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Autore: Desperatestudent99    19/06/2023    2 recensioni
[Imma Tataranni - Sostituto Procuratore]
[Imma Tataranni - Sostituto Procuratore][Imma Tataranni - Sostituto Procuratore]Ricomincio da dove ci siamo lasciati. Ho tenuto anche la seconda pt della seconda stagione come canon per semplicità eccetto il fatto che Calogiuri abbia scelto in autonomia di modificare il tragitto: in questa storia ciò non avviene, ma le macchine durante il trasferimento subiscono un agguato in cui il cecchino dapprima spara alle ruote, poi a loro.
Inizialmente i capitoli erano divisi diversamente, poi ho accorpato i capitoli "originari" 1&2 e 3&4 per motivi di lunghezza (la divisione andrebbe fatta alla fine in effetti.
Enjoy e recensite, ogni critica è benvenuta!
Genere: Drammatico, Hurt/Comfort, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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Con la forza di chi impugna un paletto per infilzarlo nel cuore un vampiro, ficcò la matita nel temperino elettrico. Da qualche giorno, talvolta produceva uno stridore nel temperare la mina, un rumore che le ricordava un cacciavite che scriveva su una lavagna. Quando emise quel suono infernale, ritrasse la matita, decisamente più corta e spaccata a metà sulla cima. La lanciò con foga nel cestino della spazzatura. 

Ne cercò un'altra che fosse più lunga di un mignolino del piede, sotto le carte, dietro ai faldoni, ma nulla. Aprì il cassetto e restò di nuovo delusa. 

Sbuffò, e pochi secondi dopo fece tremare le mura della procura con la forza della sua ugola squillante. "Diana!"

Il ticchettio delle scarpe della cancelliera si avvicinò man mano. "Imma, pure se ogni tanto non ci facciamo sentire pure a Brindisi, non credo che qualcuno abbia da protestare. Ad ogni modo, non ci sono novità, forse conviene far provare a qual-"

"Lascia perdere i filmati delle telecamere, che tanto, non troveranno niente, ne sono quasi sicura. - afferrò quel che restava dei una matita quasi consumata del tutto, e la ostentò quale corpo del reato. - mi serve una matita Dia'".

Diana si sistemò gli occhiali ed esaminò con occhi strabuzzati i resti di legno e grafite che la dottoressa aveva in mano. Girò i tacchi e tornò verso la propria scrivania, aprì un cassetto e tornò verso di lei. 

Imma allungò la mano per prendere la matita dalle dita della sua cancelliera, ma Diana fece un passo indietro. 

Il suo tono assunse un colore più minaccioso di quanto intendesse. "Diana, ho l'aria di una che vuole scherzare?"

"Ah guarda, hai l'aria di una che tutto fa tranne che scherzare - si accomodò sulle sedie di fronte a lei, senza cederle la matita. - ma quante ne hai fatte fuori questa settimana? Il pacchetto era nuovo".

La dottoressa Tataranni sentì le tempie pulsare. "Ma che ne so, quando uno lavora scrive; Diana passami quella matita o ti faccio rapporto per insubordinazione!"

La cancelliera sospirò, e con un ultimo sguardo di riprovazione le allungò un portamina colorato. La pm l'afferrò, e si rimise composta sulla poltrona, pronta a scrivere, ma l'assistente rimase immobile a fissarla con uno sguardo a metà tra il torvo e il preoccupato. Le indicò con un cenno della mano la sua scrivania, aspettandosi che si alzasse e con fare stizzito tornasse a lavorare per quella stacanovista e stronza della pm a cui era disgraziatamente capitata. Invece, non demorse. 

Aderì con tutta la schiena alla sedia e la fissò negli occhi. "Che c'è? Sono gli straordinari? Se vuoi andare vai pure, tanto qua me la sbrigo." La sua espressione rimase immutabile. "Oh Dia', ma che c'hai mo? Mi pari una di quelle statue del museo delle cere, solo un filo più inquietante".

"Io che ho? Piuttosto che hai tu" Imma alzò gli occhi al cielo e la cancelliera si avvicinò e posò le mani sulla scrivania. "Stai lavorando talmente tanto che finisci non so quante matite in pochi giorni. Entri in procura che è presto ed esci che quasi è buio. Sei intrattabile, pure più del solito, il che è tutto dire, eh! Per non parlare di quelle occhiaie..."

Le scappò una risata sardonica. "Grazie dei consigli estetici, Diana, considererò sicuramente di rimediare". 

Credette di trovare sul viso della cancelliera un cenno di rabbia, ma trovò solo i suoi occhi scuri colmi di quella comprensione ed empatia che di solito lei avrebbe liquidato in due secondi. "Non me lo vuoi proprio dire che ti sta succedendo? Problemi con Pietro?" 

La dottoressa si appoggiò coi gomiti al tavolo di legno e si passò una mano nei ricci. "Ma no, Pietro non c'entra nulla... pure se qualche volta potrebbe pensarci prima di aprire bocca." 

Diana sgranò gli occhi, ma sapeva non avrebbe commentato, visto il suo tono. "Allora... è il caso? Lo so che ora senza Romaniello sgominare il clan dei Mazzocca non sarà facile, ma se c'è un magistrato che lo può fare sei tu".

La visione del volto di Romaniello le spuntò davanti agli occhi, e con lui il processo, la possibilità di una talpa in procura o fra le forze armate. Un macigno sulle sue spalle tornò a far sentire il suo peso, e le tornò alla mente il mito di Sisifo dai suoi giorni al classico. 

La verità? Quei giorni non stava pensando a quella vicenda, non aveva le forze di pensare. La notte, quando si addormentava, si risvegliava di colpo con un peso sul petto, e si ritrovava a boccheggiare per un po' d'ossigeno come un pesce catturato nella rete del pescatore. No, non aveva pensato al processo, non rifletteva su nulla. Lavorava inserendo il pilota automatico, con un perenne mal di testa e un senso di costante claustrofobia.

Si stropicciò gli occhi. "Me lo sarei dovuta aspettare, era tutto troppo calmo. Io poi, mi son lasciata prendere dall'ottimismo, dall'idea di aver fatto un passo avanti, mentre invece che concentrarmi solo su quel tassello che mancava ero distratta..."

Diana sospirò. "Imma, ma chi andava a pensare che sarebbe successo quel che è successo? Non avresti potuto prevederlo..."

Era vero, però era pur sempre stata distratta dal suo scopo degli ultimi anni dallo strenuo tentativo di salvare il suo pericolante matrimonio. Che poi, quanto può essere stabile un matrimonio che barcolla come sotto un terremoto per un paio di fotografie...

Il pensiero delle foto fu la miccia, e il corpo sanguinante di Calogiuri le comparve come monito. Ecco cosa succede quando ti distrai, Imma: se invece che pensare a quelle foto, Pietro le avesse dato retta, se piuttosto che cercare con quella foga di riaggiustare il loro rapporto di fiducia, avesse pensato al lavoro, forse non avrebbe perso quel suo unico acume mentale e avrebbe mangiato la foglia. 

"Avrei dovuto consultarmi di più con la Direzione Antimafia e raddoppiare la sorveglianza se necessario... non mi sono accorta di nulla, nemmeno - " si era fermata in tempo prima di compromettersi. 

"Di cosa?" 

Nemmeno che Calogiuri stava peggio di quello che voleva dare a vedere, che si era buttato nel lavoro e che alla fine si era dimenticato uno stupido giubbotto antiproiettile prima di salire in macchina.

Il nodo in gola che era diventato compagno inseparabile degli ultimi giorni si strinse forte, e Imma sentì un pizzicore agli occhi. Si grattò la fronte.

Diana si allungò sulla scrivania e le prese una mano tra le sue. "Imma, niente di quello che è successo è colpa tua".

Annuì, non convinta, con la stretta in gola sempre più forte. Alzò gli occhi al cielo, poi si costrinse a respirare a fondo. 

Le lasciò andare la mano. "Senti, perché non passi in ospedale? - la pm alzò la testa, allarmata da quella che sembrava un'intuizione un po' troppo precisa di Diana - Poi ce ne andiamo a mangiare qualcosa tu ed io da sole, che dici?"

Sperò che la carta del fingere di non capire funzionasse. "In ospedale?"

Lo sguardo di Diana si addolcì ancora. "Non vai da quando lo hanno sedato, sono passati giorni ormai... io credo che gli farebbe bene, e farebbe bene pure a te stargli vicino."

Guardò per terra. Erano tre giorni che non ci andava in ospedale, settantadue ore nelle quali si era sepolta nelle carte ed era tornata a casa giusto per cenare e dormire. 

Non ci era più andata, avrebbe corso il rischio di incontrare i suoi genitori, la sua famiglia e i suoi amici, tutti in pena per lui. Era il loro posto, non il suo. Lei per lui non era niente. Non aveva il diritto di piangere o di voler gridare. Non poteva sentire il panico appiccicarsi alle sue ossa o il cuore balzarle in gola per lui, non ne aveva il diritto.

Chi era lei per lui in fondo? Il suo capo, la sua responsabile. Forse un tempo era stata una confidente, ma non più, da settimane, mesi ormai. Imma non era nessuno per lui. 

Diana inclinò di lato la testa cercando il suo sguardo, e quando lo incrociò si alzò in piedi, stendendo verso di lei una mano. "Andiamo?"

Poté sentire le lacrime cercare di uscire dalla palpebra inferiore, stavolta per tutt'altra ragione. La stretta in gola si attenuò e le diede un attimo di respiro.

Il tragitto fino al Madonna delle Grazie fu silenzioso, e quando giunsero davanti agli ascensori, Imma si fermò. Si voltò verso l'amica, che come un suo Virgilio la stava guidando nel suo viaggio attraverso il suo personale purgatorio. 

"Ti aspetto qua fuori".

Con Calogiuri sospeso in uno stato di coscienza unico nel suo genere, le usuali procedure per le precauzioni si connotarono di un carattere sacro, in un rituale che serviva a proteggerlo e a prepararsi.

Dovette fingere che lui la stesse guardando dai suoi occhi puri e curiosi, che stesse ascoltando attentamente questa o l'altra teoria su un caso per poter proseguire.

Non azzardarti ad arrenderti, intesi maresciallo?

La dottoressa deglutì e sapeva di dover sciogliere la maschera del sostituto procuratore. Quella non sarebbe stata l'ultima volta che gli avrebbe parlato: lo avrebbe risvegliato lei stessa e strozzato con le sue mani solo per averle fatto prendere un colpo del genere. Si rese conto che il tono nei suoi pensieri era lo stesso di ammonimento che aveva usato con lui quando la aveva fatta innervosire, quelle rare volte. 

Facendo leva sui piedi, si trascinò con lo sgabello più vicina al letto. Il freddo del metallo sul ginocchio la avvisò che più vicina di così non poteva stare, a meno di saltargli in braccio. Con la coda dell'occhio vedeva il petto che a ritmo della macchina saliva e scendeva nella respirazione. Lo guardò così com'era, inerme e indifeso. Un nodo inestricabile come quello dei marinai si strinse nella sua gola.

Si chinò in avanti, avvicinandosi un po' al suo orecchio e iniziò a sussurrare, quasi avesse paura di svegliarlo. Dovette  mentalmente schiaffeggiarsi la mano per non cedere all'impulso di accarezzargli i folti capelli castani. "Non è il momento di riposare, capito? Lo so che adesso sei stanco, e sarai tentato di lasciarti andare, di rilassarti, ma devi resistere ancora un po'. Devi pensare a tutti quelli che ti vogliono bene, ai tuoi genitori. Solo la procura ha mandato qua fuori tanti di quei fiori che qualora ti fossi stancato dell'Arma, una volta dimesso potrai aprire un negozio... "

Immaginò il suo sorriso se solo questa frase gliel'avesse detta il giorno prima. "Devi pensare al tuo futuro quando sarai fuori di qua. C'hai ancora troppe cose da fare".

 

Che la vita fosse ingiusta Immacolata lo aveva imparato fin troppo presto.

Stando seduta avendo di fronte quel letto mise in discussione l’ovvietà di una lezione tanto preziosa quanto desolante. Lo vedeva in quel letto, incosciente e intubato mentre lottava per non soccombere alla morte, e non poté fare a meno di pensare che era troppo persino per il suo fare disilluso verso l’umanità. Si doveva mordere la lingua, ma il pensiero la precedeva. Non è giusto. Si sentì come una bambina che batteva i piedi per terra per una sgridata della mamma; ma questo non era giusto. Non poteva esserlo. Lei era una misantropa, portata per sua natura e per esperienza a trovare sempre un pericolo, a cercare la menzogna in chiunque e col tempo si era convinta che al mondo l’ingiustizia avrebbe sempre prevalso. E in una situazione come quella ci si trovava una persona giovane e pura come Calogiuri, un ragazzo che vedeva il meglio in ogni situazione e che, caso unico al mondo, vedeva il meglio persino in lei. La faceva infuriare. Se proprio l’universo o Dio o il caso avessero dovuto scegliere, in quel letto avrebbero dovuto metterci lei. 

Non sapeva bene cosa dire. Normalmente si sarebbe aspettata uno di quegli sguardi in cui non avevano bisogno di dirsi altro, e in più lei era terribile con i discorsi. Lui sarà anche stato silenzioso, ma dei due era quello che le parole le sapeva usare, quando erano necessarie.

Si chiese se fosse spaventato, o se invece al contrario di lei aveva accettato tutto ed era sereno. "Andrà tutto bene, solo... torna da noi." Le lacrime si formarono tutte in un solo colpo, e le sue guance presero a rigarsi. 

Come il cielo che d'improvviso si oscura di nuvole, le vennero in mente le sue parole di qualche settimana addietro. È che uno resiste, resiste...

Espirò fra le labbra tremolanti. Non poteva abbracciarselo, non poteva stringerlo, forse non poteva nemmeno sentirla. Per la prima volta dopo anni, Imma pregò mentalmente che invece il suo angelo custode in divisa la stesse sentendo. Avesse avuto spazio, avrebbe appoggiato la testa vicino alla sua, o vicino a lui. 

Col dorso della mano si asciugò la pelle del viso. Una volta era stato lui a farlo per lei, quando era troppo sconvolta persino per voler smettere di piangere. Lo rammentava come un momento dei più preziosi che aveva condiviso con lui, e lo custodiva nel suo cuore, gelosa di quel piccolo tesoro. 

Suo malgrado, come un fiore un sorriso  germogliò sulle sue labbra umide di lacrime. Non le capitava spesso di sorridere piangendo, e anche questa volta era merito di Calogiuri. Imma, ora o mai più. Gli accarezzò il viso con un dito, con la delicatezza che si ha quando si teme di rompere un vaso di porcellana. "Torna da me, Calogiù".

Si erano sedute in uno dei primi ristoranti che avevano trovato percorrendo la strada a piedi, nei tavoli all'aperto. La brezza della sera che calava si portava via il caldo torrido di quelle giornate. 

Imma aveva a stento mangiato un paio di forchettate della pasta che aveva ordinato, e si guardava attorno senza sapere bene cosa cercava. Con la coda dell'occhio vedeva Diana che di sottecchi la scrutava, e se in altre occasioni la pm si sarebbe scocciata, quella sera a mala pena ci faceva caso. 

Le campane della chiesa vicino a quella piazza iniziarono a rintoccare, la dottoressa lì contò: erano le nove. Istintivamente si voltò verso il campanile alla sua destra ed un brivido le percorse la schiena. Ripensò a un suono più cupo di campane, a rintocchi più lenti e pesanti che la catapultarono a una ventina d'anni prima. Imma ricordava la cerimonia per i caduti di Nassirya come si fosse tenuta il giorno prima, quando tutta l'Italia si era fermata per vedere in diretta nazionale l'ultimo commiato a diciannove connazionali. Ma quelli stavano in zona di guerra, Imma. 

Non sapeva quale fosse la strada tortuosa che la aveva portata sulla china pericolosa di pensare che le cose avrebbero potuto prendere una piega terribile. Riuscì a formulare un solo desiderio: non voleva vedere una bara avvolta nel tricolore, e certamente non avrebbe retto al suono della tromba che intonava il silenzio militare sapendo che veniva suonato per lui

"Imma, a che pensi?" tornò a guardare di fronte a sé e vide che Diana aveva lasciato le posate sul piatto e la fissava.

La dottoressa alzò il viso in direzione del vento affinché si portasse via le poche lacrime che le erano sfuggite in quei secondi di riflessione. 

Sospirò. "Penso che... - si dovette schiarire la gola - che ho un brutto presentimento".

La sua amica inclinò la testa e stese il braccio sul tavolo, verso di lei. Imma afferrò la sua mano e si aggrappò a quella boa, mentre il venticello le scompigliava i ricci.

Un trillo la distolse dall'infinito di quel momento. Guardò verso il cellulare sul tavolo: sul display la scritta bianca "Piè" indicava chi la stava chiamando. Trascinò la cornetta rossa in fretta e furia e tornò a stringere la mano della sua amica. 

   
 
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