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Autore: guiky80    05/06/2023    8 recensioni
Tsubasa e Sanae.
La vita con percorsi separati, lui il campione che tutti si aspettano, lei una ragazza che cerca di costruirsi una carriera in un mondo prettamente maschile.
Inevitabile l'incontro in Federazione calcio anni dopo.
Sarà ancora tutto come prima?
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Sanae Nakazawa/Patty Gatsby, Tsubasa Ozora/Holly
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Seduta in aeroporto, Sanae era in attesa del volo che l’avrebbe riportata a casa, in Giappone; mancava da parecchio, era soddisfatta del lavoro svolto e sapeva che l’attendevano altri progetti. 

La Federazione era in fermento in vista dei mondiali e lei voleva a tutti i costi partecipare all’organizzazione.

Sospirò, era rimasta momentaneamente sola e lasciò la mente vagare, cosa che non si concedeva mai per non distrarsi. 

I mondiali, le convocazioni, i ragazzi sarebbero tornati da tutto il mondo per difendere i colori nipponici. Sarebbe tornato anche lui dal Brasile.

Sarebbe stato di nuovo Capitano, molto probabilmente, avrebbero vinto, di questo era quasi certa, almeno i primi gironi. Aveva seguito le loro carriere, la sua, quella di Genzo e Kojiro, tutti si erano dati da fare, tutti erano pronti alla nuova sfida, anche i ragazzi rimasti nella lega giapponese si erano distinti.

Aveva stilato una lista di possibili convocazioni, non spettava a lei scegliere, ma l’aveva fatta per vedere se avrebbe coinciso con quella ufficiale, per capire se avesse fiuto.

Il suo nome era stato il primo che aveva inserito, di getto, non poteva essere altrimenti, senza di lui non c’era la nazionale.

Sorrise ricordando quanto aveva pianto quella ragazzina seduta sul letto, aveva versato tutte le sue lacrime alla partenza del suo amico, che tanto amico non era per lei.

Quella stessa mattina lo aveva raggiunto per salutarlo, gli aveva regalato gli scarpini e lui le aveva dato il pallone; sua madre aveva sollevato un sopracciglio, dicendo che quel ragazzino era proprio strano, lei non aveva commentato, si era chiusa in camera abbracciandolo stretto, lei sapeva cosa significava quell’oggetto.

All’epoca aveva capito: lui le stava dando la cosa più preziosa che avesse.

Era galvanizzava, come se lui le avesse donato il suo cuore, aveva sperato che la situazione si sarebbe sbloccata, era vero stava partendo, ma del resto esistevano i telefoni, le lettere, potevano sentirsi e lei lo avrebbe aspettato, sempre!

Ma non era andata così.

Le telefonate erano state solo un paio all’inizio, poi alcune alla squadra.

Aveva chiesto il numero telefonico alla signora Ozora, arrossendo sempre di più mentre avanzava la sua richiesta, la donna aveva sorriso mentre l’accontentava, ma non aveva mai trovato Tsubasa. 

Fuori per gli allenamenti.

A letto a riposare.

In ritiro con la squadra.

Roberto aveva sempre una scusa pronta per non farla parlare con lui, all’inizio aveva creduto a quelle parole, del resto era là per migliorare, per diventare forte.

In un secondo momento aveva iniziato a pensare che lui non volesse parlare con lei, che volesse recidere i contatti con loro e aveva desistito.

Era arrivata qualche lettera, sempre a Ryo per tutta la squadra, per tutti i ragazzi, niente di particolare per lei, solo quel pallone che la fissava dal letto, che sembrava burlarsi di lei quando rotolava in giro per la stanza.

C’era voluto quasi un anno per decidere di chiuderlo in uno scatolone, con tutta la roba che riguardava Tsubasa Ozora.

Era andata avanti, con la tristezza nel cuore, aveva proseguito gli studi e aveva aiutato i ragazzi fino al diploma. Nessuno aveva più fatto battute, tutti avevano capito che il loro amato capitano aveva scelto il calcio e aveva accantonato tutto il resto, alla fine anche le lettere alla squadra si erano diradate, Tsubasa li aveva tagliati fuori e forse era giusto così, se doveva concentrarsi, ma aveva fatto male a tutti anche se evitavano di parlarne.


L’università, il cambio corso di studi, l’amicizia di Manabu e Yukari, erano state le cose che l’avevano aiutata ad andare avanti. 

Aveva conosciuto persone interessanti e divertenti, altri ragazzi che l’avevano aiutata in diversi modi sia negli studi, sia nel privato.

Scosse la testa pensando a Tetsuya e al suo primo bacio: impacciato, nonostante avesse già diciotto anni. Era stato strano, soprattutto perché lei per tutto il tempo aveva pensato: ‘lui non è Tsubasa!’ oppure: ‘perché sto baciando questo tizio invece del Capitano?’

Aveva sorriso, aveva accettato che lui l’accompagnasse fino al suo alloggio e la baciasse di nuovo, infine si era sdraiata sul letto e la consapevolezza le era esplosa in testa come un fuoco d’artificio: hai baciato lui e non Tsubasa perché Tsubasa non ti ha voluta.

Aveva pianto quella sera, aveva stretto il cuscino buttando un occhio a quello scatolone che non era riuscita a lasciare a casa. 

Tetsuya era sparito in fretta quando aveva capito che lei non sarebbe andata oltre i baci, non le era spiaciuto poi tanto, aveva ripreso la solita vita con Yukari che le diceva che doveva lasciarsi andare e uscire anche con altri ragazzi, provare nuove esperienze, anche senza arrivare al sesso se non se la sentita.

Scuotendo la testa lei rispondeva sempre la stessa cosa: ‘voglio laurearmi e lavorare, per l’amore ci sarà tempo.’

Nishimoto fingeva di crederle, ma entrambe sapevano qual era la verità: il suo amore era già nato, cresciuto e sfiorito per colpa di un ragazzino egoista e di un pallone.

Avrebbe amato di nuovo, di questo Sanae era certa, lui sarebbe rimasto un bel ricordo, un bel momento a cui pensare da vecchia, seduta sotto un portico con un té in mano, magari raccontandolo ai nipotini, perché no?

Sarebbe stato il primo amore, quello puro e ingenuo di una ragazzina.


I suoi studi avrebbero potuto portarla in tante direzioni, più volte aveva provato ad allontanarsi dal calcio, a non seguire le notizie, a non cercare informazioni su di lui, aveva partecipato a stage e concorsi che nulla avevano a che fare con lo sport, ma la sua passione aveva vinto su tutto.

Dopotutto a lei il calcio piaceva già prima che arrivasse quel ragazzino a Nankatsu, quello sport lo aveva sempre seguito, la tifoseria era nata ben prima della sfida a Wakabayashi, lui aveva solo accentuato quello che già c’era dentro di lei, l’aveva portata a essere la manager, l’aveva portata ai ritiri con la nazionale.

Sorrise, lui aveva solo ampliato un orizzonte che già lei vedeva davanti a sé.

Entrare in Federazione era stato un sogno, quando era stata convocata da Katagiri in persona aveva quasi avuto un mancamento, lo conosceva già, ma proprio perché sapeva con chi aveva a che fare era agitata, ma anche elettrizzata.

Quel colloquio era partito un po’ male, con lei che quasi non riusciva a parlare, lui a un tratto aveva inclinato la testa fissandola: ‘mi rendo conto che sei nervosa, ma fammi un favore: respira e fai parlare la ragazza risoluta che io ho sempre visto ai ritiri, quella che teneva a bada più di venti ragazzi solo con lo sguardo.’

 

Sbattendo gli occhi sorpresa, Sanae aveva sorriso e respirato, ricominciando da capo e finalmente il suo progetto era stato spiegato nei minimi dettagli a un uomo che aveva annuito dalla prima all’ultima parola.

Non era stato tutto in discesa, aveva lottato per ottenere ruoli nei progetti, per stare al passo coi test e gli esami, aveva sopportato le battutine dei colleghi maschi che la credevano in Federazione solo perché un tempo era stata l’ombra del Capitano Ozora. 

Katagiri li aveva ripresi una volta, poi aveva lasciato che gestisse lei la situazione, l’aveva tenuta d’occhio, l’aveva vista arrabbiarsi e infine far parlare il suo lavoro.

L’uomo era stato piacevolmente colpito di avere a che fare con una donna capace e responsabile, che in certi momenti sapeva parlare pacatamente e far valere la propria opinione senza alzare la voce, allo stesso modo, in alcune circostanze, le aveva fatto notare di aver rispolverato il maschiaccio di qualche anno prima, la ragazzina che inseguiva Ishizaki per il campo brandendo una scopa; così le aveva riferito una sera a cena. 

Sanae era arrossita per poi scoppiare a ridere di gusto: alla fine era vero.

Inevitabilmente aveva dovuto stare al passo con le notizie calcistiche e quindi anche con la vita e gli allenamenti di Ozora.

 

Respirando a fondo e controllando l’ora, si rese conto di non essere in grado di dire quale fosse stato il momento esatto in cui aveva smesso di arrossire e sussultare ogni volta che qualcuno nominava Tsubasa.

Avevano parlato spesso di lui e dei suoi progressi, era stato oggetto di intere riunioni, così come anche gli altri giocatori, tuttavia lei si era resa conto di essere cambiata, poteva parlare di lui tranquillamente, poteva vedere partite e video, foto, senza farsi chissà quali film mentali su ipotetici gol dedicati a lei.

Finalmente era pronta a organizzare il ritiro della nazionale e quindi, inevitabilmente, a incontrarlo, anche se mancava ancora molto a quel momento.


Katagiri rientrò nella sala d’attesa stiracchiando le braccia: “stanno ripristinando i voli, dopo il temporale di questa notte, dovremmo riuscire a partire tra un paio d’ore.”

La ragazza annuì sorridendo, decise di dedicarsi a una relazione per il corso on line e aprì il portatile.

Seduto accanto a Sanae, l’uomo stava controllando le e-mail dal cellulare, in quella appena aperta si parlava del progetto per la nazionale. Doveva essere stilata la lista dei papabili convocati, così da verificare le condizioni di ognuno e l’attuale stato di contratto con le rispettive squadre.

Di una cosa era certo: voleva Nakazawa in quel progetto per due motivi: era brillante e sapeva il fatto suo, ma soprattutto conosceva i ragazzi che sarebbero arrivati, aveva avuto a che fare con loro fin da piccola, sapeva come prenderli e se ci fossero stati problemi, lei avrebbe saputo come muoversi.

Poteva anche stabilire chi convocare come manager, erano tutte ragazze che avevano lavorato con lei, soprattutto aveva tenuto contatti con loro, quindi sapeva chi sarebbe stata disponibile, insomma Sanae gli serviva sul campo.

Compose un testo di quel tenore per il suo assistente in Giappone, avevano già delle idee su chi includere nel progetto, avrebbero valutato vari lavori, avrebbero avuto colloqui con i ragazzi e fatto in modo di farli lavorare insieme a un progetto parallelo per capire le affinità, infine avrebbero dato il via a quello che davvero serviva. Il tempo stringeva purtroppo, i ragazzi dovevano essere messi in condizione di lavorare il prima possibile, quel viaggio all’estero era durato più del previsto. 

Dovevano anche convocare i giocatori così che tutti fossero pronti, il Giappone doveva vincere o quantomeno piazzarsi sul podio del mondiale, dovevano farcela.

Finita l’ultima risposta a un allenatore di prima divisione, l’uomo sfogliò le notizie giapponesi, gli piaceva essere informato un po’ su tutto, considerato che si trovava spesso a dover conversare con diverse tipologie di persone.

Lesse un articolo sul calcio europeo e sull’ultima prodezza in partita di Genzo Wakabayashi, era solo un’amichevole, ma il portiere non si era risparmiato: sicuramente sarebbe stato tra i convocati, con lui in porta e Ozora come capitano e regista, la nazionale sarebbe stata imbattibile.

Chiuse il cellulare all’annuncio del volo, Sanae lì accanto aveva già sistemato il portatile ed era pronta a tornare in patria.


Sbarcarono a notte fonda, avevano già organizzato il trasporto fino in Federazione, ma essendo tardi, la ragazza venne lasciata direttamente a casa.

“Bene, ti attendo domani nel pomeriggio, riposa domani mattina e non ti preoccupare. Ci vediamo nel mio ufficio alle sedici.”

“Bene signore.” Sorridendo e recuperando i bagagli la ragazza si apprestò a entrare in casa, mentre stava già valutando quale treno prendere il giorno seguente per essere puntuale in federazione, conteggiò i quaranta minuti che ci sarebbero voluti e si appuntò di verificare l’eventuale cambio di orario dei treni.

In punta di piedi varcò la porta, aveva avvisato del suo rientro, ma non dell’ora, visto che non sapeva bene come si sarebbe risolta la questione dei voli sospesi alla partenza.

Il padre fu il primo ad accoglierla, attendeva in salotto, nonostante lei avesse detto a tutti di andare a dormire lasciando le chiavi nel solito posto in giardino.

“Tesoro, finalmente!”

Sanae sussultò stupita, non credeva davvero di trovare qualcuno ancora in piedi.

“Papà, non avresti dovuto restare sveglio. Sono felice di vederti, però.”

Dalla cucina arrivò la madre con una tazza di latte caldo, era sua intenzione berlo in salotto col marito nell’attesa di notizie che non erano ancora giunte, cominciava a essere preoccupata, tuttavia quando aveva sentito la porta chiudersi e i sussurri nel corridoio, era subito accorsa.

“Sanae! Finalmente sei arrivata, eravamo così preoccupati! Benedetta ragazza, avresti potuto chiamarci all’atterraggio.”

Sorrise alla madre prima di abbracciarla. “Credevo foste a letto.”

“Ma ti pare? Qui non ha dormito nessuno da stamattina, forse pensavano che ti saresti teletrasportata visto che quando hai annunciato l’arrivo credevano che saresti entrata dalla porta nei cinque minuti successivi!”

Atsushi prese bonariamente in giro i genitori, mentre arrivava ad abbracciare la sorellona, gli era mancata anche se non l'avrebbe mai ammesso apertamente.

“Screanzato di un figlio! Ero in pensiero e ansiosa, tutto qui!”

I fratelli si sorrisero ancora stretti l’uno all’altra, mentre la madre iniziava a dire che era troppo magra, chissà cosa aveva mangiato in quel posto dimenticato dagli dei, che doveva rifocillarsi, o forse era meglio prima un bagno? No, no, prima doveva mangiare.

La ragazza sorrise prendendo la madre per una mano: “prima devo dormire, questi voli intercontinentali sono scomodi, lo posso assicurare. Fammi riposare, domattina ti racconterò tutto quello che vorrai, e mangerò, giuro che mangerò.”

Ridendo salì in camera sua gettandosi sul letto ancora vestita, chiuse gli occhi e mentre il sonno la prendeva con sé, qualcosa sbatté contro la sua gamba, sorrise, sapeva cosa fosse: il pallone di Tsubasa si era spostato dall’angolo in cui era stato appoggiato proprio da lei prima di partire.

Alla fine quella era la camera della sua infanzia, lei la occupava molto raramente, tuttavia era bello che conservasse i ricordi. Aveva posizionato il pallone sul letto, legato la fascetta rossa alla mensola sopra la scrivania vicino alla foto della Nankatsu all’ultimo campionato giocato dal capitano con loro, ma l’aveva fatto solo quando non aveva fatto più male vederli e stringerli, solo quando era cresciuta e aveva fatto i conti con la realtà. Allora aveva deciso di rendere quella camera, quella della ragazzina spensierata che era stata, accantonando la delusione d’amore e tenendo solo la bellezza di quello che era stato il suo rapporto con lui e con la squadra.

Il monolocale che aveva affittato in città e che le permetteva di raggiungere facilmente sia la Federazione che l’università, era molto diverso. Accogliente, ma senza troppi oggetti, qualche foto di famiglia, un paio con Yukari, solo una della Nankatsu al completo all’ultimo campionato e una con Tsubasa ancora capitano, ma quella era chiusa in un cassetto.

Nessuna traccia del capitano, nessuna traccia di Anego.

Era cresciuta e la casa lo rispecchiava, nonostante la tazza con l’unicorno che si ostinava a usare per fare colazione, la stessa che usava da piccola a casa.


Come previsto, la mattina seguente a colazione, Sanae, fresca di doccia, venne subissata di domande da tutti i membri della famiglia, addirittura il padre aveva chiesto un permesso per qualche ora così da poter restare a casa e parlare con la figlia. Solo Atsushi si era defilato per la scuola proprio mentre lei usciva dal bagno.

“Cosa cavolo fai già in piedi? Vista l’ora in cui sei arrivata, io avrei dormito tutto il giorno!” 

Ridendo lei lo aveva spinto scendendo le scale per la colazione.

La chiacchierata con i suoi fu piacevole per la ragazza, espose i suoi progetti, ossia partecipare alla formazione della nazionale, raccontò anche degli esami passati e dei corsi seguiti. Spiegò, per quanto le fu possibile, il lavoro svolto e descrisse i posti visitati.

I genitori la ascoltavano entusiasti, sapevano che era una ragazza in gamba e tosta, ma non avrebbero mai pensato di vederla andare all’estero da sola per lavoro, senza grilli per la testa o ragazzi all’orizzonte. 

La signora Nakazawa si schiarì la voce all’improvviso: “se verrà convocata la nazionale, dovrete convocare anche Ozora, giusto?”

Il padre sbirciò prima la moglie e poi la figlia, sapeva quanto avesse sofferto quest’ultima per la partenza del capitano, era ovvio che per lei la loro non era solo amicizia. 

Stupendo tutti lei sorrise: “spero proprio che verrà convocato, altrimenti non saprei chi potrebbe fare il capitano. Magari Misaki, sicuramente non Hyuga, è troppo una testa calda, soprattutto non è simpatico a tutti, ci sarebbero sicuramente dei problemi. Anche Matsuyama, lui potrebbe fare il capitano, su Wakabayashi invece avrei qualche dubbio, non è visto bene da tutti, sarebbe meglio evitare incidenti diplomatici!”

Scoppiò a ridere mentre sbocconcellava il suo biscotto sotto lo sguardo attonito dei genitori che si aspettavano più parole per il caro capitano, più sentimenti, invece nulla, Sanae sembrava parlare di uno qualunque dei giocatori convocati.

La madre sollevò un sopracciglio: “l’hai più sentito?”

“No, non ho avuto sue notizie personali, solo quelle ufficiali. Del resto se non le ho avute quando ero qui, come avrei potuto averle mentre ero all’estero? Lui nemmeno sa che sono partita.”

Ridendo divertita, Sanae pescò un nuovo biscotto, mentre uno sguardo interrogativo correva tra i genitori.

Il padre decise di cambiare argomento, mentre la madre seguiva la scena non capendo: forse davvero alla sua bambina era passata. Davvero poteva sperare di vederla finalmente serena e interessata a qualche ragazzo?

Aveva più volte sperato di vederla arrivare a casa con qualche novità, invece solo università e lavoro, tutto legato al calcio e inevitabilmente a quel ragazzo.

Per carità Tsubasa le era simpatico, conosceva i suoi genitori, persone squisite, soprattutto la madre, ma non poteva non pensare a quanto avesse sofferto la sua bambina alla partenza del campione.

Ne avevano parlato lei e la madre di Tsubasa, ma non potevano fare molto: se lui non chiamava e lei aveva deciso la sua strada… non spettava a loro mettersi in mezzo, tuttavia quel cambiamento la lasciò stupita.

Nel corso degli anni, ovviamente, Sanae era cresciuta, aveva fatto esperienze diverse, probabilmente il sentimento per il capitano si era affievolito, l’aveva vista creare quello scatolore e poi portarlo in università, per poi riportarlo a casa e lasciarlo chiuso in un armadio. 

Solo nell’ultimo periodo era di nuovo spuntato il pallone e con lui la fascetta e altre cose, credeva che Tsubasa si fosse fatto sentire, invece molto probabilmente, Sanae aveva superato la faccenda meglio del previsto.

Non si era innamorata, almeno per quello che ne sapeva lei, ma ora cosa sarebbe accaduto? Lui sarebbe tornato per la nazionale, si sarebbero rivisti, avrebbero passato molto tempo insieme. La sua bambina sarebbe stata forte abbastanza da non ricadere nel sentimento dell’adolscente che era stata? Lo sperava davvero più che altro per lei, per non vederla soffrire di nuovo, infatti a mondiale finito lui sarebbe di nuovo partito e lei sarebbe rimasta in Giappone di nuovo sola.

Scosse la testa mentre il marito rideva delle foto del safari che i ragazzi si erano concessi in Africa durante una pausa di lavoro.

 
   
 
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