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Autore: Delsin98    24/04/2023    0 recensioni
"Non capimmo da cosa fossimo attratti finché non ce lo trovammo dinanzi ai nostri occhi”
Oltre la Grand Line, uno dei più grandi esploratori del mondo portò alla luce qualcosa che non avrebbe mai dovuto essere trovata e che avrebbe potuto gettare il mondo nel caos se fosse caduta nelle mani sbagliate. Tuttavia, sembra che egli stesso sia tornato indietro per cancellare ogni traccia del suo viaggio, compreso il modo per arrivarci e l’ubicazione del tesoro stesso. Circa vent'anni dopo, un pirata dal passato misterioso conosciuto come “Il Diavolo dei Mari” e la sua stravagante ciurma sono sulle tracce di quell'uomo e sugli indizi che avrebbe lasciato prima di svanire misteriosamente nel nulla. Qual è il loro scopo? Quale ruolo gioca il Governo Mondiale con tutto questo? E perché i Draghi Celesti ne sono così spaventati?
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo V 

 

 

Non ho scelto io la via dell’avventura. È stato il destino a sceglierla per me” 

(Pounce D.Leon) 

 

 

 

 

Impel Down, dodici anni prima...

 

 

 

 

 

Assai pochi sono i luoghi in cui ordine e caos coesistono senza scontrarsi, e ancor più pochi quelli in cui soccombere all’oscurità è l’unico modo per mantenere integra la propria sanità mentale, se ancora non la si fosse persa.  

Uno dei posti più inospitali della Terra, che incute timore nei cuori di chiunque odi il suo nome. Le madri lo usano come spauracchio per i propri pargoli indisciplinati, e persino i criminali più efferati lo temono, tanto da preferire l’inferno ad esso.  

Impel Down racchiudeva tutto questo: un’enorme prigione edificata proprio al centro della Fascia di Bonaccia e circondata da imponenti e famelici Re del Mare. Un luogo dove gli scarti più ingombranti della società e la peggior feccia che infestava i mari vi venivano rinchiusi per poi subire le peggiori condanne che si potessero mai immaginare, o come diceva sempre il direttore Cortés, per essere ‘rieducati’.  

Una frase lugubre aleggiava su questo posto uscito direttamente dagli abissi più angosciosi della psiche umana, un monito che rimbalzava dall’angolo più remoto del mondo all’altro, da un malvivente al successivo, ‘Se ti prende, poi è impossibile sfuggirgli’.  

Era questo che ronzava nella mente di un uomo mentre veniva scortato dalle guardie lungo quel tetro corridoio in pietra. Era piuttosto rumoroso laggiù. Centinaia di mani sbucarono fuori dalle sbarre, urlando a squarciagola contro il prigioniero che avanzava impassibile, oramai accertatosi di quanto fosse stato infausto il proprio destino e il caldo infernale che avvolgeva ogni angolo di quel piano, non facevano che accrescere quell’incessante agonia. 

Braccia e busto erano ricoperte da numerose bruciature che sembravano avere non meno di qualche ora, probabilmente un effetto collaterale del ‘battesimo del fuoco’. Era questo il nome che i detenuti avevano dato all’enorme calderone ricolmo di un liquido rossastro e rovente, che strideva minaccioso una volta varcata la soglia del quarto livello.  

Ed era qui che essi vi venivano gettati, purificandoli da ogni agente esterno prima di essere spediti al luogo di tortura più adatto alle loro esigenze. 

Per quell’uomo corrispondeva all’ultimo piano della struttura, comunemente chiamato sesto livello o ‘Tormento Eterno’, una leggenda persino tra gli stessi abitanti del Mare Blu e dove si vociferava fossero richiusi i peggiori individui mai apparsi sulla faccia del pianeta, responsabili di azioni atroci o semplicemente delinquenti ritenuti troppo potenti per essere in circolazione. 

«Un posticino piuttosto tranquillo, non trovi?» chiese qualcuno al suo fianco. Si trattava di un uomo alto e magro, con folti e ondulati capelli nerastri di media lunghezza e una camicia rossa semi-aperta, la quale metteva in evidenza il petto tonico e definito. A giudicare dalla giacca bianca che indossava a mo’ di mantello, doveva essere qualche pezzo grosso della Marina. 

Il prigioniero non rispose, continuando a camminare tenendo il capo chino verso il pavimento. Probabilmente, le torture subite poc’anzi lo avevano fortemente debilitato, impedendogli anche l’uso della parola, o forse, voleva semplicemente non sprecare del fiato prezioso, tantomeno in un posto in cui strepitare o scalciare non serviva assolutamente a niente, se non a farti giungere stanco alla morte. 

«Mi piaci, ragazzo» affermò l’uomo infilandosi entrambe le mani nelle tasche dei pantaloni nivei «Apprezzo particolarmente i tipi di poche parole, sono sempre di ottima compagnia. È un gran peccato che il Governo abbia deciso immediatamente la tua carcerazione, una volta tra le sue grinfie»

Sul suo volto apparve un ghigno sinistro, quasi quanto la cicatrice che solcava l’occhio destro «Qualche altro giorno con il sottoscritto, e ti avrei anche insegnato come ululare alla luna, non so se mi spiego»

Una delle guardie tirò la catena legata ai polsi del detenuto, facendolo rabbrividire. Erano quasi giunti alla fine del corridoio, poiché si cominciava ad intravedere l’enorme ascensore che gli addetti ai lavori utilizzavano per spostarsi tra i vari piani della struttura.  

«Guarda, guarda» commentò l’uomo puntando il proprio sguardo avanti a loro. Accanto all’ascensore, in procinto di attenderli, vi era un individuo mastodontico e dall’aspetto quasi demoniaco, la cui testa era provvista di due minacciosi corni rivolti verso il basso «Sembra che perfino il direttore Cortés in persona voglia darti il benvenuto nella sua incantevole dimora» concluse ponendogli una mano sulla spalla.  

«Il Viceammiraglio Hunterson, qual buon vento» dichiarò il direttore una volta giunti al suo cospetto. Sembrava ancor più gargantuesco visto da vicino, tanto da far apparire perfino un uomo estremamente alto come il viceammiraglio un bambino ai suoi occhi «Dunque quale rifiuto del mare ha deciso di portarmi oggi?»  

«Rotter Ganakas» spiegò Hunterson, indicando con il pollice il prigioniero alla sua destra. Cortés abbassò il capo, osservando per qualche secondo il giovane: Era alto, sebbene non quanto Hunterson o le altre guardie che lo trascinavano, per non parlare della stazza del direttore. Aveva la pelle scura e un fisico snello. Ma la caratteristica che più saltava all’occhio era la sua capigliatura, con la testa rasata ai lati e dei folti capelli cerulei che si dipanavano in ogni direzione come le burrascose acque del mare. 

«Ne ho sentito parlare, si» disse il direttore continuando a tenere lo sguardo fisso su quel giovane che non accennava a ribattere o a compiere qualsiasi altra azione. Sembrava un autentico automa «Un farabutto di prim’ordine, che ha causato ingenti danni alla popolazione e dato parecchi grattacapi al Governo, dico bene?»

Il viceammiraglio annuì «Ed ora che è stato catturato, lo affidiamo alle sue amorevoli cure perché gli sia concesso il trattamento che merita» Dopo che Cortés ebbe fatto cenno con la mano, i secondini tirarono per le catene l’uomo, spingendolo assieme ad essi nell’ascensore.  

«Ancora una volta, Viceammiraglio, ha dimostrato che la sua fama è ben meritata» affermò Cortés accarezzandosi la folta barba bruna «E anche grazie all’eccezionale fiuto che possiede nello scovare e braccare i criminali che lei è diventato una delle risorse più importanti a disposizione del Governo Mondiale, tanto che le è stato affibbiato l’epiteto di ‘Battitore Implacabile’. E quest’oggi ne è un ulteriore prova» 

Hunterson sospirò, scuotendo poi il capo «Per quanto detesti l’idea che qualcun altro mi abbia soffiato la preda, devo ammettere che questa volta non va a me il merito della sua cattura» 

«Ah, no?» domandò sorpreso l’uomo, inarcando un sopracciglio. Non poteva credere che qualcun’altro avesse battuto sul tempo colui che aveva la fama di essere un efficiente e tenace cacciatore di pirati «E allora a chi spetta fregiarsi di una tale impresa?» 

«Normalmente non è nostra prassi, divulgare questo tipo di informazioni» riprese a parlare il viceammiraglio con un tono di superiorità «E se per qualche sfortunato motivo, ciò dovesse accadere, i piani alti metterebbero subito a tacere la cosa richiedendo l’immediata eliminazione di chiunque ne sia l’artefice e di chi gli sta attorno, giusto per evitare spiacevoli effetti collaterali» sogghignò per un istante, probabilmente convinto che tutto ciò fosse divertente.

«Oh, so bene cosa intende» asserì il direttore. Per quanto lo scopo di quell’allusione fin troppo esplicita fosse farlo desistere, egli non era il tipo da tirarsi indietro, pur sapendo quale sorte toccasse a chi osava chiedere troppo «E se crede che queste ridicole minacce possano spaventare uno come me, si sbaglia di grosso» replicò lui per niente intimorito 

 «Era solo per essere chiari» Hunterson sorrise nuovamente facendo spallucce «Ad ogni modo, vista la sua vasta esperienza in materia, credo che sia doveroso in questo caso che io faccia un’eccezione, non seguendo il protocollo» 

«Suvvia, viceammiraglio» lo esortò l’uomo «La pianti con queste ridicole formalità e sputi il rospo» 

«Molto bene» ribatté Hunterson «Come le ho accennato poc’anzi, non sono state né la Marina né tantomeno le Cipher Pol a catturare Ganakas. È stato ritrovato tre giorni addietro nei pressi della base g-8, moribondo e inchiodato in cima ad un palo. La stessa sorte è toccata a chi aveva il compito di presidiare quella stessa zona, visto che sono stati ritrovati circa cento metri più a sud, anche se a differenza sua, non sono stati poi così fortunati» 

«È terribile» commentò il direttore «Chi mai potrebbe essere tanto ardito o incosciente da compiere un simile gesto. Pirati, forse?» 

L'uomo fece cenno di no col capo «Allora, i rivoluzionari?» domandò nuovamente Cortés 

«Non vi sono stati testimoni, ed egli stesso non ricorda cosa sia effettivamente accaduto, né rammenta l’identità dei suoi aguzzini» replicò l’altro 

«Chi era di stanza sull’isola di Verudia?» 

«Il Viceammiraglio Chase ha il comando della base» spiegò Hunterson «Ma è partito più di una settimana fa per il Mare Occidentale con lo scopo di catturare un pericolosissimo ricercato. Quindi, in sua assenza, a farne le veci era il contrammiraglio Dekker» 

«Era?» Cortés sollevò un sopracciglio, anche se non gli ci volle molto per realizzare cosa il viceammiraglio intendesse «Non mi dica che...» 

Hunterson annuì «Quei bastardi l’hanno torturato e massacrato» Nelle sue parole si poteva percepire una certa vena di collera e rammarico. 

«Mi dispiace molto» sussurrò il direttore abbassando brevemente il capo in segno di rispetto, mentre l’altro ora stava camminando avanti e indietro come fosse un generale che progettava una battaglia o un investigatore che delineava le circostanze di un omicidio. 

«Eppure, sembrava piuttosto sicuro al riguardo» aggiunse Cortés «Come se in realtà avesse scoperto qualcosa su ciò che è accaduto o su chi potessero esserne i responsabili»

Probabilmente aveva già formulato delle ipotesi e supposizioni varie, tuttavia, ciò che aveva detto pochissimi minuti addietro sembrava rivelare come egli stesso sapesse più di quanto volesse far intendere. 

«Come ha affermato lei stesso prima» continuò Hunterson «Possiedo un eccezionale intuito per questo tipo di cose, posso persino individuare dettagli che altrimenti nessuno noterebbe. Ed è ciò che mi ha condotto a questa» 

Si fermò un attimo e frugò nelle sue tasche, togliendone un piccolo oggetto che sembrava lavorato finemente. Lo lanciò verso il direttore, che lo afferrò al volo «La riconosce?» chiese poi 

«Non può essere» esclamò subito dopo l’uomo, spalancando gli occhi sorpreso «Dove l’ha trovata?»  

Ad un’attenta analisi si trattava di una sorta di simbolo: una lunga croce nera sovrapposta ad un cerchio, anch’esso della medesima tinta.  

«L’ho strappata dalle fredde e cadaveriche mani di alcuni tizi circa due giorni fa» spiegò il viceammiraglio «Sull’isola di Roabonne, dieci chilometri a sud di Verudia. Quegli idioti non si aspettavano minimamente di essere scoperti, e dopo essermi divertito un po’, ho estorto loro le informazioni che mi servivano»  Un sorriso sadico gli si dipinse in volto. 

«Arrivi al dunque, viceammiraglio» lo incalzò il direttore.  

«Contrariamente a quanto credevamo finora, sembra che l’Ordine della Croce Bianca sia tornato in azione. Quindi, d’ora in poi è meglio che lei e suoi collaboratori vi guardiate le spalle» disse l’uomo prima di girare i tacchi e andarsene, lasciando il direttore in balia dei suoi pensieri. 

Su di lui campeggiava un'ombra seria e turbata, come se stesse rammentando qualcosa di spiacevole accaduta in passato o semplicemente ciò che gli aveva riferito Hunterson lo avesse messo in allerta.  

«"L'ordine della Croce Bianca. Un nome che non udivo da tempo immemore"» 
Se anche un uomo risoluto come Cortés vi ci stava rimuginando sopra, doveva trattarsi di una minaccia reale e temibile, con la quale l’intero Governo Mondiale avrebbe dovuto farne i conti, prima o poi. 

 

 

 

 

*** 

 

 

Il sesto livello si presentava come un corridoio ancora più lungo, col pavimento ricoperto da polvere e dio solo sa cosa fossero quelle macchie cremisi scrostate che si alternavano davanti ad ogni cella che vi si affacciasse sopra. 

Una semioscurità vi regnava sovrana, unita ad un silenzio tombale che mal si conciliava con le grida strazianti dei piani precedenti. 

Le guardie strattonarono Rotter, costringendolo a camminare verso la cella assegnatagli. 

«Rotter ‘Il Flagello Ceruleo’ Ganakas. È proprio lui...» bisbigliò un uomo ai compagni di cella, i quali si alzarono immediatamente per osservare la sua avanzata. 

«Alla fine hanno preso anche tè, eh?» domandò un altro  

«Un moccioso che giocava a fare il pirata. Più di così non si poteva cadere in basso» commentò un altro ancora, sdraiato su una branda alquanto malmessa 

«Flagello un cazzo» disse un detenuto dai folti capelli biondi e un’espressione che rasentava la follia più totale «Guardatelo, sembra un dolce e tenero agnellino»

Gli altri prigionieri scoppiarono in risate sguaiate. Rotter, continuò a tirare dritto, non degnandoli minimamente di un solo sguardo.  

Sapeva benissimo come lì dentro ci fossero solo gli elementi più squilibrati e spaventosi che siano mai esistiti; quindi, tanto valeva ignorarli completamente e sperare che alla lunga si stancassero. 

«Fate silenzio, inutili parassiti della società!»

D’un tratto, una voce sembrò far tremare l’aria, placando immediatamente gli animi. Passi pesanti echeggiarono lungo il corridoio, tanto da far arrestare il nuovo arrivato e i suoi carcerieri, che ora avevano voltato il capo verso sud.  

Un uomo alto e magro fece il suo ingresso. Nonostante la scarsa visibilità, Rotter poté osservare come quell’individuo avesse una capigliatura corta e riccioluta, che si amalgamava perfettamente con la carnagione bronzea. Indossava una camicia azzurra semi-aperta, la quale lasciava intravedere dei tatuaggi tribali che si estendevano dal petto fino ad occupare gran parte del lato destro del collo, e un panciotto color bianco dai bottoni dorati, sulla cui parte destra compariva il simbolo stilizzato di un volatile che ricordava in tutto e per tutto l’emblema della Marina. 

Al suo passaggio, i detenuti si ritrassero immediatamente, intimoriti. «È il vicedirettore Francisco» sussurrò uno di loro.  

«Bene, bene» esordì con un mezzo sorriso l’uomo mentre si fermava dinanzi al giovane «Come le sembra finora la sua nuova reggia, signor Ganakas?»  

Ma quello sembrava proprio non volergli rispondere, anzi, si limitò a spostare lo sguardo su ciò che lo circondava: animalesche guardie armate di mazze chiodate pattugliavano l’intero piano, le ripide e umide pareti, il cui intonaco aveva certamente visto giorni migliori, che imprigionavano in una stretta morsa le celle sottostanti e misteriose creature che si celavano in ogni suo anfratto. 

Riuscì anche ad evitare di incrociare il suo sguardo, probabilmente privo del più basilare briciolo d’umanità, vista la posizione che occupava. 

«Oh, oh, abbiamo un altro duro qui» continuò il vicedirettore alzando la voce, in modo che tutti i presenti potessero udirlo «So bene cosa occorre in casi come questo»

In pochi istanti, qualcosa di solido impattò contro la superficie del suo stomaco, facendolo accasciare sul freddo pavimento. Il vicedirettore gli aveva sferrato un pugno di una violenza tale da generare un piccolo spostamento d’aria, ma nonostante questo, quel tipo non emise alcun suono, né un flebile lamento. Nemmeno fece alcun cenno di volersi rialzare. 

«Questo era solo un assaggio di ciò che ti attende, moccioso» disse l’uomo rimettendolo in piedi e afferrandolo per il bavero, mentre una ginocchiata gli centrava in pieno il petto «Non mi sono mai andati a genio i tipi come te, che vorrebbero sembrare cazzuti a tutti i costi, quando sappiamo bene che dentro stanno piangendo come farebbe una mammoletta» Rise, pur sapendo che la situazione fosse tutto, fuorché allegra. 

Il giovane continuò a rimanere fermo e immobile, mentre un fiotto di sangue gli colava dalla bocca, inzuppandogli le vesti lacere. Anzi, un sorriso sfrontato gli si dipinse in volto, cosa che sembrò attirare le ire dell’uomo difronte a lui.  

«La cosa ti diverte?» gli domandò il vicedirettore colpendolo con un secondo gancio nel viso «Io sono il vicedirettore Francisco, bastardo! Farai bene a tenerlo a mente, se ci tieni alla pelle»

Gli altri detenuti assistettero inermi mentre Rotter veniva malmenato brutalmente. Probabilmente non volevano rischiare di prendere il suo posto, se avessero detto qualcosa al riguardo. Ad altri semplicemente non importava, Impel Down era un luogo che ti consumava fin dentro l’animo, rendendoti cinico e disilluso nei confronti di ciò che avveniva intorno a te o al di fuori. 

Un ronzio familiare, proveniente dalla tasca destra della giacca, lo costrinse ad interrompere quel gioco al massacro. L’uomo tirò fuori un transponder bianco e dai contorni azzurrognoli, spingendo a terra il giovane e rispondendo alla chiamata. 

«Francisco!» lo chiamò qualcuno dall’altro capo, qualcuno che il giovane riconobbe come il direttore della prigione, Cortés «Sospendi qualsiasi attività tu stia praticando e vieni immediatamente nel mio ufficio, abbiamo affari più urgenti di cui occuparci» 

«Ricevuto, direttore» rispose quasi seccato il giovane «Sto arrivando» 

Ripose la radiosnail nella tasca, tirando poi fuori un pacchetto di sigarette mezzo spiaccicato. Ne estrasse una e se la portò alla bocca «Sembra che di tanto in tanto anche alla spazzatura sia concesso di godere di un po’ di fortuna» commentò lui accendendosela «Ma sappi che non intendo liquidare così alla svelta il nostro discorsetto e che ti osserverò con molto interesse d’ora in avanti» Subito mandò nell’aria uno sbuffo di fumo che si disperse velocemente alle sue spalle, nello stesso istante in cui il vicedirettore si dirigeva verso l’entrata opposta

«Ad ogni modo, Impel Down ti dà il benvenuto, insulso scarafaggio» concluse lui prima di scomparire nell'oscurità, lasciando che ad occuparsi del prigioniero vi fossero quelle belve feroci, che ora lo squadravano malevoli. 

 

 

 

*** 

 

«“Dove diavolo sono finito?”» si domandò il giovane detenuto qualche ora dopo, rigirandosi su un pavimento freddo e umido. Avvertì nell’aria un odore acre di sangue e putridume che gli provocò un conato di vomito. «“Sono già nell’Ade?”» si chiese nuovamente, cercando di mettere ordine nei propri pensieri. L’ultima cosa che ricordava era la voce di una donna, il frastuono orribile delle proprie ossa che venivano frantumate da quelle bestie assetate di sangue, poi, un colpo violento alla schiena, e il mondo era scomparso inghiottito dall’oscurità. Tuttavia, ora era sicuro di essere ancora vivo. 

Ad ogni respiro il costato gli lanciava fitte di dolore. Il battito del proprio cuore era veloce e affaticato. La morte non avrebbe dovuto essere così dolorosa. 

Faticosamente aprì gli occhi, gonfi e incrostati dal proprio stesso sangue, esaminando attentamente il luogo ove era rinchiuso. Era una cella un po’ più ampia rispetto a quelle che aveva visto durante il tragitto, non grande come quella in fondo al corridoio, in cui il numero di occupanti era certamente superiore a quello consentito in qualsiasi altra prigione.  

Sentì squittii aggirarsi nelle tenebre, probabilmente appartenenti a orde di ratti che affollavano le pareti e banchettavano festosi con i resti in putrefazione di quelli che sembravano cadaveri, probabilmente i precedenti inquilini. 

Una strana sensazione di avvilimento e spossatezza aveva invaso ogni fibra del suo corpo, impedendogli di sollevarsi sugli arti inferiori o di svolgere qualsiasi altra funzione. E quel tintinnio nefasto delle catene assicurate ai polsi e alle caviglie ne aveva fatto scoprire la ragione. 

«Pessima idea, amico» gli disse qualcuno mentre con grande sforzo cercava di scuoterle, rivelandosi tuttavia un tentativo vano.  

A poco a poco i suoi occhi si abituarono alla luce fioca che proveniva da una piccola fessura e voltando il capo in direzione della voce che aveva udito poc’anzi, riuscì ad intravedere qualcuno all’altro lato della cella: Era accovacciata in un angolo, incatenata con manette che sembravano più spesse delle sue. Il suo aspetto stonava completamente con quello di qualsiasi altro detenuto. La pelle rosea e per niente pallida, i lunghi capelli biondi che le ricadevano morbidi sulle spalle, il fisico magro e per niente emaciato.  

Si trattava di una donna di straordinaria e rara bellezza, che ora stava puntando gli occhi azzurri come il ghiaccio sulla figura di Ganakas, come se volesse scrutargli l’anima. 

«Questa è Agalmatolite Marina» spiegò la donna sollevando la mano destra e indicando con l’altra la manetta che le cingeva il polso «Una pietra eccezionalmente durevole e compatta, nonché quasi impossibile da scalfire o distruggere, che emana la stessa energia del mare. Ma non è solo per queste sue caratteristiche che la Marina o i Pirati di tutto il mondo l’adoperano tra i loro arsenali»

Rotter deglutì, sapeva perfettamente cosa quella donna stesse per rivelargli. L’aura che ella stessa emanava fu sufficiente affinché distogliesse lo sguardo e lo inchiodasse sulla parte alta della parete di pietra grezza, osservando le inquietanti linee che scorrevano longilinee verso il bordo, quasi come se fossero state incisevi sopra da qualcuno che veniva trascinato via con la forza. 

«In mani capaci è un’arma in grado di inibire i poteri di coloro che si sono cibati dei mitici frutti del diavolo. E visto che anche a te, così come alla sottoscritta, ne sono state assegnate un paio» continuò la donna facendo nuovamente riferimento alla ferraglia che adornava le loro mani e piedi «Dovrei dedurre che anche tu ti sia nutrito di uno di essi» 

Rotter decise di non controbattere o replicare. Quella donna sembrava quasi come intimorirlo, tanto da farlo rimanere in silenzio e ascoltare quello che aveva tutta l’aria di essere un profondo monologo, o forse erano soltanto farneticazioni di qualcuno che aveva ormai perso la sua sanità mentale. 

«Ebbene, questi non è che un altro metodo che i nemici della libertà utilizzano per schiacciare e sottomettere coloro che credono ancora nei sogni, coloro che seguono con ardente passione i propri desideri, che lottano e muoiono per un ideale, per la realizzazione di uno scopo o di una causa ben più grande di loro stessi»

«So chi sei...» si ritrovò a dire il giovane a fatica e con un filo di voce «...Sei Thalia Lindsey, uno dei peggiori elementi dei ‘Pirati della Tempesta’, conosciuta...anche come 'La Negromante’...» Quindi tossì, e ad ogni colpo il petto gli doleva come se qualcuno stesse premendo con il piede sullo sterno. 

«Siete più scaltro di quanto pensassi, signor Ganakas» affermò la donna con un sorriso quasi ironico, più simile ad un ghigno. L’altro le rivolse un’occhiata attonita. 

«Deduco dalla vostra espressione che non vi aspettavate che anch’io fossi a conoscenza della vostra identità» disse la piratessa accennando un altro di quei sorrisetti «Eppure non potrebbe essere altrimenti. In un mondo come il nostro, dove i despoti e i corrotti dispongono di mezzi sufficienti ad influenzare le masse e manipolare gli eventi a proprio favore, l’informazione costituisce la più pura forma di potere. Con essa si può persino decidere il destino di molti, nel bene e nel male. E poi, avendo udito le vostre prodezze, desideravo conoscervi di persona, proprio per comprendere che tipo di uomo foste» 

«Che diavolo vai blaterando strega...?» ringhiò il giovane, mentre un altro colpo di tosse lo squassava.  

«Oh, oh, un temperamento degno di un lord» ribatté ironica la donna «Ora si che siete un bucaniere di tutto rispetto, signore» 

«Stronza presuntuosa» bofonchiò Rotter, sputando ai suoi piedi un grumo di sangue e saliva, il quale si mescolò ai cumuli di polvere grigia e sabbiosa ammucchiati sul pavimento «Comunque» aggiunse nuovamente lui «Non credevo di trovarti qui a marcire come una criminale qualsiasi. Ero convinto che ‘Cuore di Ghiaccio’ avesse avuto la meglio in quella che si ricorda come ‘La Battaglia dei Poli’, spedendoti nei torbidi abissi del Mare Settentrionale» 

«Ed ecco che ritorna in auge il concetto di informazione» replicò lei come se fosse risentita da quell’affermazione «Il fatto che essa fosse poi totalmente errata, dovrebbe darti un’indicazione sufficiente su ciò che la gente è disposta o non è disposta a credere. Tuttavia, ho il forte sentore che la mia presenza in questo posto dimenticato dagli dèi sia solo momentanea»

«Che intendi?» chiese Rotter sempre più confuso. 

«Suppongo che in questo momento i vertici del Governo Mondiale stiano strillando ordini e decidendo unanimemente data e luogo della mia pubblica esecuzione» ribatté l’ex archeologa come se si trattasse di qualcosa di poco conto. 

«Perché ne sei così convinta?» domandò nuovamente Rotter sollevando un sopracciglio «Voglio dire...Per loro non sarebbe più facile ucciderti in silenzio e lontano da occhi indiscreti, lasciando che il tuo ricordo venga definitivamente cancellato dalla memoria e dalla storia? Una buona e consistente fetta della popolazione del Mare Blu, incluso il qui presente, era sicura che tu avessi perso la vita nel sanguinoso conflitto contro Aoshika» 

«Eppure eccomi qui» dichiarò ironica «Reclusa nella cella di una delle più luride e infime fogne che possano esistere a questo mondo e torturata da empi e ributtanti omicidi, mentre i miei compagni sono là fuori chissà dove, costretti a fuggire e nascondersi come fossero delle volgari bestie immonde, poiché il Governo Mondiale li bracca senza sosta»

«Io…» replicò titubante il giovane, venendo però nuovamente interrotto dall’ex piratessa «Penseresti che ciò sia dovuto al loro innato senso di giustizia, al patriottismo o al coraggio con cui affrontano le avversità e salvaguardano i cittadini. Saresti indotto a credere che con la mia dipartita ci sarebbe un masnadiere in meno e che il mondo diverrebbe un posto un po’ più tranquillo e pacifico. Tutte fandonie!»  

Rotter vide un ghigno sprezzante guizzare agli angoli della sua bocca «In verità, ciò a cui puntano quelle carogne senza onore non è che dare una giusta dimostrazione della loro forza e influenza, consolidando l’immagine di facciata che così abilmente sono riusciti a forgiarsi e utilizzando la mia morte come monito e pretesto per scoraggiare chiunque osi schierarsi contro Il Governo, la Marina e l’autorità che essi rappresentano» 

«Stento a credere che una del tuo stampo possa arrendersi così facilmente e rinunciare alla libertà, senza nemmeno tentare di combattere per essa!» 

Quelle parole gli sfuggirono senza nemmeno rifletterci, riversandosi nell’aria come un fiume in piena. Il suo tono era carico di delusione, probabilmente trovava estremamente difficile conciliare l’identità della donna le cui gesta avevano ispirato leggende e storie di ogni sorta, con quella che aveva davanti, quasi rassegnata alla sorte. 

La donna gli rivolse un sorriso sardonico, come fosse divertita dalla sua ingenuità «Credi che mi sia arresa? Credi che abbia rinunciato alla libertà? Povero sciocco» disse, scuotendo leggermente il capo «Ho combattuto con tutto ciò che avevo e con ogni fibra del mio essere. Ho lottato fino a non aver più la forza di andare oltre. E alla fine mi hanno presa. Ma ciò non significa che io mi sia sottomessa o che abbia gettato alle ortiche ogni possibilità» 

Sputava le parole come veleno e in esse la rabbia era palpabile. Rotter abbassò lo sguardo, probabilmente resosi conto di esser stato fin troppo avventato. 

«Potrei disquisire per interminabili ore su argomenti che potresti non comprendere in un’intera vita, ma sarebbero parole prive di significato, almeno per te. Non sei tu la persona che il capitano Leon attendeva con trepidazione, né colui che io aspetto con la stessa intensità» Thalia si fermò per un istante, facendo un respiro profondo prima di continuare «Sebbene io sia intrappolata in quest’inferno, il mio spirito è libero come le correnti che attraversano la Rotta Maggiore. Possono imprigionarmi e torturarmi quanto lo desiderano, ma non potranno mai derubarmi della mia volontà o dei miei sogni, poiché i sogni di noi pirati non potranno mai avere fine né essere frenati. E i miei compagni lì fuori stanno ancora combattendo per far valere i propri sogni, per rendere il mondo un luogo migliore di quanto non sia, anche se le circostanze non sono loro del tutto favorevoli» 

«Cosa ti spinge ad essere così ottimista nei confronti di ciò che verrà? Non hai paura di ciò che potrebbe riservarti il futuro? O di morire per qualcosa di semplicemente irraggiungibile e folle?» 

Lei sorrise ironicamente, scrutando il giovane con una feroce determinazione «Non so cosa abbia in serbo per me il fato, né dovrebbe interessarmi, ma so una cosa. L’affronterò a testa alta, con coraggio e convinzione. E quando salirò al patibolo e la corda mi si stringerà attorno al collo» la sua voce sembrava piuttosto ferma e per nulla titubante «il mio ultimo pensiero andrà non soltanto ad un uomo straordinario, per ringraziarlo di avermi resa ciò che sono oggi, ma anche a coloro che faranno da testimoni, affinché la mia morte funga da catalizzatore e ispiri gli altri a combattere e spalancare le porte della nuova era, in modo che un futuro quanto mai radioso sia alla loro portata. E se con il mio sacrificio, il tempo dei tiranni e dei loro lacchè giungerà ad un tanto sospirato tramonto, allora ne sarà valsa la pena»

Il giovane annuì, non seppe dire nemmeno lui se fosse intimorito dai nobili ideali di quella donna o se fosse solo riverenza verso di essa «Se mai riuscirò a fuggire da questo buco merdoso, farò tutto ciò che è in mio potere per assicurarmi che il tuo sacrificio o quello di altri che affrontano ogni giorno ostacoli e sciagure non sia vano» 

Thalia sorrise. Un piccolo barlume di orgoglio misto a fiducia le scintillava nelle iridi cerulee come fossero frammenti di puro cristallo. 

«Bravo ragazzo»

 

 

 

*** 

 

 

 

Due ore dopo, Marineford... 

 

 

 

La chiamano ‘La Fortezza Inespugnabile’, un’immensa città posta su un’isola dalla forma singolare e protetta da una miriade di bastioni fortificati, doppie cinte murarie composte da un materiale ultraresistente e presidiata da oltre cento reparti specializzati della Marina. 

Ma non è a questo che deve il suo soprannome, bensì al fatto che sin dalla sua costruzione fino ad oggi, non è mai stata presa d’assalto dai pirati o altri piantagrane, nemmeno dai temibili Quattro Imperatori o dall’Armata Rivoluzionaria, il che rappresentava un traguardo non indifferente agli occhi della popolazione o del Governo Mondiale. 

Essa, inoltre era il luogo utilizzato da quest'ultimo per eventi di portata globale come impiccagioni, esecuzioni e in maniera nettamente minore, decapitazioni 

Affacciato ad un balcone adornato da due aquile di marmo alle estremità, un uomo alto e dal fisico massiccio osservava con un'espressione piuttosto seria il cielo grigio e addensato di nuvole caliginose e incombenti. Il vento gelido proveniente dal mare, il quale cominciava a incresparsi di onde schiumose, gli sferzava il viso, agitando sempre più intensamente l’uniforme della Marina che gli drappeggiava le spalle.  

Sotto di esso indossava una camicia porpora, una fascia di un violaceo più tenue gli cingeva la vita, accompagnandosi ad un pantalone hakama, nero come una notte senza luna. La capigliatura brizzolata e dal taglio militare, sembrava l’unica cosa a non essere sospinta dal turbine impetuoso, rimanendo ferma e salda, così come lo era l’uomo che la portava. Costui non era altri che Kosaiusagi, uno dei temibili ammiragli della Marina.  

Improvvisamente, una voce alle sue spalle interruppe i suoi pensieri «Sembra che sia in arrivo una temibile tempesta, Ammiraglio» disse qualcuno affiancandolo. Si trattava di un individuo alto e snello, sebbene di statura minore rispetto all’altro, dai lunghi e selvaggi capelli color biondo sporco, quasi privi di luce. Indossava un gilet nero con bottonatura azzurra, un fazzoletto della medesima tinta attorno al collo e pantaloni color dell’oro. La classica giacca della Marina era adagiata sulle sue spalle, anche se a differenza di quella dell’Ammiraglio sembrava più nivea. 

Kosaiusagi si voltò verso di lui, annuendo in segno di assenso «Così sembrerebbe» La sua voce era profonda, leggermente roca ma chiara e potente, controllata e affatto spaventosa. Era una voce che spandeva tranquillità e al contempo incuteva timore e suscitava rispetto. «Sei già di ritorno, Viceammiraglio Dupont?» chiese poi, tornando a scrutare l’orizzonte 

L’uomo sbadigliò fragorosamente, portandosi la mano davanti alla bocca in maniera plateale e strizzando gli occhi «Beh, mi conoscete Ammiraglio. Se il compito è noioso, è quasi d’obbligo per me che venga portato a termine nel modo più agevole e rapido possibile. Ero in procinto di andare a schiacciare un sonnellino, ma ho pensato prima di passare a salutarvi» parlava lentamente, come se anche quella conversazione stesse iniziando ad annoiarlo. 

L’ammiraglio fece un cenno col capo «Ottimo. Dovrei confidare quindi che tutto sia stato sistemato a dovere e la questione risolta?» 

Dupont scrollò le spalle «Per quanto possa definirsi tale, date le circostanze. Ma non me ne preoccuperei, almeno non adesso. E il tempo che deciderà se farlo oppure no»

«Sei il solito lavativo» lo apostrofò Kosaiusagi  

Dupont sollevò un sopracciglio, osservando l’uomo con un certo grado di curiosità «Immagino si possa dire così» rispose lui grattandosi la testa «Siete sempre così serio e cupo, Ammiraglio. Trovate mai il tempo di rilassarvi?» gli domandò 

«Ho i miei momenti» ammise l’uomo. Come ipnotizzato da esso, seguì con lo sguardo il movimento dei flutti che con veemenza si infrangevano contro le pareti metalliche della baia, udendo in lontananza un rombo sordo, come il rotolio di cento carri che venivano trascinati lungo i confini del cielo. 

«Qualcosa vi turba, Ammiraglio?» chiese Dupont «Oggi, sembrate più pensieroso del solito» 

«Il valore di un uomo si rivela nell’istante in cui la vita si confronta con la morte» Una risposta che pareva alquanto criptica, come se l’Ammiraglio stesse citando qualcuno 

«Signore?» ripeté il Viceammiraglio confuso dalle parole appena udite. Sapeva bene quanto quell’uomo fosse misterioso e indecifrabile, ma oggi sembrava senza dubbio più distante di quanto non fosse, come se la sua mente fosse altrove. 

«Vecchi ricordi, Dupont» si affrettò a dire Kosaiusagi «Di un giorno non molto lontano, quando infuriava una tempesta tale e quale a questa. Quel giorno mi furono rivolte queste esatte parole» 

Un lampo di curiosità balenò nei suoi occhi «Vi state forse riferendo a quella che oggi conosciamo come la ‘Battaglia dei Cataclismi’? Al giorno in cui affrontaste il Capitano Pounce D.Leon?» 

Kosaiusagi annuì gravemente «Esattamente. È stato il giorno in cui ho affrontato una delle sfide più ostiche in cui mi sia mai imbattuto. Leon era un avversario formidabile e implacabile, il cui coraggio e forza di volontà erano seconde solo alla sua indicibile crudeltà. Quella battaglia mise a dura prova non soltanto la mia forza e la mia risolutezza, ma anche la mia tenacia e il mio senso del dovere verso i miei uomini e ciò che ho giurato di proteggere e servire. Ne porto ancora gli strascichi» concluse passandosi una mano sul petto 

Dupont sembrava piuttosto impressionato «Ho udito diverse versioni della storia e da fonti piuttosto disparate, ma mai per mano vostra, Ammiraglio, l’unico che sa come siano effettivamente andate le cose. Vi andrebbe di condividerla con me?»  

Kosaiusagi annuì, continuando a fissare intensamente l’orizzonte, mentre la sua mente tornò per un attimo a quel fatidico giorno. 

 

Tre navi da guerra della Marina solcavano il tratto di mare che precedeva l’isola di Diatidur. Sul ponte di una di esse, vi era Kosaiusagi, più giovane di un paio d’anni, che scrutava imperterrito avanti a sé, in attesa di sbarcare sull’isola ove si vociferava che Leon avesse trovato un tesoro in grado di scuotere il mondo. 

Ben presto, la nave venne scossa da urti e violenti tremiti che le strapparono scricchiolii e lamenti da ogni corba, ossatura. Nuvole scure si addensarono sopra le loro teste, coprendo gran parte del cielo e con le prime gocce di pioggia, si levò all’improvviso il vento che prese a soffiare a raffiche.  

La superficie del mare s’increspò, divenendo poi nera come le tenebre e diventando un tutt’uno con il cielo, e la pioggia si trasformò all’istante in un uragano di proporzioni gigantesche. Il vento urlava così forte da non riuscire a udire le grida dei marinai che venivano travolti da esso. 

Kosaiusagi rivolse lo sguardo alla propria sinistra, osservando come un immane cavallone travolse l’altra nave, inghiottendola tra le sue spire come fosse una serpe e trascinandola nelle scure profondità. 

«Forza, uomini!» cercò di incitarli l’uomo «Cercate di non farvi intimidire dal mare in burrasca, siete o non siete marinai?» 

«Siii!!!» esclamarono in coro sollevando le braccia verso il cielo 

«E allora, dateci dentro! Chiudete i boccaporti e ammainate le vele!» 

Un fulmine nero-rossastro colpì la fiancata dell’imbarcazione e fu allora che lo vide:  

Capelli biondo miele raccolti in una coda di cavallo, sulla cui sommità vi era un tricorno terminante con una piuma, folti baffi di una tonalità più chiara e abbigliato in abiti sontuosi di seta da far invidia al più ricco dei sovrani.  

Si trattava del famigerato Pounce D.Leon, colui che aveva conquistato in men che non si dica la Grand Line e che era finito sulla bocca di tutti, fregiandosi con un titolo altisonante ma mai più adatto, “Re degli Esploratori”.  

Se ne stava sulla riva, in posa come un fiero guerriero. Nelle mani stringeva con vigore l’arma con cui aveva conquistato la vetta e che probabilmente era in parte responsabile della devastazione che stava avvenendo, la Stormlure, una sciabola la cui lama argentata era cosparsa di strani simboli e la cui elsa dorata richiamava in qualche modo la forma di un tornado. 

«"Eccoti farabutto"» pensò l’Ammiraglio facendo un passo avanti «Finalmente il nemico numero uno della Marina è apparso al nostro cospetto, Pounce D Leon!» esclamò lui «Tenete salda la concentrazione e rimanete ai vostri posti in attesa di ulteriori istruzioni!» continuò prima di precipitarsi verso il bordo e tendere il braccio in avanti, generando una sorta di portale dalla forma ovoidale che brillava di una luce porpora e quasi ultraterrena «E ora a noi due. Backdoor!» disse prima di raggiungerlo come un razzo e passarvici attraverso, sotto lo sguardo attonito e intimorito dei propri uomini. 

Ma Leon sembrava non essere stato colto alla sprovvista, tanto da impregnare la propria arma di scariche elettriche nerastre e compiere un balzo verso l’alto, proprio nel punto in cui era apparso immediatamente Kosaiusagi. 

«Perpetual Overture!» «Sharpdoor!» gridarono entrambi all’unisono prima che una violenta ondata di luce li facesse scomparire dalla vista. 

 

«Nei dieci giorni che seguirono quell’incredibile battaglia. molti uomini valorosi perirono» continuò a narrare l’Ammiraglio «Fu uno scontro senza uguali, il cielo si tinse di rosso e il vento portò il sentore della tragedia su spiagge lontane» si arrestò bruscamente, come se in qualche modo sentisse il peso di quelle morti anche su di sé. 

«Su, continuate, Ammiraglio» disse Dupont, affascinato come non mai dal racconto 

Kosaiusagi annuì, gli occhi ancora fissi sull’orizzonte «Nel mezzo della nostra cruenta battaglia, accadde qualcosa che ancora oggi fatico a comprendere» 

«Di che si trattava?» chiese l’altro curioso 

«Eravamo così concentrati e infervorati dalla battaglia, da trascurare ciò che avveniva intorno a noi. All’inizio non avvertì niente, poi, fu come se mi piombasse addosso tutto in una volta. Il mondo è esploso intorno a me e per un istante, mi sentii incorporeo, flebile, alla deriva in un mare di pura energia. È stato...indescrivibile» 

Dupont lo squadrò stranito, grattandosi la testa come se stesse tentando di venire a capo di parole che per lui avevano poco o nessun senso «Piuttosto criptico, spiegatevi meglio»

Kosaiusagi sorrise debolmente, una cosa piuttosto rara, visto che era abituato a portare con grande destrezza la maschera di austerità e rigorosità che era riuscito a costruirsi negli anni «Sembra che la sovrapposizione dei nostri haki del re abbia generato una massiccia e incontrollata esplosione, la quale ha inghiottito l’intera isola in un solo colpo, causando distruzione ovunque» 

Dupont spalancò gli occhi «Dev’essere stato terribile. Che accadde poi?» 

«Fui catapultato direttamente in mare e di Leon e la sua maledetta isola si persero inevitabilmente le tracce. Tuttavia, fino a qualche tempo addietro, circolavano voci su di essa e sul fatto che fosse ricomparsa quasi per magia, ma si trattavano solo di dicerie infondate e frutto di chiacchere da taverna o da ubriaconi. Nessuno, ad eccezione di Leon e del suo equipaggio, è mai riuscito ad esplorare l’isola e a trovare il temibile segreto che custodiva» 

«E come siete sopravvissuto?» chiese il Viceammiraglio «Avendo ingerito un frutto del diavolo e avendo quindi perso la capacità di nuotare, sareste affogato all’istante. Quindi, che trucco avete usato per aver salva la vita? Magari, potrebbe tornarmi utile»  

Kosaiusagi tacque per un momento «Questa è tutt’altra storia, e forse un giorno te la racconterò»

Dupont sbuffò annoiato, ma poi strinse i pugni come in preda ad una forte eccitazione «Ad ogni modo, avendo contribuito a togliere di mezzo un filibustiere della peggior specie, vi siete guadagnato il soprannome di ‘Spezza-tempesta’. È proprio un racconto degno delle vostre gesta. Siete incredibile Ammiraglio. Una vera leggenda»

«Sono solo un uomo» replico lui a voce bassa «Un uomo che ha visto troppo e che non si tirerebbe mai indietro, pur sapendo che tempeste più violente di questa si profilano all’orizzonte» poi rivolse all’uomo accanto un’espressione grave «Ricordalo, Viceammiraglio. Non importa quanto calme possano apparire le acque, poiché da qualche parte, vi è sempre una tempesta imminente, pronta a riversare sul mondo la sua incontenibile furia» 

Dupont annuì, prima di fargli un cenno col capo e cominciare ad incamminarsi in direzione dell’imponente portone di legno lavorato.  

«"Non abbiamo la minima idea di cosa ci stia aspettando lì fuori"»

   
 
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