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Autore: Orso Scrive    15/05/2023    1 recensioni
Alberto Manfredi e Aurora Bresciani ricevono l’incarico di gestire la sicurezza di una mostra dedicata alla storia della frontiera americana. Fare la guardia a vecchi cimeli privi di valore non sembrerebbe essere un incarico molto gratificante, per i due carabinieri del Nucleo Tutela del Patrimonio Culturale. Ma dovranno presto ricredersi, quando la mostra verrà sconvolta da uno strano furto, che sembra collegato a un’antica maledizione degli indiani d’America e alla scoperta, ai tempi della frontiera, di una miniera misteriosa…
Genere: Avventura, Mistero, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'A&A - STRANE INDAGINI'
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11.

 

 

Monti della Superstizione, Arizona, 1704

 

 

L’opera evangelizzatrice a cui si stava dedicando da anni con anima e corpo, non aveva fatto scordare a padre Kino la sua altra grande passione. La stessa passione che, tanti anni prima, lo aveva spinto a compiere il lungo viaggio fino nel Nuovo Mondo.

Quella per la scienza, e in particolare per la cartografia.

Mappare, disegnare il mondo, e per farlo attraversare enormi distese. Padre Kino adorava farlo. Sentiva che era in tutto questo il vero senso della sua esistenza, il reale scopo per cui era nato.

Ormai, era talmente abituato a essere chiamato in quel modo, che aveva quasi scordato che, il suo nome, era Eusebio Francesco Chini. Un nome che, per gli uomini da cui era stato accolto, era pressoché impronunciabile. Ed era tanto avvezzo al sole bruciante e ai paesaggi aridi e rossastri della Nuova Spagna da non rimpiangere mai la lontananza delle Alpi Tirolesi che gli avevano dato i natali.

Fu nell’archivio della cattedrale di Città del Messico, dove aveva trascorso alcuni mesi in convalescenza dopo una caduta da cavallo, che trovò la mappa. Risaliva a oltre un secolo e mezzo prima, e portava la firma di padre Marco da Nizza, un francescano che, proprio come lui, si era dedicato all’esplorazione del Nuovo Mondo.

Sicuro di aver trovato qualcosa di importante e di prezioso, padre Kino si diede da fare per ricopiare con accuratezza quella pergamena, che l’umidità aveva intaccato al punto da minacciare di distruggerla. E, infatti, non appena ebbe terminato di disegnarla, la mappa di padre Marco gli andò in frantumi tra le mani.

Aveva fatto appena in tempo. L’intero itinerario della spedizione di Coronado era in salvo tra le sue mani. E, su tutti, spiccava un riferimento preciso, che accese la fantasiosa curiosità di padre Kino.

Cibola.

 

* * *

 

Finalmente ripresosi dalla caduta, padre Kino aveva potuto mettersi in viaggio. Anelava di scoprire se, quell’indicazione tramandata dal suo precedessore, corrispondesse al vero o fosse soltanto il frutto di un’immaginazione surriscaldata.

Al contrario di Coronado, padre Kino non ebbe la necessità di organizzare una spedizione armata e provvista di vettovagliamenti. Ormai, le terre a nord del Messico erano state pacificate e, a intervalli regolari, lungo il percorso era possibile incontrare missioni e parrocchie, dove avrebbe potuto trovare ospitalità e tutto ciò di cui avrebbe avuto necessità per il viaggio.

Una certezza e una sicurezza che lui stesso, con il suo lungo lavoro, aveva provveduto a creare. Il tempo sarebbe trascorso, gli uomini sarebbero venuti e andati, ma nessuno avrebbe mai scordato padre Kino e il suo prezioso lavoro. Poteva ben credere di aver contribuito a forgiare una nazione, anche mentre quella nazione ancora non esisteva. Se quelle terre avevano un futuro, se un giorno il mondo avrebbe sentito parlare di un posto chiamato America, sarebbe stato anche grazie a lui.

In sella al suo cavallo, padre Kino si inoltrò tra monti e deserti, tra fiumi che scorrevano in gole profonde e aride e piatte distese di pietra e sabbia.

In quei luoghi, perso nella vastità di una terra che Dio Onnipotente aveva creato perché gli uomini di buona volontà la abitassero, il tirolese che aveva votato la propria esistenza terrena alla missione di evangelizzare coloro che erano nati lontani dalla luce di Gesù Misericordioso e all’esplorazione di nuove terre, si sentiva in pace con se stesso.

Le brulle distese gli davano conforto. Le montagne rosse, che si levavano altissime contro il cielo perennemente blu, lo facevano sentire piccolo, eppure grato a Dio per avergli conferito quell’incarico sacro. Lo scalpiccio degli zoccoli del suo cavallo sul terreno gli infondeva la tranquillità nell’anima.

Di quando in quando, qualcosa sconvolgeva quella deliziosa malinconia.

Un’aquila in volo, un serpente sinuoso che si andava a infrattare tra le pietre facendo risuonare i sonagli attaccati alla sua coda, un piccolo roditore che compariva all’improvviso e, altrettanto velocemente, si nascondeva alla vista, guizzo rapidissimo tra le rocce. E poi gli uomini e le donne, quelle genti rosse e fiere, vestite di povere pelli conciate, che, nel vederlo sopraggiungere, accorrevano incuriositi e poi, riconoscendolo, chinavano il capo in modo deferente.

Padre Kino si sentiva libero, come un imperatore sul proprio suolo. Il Nuovo Mondo era il suo mondo, e lui sarebbe stato ricordato per sempre come il forgiatore di qualcosa di grande ed eterno. Eppure, l’idea che ancora qualcosa gli sfuggisse, che un luogo si sottraesse alla sua conoscenza, non gli dava tregua.

Per questo, obbedendo a un impulso che gli veniva dal cuore e dall’anima, aveva deciso di seguire fino in fondo la mappa di padre Marco.

La mappa che lo avrebbe condotto a Cibola, l’ultimo segreto che ancora non aveva svelato.

 

* * *

 

Il viaggio fu lungo e faticoso. Gli ultimi tratti da affrontare furono tanto impervi che, in un paio d’occasioni, il presbitero fu colto dal timore di non farcela e pensò di rinunciare. Lasciò che quelle paure gli defluissero dall’anima e, appellandosi all’aiuto della Vergine Maria, proseguì nel suo cammino.

Picchi altissimi si innalzavano tutt’attorno. Enormi torrioni, simili a dita che indicavano il cielo. Il sole, implacabile palla di fuoco, ardeva e calcinava tutte le cose. A ogni passo, dal terreno si sollevavano nubi di polvere rossiccia che faceva piangere gli occhi e seccava la pelle scottata e riarsa.

«Dio mio», pregò padre Kino, quando la fiasca che portava a tracolla e che aveva riempito di acqua e aceto per dissetarsi meglio, risultò ormai vuota. «Dio padre misericordioso, assistimi.»

Si guardò attorno. Per miglia e miglia, non vide altro che rocce e montagne inaccessibili. Eppure, fu certo di aver seguito alla lettera le indicazioni di padre Marco. Si riteneva un cartografo troppo abile per credere di aver frainteso qualche segnale.

Ma chei o che cosa poteva mai assicurargli che, al contrario, il francescano che aveva disegnato la mappa non fosse un incapace, se non addirittura un visionario o un imbroglione? E se fosse caduto nell’inganno di un mistificatore, magari in buona fede, ma pur sempre un mistificatore?

Senza escludere, poi, che quelle lande desolate potevano aver tratto in inganno gli occhi della guida di Coronado. Montagne e picchi, visti da lontano, avrebbero potuto far credere a un uomo disperato e al contempo munito di una fervida immaginazione, di essere giunto in prossimità di una città perduta.

«Cibola», mugugnò padre Kino.

Proferì quella parola a mezza voce, quasi se ne vergognasse come di una bestemmia.

Tutto a un tratto, comprese che Gesù Cristo lo aveva messo alla prova. Subodorando la sua superbia, il suo volersi erigere al di sopra delle possibilità di un umile uomo, Dio lo aveva condotto fino a quei luoghi inospitali per mostrargli la sua sciocca vanagloria.

«Padre, perdonami», mormorò il missionario.

Da quel momento in avanti, si sarebbe dedicato soltanto al suo sacro compito. Evangelizzare i miseri e aiutare i poveri. Questo e soltanto questo avrebbe fatto per il resto dei suoi giorni, fossero essi ancora lunghi oppure brevi. Non avrebbe più cercato di spingersi al di là dei limiti dell’essere umano. Non avrebbe perseverato nel suo peccato. Cedere a inutili e vani miraggi sarebbe stato un gravissimo errore, specialmente per un uomo di Chiesa. E Cristo, conducendolo fin lì, glielo aveva voluto far apprendere a caro prezzo.

«Grazie, signore, per avermi mostrato quale piccolo uomo io sia», disse. «Solo tue sono le glorie e le laudi.»

Con un sospiro, reprimendo per sempre in petto la sua rovente curiosità che avrebbe potuto spingerlo alla rovina, padre Kino lanciò un ultimo fugace sguardo alle vette che aveva di fronte.

«Cibola, se mai è esistita, è la città di Dite, la sede delle tentazioni a cui gli uomini non dovrebbero mai essere indotti», sentenziò.

Poi si volse e, recitando il Rosario, si avviò lungo la strada del ritorno.

 

* * *

 

Sguardi impenetrabili seguirono le mosse del missionario. Forme invisibili lo accompagnarono lungo la via, nascoste nell’ombra della roccia.

Il vecchio saggio annuì con fare grave.

«Il prete ha compiuto la scelta giusta», asserì. «È stato saggio da parte sua, e ne sono contento. Mi sarebbe dispiaciuto doverlo uccidere. Ma non avrebbe potuto salvarsi, se avesse continuato: il segreto di queste montagne deve continuare a mantenersi celato e inviolato.»

I guerrieri che lo attorniavano mossero il capo in segno d’assenza. Erano rimasti in pochi, ma fino a quando uno soltanto di loro fosse rimasto in vita, non avrebbero mai smesso di fare la guardia a quel luogo.

Alcune decine di metri più in basso, in mezzo al canyon, padre Kino tornò sui suoi passi, diretto verso il piano e dicendo addio a Cibola e ai suoi misteri, inconsapevole di essersi così garantito la possibilità di vivere ancora per alcuni anni.

 

 
   
 
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