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Autore: ___Page    20/07/2023    3 recensioni
«Sarai emozionata per il tuo primo Cahya Mera»
«Suppongo di... sì?» ribatté incerta Perona, voltandosi verso Ace in cerca di aiuto, ma il moro non sembrava saperne più di lei.
«È una nuova ricorrenza locale?»
«Nuova?» chiese conferma Yamato con una smorfia tra l'incerto e il divertito prima di venire colpita da un dubbio. «Aspetta, sei serio? Non sai cos'è il Cahya Mera?»
«È il festival di stasera Ace» venne in suo aiuto Izou ma con scarso successo.
«Festival...»
«Con la musica in piazza e le lanterne di carta»
«Okay mi dice qualcosa»
«Che c'è la luna rosa» intervenne Koala.
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«Mh» mugugnò Nojiko, finendo di asciugarsi le mani, prima di posarle sui fianchi con fare riflessivo. «Potresti provare»
«Che cosa?»
«A dimenticare» fece spallucce la barista. «Stasera è il Cahya Mera»
Ishley la fissò qualche istante prima di parlare. «Non sei seria»
«Perchè no? La Luna esaudisce i desideri stanotte, e il tuo è così sincero»
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Importante: trama del primo capitolo editata!
Genere: Comico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Altro Personaggio, Izou, Jewelry Bonney, Portuguese D. Ace, Sabo
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Comunque, Pen un ombrellone lo avrebbe anche avuto.
Portarlo “lì da loro” certo sarebbe stato più facile a dirsi che a farsi, a meno di non portarci anche tutta la compagnia, ma alla fine non era stato neanche più oggetto di discussione e Pen era rimasto a usufruire della loro ombra senza contribuire.
«E bravo Pen che ci porta dalle ragazze!» gli scompigliò i capelli Shachi, aggrappandosi al suo collo fin quasi a strozzarlo per l’entusiasmo.
«Si beh» sbuffò Clione. «A parte che non state considerando che abbiamo Ikkaku e comunque non è che in vacanza bisogna rimorchiare per forza ah!»
«A parte che io vi toccherei al massimo con l’asta dell’ombrellone e dalla parte appuntita, Clione fa il difficile perché non vuole rivedere la nuker delle patatine»
«Non è una nuker
«Eccome se lo è»
«E tu non sei esattamente un tank»
«Non devi avere paura, ti proteggo io»
«Siete degli stronzi!» protestò Clione, scrollandosi di dosso uno sghignazzante Uni. «Skua, almeno tu!» cercò con malriposta speranza l’aiuto dell’amico che, come sempre, si limitò a guardarlo, sbattere le palpebre un paio di volte e tornare a farsi gli affari suoi.
Pen non era sicuro di averla mai neanche sentita, la voce di Skua. A volte scriveva direttamente sul loro gruppo whatsapp quando erano tutti insieme e nessuno si stupiva della cosa. D’altra parte erano stati anni di amicizia online a forgiarli nell’affiatato gruppo che ora si muoveva per le strade di Waterwheel e, per quel gruppo, Pen doveva ringraziare Shachi e la sua testardaggine, che lo aveva preso talmente per esasperazione da convincerlo, ormai sei anni prima, a unirsi alla compagnia di geek con cui giocava a videogame di ruolo, nel vasto e sconfinato internet.
Pen li adorava, forse con qualche riserva su Skua, che era un pelino competitivo e aveva fatto una missione di vita attentare all’incolumità del suo alter ego digitale, anche se tecnicamente appartenevano alla stessa Gilda, ma gli voleva comunque un gran bene.
Per questo quando la compagnia di Izou e Ishley, dopo averlo accolto a braccia aperte, gli aveva proposto di unirsi a loro quella sera, Pen aveva subito incluso anche i propri amici storici nell’invito, con grande gioia ed entusiasmo di quelli appena acquisiti.
E quindi, eccoli lì.
«…’lora Ikka, come va con Kamazo the killer? Ha già dichiarato il suo eterno amore per Warchant
Letteralmente eccoli lì.
«Non è uno di molte parole»
«Beh te lo può sempre mostrare»
«Secondo me qualcosa le mostra ma non è l’am… off! Skua!»
Pen si girò, verso Skua che si era spostato silenziosamente al suo fianco per osservare ciò che stava osservando lui, con un Shachi ora schiantato addosso.
«Dio, sei inquietante» mormorò Pen, la voce appena incrinata, mentre Ikka si portava al suo altro lato.
Pen allungò il braccio a indicare un gruppo eterogeneo seduto un po’ ovunque nei pressi del chiosco della vecchia pesa, per rispondere all’inespressa domanda dell’amica a cui in effetti non serviva esprimere la domanda.
«Sono loro» confermò una richiesta che non era neanche stata verbalizzata, prima di piegare il braccio e rispondere al saluto del ragazzo moro con lo chignon, con leggibile entusiasmo sul volto.
Almeno, leggibile per Ikkaku.
«Oh» si fece più vicina la mora, parlando direttamente al suo orecchio. «Di lui non mi avevi detto…»
«Ikka…»
«È davvero molto carino»
E sì, Izou era davvero molto carino quella sera, o qualcuno avrebbe detto proprio attraente, anche perché un po’ si era impegnato per esserlo, forse un pelo più del solito. O forse era solo la gioia di aver ritrovato il kanzashi o ancora una brutta sindrome premestruale che lo faceva vedere male allo specchio e lo aveva obbligato a impegnarsi di più.
Satch se n’era inventate di ragioni alternative e non aveva ancora smesso con la telecronaca sullo stato emotivo di Izou, strappando ammonimenti ma anche più di una risata a Marco, il che era tutto dire, tanto che Izou stesso non aveva reagito che sorridendo alle frecciatine dell’amico. In parte anche perché sorridere gli veniva facile quella sera.
Troppo, lo aveva provocato Bonney.
Mai abbastanza, era intervenuta in suo aiuto Ishley.
Izou, il braccio ancora sollevato in saluto, girò lo sguardo verso i suoi amici, un gruppo ormai talmente allargato da essere sparpagliato in più punti della piazzetta, e non trattenne un sospiro.
Perché ovviamente l’unica che mancava era quella che si era rivelata la più attenta ai suoi sentimenti quella sera. Quella che gli aveva detto di sorridere anche più di così se se lo sentiva. Ishley, appunto, che non era uscita con loro, di nuovo, ma era rimasta a casa davvero, stavolta.
Doveva crederci davvero che Ishley stava bene? Pensava ancora che Sabo in fondo se l’era cercata? Non è che la faccenda era sfuggita di mano a tutti e due perché erano testardi e si rifiutavano di parlare?
Non avesse sentito quello che aveva sentito quella mattina, dalla bocca di Ish e mentre la guardava negli occhi, non avesse Satch condiviso la sua stessa impressione…
«Ehi!»
Quello non era comunque il momento per pensarci.
«Ehi Pen» il sorriso tornò alla carica, impossibile da controllare anche se lo faceva sentire un sedicenne alla prima cotta.
«Ehi Izou»
Silenzio.
La ragazza alta, formosa e procace accanto a Pen sgranò gli occhi, guardando incredula il suo amico, prima di avanzare di un passo. «Piacere io sono Ikkaku» tese la mano a spezzare il campo visivo dei due ragazzi e, sperava, anche l’imbarazzante stasi in cui si era ritrovata invischiata.
«Oh Ikkaku! Quella Ikkaku?!» chiese conferma con un’occhiata a Pen, Izou, mentre afferrava la mano della mora. «Pen mi ha parlato di te»
«Cosa belle, spero» sorrise lei, imitata subito da Izou.
«Sperare è lecito»
Ikkaku si irrigidì, la mano ancora incastrata in quella di Izou, e si girò con sguardo vitreo verso Pen, che rideva di cuore. Ikkaku gli lanciò un’occhiata assassina.
«Ehi non gli ho detto niente io» alzò le mani in segno di resa, il rosso, ma non riusciva a smettere di ridere.
Ikkaku sbuffò a labbra chiuse e abbozzò un sorriso tra il divertito e l’omicida. «Vi siete trovati, non c’è che dire»
«Non sei la prima che ce lo dice» ribatté Izou, rubando un’occhiata a Pen. «Venite, vi presento gli altri»
 

§
 

Il Cahya Mera durava tecnicamente solo una sera, la sera delle lanterne, la sera della luna rosa.
Ma le molte ore investite nel decorare Waterwheel di lampadine e lanterne davano un frutto che si poteva ammirare per settimane, finché qualcuno del piccolo comune marittimo non si decideva a farle staccare, generalmente dopo aver visto il prezzo lievitato della bolletta.
Anche alcuni venditori ambulanti si trattenevano per qualche giorno, e le bancarelle erano molte meno della serata appena trascorsa, molto più ordinate.
Senza il gruppo di musicisti ufficiosi e le danze, la piazzetta della vecchia pesa appariva diversa ma altrettanto accogliente e risultava più semplice orientarsi.
Ciò nonostante, avevano perso Aisa.
«È andata con Bonney a comprare non ho capito cosa»
«Beh speriamo Bonney ce la riporti tutta intera» Reiju sorrise serafica. 
«In che senso?» si accigliò perplessa, Pur, e Reiju inclinò il capo all'indietro per guardarla, seduta dietro di lei, su un gradino più alto del dismesso chiosco costruito proprio accanto alla famigerata pesa.
«Mi colpisce sempre quanto sei ingenua quando non si parla di Yonji. Con lui sei tutta fuoco.»
Pur sgranò gli occhi, in un'espressione indignata che virò subito al furente, mentre la sua pelle candida si tingeva di prorpora.
«Non nominarlo davanti a me» sibilò tra i denti e Kumachi abbaiò per solidarietà o forse in realtà aveva tutt’altro fine. Perona era felice che stesse finalmente meglio e di esserselo potuto portare ma preferiva tenerlo al guinzaglio, non voleva rischiare di perderlo di nuovo tra la folla.
«E comunque non avevo semplicemente capito che lo intendevi in quel senso» si imbronciò, gli occhi diversi che balenavano nella penombra. «Aisa non batte quella sponda»
«Sì ma non credo che a Bonney interessi» commentò Perona, coccolando il cucciolo tra le orecchie. «Flirterebbe anche con gli ombrelloni per avere più chance» fece spallucce, ignara dell'occhiata che Reiju e Pudding si stavano scambiando, entrambe con il sorriso, una sadico, l'altra speranzoso.
«Ma pensa, ora la nostra bocca di rosa riconosce un flirt e teorizza addirittura. Pugno di fuoco ti ha proprio cambiata, Perona»
Perona provò la canonica scarica di fastidio di quando Reiju si allietava a discapito della loro sanità mentale, ma forse non era neanche solo quello.
«Pugno di f... Cosa sarebbe pugno di fuoco?»
«Un nomignolo. Ti piace?»
«No» sibilò a sopracciglia corrugate. «Non mi piacciono i nomignoli lo sai»
«A parte Voodoo» considerò Pudding, con un'ingenuità che non era dato sapere se fosse autentica o simulata.
Perona sgranò gli occhi, omicida, è si impose di contare fino a dieci, prima di riprendere fiato e affermare:
«Io non ho nessun problema con i flirt»
«Ma nessuno ha detto che…» fece per protestare Pudding con finta, stavolta Perona ne era certa, innocenza, se non che la chioma biondo fragola di Reiju invase il suo campo visivo quando la ragazza si sporse verso Perona, invadendo più che poteva il suo spazio vitale.
«Dimostralo»
Il sorriso di Reiju era un’arma. Un’arma fatta di sfida e sadismo e lucidalabbra al peperoncino non tanto per rimpolpare le labbra, quanto più per tenere a bada gli scocciatori e selezionare in modo naturale i corteggiatori. Un’arma letale per una Perona esasperata e sottoposta da ore che sembravano giorni, se non settimane, alle costanti e ineludibili osservazioni non richieste di Reiju Vinsmoke su lei e Ace, Ace e lei, lei con Ace e Ace che faceva con lei cose che…
Si alzò in piedi senza quasi rendersene conto, il guinzaglio stretto in mano e Kumachi che guaiva curioso ai suoi piedi, in atttesa di capire cosa sarebbe accaduto. Perona si lisciò la gonna con espressione da battaglia.
«E va bene» esalò, gli occhi socchiusi che lanciavano pugnali prima di voltarsi e studiare i presenti nella piazza.
Pen, il tipo rosso che aveva tutte le intenzioni di farsi Izou, non si era presentato solo e i suoi amici avevano accerchiato, per ragioni difficili da congiurare, un impassibile eppure in qualche modo coinvolto Law. Uno di loro svettava su tutti gli altri, spallato, capelli folti, ricci e neri e incarnato olivastro, quasi mulatto.
Sì, sarebbe andato molto bene, sarebbe stato un vero piacere zittire Reiju flirtando con lui.
«Andiamo Kumachi»
Nuvolette di polvere sabbiosa si sollevarono al suo passaggio tanto camminava decisa, il cagnolino al seguito che non perdeva un passo, ma, soprattutto, ignara dell’espressione delle due amiche che la fissavano sconvolte.
Entrambe, sconvolte e incredule e che soddisfazione sarebbe stata per Perona vedere Reiju in quel momento, se solo si fosse voltata un istante.
«Ma dove va?­»
«Non lo so»
«Ace non è lì»
«Lo vedo, Pur!»
«E perché tu, di tutte le persone, stai perdendo la calma?»
«Perché non doveva andare così, okay?!»
Pudding la fissò a occhi sgranati, per qualche secondo cercò di ricordare se l’avesse mai vista così, poi lasciò perdere e sgranò gli occhi a sua volta ma per l’improvvisa comprensione.
«Oh. Ohhhh! Quindi era questo il tuo obbiettivo?! Gran bella strategia, davvero!» battè le mani un paio di volte, Perona ormai troppo lontana per sentirle. «Ricordami, ricordami di non chiedere mai il tuo parere se dovesse servirmi un piano arguto»
«Ora stai esagerando»
«Sono davvero felice che tu abbia deciso di non metterti in mezzo tra me e Yon, perché siete fratelli, ringrazio il cielo»
«Pur…»
«Non sto esagerando, Rei! Ace è lì, proprio lì se si gira la vede che…. Che cosa fa?! Lo sta accarezzando sul pettorale?! Ma quando lo ha sfilato dal gruppo e si è presentata?! Dobbiamo fare qualcosa!»
«Ah io non faccio niente, non sono brava a quanto pare con le strategie»
«Ti sembra il momento di fare l’offesa?! Oddio no, non posso guardare!»
 

§
 

A Law, tendenzialmente, gli estranei non piacevano. A volte non gli piacevano neppure le persone che conosceva, i suoi amici non gli piacevano nei suoi giorni più bui, perché facevano parte dell’umanità e per lo stesso motivo non gli piaceva neanche se stesso, a volte.
L’unica persona per cui Law era incapace di provare odio e fastidio era Kay, ma Kay non era probabilmente umana, perché ci volevano capacità di un altro mondo per comprendere Law, comunicare con lui e, nei suoi giorni più bui, continuare ad amarlo incondizionatamente.
Comunque era facile pronosticare che, giornata buona o meno, se una persona era estranea a Law non sarebbe piaciuta. Non in assoluto, ma nell’immediato, a meno che suddetta persona sconosciuta tenesse le dovute distanze e non occupasse il suo spazio vitale, dandogli il tempo che lui avrebbe reputato necessario per decidere se, con la giusta conoscenza e frequentazione, quella persona sarebbe potuta iniziare a piacergli o meno, a Law gli estranei non piacevano.
Non sapeva cosa fosse la simpatia a pelle ma sull’antipatia preventiva era imbattibile.
«Io non posso crederci»
Per questo Izou era ragionevolmente sconvolto da ciò a cui stava assistendo.
Certo qualcuno, qualcuno a caso, avrebbe colto la palla al balzo per dirgli che era lui a esagerare nel descrivre l’approccio di Law nella socialità ma il qualcuno era impegnata ad amabilmente conversare con Bonney e Aisa mentre il suo fidanzato, amore della sua vita, misantropo senza speranza, mostrava con orgoglio malcelato il proprio vecchio account di War of Warcraft agli amici appena conosciuti di Pen.
E anche Kay si stava godendo lo spettacolo, non lo perdeva di vista un istante neppure mentre chiacchierava, e il Trafalgar avrebbe avuto una nottata coi fiocchi, poteva dirlo solo guardando in faccia la sua amica, che però non appariva incredula perché secondo lei Law non era poi così malomostoso come Izou sosteneva.
Ma Kay era innamorata, non vedeva le cose lucidamente, no? Ovviamente no, perciò era del tutto normale che Izou fosse tanto sorpreso.
«Davvero c’erano più probabilità di assistere all’estinzione causa asteroide che a questo»
«Non sarai un tantino esagerato?»
Izou si voltò ammiccante, ritrovandosi Pen molto più vicino di quanto pensasse e studiando per un attimo il suo volto prima di ribattere: «Pen, esagerazione è il mio secondo nome, ma in questo caso no, non sto esagerando» sorrise sornione e vide la gola del rosso guizzare. Avrebbe voluto baciarla. Morderla. Non solo la gola.
«Beh ammetto che è sorpredente anche per me. Esiste una certificazione per avere a che fare con Shachi senza rischiare di sporcarsi la fedina» si strinse nelle spalle, ascoltando Izou ridere sommessamente. Avrebbe potuto ascoltarlo ridere tutta la sera, o anche solo respirare piano accanto a lui. Non sapeva cosa gli prendesse, non si era mai sentito così prima, non aveva mai provato un simile trasporto per una persona appena conosciuta, una simile attrazione per una persona vista di sfuggita tra la folla. Non sapeva cosa fosse ma non gli importava e, sicuro come il moto di rivoluzione e rotazione della Terra, aveva intenzione di seguire il flusso. Fece un passo ancora e si piegò verso Izou, quel poco che poteva data la scarsa differenza tra le loro stature. «Mi fa davvero piacere che vadano tutti così d’accordo, sai?» soffiò piano, quasi al suo orecchio, senza scostarsi di un centimetro quando Izou si voltò di nuovo verso di lui, picchiando quasi i loro setti nasali insieme.
«Anche a me. Fa davvero tanto… tanto… piacere…»
Pen prese aria quando Izou si allungò inequivocabilmente, così vicino da poter sentire il profumo di menta del suo respiro, gli occhi già calamitati alle sue labbra. Non ci sarebbe voluto niente, solo inclinare di qualche centesimo di grado il capo, chiudere gli occhi e lasciare che accadesse, e qualcosa si stava già muovendo anche a sud del suo equatore.
Non ci sarebbe voluto niente, eppure non stava accadendo e non sarebbe accaduto, non subito. Pen imprecò tra sé e sé mentre la bocca anziché chiudersi su quella di Izou, si apriva per fermare tutto e rovinare irrimediabilmente l’atmosfera.
«C’è una cosa che devo dirti»
Poteva pensare un’uscita più pessima? No, non poteva e a giudicare dalla sua espressione anche Izou lo credeva. Anche se appariva più perlpesso che deluso.
«Oh. S-sì beh certo, ti ascolto»
Pen sospirò.
«Forse è meglio se ci allontaniamo un po’»
«Devo preoccuparmi?»
«È solo una cosa privata»
«Devi dirmi una cosa privata prima di baciarmi? Allora sì che devo preoccuparmi»    
«No Izou, aspetta…»
«Oppure è che non vuoi affatto baciarmi»
«Come?! No! Cioè sì! Cioè, certo che voglio baciarti, ma…»
«C’è un ma, fantastico»
«Ma tu fai sempre così?»
«Solo quando mi agito molto o quando un ragazzo appena conosciuto sente il bisogno di dirmi una cosa privata prima di un innocente bacio senza pretese, il che mi agita molto»
«Magari non voglio darti solo un bacio senza pretese»
 «Al momento non mi stai dando proprio niente»
«Perché ho bisogno di parlarti!»
«D’accordo, ti ascolto!»
«Ma non qui»
«Gli scenari che mi vengono in mente sono uno più catastrofico dell’altro»
«Ascolta, è che…» Pen sospirò di nuovo, si riavviò il ciuffo e si chino all’orecchio di Izou. Un brivido percorse la schiena di entrambi nonostante tutto. «Si tratta di Ishley»
Ora, c’era da dire che l’espressione di Izou non era meno perplessa di poco prima ma stavolta c’era almeno una forma di comprensione nei suoi occhi. Pen sapeva di non poter cantare vittoria troppo presto ma non si negò una punta di sollievo.
«Ishley?» chiese conferma Izou, parlando a bassa voce.
«Sì. L’ho incontrata al Cahya Mera. Ma vorrei spiegarti per bene»
Izou lo studiò, pensieri che con la diffidenza o il ripensamento non avevano nulla a che fare, nonostante la sua espressione accigliata. Poi, con un movimento fluido come le onde del mare, allungò un braccio e intrecciò le sue dita con quelle di Pen, che spostò gli occhi dalle loro mani al volto di Izou un paio di volte, il respiro un po’ corto.  
«Vieni» gli sorrise Izou. «Spostiamoci un po’»  
 
 
§
 

Parlare con Uni non si era rivelato affatto male, senza neanche volerlo avevano in comune più del previsto. Non che fosse esattamente la stessa cosa, ma lui studiava come grafico e lei masticava parecchio di programmi di disegno e simili e a Uni sembrava anche interessare davvero del suo hobby.
Aveva anche il fisico perfetto per immaginare di vestirlo con così tanti stili diversi da poter immaginare un catalogo intero solo con lui.
Perona se la stava anche cavando bene, ne era certa, forse perché non le veniva neanche così forzato. Insomma flirtare era divertente davvero, non poteva negarlo, aiutava a svuotare la mente, a parlare con spensieratezza.
Se solo non fosse stata così distratta.
A sua discolpa, non sapeva cosa prendesse a Kumachi, per continuare ad abbaiare e tirare il guinzaglio, forse avrebbe dovuto lasciarlo con le ragazze ma in realtà le dava l’alibi perfetto per non rischiare un’invasione del proprio spazio vitale, che però non era proprio la forma mentis più adatta durante un flirt, quindi forse non era poi così spensierata, né così concentrata sul flirt, forse non era Kumachi a distrarla, anche se…
«Kumachi ma che ti prende?!» tirò appena il guinzaglio, afferrandolo con due mani quando il cagnolino riuscì quasi a sfilarle la presa tanto tirava furiosamente. «Perdonami, non so cos’abbia stasera» lanciò una rapida occhiata a Uni che scosse la testa con un sorriso, prima di accovacciarsi accanto al suo peloso amico che abbaiava senza posa, tutto teso verso una direzione ben precisa. «Piccolo che succede?» lo accarezzò tra le orecchie, seguendo la traiettoria del suo sguardo.
Si bloccò con la mano posata sul pelo morbido e il respiro in gola, colta alla sprovvista dal battere improvvisamente frenetico del suo cuore, dalle farfalle nel suo stomaco, dal calore alle guance e dal formicolio in tutto il corpo.
Ed era strano, perché in fondo era sempre così quando vedeva Ace, ma mai lo aveva sentito in modo così vivido, o forse era solo l’inconscio paragone con Uni, forse era che mentre lei flirtava spudoratamente con un altro, lui chiacchierava sereno e sorridente con Marco.
E quel sorriso, Shandia, quel sorriso.
C’era da stupirsi che Kumachi stesse impazzendo per andare da lui? Che Kumachi l’avesse distratta? Non aveva già avuto in diverse occasioni la conferma che Kumachi capiva meglio di lei di cosa avesse bisogno?
O di chi.
Si rimise in piedi, quasi come in trance, così in difficoltà a distogliere lo sguardo per rivolgersi a Uni in realtà con una certa urgenza.
«Ah io credo di dovermi allontanare un momento, possiamo riprendere dopo al limite e… Scusa eh…»
«No no, non preoccuparti, tanto io mica scappo! Ehi comunque è stato un piacere conoscerti, sei forte!»
«Ah grazie. Sei… forte anche tu» lo indicò che già indietreggiava, prima di voltarsi e accelerare il passo, il guinzaglio di nuovo in entrambe le mani.
Perona non lo avrebbe mai confessato ad alta voce però con se stessa lo aveva ammesso quasi subito dopo il fortuito incontro in spiaggia: il sorriso di Ace le faceva uno strano effetto.
Era come se la scaldasse dentro, era un sorriso che sapeva di divertimento e comprensione e gentilezza senza limiti. Tutte cose che Perona avrebbe voluto nella propria vita, con un tocco di acqua salata a condire il tutto per bene.
Forse per questo si accorse subito che qualcosa non andava nel sorriso di Ace e,  conseguentemente in lui. Era come se non arrivasse agli occhi, come se fosse una piega che le sue labbra erano ormai abituate ad assumere più che espressione di un sincero piacere, provato in compagnia di un amico.
E anche così la guidava come una luce nel buio, dritta al suo obiettivo, ormai non più trascinata da Kumachi ma al passo con lui. Anzi, se possibile, ora aveva ancora più fretta di arrivare da lui ma questo non le impedì di bloccarsi a un paio di metri dalla coppia di amici.
Forse interrompeva un momento personale, dopotutto se Ace aveva qualche pensiero ne stava magari parlando con Marco, anche se era Marco che parlava con lui e le sembrava strano che Ace avesse quell’espressione mentre riceveva consigli su una qualche questione che lo preoccupava, anche se in effetti c’era un che di amaro nei suoi occhi, nella sua postura, tutto.
Era già pronta a fare retromarcia quando Kumachi diede uno strattone al guinzaglio e un attimo dopo Marco stava stringendo la spalla di Ace in segno di saluto, prima di allontanarsi da lui.
Se non avesse saputo che era impossibile, avrebbe sospettato che Marco leggesse nel pensiero e avesse sentito le sue considerazioni mentali, visto il tempismo, e quell’attimo di stupore fu tutto ciò che servì a Kumachi per strattonare definitivamente la sua padrona fino alla sua agognata meta.
«E-ehi piccolo!» Ace si chinò subito a coccolare il botolo quando se lo ritrovò praticamente sdraiato sui piedi, il venduto, e si intrattenne qualche istante, prima di sollevare gli occhi, quegli occhi così caldi e gentili, come il suo sorriso, e rimettersi in piedi con Kumachi sotto a un braccio e l’altra mano tra le sue orecchie.
«Ciao Voodoo»
«Ciao…»
Perona lo sapeva. Sapeva di averci visto giusto. Ace sorrideva ma il suo sguardo malcelava una tensione che non sapeva di rabbia ma di tristezza. Qualcosa non andava, doveva aver ricevuto una brutta notizia, qualcuno doveva avergli fatto qualcosa o…
«Tutto okay? Volevi parlarmi? Marco dice che sembrava volessi parlarmi…»
Perona si sentì sprofondare e sgranò gli occhi. Merda. Non era stato affatto tempismo e Marco non leggeva affatto nel pensiero ma era così discreto da averla notata senza che lei se ne accorgesse. Non riuscì a evitare di girarsi smarrita alla ricerca del biondo, nella speranza fosse ancora nei paraggi così da levarsi di torno e lasciarli proseguire nella loro chiacchierata.
Lei in fondo non sapeva neppure per cosa fosse andata lì da lui.
«Ah no io… Ma dov’è finito?! Cos’è, si dissolve nell’aria?! Ora lo richiamo così finite di parlare, io non dovevo dirti niente in particolare»
«Oh capisco»
Delusione. O rassegnazione?
Non si chiese nemmeno perché fosse tanto recettiva verso tutti quei dettagli, dalla postura al tono della voce.
Si chiese perché Ace guardasse a terra, dondolando da un piede all’altro, chiaramente a disagio, mentre corrugava le sopracciglia curate.
«Che c’è?»
Non voleva suonare così dura, non voleva di certo dargli un ordine, ma faticava a tollerare l’idea che qualcuno potesse averlo ferito tanto.
«Mh? Ah no niente, niente» rimise Kumachi a terra con un’ultima carezza, poi infilò le mani in tasca e riabbassò gli occhi a terra. Sembrava un bambino e il cuore le si strinse fino a fare male.
«Ace…»
«Neanche io voglio trattenerti, ho visto che hai trovato compagnia stasera, mi fa piacere» risollevò gli occhi e il sorriso era tornato.
Non il sorriso di Perona, quello che in due giorni le aveva mandato il cervello in pappa, ma quello di stasera, quello privo di verve, e un lampo di sofferenza più evidente gli attraverò le iridi scure nel pronunciare quelle parole.
Qualcosa fece click nella mente di Perona e l’incredulità la sopraffece per un attimo.
Per lei? Stava così per lei?!
Perché l’aveva vista chiacchierare con Uni e… no. Non chiacchierare. Flirtare, flirtare con Uni! Razza di cretina!
Perché si faceva sempre provocare così? E perché non aveva fatto quello che andava fatto, anche se significava darla vinta a Reiju che poi forse in fondo voleva ottenere proprio quello e…
Smise di pensare e allungò le mani verso i baveri della camicia di Ace, poi piegò le braccia, chiuse gli occhi ed era fatta.
La bocca di Ace era sulla sua, le sue labbra si mossero su quelle del ragazzo con uno slancio di cui non pensava di essere capace, e non era successo niente di catastrofico, anzi era ancora viva. Molto molto viva.
Estremamente viva quando Ace posò le mani sui suoi fianchi, prima quasi cauto, poi sempre più deciso, fino a stringere le braccia intorno alla sua schiena e aderire completamente a lei, mentre rispondeva con impeto al bacio.
Una mano grande e calda si posò sulla guancia di Perona quando si separarano per riprendere fiato, le punte del naso che si toccavano. E il sorriso era tornato. Stavolta sì quello di Perona, quello caldo e accogliente e gentile e un po’ perculante che lei adorava. Lo adorava.
«Questa non me l’aspettavo»   
«Era una specie di scommessa scema, non volevo fare questo per vincere una scommessa io…»
«Però ci avevi pensato?»
«Sì, ci avevo pensato»
«Temevo che i giorni dei nostri flirt fossero già finiti»
«N-no, assolutamente no, non sono fin…»
La mano si spostò sotto al suo mento e Ace la stava baciando di nuovo e Perona sapeva che li stavano guardando, qualcuno li stava guardando per forza, e la stava dando vinta a Reiju, che avrebbe gongolato fino all’Apocalisse per questo e poi non aveva idea di dove tutta questa storia sarebbe andata a parare.
E non gliene fregava niente.
 

§
 

Andato.
Il tempo di chinarsi a raccogliere l’oggetto in metallo e rialzarsi ed era scomparso, come un lampo dentro una nuvola.
Pen era riuscito a compiere solo pochi passi noncuranti prima di estrarre l’oggetto non identificato dalla tasca e rendersi conto che in realtà avrebbe voluto tornare indietro a cercarlo.
Era stata una frazione di secondo ma era certo che avrebbe riconosciuto il suo volto in mezzo a mille. Lo aveva colpito, lo aveva davvero colpito. I suoi tratti simmetrici, gli occhi allungati e il sorriso.   
E un po’ per questo, un po’ perché aveva la sensazione che quello strano oggetto fosse importante, Pen sarebbe voluto tornare indietro a cercarlo ma che speranze aveva di ritrovarlo seguendo a casaccio una direzione in cui più o meno il ragazzo era andato, di cui sapeva solo essere quella opposta alla propria, in una città trasformata in un’enorme piazza senza strade né delimitazioni di sorta?   
Così Pen era saltato veloce sul muretto che delimitava la camminata lungo il mare e aveva provato a scrutare tra il marasma, senza successo, e poi si era seduto e lì era rimasto per un po’, casomai magari il moro fosse tornato indietro.
Era stato dopo circa un quarto d’ora che si era alzato, l’oggetto sempre in mano, gli aveva lanciato un’ultima occhiata e si era avviato di nuovo per tornare dagli amici, stavolta senza rimetterlo in tasca.
«Bel kanzashi!» un fulmine bianco gli sfrecciò accanto, così in fretta da farlo quasi vacillare, lasciandolo anche interdetto e disorientato per un attimo.
«Dici a me?» domandò al nulla, anche se in effetti era circondato da una multitudine di gente ma nessuno gli stava prestando attenzione. Forse se l’era sognato anche se trovava difficile immaginarsi una parola come “kanzashi”.
Per la seconda volta si strinse nelle spalle e per la terza riprese a camminare ma si fermò di nuovo nel riconoscere una figura molto familiare risalire dalla spiaggia da uno dei passaggi che si aprivano nel muretto, a mezzo di un’impervia scaletta di pietra, con l’agilità di un’antilope.
«Ciao, Jiji!»
Nojiko sollevò lo sguardo per un attimo spaseata, non tanto come se non lo avesse riconosciuto, quanto più come se si fosse dimenticata dove fosse, per poi ricordarsene e aprirsi in un sorriso.
«Pen!»
«Tutto bene?» le si avvicinò senza nascondere la preoccupazione.
«Tutto bene» gli sorrise con più nubi di quante Pen non fosse abituato a vederne nei suoi occhi.
«Uhm, d’accordo…»
«Che hai lì?» Nojiko gli si fece più vicina, nuovamente padrona della situazione e come sempre con quel sentore di materno che la faceva somigliare tanto a un angelo custode.
«Ah non… non lo so, lo ha perso un ragazzo tra la folla, ci siamo scontrati e credo sia un kaz… kas…»
«Kanzashi»
«Sì esatto!» la indicò con il dito, celando lo stupore più che poteva.
Chissà chi gli aveva urlato dietro poco prima.
«Che fai? Lo tieni tu? Vuoi far crescere i capelli?»
«Anche se fosse andrebbero tutti verso l’altro, sfidando le leggi della fisica» rise il ragazzo, per poi stringersi nelle spalle. «No, niente è che mi dispiaceva lasciarlo abbandonato lì, e poi magari…» “potrei essere fortunato e reincontrarlo” «…qualcuno lo avrebbe calpestato, sarebbe stato uno spreco no? Io penso che, a volte, è giusto prendersi cura anche di ciò che non è nostro»
Nojiko lo guardò con tanto d’occhi e inspirò a fondo, il sorriso nuovamente scomparso.
«Hai ragione Pen» mormorò ora mortalmente seria. «Ci sono situazioni in cui si prendono a cuore cose o persone che neanche si conoscono o si conoscono a malapena» affermò decisa, gli occhi saettanti verso la spiaggia da cui era appena risalita e ignara dell’espressione indagatrice del proprio interlocutore.
«Nojiko, sei sicura di star bene?­»
«Oh sì!» tornò svelta su di lui, allungò una mano alla sua guancia e sorrise nuovamente. «Solo qualche pensiero che però posso solo aspettare che passi. Non è in mio potere fare molto di più. Ora devo andare però, perdonami se non ti faccio compagnia ma…»
«Non scusarti» alzò la mano libera dal kanzashi, Pen, un gesto quasi solenne, prima di sciogliersi in un sorriso mozzafiato. «È sempre un piacere vederti» si chinò a darle un bacio sulla guancia e ricevette ancora una carezza prima che Nojiko si allontanasse nella notte.
Attese ancora qualche secondo, per essere davvero certo che non sarebbe tornata indietro, prima di lasciare che la curiosità avesse la meglio e, con un movimento agile, scendere tre scalini della ripida rampa in pietra, sbirciando con insistenza verso la spiaggia, a destra e a sinistra.
Poi ancora a destra.
Senza la luna piena e così luminosa e rosa, sarebbe stato impossibile vedere a un palmo dal naso, ma i fattori atmosferici erano a suo favore, quel tanto che bastava per riconoscerla e restare ancora una volta stupito di quanto il mondo fosse piccolo.
Esitò, non perché avesse qualche dubbio sul volerla incontrare, sul volerci parlare, ma perché, se metteva insieme i pochi indizi che gli sembrava di aver raccolto, aveva il legittimo sospetto che forse Ishley voleva starsene da sola.
Ma Nojiko era turbata e Pen non voleva fare finta di niente, così scese gli ultimi scalini, pronto anche a ricevere insulti se Ishley non avesse gradito la sua iniziativa, e si avvicinò, affondando con le scarpe nella sabbia candida.
«Ehi! Sei proprio tu?»
La guardò scrutare nella sua direzione, non tanto per il buio ma per recuperare il ricordo associato alla sua faccia, e poi distendere il viso.
«Pen, giusto?» chiese conferma, tanto per andare sul sicuro.
«Bingo. E tu Ishley» sfilò le mani dalle tasche, attento a non far cadere fuori il kanzashi, e la indicò con l’indice, mentre copriva l’ultimo metro che li separava. «Come stai?»
«Mh» sospirò lei, stringendosi nelle spalle. «Seduta» rise, alludendo alla sdraio su cui si era accomodata. «E tu?» lo guardò dal basso verso l’alto, mentre si fermava davanti a lei.
«Solo, soletto. Certo che è piccolo il mondo, ho appena incontrato anche Nojiko» disse noncurante, tenendola d’occhio giusto per vederla rabbuiarsi un istante.
«Oh. Pensa. Beh suppongo che Waterwheel non sia poi così grande, anche se al Cahya Mera la densità demografica sembra aumentare per magia» tornò subito a sorridere, puntando poi gli occhi alla luna.
Il silenzio scese tra loro e Pen era già pronto a congedarsi, sebbene a malincuore, ben prima che la finestra di conversazione fosse chiusa.
«Vuoi sederti?»
Pen la guardò sorpreso ma poi si avvicinò alla sdraio e prese posto nello spazio libero accanto a lei.
«Credevo volessi stare sola»
«Infatti è così. Ma la spiaggia è di tutti» gli diede una lieve spallata e poi puntò gli occhi alla luna una volta ancora. «Tu ci credi alla leggenda dei desideri?»
Anche Pen guardò in su, verso l’astro rosa. «Che la luna stasera li esaudisce?»
«Sì»
«Forse. Non ci ho mai provato»
«Oh, un ragazzo che ha tutto»
«O forse solo un po’ fifone. Bisogna stare attenti a ciò che si desidera, non dicono così?»
Per la seconda la vide rabbuiarsi e pur avendola appena conosciuta doveva ammettere che non gli piaceva per niente vederla così. Come certamente non era piaciuto a Nojiko prima di lui.
L’unghia di Ishley che grattava contro il tessuto a nido d’ape teso sul telaio, fece vibrare tutta la sdraio.
«Qualcosa non va?»
«Tu hai ragione ma mi chiedevo se…» spostò gli occhi su di lui, aprì la bocca, la richiuse, prese un bel respiro «Tu desidereresti di… ecco di… liberarti di un amore a senso unico?»
Pen sbatté le palpebre un paio di volte, grato che in fondo il problema fosse il più vecchio del mondo e non qualcosa di più grave, per realizzare solo a scoppio ritardato quanto fosse però grave la domanda di Ishley.
«Come?! Aspetta che… tipo intendi, dimenticare?»
Non sembrava sbagliato, affatto, poter smettere di soffrire per un amore non corrisposto, accadeva nel mondo a migliaia di persone ogni giorno, era anzi auspicabile ma così, con l’intercessione di un fenomeno mistico di dubbia funzionalità, suonava simile a un’aberrazione.
E Ishley che si strinse nelle spalle in risposta, gli gelò il sangue nelle vene.
«Io, io…» si prese un momento per riordinare i pensieri. Stavano parlando di qualcosa che non era neanche tecnicamente possibile, lui Ishley non la conosceva, di chi fosse a farla soffrire così non aveva presente nemmeno la faccia. Avrebbe potuto darle ragione, per lenire almeno un po’ il suo dolore. Ma se poi Ishley lo desiderava davvero e funzionava? Poteva convivere con la consapevolezza di non averle detto ciò che davvero pensava? E perché se la stava prendendo così a cuore? «Non lo so, immagino che se lo stai pensando è perché non hai trovato altre vie per… aggiustare la situazione? Non voglio essere giudicante!» alzò le mani ai lati del viso. «Ma di fatto non serve un intervento divino per disinnamorarsi di qualcuno, anche se ci vuole di più e fa più male»
Per un lungo istante, nel quale Ishley si limitò a fissarlo, pensò di averla offesa. Poi però la ragazza prese un bel respiro. 
«È complicato» ammise e, anziché abbassare il capo, tornò a guardare la luna. «Non cerco una scappatoia, penso solo sarebbe meglio se mi dimenticassi proprio di averlo mai amato» una lacrima le rotolò sulla guancia, fermata dalle sue stesse dita, in un gesto di rabbia.
«Okay…» esalò piano Pen, passandosi una mano tra i capelli. «Anche se fosse una scappatoia non… è che è una cosa grossa così. Non puoi tornare indietro capisci? Se lo fai e funziona, lo avrai perso per sempre. Devi essere sicura, davvero sicura che dimenticare tutto è quello che vuoi, perché quando si sta male si sta male, io lo so, ma, se tu lo ami così, per il tipo di persona che mi sembri, non penso sia una di quelle situazioni in cui non c’è niente di bello da tenere con sé. Non è che devi dirlo a me, dico solo, pensaci bene»
Ishley aggrottò le sopracciglia. A chiunque altro avrebbe risposto che ci aveva pensato bene ma per qualche motivo, il modo di fare di Pen forse, per qualche motivo si sentiva di poter affermare che forse non è che ci avesse pensato poi così tanto.
Perché Pen aveva c’entrato un punto importante e non lo diceva per Sabo, neanche lo conosceva Sabo, lo diceva per lei, solo ed esclusivamente per lei.
«Sei una bella persona Pen, lo sai? Di quelle che dovrebbero essercene di più come te»
Pen sgranò gli occhi, preso in contropiede, il viso che diventava un tutt’uno con i suoi capelli, nascosto dalla penombra.
«Io, cioè, gr…»
Le prime note di Starway to Haeven esplosero nel momento che si era creato, da dentro la tasca dei cargo alla zuava color panna di Pen. Il ragazzo sussultò per la vibrazione contro la coscia, dimentico di vivere in un mondo con cellulari e tecnologia.
Ishley sembrava uscita da un’altra epoca, in fondo, così come tutto quel parlare di possibili poteri lunari sulla mente delle persone gli avevano dato un senso di mistico, che si frantumò nel più realistico dei modi quando Pen estrasse il telefonino, che lampeggiava il nome di Shachi sullo schermo.
«Scusa»
«Fai pure, ci mancherebbe»
«Pronto, Shaq…»
 
«Questa parte non credo ti interessi»
«Ma se hai raccontato fin qui un motivo ci sarà»
«Sì, ma il motivo è dopo la telefonata»
«E io ti ascolto»
 
«A dopo» sospirò mentre chiudeva la telefonata e rimetteva il telefono in tasca. Non sapeva quanto fosse durata la telefonata ma una chiamata di Shachi, per corta che fosse, si protraeva sempre oltre il necessario. «Ehi scusa, un mio amico che…»
Una brezza carica di un profumo che Pen non aveva mai sentito, senza un grammo di salsedine né aroma di vegetazione marittima, soffiò proprio mentre si girava verso Ishley, quasi a volerlo far voltare più in fretta.
E normalmente Pen non ci avrebbe dato così peso, normalmente avrebbe visto una ragazza incantata a guardare la luna, ma lo sguardo di Ishley aveva qualcosa di vacuo, il corpo immobile e rilassato, le mani abbandonate in grembo. Un brivido gli corse lungo la schiena e lui corse verso di lei, mentre un’altra folata di quella brezza batteva la spiaggia, trattenne l’impulso di posarle le mani sulle spalle.
«Ishley? Tutto bene?»
Nessuna risposta.
La luna si rifletteva piena e acceccante nei suoi enormi occhi blu e persi, le labbra schiuse a immettere aria con una calma innaturale.
«I-Ishley?» ritentò e deglutì a vuoto prima di allungare la mano. «Ishley!» alzò appena la voce mentre stringeva il suo braccio e si accovacciava davanti a lei.
Il sollievo gli allargò i polmoni quando Ishley sbattè le palpebre, per un attimo confusa, per poi subito sorridergli, turbata da niente.
«Oh scusa Pen! Hai detto qualcosa?»
Come se non fosse successo alcunché. E forse non era successo alcunché, ma forse…
«No, io ho appena chiuso la telefonata con Shachi»
«I tuoi amici ti reclamano?»
«Non proprio, volevano assicurarsi fossi vivo»
«Non vuoi andare da loro?»
«E lasciarti tutta sola? Che razza di gentiluomo sarei?»
La risata esplose cristallina, inadulterata. Diversa da quelle precedenti ma non artefatta o finta. Sembrava solo più spensierata che mai.
«Forse Nojiko aveva ragione a dire che da fuori sembrava un flirt»
Pen si strozzò quasi con la sua saliva. «Cos… No ehi aspetta, io, ecco, io non… non batto quella sponda, cioè…»
«Oh, che razza di gentiluomo? Spezzarmi il cuore così, senza neanche lasciarmi illudere?!»
 
«Okay, quindi hai flirtato con Ishley senza volerlo, non mi sembra così grave. Io lo faccio sempre, di proposito, e non sono neanche gay»
«Satch non è il momento! E chi ha detto che potevi ascoltare?! No, non rispondere!»
«Mi confondi le idee, Izou…»
«Non sei sceso così nel dettaglio per slancio artistico» prese aria il moro e avanzò di un altro passo verso Pen. Sarebbe anche potuta sembrare una mossa decisiva se non fosse stato in realtà agitato e Pen si sarebbe potuto crogiolare nella sua espressione mortalmente seria, se non fosse stato mortificato. «Credi che lo abbia fatto? Ha desiderato di dimenticare Sabo?»
«I-io…» Pen si strinse nelle spalle, le parole che spingevano sulla lingua per uscire. «L’ho riaccompagnata a casa e lei mi ha chiesto di fare finta di niente se ci fossimo rivisti e volevo sapessi che è per questo che stamattina mi sono comportato in modo normale con lei ma non sapevo che foste nella stessa compagnia, non è stato un modo subdolo per avvicinarti anche se volevo avvicinarti eccome e sì, io credo che lo abbia fatto e che lei stessa si sia resa conto che qualcosa è successo o non mi avrebbe chiesto di fare finta di niente, ma non so dire se sia consapevole di cosa è effettivamente successo, se è davvero successo quello che io, e ora anche tu, penso sia successo» riprese aria, quasi cianotico in viso.
«Non credevo esistessero altre persone in grado di dire così tante parole al minuto, oltre Ish e te»
«Satch!»
«Va bene, va bene, sto zitto!» alzò le mani il ragazzo in segno di resa, mentre Izou tornava a dedicare tutta la propria attenzione a Pen.
Un sorriso sottile comparve sulle sue labbra, mentre mani curate salivano a circondare la mandibola del rosso.
«Grazie per avermelo detto»
Anche senza avere le dita sul suo collo, Izou avrebbe potuto rendersi conto di quanta saliva Pen aveva appena mandato giù, mentre spostava gli occhi sulle sue labbra, poi di nuovo sul suo viso e poi, nonostante i suoi sforzi, di nuovo sulle sue labbra.
«Beh ecco io-io… io volevo solo… che…»
«Ragazzi, scusate…»
«Satch! Non hai proprio altro da fare?! Tipo, non so, andare ad ann…»
«Ehi aspetta! È che…»
Izou non avrebbe dato peso alla sua richiesta, e nemmeno al dito indice che indicava poco oltre Pen, non fosse stato per l’espressione di Satch che, una volta tanto, non aveva niente di divertito o perculante.
Si girò quasi con cautela, non era certo di cosa avrebbe trovato ma le possibilità erano abbastanza scarse da non fargli sentire sorpresa nel riconoscere uno sconvolto Sabo che li guardava a pochi passi di distanza. Troppo pochi per non aver sentito.
Il cuore di Izou sprofondò nel suo stomaco.
Quanto aveva sentito?
«Sabo…»
Il petto di Sabo prese ad alzarsi e abbassarsi come un mantice mentre anche Pen si girava, ben conscio di cosa stava succendendo e delle conseguenze.
«Amico, ehi! Sembra ti stia per venire un attacco di panico. Perché non rallenti un po’?» li affiancò anche Satch, scambiando un’occhiata con entrambi.
«Lei ha… lei ha davvero…»
«Non lo sappiamo!»
«Infatti! È solo una mia congettura, non so se ha davvero espresso un desiderio e se… sì insomma, mi sono fatto suggestionare e prendere dalla preoccupazione ma a ripensarci bene che la Luna possa esaud…»
«Lei mi amava?»
Fu come se tutta Waterwheel avesse smesso di emettere suono in quel preciso momento. Fu solo un attimo e sembrò durare una vita.
Poi Izou sospirò, mortificato dalla sofferenza dell’amico, ma anche incredulo e forse esasperato.
«Dio, Sabo, sul serio?»  
Sembrò sul punto di cadere quando fece due passi indietro, lo sguardo perso, la fronte sudata.
«Sabo…»
«Io… io…»
«Che succede?»
«Sabo? Stai bene?»
La domanda era tanto inutile quanto distante, ovattata, come se provenisse da un’altra dimensione. Forse stava per svenire, forse non era la scelta più saggia ma la sola cosa a cui riusciva a pensare era allontanarsi da lì. Allontanarsi da lì subito, dai suoi amici, dalla sua famiglia, da tutto quello che gli confermava e ricordava quanto era stato idiota, quanto tempo aveva perso e che ora Ishley… Ishley…
«Sabo aspetta!»
«Lascialo andare»
Persa. L’aveva persa. Ora non era più un atroce dubbio ma una certezza.
Era scivolata via da lui, come Nadir sulle acque del mare, in una notte di luna di fragola.
«Ha bisogno di fare pace con se stesso»
E lui l’aveva lasciata andare.
  
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