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Autore: guiky80    29/05/2023    7 recensioni
Tsubasa e Sanae.
La vita con percorsi separati, lui il campione che tutti si aspettano, lei una ragazza che cerca di costruirsi una carriera in un mondo prettamente maschile.
Inevitabile l'incontro in Federazione calcio anni dopo.
Sarà ancora tutto come prima?
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Sanae Nakazawa/Patty Gatsby, Tsubasa Ozora/Holly
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Il giorno seguente Tsubasa decise di sedere in panchina con Ryo, aiutare quei piccoli campioni in erba lo faceva stare bene e capiva il motivo per cui Roberto si era dedicato a loro con tanto impegno anni prima.

Per tutta la durata dell’allenamento sentì i borbottii dell’amico che continuava a ripetere quanto i ragazzini fossero galvanizzati dalla sua presenza, sembravano più attenti e più svelti, ovviamente ognuno di loro voleva impressionare il campione.

“Sono io il vostro allenatore, lui non sarà qui in eterno! Portate un po’ di rispetto anche me, grazie!”

Tsubasa scoppiò a ridere alla vista di Ryo in piedi accanto alla panchina, braccia incrociate al petto che scrutava con sguardo torvo tutti i piccoli seduti in cerchio lì intorno: “sì mister.”

Durò poco l’attimo di attenzione per mister Ishizaki, finché il portiere riprese con le domande: “è difficile giocare in Brasile? Non vuoi tornare a giocare qui?”
“Scemo, cosa torna a fare qui? Là c’è il sole e il mare, poi è famoso.”

“Anche qui è famoso!”

“Appunto, qui lo è già, deve diventare famoso da tutte le altre parti, a partire dal Brasile!”

Tsubasa sollevò un sopracciglio mentre seguiva il rimpallo di domande e risposte, scosse la testa schiarendosi la voce e spiegò che sì gli piaceva giocare in Brasile, che gli mancava il Giappone, la cucina, la sua famiglia e gli amici, ma che doveva perfezionarsi ancora, sarebbe poi stato bello andare in Europa, il suo sogno era di diventare un campione anche lì, così da tornare in patria solo in età più avanzata e far crescere altri campioni come loro.

Quasi tutti i bambini restarono con la bocca spalancata: “in Europa? Cavolo che bello!”

“Io andrei in un paese freddo! Che so la Svezia!”

“Perché? Sei matto?”

“Ci si conserva meglio al freddo! Soprattutto dopo il Brasile!”

"Per me meglio la Francia, pare che lì il cibo sia buonissimo!”

“Quella è l’Italia, scemo!”

Ryo sospirò e Tsubasa sorrise, la loro attenzione era davvero scarsa, si perdevano in un attimo a discutere tra loro, ma erano divertenti e soprattutto curiosi di capire, imparare e questo era fondamentale.

“Va bene, per oggi abbiamo finito, filate a casa di corsa, ci vediamo domani. Cercate di studiare! So che domani avete interrogazioni e verifiche e se andranno male sarete fuori per la prossima partita!”

“Ma Mister!” 

“Niente ma, conoscete le regole, via forza.”

Salutando e discutendo tra loro della poca voglia di studiare, si avviarono a casa. Tsubasa scrutò Ryo.

“Li minacci con la scuola?”
L’altro si strinse nelle spalle: “in realtà sono state le mamme a dirlo. Pare che qualcuno di loro si sia perso per strada con la media scolastica da quando abbiamo iniziato il campionato dei pulcini, allora li minaccio così: se la media cala, io non li convoco. Semplice. I genitori sono felici, io non ho rotture di palle e loro si applicano in entrambe le cose. Meno male che ai nostri tempi Roberto non chiedeva i voti.”

A quel punto Ozora scoppiò davvero a ridere di gusto mentre l’altro lo guardava storto: “guarda che nemmeno tu eri una cima a scuola!”

“Lo so, lo so hai ragione."

Alzando le mani a mo’ di difesa, il capitano lo aiutò a sistemare il campo.


La mattina successiva, poco prima di pranzo, Tsubasa si recò in stazione per accogliere la madre. La Signora Ozora, all’oscuro del ritorno del figlio, percorse il binario trainando il suo trolley. Appoggiato a uno dei pilastri di marmo, il ragazzo la osservò: sua madre non era cambiata poi molto, giusto qualche capello bianco in più. 

Il corpo minuto stretto in un paio di pantaloni, mentre la parte sopra restava infagottata in un giubbotto, era sempre stata particolarmente freddolosa. Sorrise al ricordo delle volte che da piccolo veniva infagottato pure lui perché lei aveva freddo: tipico delle madri.

Quando la donna gli fu accanto, lui sussurrò: “signora, le posso portare la valigia?”

Stupita si voltò e spalancò occhi e bocca.

“Tsubasa!?”

Il ragazzo sbottò a ridere abbracciandola.

“Ciao, mamma!”

La donna si sciolse quasi in un pianto a dirotto.

“Benedetto ragazzo, perché non mi hai detto che saresti tornato prima, quando sei arrivato?”

“Volevo farti una sorpresa, sono qui solo da un paio di giorni. Ho chiesto alla vicina l’orario del tuo arrivo, così da essere qui, sono felice di essere a casa, mamma.”

Lei si allontanò di un passo e lo osservò.

“Va tutto bene? Sei tornato in vacanza o è successo qualcosa? Eri così misterioso quando hai detto che saresti venuto.”
Il sorriso del figlio sembrava il solito, ma scorse qualcosa a ridosso di quelle labbra, tuttavia pensò che forse non era pronto a parlarne.

“Vacanza, solo vacanza.”

Annuendo la madre, decise di accantonare l’argomento, almeno per il momento, era troppo felice di avere di nuovo il suo bambino a casa.

“Bene, allora accetto l’offerta.”

Mollò il trolley al figlio e lo prese a braccetto: “andiamo ho tante cose da raccontarti e da chiederti, ma prima ti preparo un pranzo degno di casa Ozora! Chissà cos’hai mangiato in quel posto e in questi giorni a casa!”

Ridendo il ragazzo le baciò una tempia guadagnando l’uscita.

“Che ne dici se invece ti invito a pranzo io? Stasera potrai cucinare tutto quello che vorrai, ma ora sei stanca dal viaggio.”

La donna si voltò di nuovo verso il figlio e lo vide finalmente per quello che era: un giovane uomo, bello ed economicamente indipendente, che poteva permettersi di portar fuori a pranzo una donna, anche se in quel caso non era proprio la donna che lei avrebbe voluto vedere andare fuori con lui, ma per il momento poteva accontentarsi e godersi il suo figliolo, sarebbe arrivato fin troppo presto il momento in cui non sarebbe stata più lei l’unica donna per lui, o magari era già arrivato… sarebbe stato opportuno indagare con cautela anche per quell’argomento.


Il pranzo fu tranquillo, la madre lo subissò di domande sul Brasile, principalmente sulla casa, sul cibo, sugli allenamenti.

“Scommetto che ti alleni troppo e mangi poco! Voi giovani d’oggi non capite che serve il fisico per sopportare gli allenamenti! Chissà cosa mangi poi laggiù!”

Tsubasa rise alle domande tipicamente da mamma: “non temere, ti ricordo che sono sotto stretto controllo medico, vengo pesato e il mio sangue è più spesso in una provetta che dentro di me! Non temere, sto benissimo; la signora che mi ha consigliato Roberto è bravissima: tiene in ordine la casa e mi ha insegnato qualche ricetta facile da fare quando non c’è, in più ci sono le mogli e fidanzate dei miei compagni di squadra, anche loro mi hanno insegnato qualcosa e qualche volta mi adottato per cena!”

Rise di nuovo, mentre la madre continuava a osservava, non aveva ancora smesso, chissà qual era il vero motivo di quel ritorno così repentino, quando solo pochi giorni prima aveva detto di non avere tempo per tornare a casa, poi di colpo quella telefonata:

 

‘Torno per qualche settimana, ho tante vacanze e il campionato è finito. Sei felice? Finalmente potremo stare insieme.’

 

Ovviamente lei ne era entusiasta, eppure il suo sesto senso da madre le diceva che c'era qualcosa che non andava, qualcosa che suo figlio non aveva ancora detto. Non voleva insistere e rovinare quel bel momento, decise allora di goderselo e ridere con lui, mentre raccontava di un compagno di squadra che aveva quasi mandato a fuoco la cucina della madre cercando di ricreare un piatto visto in televisione.

Arrivati al dolce la signora Ozora sospirò: “non ci sta più nulla, mamma mia mi hai fatto mangiare troppo, vuoi vedermi ingrassare, screanzato di un figlio?”

Ridendo divertito il ragazzo inclinò la testa: “e tu cosa mi racconti? C’è qualche novità?”
Stringendosi nelle spalle la donna rispose: “nulla di particolarmente rilevante. Insomma, io faccio la solita vita, per fortuna ci sono le vicine di case e qualche amica o mi annoierei a morte. Mi sono iscritta a un corso di giardinaggio e a uno di cucito, sono divertenti e sto conoscendo altre persone, a volte la sera ceniamo insieme a casa di una o dell’altra, oppure passeggiamo dopo colazione, cose così. Tuo padre lo sento regolarmente, è tornato giusto un paio di mesi fa ed è rimasto per tre settimane, è stato bello avere qualcuno per casa di cui occuparsi. Non voglio lamentarmi, sai perfettamente che sono contenta del fatto che miei uomini stiano facendo ciò che davvero li rende felici.”

Lo sguardo dolce non aveva nessuna ombra, oppure quell’ultima frase fece stringere il cuore al ragazzo: “e tu mamma? Fai quello che ti piace? Corsi e amicizie a parte, non c’è qualcosa che vorresti fare e non hai fatto per star dietro a noi?”
Si rese conto che era la prima volta che faceva quella domanda a sua madre e si domandò come avesse potuto essere così imbecille da non pensarci prima.

Allungandosi attraverso il tavolo lei gli strinse la mano: “quando ho sposato tuo padre sapevo che lavoro faceva, è stata dura i primi anni, credevo di essere pronta, ma non lo si è mai davvero alla vita da sposati, soprattutto se poi ti ritrovi sola sempre più spesso. Poi sei arrivato tu e finalmente avevo qualcuno a riempirmi le giornate, ma non ho mai pensato che sarebbe durato per sempre, certo tu hai lasciato il nido prima del tempo, ma in ogni caso sapevo che saresti andato via: per la scuola, per lo sport, per una ragazza… qualunque fosse il motivo, avresti spiccato il volo, a me restava solo da preparati, perché fossi pronto, prepararti la rampa di lancio, se vogliamo chiamarla così, affinché fossi capace di volare da solo, poi dovevo diventare il cuscino, in caso fossi caduto avrei attutito il colpo, ma sai una cosa? Non sei caduto e io sono molto orgogliosa di te, dell’uomo che sei diventato. Non mi pento di nulla, Tsubasa, non mi manca nulla, davvero, non devi preoccuparti per me.”

Ricambiando la stretta il ragazzo sorrise dolcemente.

“Sei davvero forte mamma, la più forte di tutti gli Ozora.”

“Ovviamente sono una donna, che credevi?”
Il sorriso del figlio le parve all’improvviso più consapevole, ma anche più rilassato, sorrise a sua volta, era davvero felice di averlo lì con lei.


Dopo un bagno rilassante la donna propose al figlio una passeggiata: “così potrò farti vedere com’è cambiata Nankatsu in questi anni.”

Annuendo Tsubasa la seguì, aveva deciso di passare più tempo possibile con la madre in quei giorni, quella sera avrebbe rivisto suo padre in video chiamata e non vedeva l’ora, anche con lui si sentiva poco, in quel momento capì di essere davvero un pessimo figlio.

Aveva dato davvero troppa importanza al calcio e alla sua carriere, era facile diventare così distante e distratto abitando dall’altra parte del mondo, preso da tutto quello che gli girava intorno, tanto da non ricordare nemmeno alcuni posti di quella città in cui era cresciuto, tanto da non aver mai chiesto nulla a sua madre sulla sua vita, tanto da aver accantonato anche gli amici e lei.

Seduti su una panchina al parco, la signora Ozora raccontò al figlio del piacevole pomeriggio passato con la signora Ishizaki.

“Incredibile che Ryo abbia fatto la proposta a Yukari, o meglio, è incredibile per sua madre, io ho sempre saputo che l’avrebbe fatto.”

“Davvero? Come mai?”
Stringendosi nelle spalle sorrise: “li ho visti. Un giorno li ho incrociati al supermercato, Yukari stava facendo delle compere per la zia malata, Ryo riempiva il carrello di caramelle e patatine e lei lo sgridava dicendo che non era più un ragazzino, che doveva cominciare a fare una spesa più decente, o non sarebbe stato capace di far quadrare un bilancio famigliare. Si punzecchiavano, ridacchiavano, erano i soliti insomma, ma quando lei si è voltata a cercare qualcosa su uno scaffale, l’ho visto: il modo in cui Ryo la guardava, era uno sguardo dolce di puro amore per lei. Lì ho capito: si sarebbero sposati e sarebbero stati felici. Quello sguardo è quello che davvero ognuna di noi vorrebbe ricevere dal proprio uomo.”

Tsubasa osservò la madre fissare il laghetto: lui avrebbe mai guardato qualcuno così? Avrebbe mai avuto quel privilegio?

Stranita dal silenzio, la donna lo guardò: “che succede?”

Sbattendo le palpebre come se tornasse dal mondo dei sogni, il calciatore sorrise: “nulla, scusa, stavo immaginando Ryo sposato, chissà che dirà Genzo!”

La donna sorrise a sua volta stringendo le labbra, forse era ora di essere più diretta.

“Come va con Roberto?”

Notò il sussulto del figlio, lo stesso che aveva sentito al telefono quando aveva parlato con l’ex allenatore; non aveva potuto vederlo, ma l’aveva avvertito: era decisamente successo qualcosa tra quei due. Lei aveva subito chiamato Hongo quando Tsubasa aveva annunciato il ritorno a casa, voleva capire se ci fosse un problema, ma l’uomo era stato evasivo, aveva parlato di vacanza, meritato riposo e null’altro, ma era evidente, ora era anche più che evidente che ci fosse altro dietro.

“Lui non abita più con me da tempo, ma ci sentiamo spesso e ci vediamo almeno ogni due o tre settimane. Anche lui era contento del mio ritorno a casa, era da un po’ che mi diceva di tornare, per rivedere voi, gli amici. Aveva ragione, sai mamma, avevo davvero bisogno di tornare e ristabilire i contatti con le mie radici.”

La donna inclinando la testa, osservò il profilo del figlio, deciso, adulto, non più quello del ragazzino che si era imbarcato per un’avventura più grande di lui anni prima, eppure così fragile, così oppresso da qualcosa che non voleva dire.

“Tsubasa, sai che mi sono sempre fidata di te, del tuo giudizio e di Roberto, ma ora voglio sapere cosa ti ha spinto davvero a tornare. Non voglio essere impicciona, ma sei mio figlio e se hai un problema ho il diritto di saperlo e di aiutarti.”

Il sospiro e il viso che si voltò a guardarla, le fecero trattenere il fiato.

“Non è successo nulla di particolare, ma avevo davvero bisogno di rivedervi, di stare con i ragazzi, di stare a casa mia, la casa dove sono cresciuto, la città dove sono cresciuto. Tutto di Nankatsu mi è mancato, ho davvero bisogno di stare qui e basta.”

“Capita, figliolo, a volte bisogna fermarsi, fare un passo indietro, tornare dove si è stati davvero felici, per vedere la nostra vita sotto un altro punto di vista e capire se stiamo andando nella direzione giusta. Sono orgogliosa del fatto che tu sia arrivato a questa conclusione da solo. Sei cresciuto tanto. Continuo a pensare che ci sia altro, ma non voglio forzarti a parlare.”

Abbracciò il figlio di slancio, come quando era piccolo.

Il sospiro pesante che rilasciò Tsubasa mentre respirava l’odore di sua madre, le fece stringere gli occhi: sarebbe stata pronta in qualunque momento lui avrebbe ritenuto opportuno, sarebbe stata presente.

Il ragazzo si sciolse in un sorriso, quell’abbraccio fu un toccasana, sapeva di potersi fidare di lei, ma non era pronto a condividere quella parte della sua vita, quel momento che aveva segnato una frattura tra lui e l’ex allenatore e mentore.

Per un attimo tornò con la mente a quando era un bambino spensierato che correva palla al piede e sfuggiva agli abbracci della madre, avrebbe voluto sfuggire meno a quelle braccia solide, avrebbe voluto regalare alla madre più momenti come quello, ora se ne rendeva conto, ora che erano davvero preziosi perché si potevano contare sulle dita d'una mano.

La donna decise di alleggerire il momento: “allora, hai rivisto i ragazzi?”

“Sì certo, è stato davvero fantastico, soprattutto stare con Ryo!”

“Già, è un caro ragazzo, ogni tanto passa a trovarmi e mi racconta della squadra che allena, li hai visti? Sono piuttosto bravi.”

La conversazione si spostò sugli amici, sulle loro vite, sulla colazione con Manabu e la partitella con i pulcini di Ryo, tutte le domande che gli avevano rivolto, la ‘gelosia’ dell’allenatore ufficiale, scalzato dal campione arrivato dal Brasile.

La donna scosse la testa: “Ryo ti è molto affezionato, mi chiedeva sempre di te, ho più volte detto che poteva chiamarti, ma non voleva distrarti dalla tua carriera, a quanto pare tutti quelli rimasti qui hanno sempre fatto il tifo per te.”

“Già, mi spiace aver perso i contatti con loro, è stata colpa mia, troppo preso dalla vita là, ho scordato quella qui. Per questo avevo necessità di tornare.”

D’un tratto la madre finse interesse per un filo del proprio maglione, mentre buttava lì una frase apparentemente senza motivo.

“Sanae è ancora all’estero, un peccato non vi siate incontrati.”

Tsubasa strinse le labbra arrossendo leggermente. 

“Già un vero peccato.”

Sbirciandolo riprese: “prima di partire è venuta a trovarmi, abbiamo scambiato quattro chiacchiere e bevuto del tè, è diventata davvero una bella donna. Hai più avuto modo di parlare con lei?”
“No, purtroppo no, sai gli impegni… la squadra…”

La donna sollevò un sopracciglio sospirando, il suo ragazzo non era cambiato poi molto da quel punto di vista.

“Capisco, non avendo intrattenuto rapporti con i ragazzi, non li hai tenuti nemmeno con lei.”

“Infatti, è andata così. Mi dispiace ovviamente, ma non ho avuto scelta.”

Ridacchiando la madre si attirò lo sguardo stranito del figlio: “non dire che non hai avuto scelta, la scelta l’hai avuta eccome, ma hai scelto altro. Non dico che sia sbagliato, assolutamente, hai scelto la carriera, hai deciso che dovevi arrivare in alto e lo stai facendo, io questo lo rispetto e lo sai. Mi auguro solo il meglio per te, ma non voglio che tu cambi per diventare un campione. Forse comincio a capire perché sei tornato, volevi riallacciare le radici che stavi perdendo.”

“Esatto. Mi sono reso conto che lo Tsubasa calciatore famoso in Brasile, non mi piaceva più tanto. Volevo tornare per un po’ al bambino palla al piede, per questo è stato bello stare con Ryo e i ragazzini, così come vedere i vecchi amici. Mi piacerebbe vedere anche Sanae, chissà.”

La signora Ozora inclinò la testa: “sai che hanno inventato i telefoni? Ora perfino i cellulari, la puoi chiamare, puoi riallacciare anche con lei se vuoi. Io ho il suo numero.”

Arrossendo, Tsubasa distolse lo sguardo: “sì, in effetti potrei. Ci penserò.”

Annuendo la donna decise di lasciar cadere l’argomento, suo figlio aveva molto su cui riflettere e molto lavoro da fare per tornare al bambino palla al piede.


Quella stessa sera madre e figlio si trovarono sul divano del salotto in attesa del collegamento con il padre. La telecamera inquadrò lo studio del capitano sulla nave che stava governando, una sedia vuota, da fuori campo giunse una voce: “arrivo cara, scusa archivio questi documenti.”

La madre sospirò, la voce sempre lontana dall'apparecchio riprese: “allora come procede? Tutto normale immagino, novità? Sei poi andata da quella tua parente fuori città? Sei a casa ora?”

La donna non aveva nemmeno il tempo di rispondere, le domande si susseguirono una dopo l’altra. Tsubasa con un sopracciglio inarcato fissava quella poltrona di pelle, spostando poi lo sguardo sulla madre seduta accanto a lui, appoggiata alla spalliera del divano, con sguardo inespressivo, quasi stanco, il ragazzo ebbe l’impressione che le loro conversazioni fossero più o meno tutte così, quasi a senso unico.

“Caro, se arrivassi davanti al telefono noteresti una cosa.”

“Scusa, sto finendo qui. Hai tagliato i capelli per caso? Mi avevi accennato a voler cambiare colore, o sbaglio?”

“Sbagli. Ho solo detto di aver visto un bel taglio su una rivista dal parrucchiere, non ho mai detto di voler cambiare io.”

L’uomo ridacchiò: “meglio così, sai che non amo molto i cambiamenti.”

“Certo, come tu sai che io non amo parlare con una sedia vuota, a questo punto potremmo evitare le video chiamate.”

Finalmente nel video apparvero un paio di pantaloni e una cintura, il capitano era ancora in piedi: “su su cara, non mettere il broncio ora, eccomi.”

Seduto alzò gli occhi guardando il telefono e sussultando contemporaneamente: “Tsubasa! Che bella sorpresa! Sei a casa?”

Il ragazzo sorrise, nonostante stesse cercando di capire quella situazione strana tra i suoi genitori, era felice di vedere il padre.

“Ciao, papà. Sono arrivato un paio di giorni fa e ho fatto una sorpresa anche a mamma.”

“Già me lo sono trovato stamattina in stazione, è stato bello poterlo riabbracciare.”

D’istinto lui le passò un braccio intorno alle spalle tirandosela contro. 

Il padre sorrise osservandoli.

“Sono felice di sapere che hai compagnia. Figliolo, racconta un po’, sei in vacanza? Ho seguito il campionato, hai fatto davvero dei bellissimi gol, soprattutto nella penultima partita, quella sforbiciata era da manuale.”

Sorridendo orgoglioso di sentire che il padre lo seguiva, il ragazzo si lanciò in una dettagliata ricostruzione di quell’azione che era valsa la vittoria alla squadra. Parlarono per parecchio del Brasile, della destinazione della nave del padre, del fatto di incontrarsi magari da qualche parte.

“Se sappiamo prima dove attraccherai, io e mamma potremmo venire da te.”

La donna lo fissò con tanto d'occhi: “cosa dici? Come potremmo raggiungerlo così in fretta.”

“Mamma, hanno inventato gli aerei sai.” Le fece il verso e l’occhiolino , vista la frecciatina su Sanae e le telefonate mancate.

Lei gli fece una linguaccia prima di guardare di nuovo il marito: “hai capito il nostro bambino è cresciuto a tal punto che prende aerei come se nulla fosse.”

Ridendo divertito del siparietto, il capitano annuì: “controllerò il piano e vediamo se sarà possibile vedersi fintanto che starai lì.”

 
   
 
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