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Autore: Angel_lilac    06/06/2023    0 recensioni
Le calli erano buie, ma non erano mai riuscite a farmi paura. E poi la tua voce suonava così dolce nelle mie orecchie che quasi mi sarei messa a riposare in quel punto, sui gradini del Ponte del Suffragio, con la luce della luna che mi baciava le palpebre.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Di tutti i momenti che abbiamo passato insieme ce n’è solo uno che ricordo in maniera così incredibilmente vivida. Ancora fatico a comprenderne il motivo. La cosa divertente è che non eravamo veramente insieme, ma tu mi stavi tenendo compagnia al telefono mentre camminavo verso casa. Quella sera avevamo cenato al tuo appartamento, tu avevi cucinato il risotto agli asparagi, comprati da me dal fruttivendolo sotto casa, ma non ero potuta restare a dormire perché il tuo coinquilino era tornato ubriaco da quella festa al Lido ed aveva vomitato sul divano-letto. 
Ogni volta che ripercorro la chiamata nella mente, è come se stessi vivendo quello stesso momento da capo. Ricordo la sensazione di poter camminare con le lacrime di pioggia, seguire il loro percorso nelle fughe fino al canale, mescolarsi col sale marino e ondeggiare fino all’orizzonte. Ad ogni ponte che attraversavo lanciavo uno sguardo: quella sera l’acqua era piatta. Non soffiava il vento e Venezia piangeva. C’era silenzio ma una voce al telefono si assicurava che arrivassi a casa senza problemi. Mi sentivo così al sicuro, l’unico rumore che percepivo era quello dei miei passi. “Sei troppo misantropo” aveva pronunciato la mia bocca. “Perché, tu?” mi risposi al di là del telefono. I nostri toni erano scherzosi e non mi accorgevo di quanto il mio sorriso potesse sembrare sciocco al cameriere che urtai per sbaglio, mentre passavo accanto ad uno dei tanti ristoranti a ridosso del canale. Le calli erano buie, ma non erano mai riuscite a farmi paura. E poi la tua voce suonava così dolce nelle mie orecchie che quasi mi sarei messa a riposare in quel punto, sui gradini del Ponte del Suffragio, con la luce della luna che mi baciava le palpebre. 
Ogni sera in cui non dormivo accanto a te mi sembrava quasi di soffocare, da sola in quel vecchio letto in legno di pino e le braccia vuote. I miei compagni di corso erano così invidiosi che fossi riuscita a trovare un appartamento senza coinquilini a buon prezzo, ma io non potevo condividere il loro entusiasmo. Nonostante la famiglia del piano di sotto fosse piuttosto rumorosa, c’era il rischio di sentirsi molto soli. Pochi mesi fa una coppia di settantenni ha preso il loro posto ed ora l’unico suono che percepisco è quello  della televisione, che alterna a ripetizione gli stessi canali e gli stessi programmi, finché non si spegne ogni sera alle 21:30. Ormai mi sono abituata ai silenzi. Ora, svegliarsi nel letto di qualcun altro è una prospettiva che mi terrorizza. Quella sensazione di incertezza che i primi minuti del mattino portano con sé non può certo trovare conforto nella presenza di un estraneo il cui respiro diventa un rumore insopportabile, un trauma per i sensi. Il cinguettio degli uccellini è ormai una melodia abituale, una coccola che mi concedo ogni mattina da quando tu non ci sei più. E privarmi di quella melodia significa incapacità per una giornata intera di godermi la vita. Ogni piccola cosa mi irrita. Lo so perché mi era già capitato, proprio con te. Ma con il tempo mi ero abituata a quel respiro leggero come il vento di aprile, a quel braccio che ad ogni mio movimento si assicurava di cingermi il fianco. Ed evito con tutta me stessa che questo possa accadere con qualcun altro, anche perché in fondo so che non sarebbe possibile.
Ogni tanto ripenso a quando appoggiavo la testa sul tuo petto e ascoltavo il tuo battito, poi scoppiavo in lacrime, immaginando il giorno in cui quello stesso cuore sarebbe stato silenzioso, in una mattina invernale, sessant’anni nel futuro. Ora non posso sapere come batte quel cuore, non posso monitorarlo ad ogni secondo del giorno ed assicurarmi che continui il suo movimento. 
Stamattina mi sveglio in un letto vuoto, le lenzuola solo scivolate sulla pelle nuda e si sono fatte un bozzolo che giace sul fondo del letto. La pioggia scorre lungo le vetrate ed è come se il suo rumore mi stesse solleticando le orecchie ininterrottamente da quella sera di due anni fa. 
Stanotte ho fatto un sogno strano, di quelli che ti fanno restare a letto più del necessario perché speri di poterlo continuare per sempre. Ho sognato che eri dovuto partire per un lungo viaggio per il mare, su una barca rossa che ospitava anche altre persone. A quanto pare, ti eri stufato della semplice vita che conducevamo nel nostro piccolo villaggio. Io, depressa e arrabbiata di essere stata abbandonata, trascorrevo tutte le mie giornate sulla riva a cercare di scrutare la barca rossa che faceva ritorno. Nel frattempo al villaggio avevano cominciato ad accadere cose strane, non ricordo precisamente, ma mi sembra che la montagna accanto a noi si sgretolasse ed enormi massi distruggessero le nostre case. Io avevo iniziato a prendermi cura dei feriti, li ospitavo e li nutrivo, occupando finalmente le mie giornate. Un giorno, mentre sto scrutando l’orizzonte, vedo finalmente la barca tornare, dopo tanto tempo, e corro a chiamare tutti. Quando torni sei diverso, quasi completamente cambiato e ci racconti le tue esperienze per mare, le varie tappe nei paesi sulle coste del mondo e ci presenti una nuova amica che hai conosciuto sulla barca. Io ti ascolto parlare, distante, perché non so se essere felice del tuo ritorno o arrabbiata che te se ne sia andato. La mattina seguente avvengono altri crolli e scopriamo che non sono accidentali: c’è qualcuno che sta cercando di eliminare persone specifiche del nostro villaggio. Noi, che non siamo in pericolo, gli offriamo protezione, ma alla fine anche le nostre case vengono distrutte e i massi riescono ad uccidere quelle persone. 
Ora che lo ripercorro, penso che forse sia meglio che il sogno si sia concluso così, stava prendendo un piega piuttosto macabra. Forse sarebbe stato meglio se la nostra storia si fosse conclusa così, tu che parti per un lungo viaggio e io che imparo a vivere da sola. Ma a te non è mai piaciuto il mare. Un sentimento abbastanza incomprensibile, dal momento che io e te abbiamo sempre vissuto su un’isola e dal momento che tuo papà teneva una barca, dove tu passasti tutta la tua infanzia nei mesi estivi. Quando ci siamo conosciuti, la barca era già stata venduta. Però, ora che ci penso, ci siamo stati su una barca insieme, nell’estate di quattro anni fa, durante il tour delle grotte sulla costa salentina, quella volta in cui abbiamo visto il punto in cui si baciano l’Adriatico e lo Ionio. Era già fine Agosto, ma fu la prima e unica volta in tutta l’estate in cui tu ti tuffasti in mare. 
L’altro giorno ho riletto il diario che iniziai poco dopo la nostra prima uscita, a metà marzo di sei anni fa. Già sapevo che sarebbe diventato qualcosa di importante. Il 27 ottobre scrissi:

Sono felice e mi sento molto sensibile alla vita. Vorrei vivere lontano da tutto e tutti. Quello che già ho mi riempie. Non voglio sensazioni superflue.

Due anni dopo, lo stesso giorno, scrissi: 

Tanta tanta ansia. Ho troppa paura che le cose che mi sono sempre sembrate normali stiano in realtà lentamente peggiorando, finché non raggiungo un livello di apatia estremo in cui non mi accorgo più di niente. Ho paura che lui non mi trovi più interessante, ho paura della routine e che si perda quel momento in cui eravamo la cosa più importante. Vorrei vivere per sempre quel momento e vorrei non trattarlo male per colpa delle mie ansie. 

Il marzo seguente scrissi:

Lui mi sembra strano, come se non fosse mai soddisfatto di nulla. La cosa mi fa star male. L’anno scorso ho vissuto un periodo difficile, però lui era ed è la cosa più importante. Non mi sembrava di essere così fredda come lui sa esserlo con me, quando è arrabbiato o preoccupato per qualcosa. Forse sì. A volte mi dice che sono fredda. Però lui per me rimane la cosa più importante, il mio primo pensiero. Purtroppo ci sono sempre tante cose a cui pensare e a volte se ne scordano altre. Ho paura che si sia stufato di me perché continuo a dubitarlo inutilmente (come sto facendo ora). Però ho questa immagine di noi sdraiati che ci guardiamo, con i volti incollati e penso che vorrei vivere per sempre così. 

Ed il mese seguente:

Vorrei che ci fosse sempre qualcuno che vegliasse su di lui. Io spesso non ci sono, spesso non so come sta, spesso non lo capisco e spesso sono egoista. Vorrei che qualcuno si prendesse cura di lui meglio di quanto faccia io, così che avesse sempre tutto il meglio che c’è. 

In seguito a racconti di giornate estive trascorse al lago o da tuo zio alla baita in montagna, a dicembre di quello stesso anno scrissi:

Oggi abbiamo discusso: lui non voleva venire da me, dicendo di essere stanco, ma era l’ultima sera in cui fare qualcosa insieme prima che tornasse a casa per due settimane. Lo so che è poco tempo, ma ci sono rimasta male. Non sapevo esprimermi e ho solo cominciato ad essere scontrosa, accusandolo di non saper organizzarsi. La realtà è che ho paura che si disinnamori di me, che mi voglia bene ma nulla di più. Mia mamma dice che prima o poi si stuferà di me, dato che sono scontrosa. Ed è vero che sono scontrosa. Devo imparare a scendere a compromessi. Ma ogni tanto penso che lui sia una proiezione della mia mente, non una persona in carne ed ossa, con pensieri diversi dai miei. Forse è perché mi ha abituata bene e quando si comporta diversamente penso che sia stufo di me, non che possa avere dei bisogni propri. Penso sempre che qualsiasi cosa voglia fare, la possiamo fare insieme. Ma forse per lui non è così perché sente la pressione di fare sempre tutto bene. Alla fine è venuto a cena da me e abbiamo guardato “As Tears Go By” abbracciati sul divano. È stata una bella serata. 

Le ultime volte che scrissi su quel diario era solo per parlare dell’università e del nuovo lavoro al pub che cominciai durante il secondo semestre del penultimo anno. Io e te ci eravamo già lasciati, ma non volevo confessarlo in quelle pagine perché, dopo aver documentato tutti i nostri momenti insieme, annullarli in poche righe la vedevo come una sconfitta atroce. E ancora non ho capito se sia un bene od un male che abbia comprato un nuovo taccuino e in una mattina ci abbia scritto tutte queste righe. E ancora non ho capito perché mi sto rivolgendo proprio a te, con cui non parlo da anni e di cui lentamente sto scordando il volto. Forse ho ancora la speranza che un giorno leggeremo queste pagine insieme e ci rideremo sopra, pensando che siamo stati proprio degli sciocchi a non sentire le nostre voci per così tanti anni. O forse perché penso che vomitare pezzi della nostra relazione in questo testo possa finalmente aiutarmi a comprendere come siamo arrivati qui. Forse è solo un modo per accettare la fine di tutta questa storia. Ma se questa era la mia intenzione, devo aver fallito perché ancora mi ritrovo a sperare che le prossime notti non abbiano più questo sapore salato, ma il profumo della tua pelle che suda a contatto con la mia, il tuo shampoo alla camelia che rimane sul cuscino per giorni e il tuo dentifricio al lampone, perché la menta ti ricorda le caramelle di tuo nonno e ti rende troppo malinconico.

   
 
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