sue braccia, le si fece più vicino e le gridò quasi nelle orecchie, per sovrastare i motori dell’elicottero:
 
“Tranquilla, ci sono io qui con te!”
 
E Kaori fu sul punto di sciogliersi, perché mai Ryo le si era rivolto così, lui che la considerava un uomo che doveva essere forte e coraggioso, che mai avrebbe dovuto lamentarsi o piagnucolare; lui che apparentemente non ammetteva debolezze nella sua partner di lavoro, finalmente la stava trattando da donna, con tutte le fragilità del caso.
Come un essere di cui prendersi cura, da proteggere, proprio come faceva con tutte le clienti che si affidavano a loro due.
Si commosse e una lacrima le colò sulla gota.
Nonostante tutto, però, Kaori sperò che il socio la scambiasse per una semplice lacrimazione dovuta al freddo e all’aria diretta negli occhi.
 
Un secondo dopo erano a bordo e Miki e Saeko li stavano già aiutando a liberarsi dell’imbracatura.
Chiuso il portellone, Umi virò a dritta e riprese la via del ritorno.
 
Finalmente si tornava a casa!
 
 
 
 
 
 
Il viaggio di ritorno sembrò a tutti molto più breve dell’andata, forse perché mentre il silente Falcon pilotava l’elicottero alla volta di Shinjuku, Miki, Saeko, Ryo e Kaori erano tutti presi ad aggiornarsi sulla situazione, a chiedere notizie e chiarimenti, a raccontare agli altri la parte avuta nella faccenda.
 
Saeko spiegava come avessero condotto le indagini, gli interrogatori a Seitaro e a Kurai; Ryo come avesse fatto a trovare Kaori, chiedendo un passaggio Shoko Amano, passando prima a dare una strapazzata ai componenti della banda Minamoto-Kamakura; Kaori come avesse vissuto la sua avventura, lì ai margini del bosco, ancora stordita dalla droga, mezza svestita e dolorante, e di come avesse trovato quel rifugio di fortuna, fino all’arrivo di Ryo.
Entrambi gli sweeper, però, non fecero parola del loro riavvicinamento, ancora troppo emozionati per esporsi agli amici che, da parte loro, erano fin troppo felici di averli recuperati sani e salvi.
Miki invece non faceva che subissare di domande la sua amica Kaori, ad abbracciarla e coccolarla, ripetendole quanto lei e Falcon fossero stati in pensiero per lei.
Anche loro frustrati nell’attesa e impazienti di entrare in azione, quando Shoko li aveva contattati, riportandogli il messaggio di Ryo con tanto di coordinate, Miki era saltata su piena di grinta, pronta a correre in soccorso di Ryo e Kaori; ma Umi l’aveva frenata, facendole presente che avrebbero dovuto viaggiare di notte e che nella zona interessata si era verificata una discreta nevicata.
Ma ora erano tutti finalmente insieme: adesso la priorità era portare Kaori dal professore per farla visitare, e poi tornare ad un minimo di normalità.
 
 
 
 
Poco prima che si salutassero tutti, nella pista di atterraggio della clinica, Saeko si avvicinò a Kaori e, abbracciandola come non aveva fatto mai, le sussurrò all’orecchio:
 
“Sono molto contenta che tu sia tornata a casa sana e salva… stavolta ho temuto veramente il peggio…per fortuna ora sei qui” poi, ritraendosi quel tanto che bastava per guardarla negli occhi, aggiunse: “Ryo stava andando fuori di testa, non so cosa sarebbe successo se tu… Ti ama molto, Kaori, non dimenticarlo” e le rivolse uno sguardo carico di significato; un misto di gelosia forse, come se le invidiasse quell’amore, contentezza e soddisfazione, ma anche una solitudine che veniva da lontano.
 
Kaori non riuscì a proferire parola, troppo stupita da tutto, dal comportamento così affettuoso e sincero dell’ispettrice Nogami che, finalmente, si dimostrava un’amica affezionata; dalle parole della stessa che, però, trovavano riscontro con il comportamento di Ryo di quelle ultime ore.
Era anche destabilizzata dal significato profondo di quelle rivelazioni, che dicevano finalmente molto dei sentimenti di Saeko e di Ryo nei suoi confronti.
Prima di allontanarsi definitivamente, Saeko le lasciò un unico bacio leggero sulla guancia, ma Kaori non ebbe nemmeno il tempo di dirle alcunché, che l’ispettrice era già risalita a bordo dell’elicottero, pronto a rialzarsi in volo.
 
Ryo aspettava la socia sulla porta della clinica; si era tenuto discretamente a distanza dalle due donne, poiché aveva intuito che Saeko volesse parlarle in privato.
Non si era stupito, considerando quanto la sua amica ispettrice si fosse spesa per ritrovare Kaori e permettere a Ryo di andarla a riprendere.
 
Falcon, ma soprattutto Miki, le avevano già espresso la loro gioia per averla nuovamente fra loro, già durante il viaggio di ritorno, quindi non c’era bisogno di aggiungere altro.
 
Poco prima di accomiatarsi, Miki le aveva lasciato una maglietta delle sue, affinché non si presentasse da quel vecchio mandrillo del Doc vestita solo di una giacca a vento senza nulla sotto e di un paio di pantaloni tutti stracciati.
Anche se in teoria Kaori, per farsi visitare, si sarebbe dovuta spogliare comunque, con quel porcello non c’era mai da stare tranquilli.
 
Quando Ryo e Kaori furono al cospetto del dottore, questi, esaminando la gamba fasciata della ragazza per verificare la ferita sulla coscia, disse, rivolto allo sweeper:
 
“Ehi, Baby face, quanto zelo!” intendendo l’eccessivo uso di garza.
 
“Professore, quante volte le devo dire di non chiamarmi così? Soprattutto davanti a Kaori?”
 
“Ah, sì? Che non dovevo chiamartici davanti a Kaori, questa è nuova!” e si atteggiò come se dovesse sforzarsi di richiamare alla mente il momento preciso della raccomandazione, o meglio della minaccia, che gli aveva fatto Ryo.
Poi aggiunse: “No, non mi ricordo che tu me lo abbia mai detto, ma che importanza ha? Tanto questa santa donna ti conosce, ormai, caro il mio Baby Face!” e ridacchiò sotto i baffi.
Quindi, tastando leggermente la ferita che si era ormai disvelata, sentenziò: “Però hai fatto un bel lavoro. La lesione si sta già rimarginando e a me non resta che lavarla e disinfettarla. Con un unguento specifico vedrai che guarirà in fretta, e tu, mia cara, potrai nuovamente sfoggiare il tuo metro di gamba come prima” e già un filo di bava pendeva dalla sua bocca.
 
“Professore!” lo redarguirono quasi in coro i due City Hunter.
 
“Eh eh eh eh, scusate, mi ero fatto prendere dall’entusiasmo” rispose, grattandosi la chierica.
Fattosi nuovamente serio, proseguì dicendo: “Per quanto mi riguarda, io sono a posto. Tutto sommato Kaori sta bene, la ferita più grande è questa qui, ma sta già guarendo; gli altri sono, per fortuna, solo piccole ferite ed ecchimosi senza importanza. Direi che un bel bagno caldo e una buona dormita , saranno la miglior medicina per tutto” e sorrise bonariamente dietro le spesse lenti “Se vuoi, Kaori, puoi rimanere qui anche stanotte, ma immagino che vorrai tornartene a casa il prima possibile”.
 
“Dice bene, professore: ho bisogno del mio letto, della mia vasca da bagno, di mangiare come si deve e di vestiti” finì di dire arrossendo, sicura che il macaco si fosse già accorto dello stato in cui era, anche se riuscire ad arraparsi davanti a quel pessimo spettacolo che gli stava offrendo, era da maniaci pervertiti.
Ma con il Doc – e con Ryo, a volte – tutto era possibile.
 
La ragazza si voltò, istintivamente, a guardare il socio che, se da un lato sembrava più sollevato constatando la buona saluta della partner, dall’altro pareva sulle spine, come impaziente di andarsene da lì.
Lo guardò interrogativamente, ma lui si limitò a sorriderle.
Lei, sempre senza staccare gli occhi da Ryo, reiterò, all’indirizzo del professore:
 
“No, grazie, ho proprio bisogno di tornare a casa, a casa mia”.
 
Del resto, al bisogno che aveva di lavarsi, di cibo e relax, si aggiungeva una voglia matta di restare finalmente da sola con Ryo, a casa loro.
E qualcosa le diceva che anche per lui fosse lo stesso.
Sorrise deliziata.
 
Il professore li richiamò alla realtà dicendo:
 
“Ah, Baby face, puoi prendere la mia macchina per tornare a casa, basta che non ci vai in giro a fare porcate… e se proprio devi, basta che poi me le racconti eh eh eh eh eh” ridacchiò sguaiatamente.
 
I due soci si portarono la mano alla fronte e uno stuolo di corvetti gracchianti passarono sopra di loro.
 
 
 
 
Nemmeno un’ora dopo i due sweeper erano finalmente nel loro appartamento.
 
Kaori, per prima, era corsa a farsi una doccia bollente ed aveva indugiato parecchio sotto il getto di acqua calda: aveva bisogno di ritemprarsi in tutto e per tutto, di scacciare quel latente senso di gelo che quasi se lo sentiva fin dentro le ossa, ma anche di schiarirsi le idee e poter pensare con tranquillità a tutti gli eventi che si erano succeduti in quegli ultimi giorni.
Un pensiero fra tutti l’assillava particolarmente, e cioè che Ryo, come giustiziere di Shinjuku, per farsi ulteriormente rispettare, avrebbe dovuto impartire una lezione a chi aveva osato trattarla in quel modo.
Avrebbe dovuto lanciare un messaggio forte a tutti i criminali di Tokyo e dintorni, ora più che mai, ora che era diventata la sua donna a tutti gli effetti.
Se prima, quando era ancora e solo la sua socia in affari, era comunque da pazzi rivalersi su di lei per danneggiarlo e spingerlo ad agire, ora che erano una coppia, avrebbe significato la morte.
 
Quando lei e Ryo si erano conosciuti, Kaori non immaginava ancora tutto il passato dell’uomo, nemmeno quello più recente, quando all’occorrenza si trasformava nell’Angelo della morte, nel vendicatore senza pietà, ma poi, frequentando i bassifondi, aveva sentito raccontare storie su di lui, alcune solo accennate, e solamente i più chiacchieroni si erano lasciati andare a tali racconti, perché tutti avevano un timore reverenziale di Ryo: tutti, sotto sotto, lo temevano, temevano la sua ira, la sua vendetta.
E Kaori non dubitava che, stavolta, Ryo avrebbe fatto qualcosa di importante, di tragico, e non invidiava chi se lo sarebbe trovato sulla propria strada.
Capiva la posizione del socio, ma le rincresceva enormemente essere lei la causa di tanta infelicità; non voleva che Ryo si macchiasse di altro sangue, neppure se questo era sangue criminale.
Kaori non voleva che lui uccidesse per vendicarla, ma non sapeva come dirglielo.
Troppe cose si erano succedute velocemente nella sua vita, nella vita di entrambi, sconvolgendo il loro ménage.
Restava inoltre in sospeso la questione della sua decisione di imparare a sparare, di diventare brava e valente come lui, motivo che l’aveva spinta a frequentare quel fatidico corso al poligono che li aveva portati fino a lì.
Anche se… non poteva accollarsi la colpa di tutto quello che era successo, perché Kama usava quel sistema collaudato per arruolare i suoi accoliti, e sarebbe finita nelle sue mani anche se fosse stata una semplice ragazza, predisposta e dotata, che si era avvicinata al mondo delle pistole, del tiro a segno, della polvere da sparo ecc., e non una sweeper.
Pure di quello avrebbero dovuto parlare e chiarirsi.
 
Scacciò dalla testa tutti quei pensieri pesanti, che le rovinavano il tanto agognato ritorno a casa; ormai erano lì e, prima o poi, avrebbero risolto tutto, stavolta insieme.
 
 
 
Uscita dalla stanza da bagno si diresse in camera sua, per indossare biancheria pulita e un comodo pigiama dei suoi; non sapeva ancora se per quella notte avrebbero dormito insieme oppure no… anche quello lo avrebbero deciso strada facendo, lei aveva solo bisogno di indossare abiti confortevoli e caldi.
Fatto ciò, raggiunse la cucina dove l’attendeva Ryo.
 
L’uomo, aspettando che si liberasse la doccia, si era appisolato sul divano, con ancora il telecomando in mano, la testa buttata all’indietro, la bocca appena dischiusa.
Kaori provò un istintivo moto di tenerezza verso Ryo, e subito pensò che ancora non le pareva vero che la notte prima si fossero amati, veramente, e che stavolta lui non avesse ritrattato nulla di quello che avevano fatto.
Quella forse era la volta buona che la loro storia spiccasse il volo, e si evolvesse come era giusto che fosse.
Guardandolo così, rilassato e arrendevole, di nuovo Kaori si rammaricò per lui che, di lì a poco, si sarebbe dovuto trasformare in vendicatore; non le sembrava nemmeno possibile e le si strinse il cuore.
 
Sospirando, si diresse in cucina e, aprendo il frigorifero, si disse che aveva bisogno di cibo sostanzioso per poter ragionare meglio, per rimettersi in forze, per ritrovare un po’ di normalità
Si mise a spadellare e l’acciottolio dei piatti e delle stoviglie ridestò Ryo che, per un attimo, si crogiolò in quella calda atmosfera familiare: Kaori in cucina che preparava cibi deliziosi per lui, per lei; la loro casa, quel comodo divano dove schiacciare un pisolino, loro due finalmente e ancora insieme, loro due finalmente amanti…
Sorrise beato.
 
Kaori, che si era accorta di lui, alzando la voce per farsi sentire anche da lì, gli chiese:
 
“Scusa, ti ho svegliato?”
 
“Oh, no, non preoccuparti” e le lanciò un sorriso ancora assonnato, poi aggiunse sbadigliando: “Mi devo essere appisolato un attimo, mentre ti aspettavo…”
 
“Eh eh eh eh”ridacchiò la ragazza “Ci ho messo un pochino più del dovuto, scusami”.
 
“Ah, ma hai fatto bene!” le rispose lui, sorprendendola “Con tutto quello che hai passato, era davvero il minimo farsi una doccia di quella portata” e le sorrise comprensivo, poi improvvisamente i suoi occhi si accesero di malizia e disse: “Sarebbe stato però decisamente meglio farla insieme… e invece… dovrò accontentarmi di farla da solo” e nel dirlo si alzò in piedi e, ammiccandole, si diresse alla stanza da bagno.
 
“R-Ryo, ma cosa dici?” balbettò lei, colta alla sprovvista da una tale ammissione e arrossendo fino alle orecchie; non l’aveva mai sentito parlare così, non le aveva mai fatto capire che la desiderasse, quindi non ci era ancora abituata a certe sue uscite, soprattutto a certe sue uscite indirizzate a lei!
Si riprese in tempo, però, per gridargli, prima che scomparisse dietro la porta:
“Fai presto, però, che è pronta la cena!”
 
“Agli ordini, capo!” le rispose lui, facendole il saluto militare e, ciabattando, scomparve alla sua vista.
 
Kaori sospirò.
Una piacevole normalità, un piacevole cambiamento a cui, lo sentiva, presto si sarebbe abituata.
 
 
 
A cena, come per tacito accordo, non parlarono di regolamento di conti, vendette varie, del famigerato corso al poligono, lasciando, di fatto, le questioni spinose per un altro momento, ed entrambi furono grati all’altro per questa sorta di premura.
Nessuno dei due voleva affrontare quei problemi subito dopo il ritorno a casa; volevano godersi semplicemente la compagnia dell’altro, in pace e serenità; in fondo le ultime ore, giornate, erano state sufficientemente adrenaliniche anche per loro: si erano appena trovati e non volevano rovinare tutto.
Pertanto i discorsi furono più o meno quelli del prima, con l’aggiunta, però, di accenni di tenerezza, di carinerie, e parole pronunciate con tutt’altro tono di voce che, di fatto, facevano la differenza.
 
Erano sempre loro, ma erano anche diversi.
 
Ryo, dopo cena, si offrì di medicarle la ferita e Kaori lo lasciò fare, perché era bello che lui si prendesse cura di lei, e quei momenti se li voleva godere tutti.
 
Non molto tempo dopo, però, entrambi accusarono i primi segni di stanchezza; in fondo non avevano dormito molto, fra tutto, chi da una parte chi dall’altra, come pure l’ultima notte passata insieme, e di certo non comodamente; solo che non trovavano il modo di decidersi.
Non avevano nemmeno stabilito se dormire insieme o ancora separati.
 
Ryo, inoltre, aveva preso a guardare l’orologio e sembrava turbato, ansioso; quello era il momento in cui usciva per locali o per una ricognizione, e pareva combattuto.
Kaori fu sul punto di rattristarsi, cadendo nell’equivoco di crederlo smanioso di andare a folleggiare come faceva un tempo piuttosto che restare a casa con lei, proprio adesso per giunta!
Però poi si ricordò che lui, ancora, non aveva regolato i conti con i balordi che l’avevano strapazzata, con Kama, con Kurai e Shiro…
Era inevitabile.
 
“Ryo, non ti preoccupare… se devi andare, vai!” gli disse in un sussurro la socia.
 
Lui la guardò stupito: possibile che lei riuscisse sempre a leggergli nella mente?
Oppure era diventato improvvisamente così prevedibile?
 
Si erano ritrovati in piedi, al centro del salotto, stanza di passaggio fra la cucina e il resto della casa; Kaori gli andò incontro e, posandogli una mano sulla guancia, lo guardò con amore:
 
“Tu sei uno sweeper, un giustiziere… fai quello che ritieni giusto”.
 
“Kaori, io…” ma poi le parole gli morirono sulle labbra.
 
Ryo in quel momento non avrebbe voluto essere uno sweeper, e meno che meno un giustiziere, ma soltanto un fidanzato, un compagno affettuoso, che si ritira per la notte con la sua donna, la sua amante.
E invece gli impegni, gli oneri di cui si era caricato anni prima, ora lo stavano schiacciando, gli imponevano di lasciare il caldo abbraccio della sua ragazza, della sua casa, per compiere un compito ingrato e fastidiosissimo.
Si odiò per questo, ma un senso di ineluttabilità, di responsabilità, lo pungolava e lo costringeva a fare il suo dovere.
 
Abbracciò Kaori e, affondando il viso nei suoi capelli, le sussurrò:
 
“Come vorrei non essere io” e non ci fu bisogno che lui specificasse “ma devo andare. Ciò che ti hanno fatto non può restare impunito. Tu mi capisci, vero?”
 
“Sì, amore mio. Ti capisco” gli mormorò amaramente la ragazza; conosceva fin troppo bene le regole del loro mondo a tinte forti, e i suoi timori vennero confermati: Ryo avrebbe vestito nuovamente gli abiti dell’Angelo della morte.
Ingoiò un singhiozzo per non rendere più dolorosa la loro situazione.
Desiderò che tutto finisse in fretta.
 
“Vai ora, Ryo… e torna da me sano e salvo” la ragazza sapeva, inoltre, che la tempestività era importante, e che più Ryo avesse tardato a farsi sentire dai criminali, più loro avrebbero sminuito la sua reazione, qualunque essa fosse stata.
Kaori, però, vedeva anche che l’animo dell’uomo che amava non era più lo stesso: prima avrebbe pianificato fin dall’inizio e cinicamente la sua azione, oppure sarebbe calato sulla preda come un falco e non avrebbe lasciato scampo al malcapitato, animato dal sacro fuoco della vendetta; l’impeto dello sdegno avrebbe giustificato ogni più piccolo gesto.
Adesso invece, lo vedeva così titubante, così indeciso.
Eppure, ritardare i tempi di reazione significava perdita di credibilità, di potere, di mordente; l’avrebbero visto come uno che si era rammollito, Ryo Saeba non sarebbe stato più il temibile giustiziere che riusciva a terrorizzare chiunque con la sua solita presenza.
In questo caso la vendetta non poteva esser servita su di un piatto freddo, ma doveva abbattersi sull’incudine della criminalità come un maglio infuocato.
Kaori avrebbe voluto dirgli “Non uccidere” ma sapeva che, ultimamente, ricorreva sempre meno a questo rimedio definitivo e che, pregandolo di essere misericordioso, l’avrebbe fatto soffrire ancora di più; si limitò a ripetergli:
 
“Torna da me” e lo baciò con passione e struggimento.
 
Per un attimo si persero uno nelle labbra dell’altro, poi, a malincuore, si separarono.
 
Ryo voleva prometterle tante cose, che non avrebbe ucciso nessuno, né usato la violenza se non costretto dalle circostanze; che dopo quell’incresciosa vendetta, avrebbero voltato pagina e avrebbero ripreso la loro vita di coppia come se nulla fosse successo, ma non poté prometterle nulla di tutto ciò, perché non era sicuro nemmeno lui.
Solo di una cosa era certo, e cioè che non voleva deluderla in un nessuno modo.
 
“Devo… devo andare…” le disse infine, facendo un passo indietro, poi in un attimo fu già fuori; aveva recuperato la sua pistola, la giacca e aveva infilato la porta.
 
Kaori sospirò, sconsolata.
Si guardò intorno e quella casa mai le sembrò così immensa e fredda come in quel momento; istintivamente si strinse le braccia intorno al petto.
A passi lenti si diresse verso la sua camera; per quella notte il problema di dove dormire era stato risolto: da sola e nel suo letto, come sempre.
Dubitava di poter prendere sonno, però, sapendo Ryo in giro a farsi rispettare; eppure, nonostante le sue perplessità, non appena toccato il letto cedette di schianto, e cadde in un sonno pesante e senza sogni.
 
   
 
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