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Autore: keska    14/09/2009    37 recensioni
Tranquilli è a LIETO FINE!
«Perché… anche la pioggia, sai» singhiozzai «anche la pioggia tocca il mio corpo,
e scivola via, non lascia traccia… non… non lascia nessuna traccia. L’unico a lasciare una traccia sei stato tu Edward…
sono tua, sono solo tua e lo sono sempre stata…».

Fan fiction ANTI-JACOB!
E se Jacob, ricevuto l’invito di nozze non avesse avuto la stessa reazione? Se non fosse fuggito? Come si sarebbe comportato poi Edward?
Storia ambientata dopo Eclipse. Lupacchiotte, siete state avvisate, non uccidetemi poi…
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan | Coppie: Bella/Edward
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Eclipse, Breaking Dawn
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'CULLEN'S LOVE ' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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«Tesoro, c’è la colazione» mi disse dolcemente Edward, svegliandomi. Mi stropicciai gli occhi, sbadigliando.

Poi sentii l’odore della mia colazione e storsi il naso.

In un attimo sentii, attraverso i miei sensi alquanto annebbiati, la porta sbattere e Edward ritornare al suo posto, senza più il vassoio della colazione in mano, prima di richiudere gli occhi.

Stavo quasi per riaddormentarmi, quando lo sentii chiedermi «Come stai?».

«Nausea… Sonno…» biascicai, sbadigliando ancora e richiudendo gli occhi, voltandomi a pancia in giù. Ahia. No, quella non era affatto una buona idea.

«Hai ancora sonno?» mi chiese amorevolmente «Hai dormito per ben 14 ore, credo che dovresti mangiare qualcosa».

Decisi di aprire gli occhi, incontrando così il meraviglioso e dolce sorriso di mio marito. Niente più Alice o Rose. Dopo che avevamo parlato avevano capito che non dovevano fare a gara per ottenere il mio affetto. E poi, i loro mariti erano tornati, e chi può resistere al richiamo del proprio marito vampiro? Sorrisi. Non io. E ora mi sentivo felice e tranquilla, nonostante… l’onnipresente nausea.

Sospirai e mi stiracchiai ancora. Sentii la schiena e le braccia indolenzite. Gemetti debolmente, piegando il collo. «Com’è possibile che mi senta così a pezzi pur passando tutta la mia giornata a letto o sul divano?» biascicai assonnata.

Edward ridacchiò, aiutandomi a mettermi seduta sul letto. «Ti devo ricordare in che condizioni ti sei ridotta negli ultimi due ricoveri in ospedale?» chiese, sedendosi dietro di me sul letto, facendo poggiare la mia schiena al suo petto e appoggiandosi alla testiera.

Borbottai qualcosa. «Sì, ma questo letto è decisamente più comodo».

Lui rise ancora, passandomi due cuscini che mi cacciai in grembo, prima di posarci sopra il mento. «Infatti quando eri in ospedale cominciavi a lamentarti dopo tre giorni, ora sono passate più di due settimane» disse cominciando a massaggiarmi la schiena con le sue mani meravigliose.

«Mmm» mugolai in approvazione «è passato già così tanto tempo?».

«Sì» mi rispose con un sorriso sulle labbra «sei alla nona settimana di gravidanza ormai. Tranquilla, presto le nausee scompariranno e se tutto andrà bene non dovrai più stare a riposo».

«Ehi» borbottai, voltandomi appena a fissarlo «come fai a sapere tutte queste cose sulla gravidanza?».

Ridacchiò, continuando a massaggiare con delicatezza. Era sereno, e anche se non gli ero mai di buona compagnia, passando la maggior parte del mio tempo a dormire e vomitare. Lui rimaneva sempre tranquillo, senza annoiarsi. «Ti ricordo che ho frequentato medicina. Due volte».

In un attimo mi venne in mente una cosa e feci una smorfia.

«Che c’è?» mi domandò curioso.

«Niente, niente» borbottai imbarazzata.

«Uh? Come niente? Sputa il rospo».

«Non è niente» protestai, arrossendo.

Sospirò, smettendo di massaggiarmi e lasciandomi un bacio sul collo. «Odio non poterti leggere i pensieri».

Rabbrividii, scrollandomelo di dosso. «Okay. Va bene. Hai mai assistito a un parto?».

«Sì» fece, sorpreso «più di uno in realtà» disse, facendo spallucce.

Mi nascosi il viso in fiamme fra le mani.

«Cosa?» domandò sorpreso.

Scossi il capo, super imbarazzata. «Non posso credere che tu abbia visto altre donne nude. Pensavo di essere l’unica».

Soppresse una risata in un colpo di tosse. «Ti giuro che era solo un puro interesse scientifico» ridacchiò.

«Oddio, ti prego, non prendermi il giro» feci, imbarazzandomi ancor di più.

Mi prese fra le braccia, impedendomi di sfuggirgli. «Ti adoro quando sei gelosa. E quando ti imbarazzi e quel tuo battito umido del cuore aumenta sempre più, ti fa diventare gli occhi più grandi, lucidi, e tutto il tuo bel sangue succulento ti colora il viso pallido» soffiò sulla mia pelle, baciandomi la guancia dov’era più rossa.

Il mio cuore batteva ancora veloce, ma non era imbarazzo. Deglutii. «Dovrei avere paura».

Fece un bel sorriso sghembo. «Dovevi averne prima di dirmi “” all’altare» ridacchiò, stemperando la tensione. Mi abbracciò.

«Edward» mormorai contro la sua maglietta «fa davvero così male come dicono, partorire?» domandai, facendolo scoppiare a ridere ancora.

Mi fece voltare e mise una mano sul mio ventre, e accarezzandolo con dolcezza. «Non sappiamo ancora tante cose. È un po’ presto per pensare a come sarà il parto».

«Sarà» borbottai, pensando al futuro pieno d’incognite. «Io ci penso».

«Sai» mormorò, iniziando a disegnare dei cerchi immaginari sulla mia pancia «questo piccolino mi fa ancora un po’ paura» confessò.

Riaprii gli occhi, chiusi per deliziarmi meglio delle sue carezze, «Hai paura delle visioni di Alice?».

Scrollò le spalle. «Non di quelle in particolare. È solo che sarebbe più facile se riuscisse a vedere che tutto andrà bene per entrambi» confessò, rivelando per un attimo il suo turbamento.

Gli carezzai i capelli. «Jasper ed Emmett hanno trovato tutte quelle leggende, e sembra davvero che ci sia una possibilità che tutto vada bene».

Fece una smorfia. «Vorrei avere qualcosa in più di una leggenda, Bella. Tu non capisci cosa provo» mi disse, guardandomi negli occhi. E vidi tutta la sua paura e la sua ansia.

Solo allora compresi. Sì, ci avevo pensato anch’io. Ma mentre per me sacrificarmi sarebbe stato scontato…

«Non posso scegliere fra lui e te» disse con immenso dolore, chiudendo le palpebre.

Mi sollevai dal suo corpo, girandomi e prendendo il suo viso fra le mani. «Non dovrai farlo, non ce ne sarà bisogno, vedrai. Andrà tutto per il meglio» dissi convinta «me lo sento, e so che anche per te è così, tutto andrà bene e voglio che ci creda anche tu, e che se non ci credessi vorrei che tu venissi a dirmelo, finché non ti convincerò, intesi?».

Lui aprì gli occhi, facendomi il suo sorriso sghembo. «La mia determinata moglie umana. Ti amo».

In risposta mi avvicinai alle sue labbra, baciandole con amore e dolcezza.

Mi portò in cucina, perché sapeva che non mi piaceva mangiare in camera, e amava anche distrarmi, farmi sentire tranquilla e a mio agio. Mangiai sul divano bianco ad angolo. Il mio medico di fiducia, nonché suocero, mi aveva detto che non dovevo davvero stare immobile e letto, che potevo alzarmi per piccoli spostamenti e stare seduta per mangiare. Ma ero così stanca che niente e nessuno mi avrebbe staccato da quel comodissimo divano.

Mangiavo dei crackers alle olive con su un formaggio spalmabile. Carlisle mi aveva consigliato - contro la nausea - di mangiare dei cibi secchi e salati.

«Come va la nausea?» mi chiese Edward spalmando dell’altro formaggio su un cracker.

«È sempre lì che dice “Bella, corri in bagno!”» dissi sarcastica, addentando il biscotto che mi aveva appena passato e annuendo al suo gesto che mi chiedeva se condirne un altro «mi chiedo quando passerà».

«Questo non si può sapere neppure in una gravidanza normale. Di solito passa dopo i primi tre mesi, quindi in teoria fra poco» disse passandomi l’ultimo cracker. «Ne vuoi ancora?».

«No, non sono sicura di riuscire a finire neppure questo» dissi, reprimendo un conato.

«Beh, non hai mangiato molto, era appena un pacchetto, ma non forzarti, non vorrei che fra un po’ mangiare si fosse rivelato inutile».

«Finisco solo questo» dissi, prendendo un altro morso «forse dovemmo… dovresti» mi corressi «andare a fare un po’ di spesa».

Lui ridacchiò. «Ci hanno pensato Alice e Rosalie».

Sorrisi. «Le hai perdonate?».

Mi fissò con aria sarcastica. «Per cosa? Per aver quasi fatto venire un infarto a mia moglie incinta con una minaccia d’aborto mentre non potevo neppure correrle dietro per impedirle di schiantarsi in auto perché troppo impegnato ad impedire che si ammazzassero?».

«Già, per questo».

«Ci sto lavorando».

«Edward» lo richiamai.

«Senti» si sollevò, raccattando il piatto pieno di briciole e il mio bicchiere «le ho perdonate, ma non posso dirglielo per ora, perché altrimenti starebbero di nuovo qui fra i piedi tutto il giorno, e io voglio stare da solo con mia moglie».

Sorrisi. «Sei il peggiore».

Si avvicinò a lasciarmi un piccolo bacio sulle labbra, prima di smaterializzarsi per sistemare la stanza. «Lo so».

Rimanemmo nel soggiorno per l’intera mattinata, e fortunatamente riuscii a non vomitare. Il pranzo lo mandai giù con maggior piacere, dato che, acquietata la nausea, era spuntato un buon appetito.

«Sai a cos’altro stavo pensando?» domandai casualmente.

«A cosa?» mi domandò, comparendo al mio fianco con un sorrisetto appena trattenuto. Sapeva che non era affatto una domanda casuale.

«Alla mia trasformazione».

«Beh, Alice aveva ragione sulla storia degli antidepressivi, ormai fai una dose molto bassa e la prossima settimana potremmo sospenderli. Possiamo trasformarti» mi prese in giro.

Gli diedi un colpetto sulla spalla. «Non prendermi in giro».

«Scusami» disse, prendendomi una mano fra le sue portandosela alle labbra. «Hai ragione, non è stato molto carino. Cosa volevi chiedermi in particolare?».

«Nove mesi sono tanti» mormorai, carezzandomi la pancia «e se il bambino desse troppi problemi… beh, potreste sempre trasformarmi. Avete ancora l’idea di farlo iniettando direttamente il veleno nel mio cuore?» domandai cautamente, e sentii la nausea ritornare.

Edward annuì, mortalmente serio. «Ne tengo sempre una siringa pronta per ogni evenienza».

Scossi il capo, con un sorriso teso. «Tu e Carlisle pensate sempre a tutto, eh? Beh, dovevo aspettarmi una misura del genere dopo la notizia della gravidanza».

«Non è stata un’idea di Carlisle» confessò «è stata una mia idea, e l’ho fatto mentre Jacob ti ha sequestrata. Non sapevo in che condizioni ti avrei trovata».

Presi un respiro. «Allora non hai mai cambiato idea».

«No» ribattè «ti ho dato la mia parola».

Annuii. «Allora c’è qualcos’altro che vorrei chiederti. Vorrei sfruttare questo prolungamento del mio periodo da umana per ricominciare a frequentare l’università».

Lui mi sorrise. «Ci tieni molto? Pensi di essere pronta a stare di nuovo in mezzo alla gente?».

«Sì. Credo di averne bisogno».

Scrollò le spalle. «Allora troveremo il modo, dopo che sarà passato questo periodo di riposo, ovviamente».

«Davvero?» chiesi sorpresa. Non mi sarei mai aspettata una reazione così mite.

«Certo» disse con dolcezza «non vedo come potrebbe andare peggio del mare di dubbi in cui ci troviamo. Navigheremo a vista e risolveremo i problemi che ci si presenteranno giorno dopo giorno».

«Grazie!» esclamai, gettandogli le braccia al collo. «Ohi» esclamai, staccandomi da lui dopo un attimo.

Staccò le mie braccia da lui e mi accarezzò la pancia. «Attenta».

Ma non era la pancia che mi doleva. Sorrisi timidamente, mettendo una mia mano sulla sua, e rabbrividendo. Era freddo… come la membrana che avvolgeva il bambino. Pensai al futuro. A quando lo avrei tenuto fra le braccia accanto a Edward. Sbadigliai inaspettatamente.

«Ti sei stancata?» chiese Edward, accarezzandomi i capelli.

«Sì» sussurrai, con le palpebre-semi chiuse. «Non so perché mi sento sempre così spossata».

Edward mi sistemò addosso il plaid che stava lì accanto, infagottandomici dentro. «Ti va di andare a riposare per un paio d’ore?».

Annuii, facendo per sollevarmi.

«Sta’ giù, ti porto io». Mi prese fra le braccia, facendo scontrare ancora il mio seno contro il suo petto. Gemetti dolorante. «Tutto bene?» mi chiese preoccupato. Annuii ancora, arrossendo. Decise di non indagare ulteriormente, e mi portò in camera, facendomi addormentare.

«Amore?».

«Mmm».

«Amore…».

«Mmm…».

«Sono passate quattro ore, se non ti svegli ora stanotte non dormirai» mi disse con dolcezza.

«Invece sì» borbottai «Te l’ho già detto che sono distrutta e stanchissima e spossata?!».

Lui ridacchiò. «Può darsi, ma c’è tuo padre qui che ti vuole vedere. Che ne dici?».

Spalancai gli occhi, sorpresa, scontrandomi con i suoi.

Incontrai il suo dolce viso apprensivo. «Solo se te la senti, non voglio che tu ti agititi per nulla. Lo faccio entrare?».

«È nel soggiorno?» chiesi in un sussurro.

Mi sorrise. «Sì, è di lì che aspetta. Lo posso far venire? Gli manchi molto».

«No» mormorai «vado io. Non voglio che creda che sia malata».

«Sicura?» fece Edward, inarcando un sopracciglio.

Annuii convinta. «Carlisle ha detto che posso alzarmi per un po’, no?».

Lui mi accarezzò una guancia, lievemente arrossata per lo sfregamento con il cuscino. «Lo sai che dopo che ti sei svegliata sei molto debole».

«Starò bene, mi siederò subito sul divano» sussurrai sicura.

Lui mi sorrise, passandomi la lunga e calda giacca da camera, coordinata al pigiama bianco e rosa che indossavo. Tenendomi un braccio intorno alla vita mi condusse fino al luminoso soggiorno.

Mio padre era in piedi, voltato di spalle. Si dondolava sui talloni, a disagio.

«Papà» sussurrai commossa, facendolo voltare verso di me.

«Bells!» esclamò, aprendo le braccia per accogliermi dopo la mia breve corsa. Era incredibile. Mi era mancato davvero tanto in quei giorni, tuttavia la costante presenza di tutti i membri della famiglia Cullen aveva mitigato un po’ la mia nostalgia. Ma per lui, solo, non doveva affatto essere stato così semplice.

Mio padre mi staccò da sé, solo per guardarmi. «Come stai Bells?» mi chiese, tentando di arginare la commozione.

Edward, che aveva lasciato una certa distanza fra noi, in modo da concedermi un momento con mio padre, mi venne accanto, sorreggendomi ancora.

«Sto bene papà» risposi con un sorriso sincero, stringendomi al petto di Edward. «Tu… tu come stai?».

«Oh, non preoccuparti per il tuo vecchio, io me la cavo!» rispose imbarazzato, scrutandomi con un’aria strana. Come se ancora non si fosse convinto della mia felicità.

«Sei riuscito a cucinare da solo?».

«Certo! Ti ricordo che mi sono auto-cucinato per ben 17 anni!».

«E ancora mi chiedo come tu abbia fatto!» dissi scoppiando a ridere insieme a Edward e Charlie.

Restammo a scherzare e parlare delle cose più futili, finché Edward non parlò. «Amore, forse sarebbe meglio se tu ti stendessi un po’» mi sussurrò dolcemente ad un orecchio.

Arrossii, annuendo, notando che anche mio padre aveva sentito le sue parole e si era irrigidito.

«Tutto bene?» mi chiese preoccupato.

«Sì papà» mormorai debolmente, facendomi guidare verso il divano da Edward, «vieni, accomodati» dissi, indicandogli la poltrona e stendendomi su divano. Edward reclinò lo schienale e mi sistemò il plaid addosso, mettendo un cuscino dietro la schiena e sedendosi accanto a me.

Arrossi quando notai che Charlie stavo osservando con attenzione ogni nostro movimento. Mi sentivo in imbarazzo, ma per me e Edward quei gesti erano diventati così abituali che quasi non ci facevano più caso.

«Bella, dimmi la verità, stai male?» mi chiese preoccupato.

Sorrisi debolmente e mi voltai verso Edward, in una muta richiesta di permesso. Non sapevamo ancora cosa avrebbe avuto di straordinario quella gravidanza, ma sapevamo che se qualcosa fosse andato storto mi avrebbero dovuto trasformare. Fino a quel momento… avevamo deciso di dire a mio padre che ero semplicemente incinta. Beh, non incinta di un vampiro. Edward annuì, così mi voltai verso mio padre e presi un grosso respiro. «Papà, non sto male. Ma… ci sono delle nuove notizie» feci, sorridendo a Edward, incerta, e intrecciando le mie mani nelle sue. Lui mi sorrise di rimando.

Voltando lo sguardo verso mio padre lo notai pensieroso e preoccupato. «Sono brutte?».

«No» mi bloccai «beh, ce n’è una bellissima e una un po’ meno, ma nulla di cui doversi seriamente preoccupare».

Mio padre mi fissava, in attesa della rivelazione.

Presi un respiro. Magari in altri tempi sarei stata preoccupata, ansiosa, per dover rivelare una cosa del genere a mio padre. Ma noi eravamo sposati, non avevamo fatto nulla di male, e inoltre l’esperienza vissuta mi aveva insegnato a vedere il mondo in una nuova ottica. Quindi in quel momento ero euforica. «Papà, io e Edward aspettiamo un bambino» spiegai contenta.

Vidi la bocca di mio padre aprirsi, e gli occhi brillare. «Oh Bella!» disse poi, abbracciandomi di slancio. Era strano che si lasciasse andare così. «Lo sapevo che c’era qualcosa di nuovo, lo sapevo» disse contento, staccandosi «sei così felice, radiosa, non speravo di poterti vedere così contenta ancora, dopo quello che… beh sai…» fece imbarazzato, alludendo al rapimento e al mio periodo di depressione «invece! Diventerò nonno! Congratulazioni ragazzo!» esclamò dando una pacca sulla spalla a Edward.

Ero contentissima per quella sua reazione, mi aspettavo il peggio, ma in cuor mio sapevo che tutto sarebbe andato per il meglio.

«Grazie Charlie» rispose Edward, sorridendogli.

Improvvisamente mio padre si fece serio. «Ma Bells, hai detto anche che c’è una brutta notizia?».

Sospirai. «Non ti preoccupare papà, siediti» dissi indicandogli la poltrona dove era precedentemente seduto.

«È qualcosa che riguarda la gravidanza?» chiese allarmato, sedendosi.

Feci un sorriso tirato. Non sapevo come spiegargli. Rivolsi uno sguardo implorante a Edward.

Lui mi sorrise, rassicurante, poi si voltò verso mio padre. «Vedi Charlie, ci sono stati alcuni problemi all’inizio della gravidanza, e abbiamo rischiato di perdere il bambino» spiegò con serietà, calma e fermezza. «Ma ora sta tutto andando per il meglio, supereremo questo problema, e non ci sarà alcun rischio per il piccolo. L’importante è che Bella non si agiti e che stia a riposo, e non correrà alcun pericolo, né lei, né il bambino» concluse con dolcezza, accarezzandomi il ventre.

«Ma adesso sta bene? E tu?» chiese allarmato.

Sorrisi. «Sì. Sì papà, sta bene» mormorai emozionata.

Vidi il suo sguardo saettare dalla mano di Edward, sul mio ventre, alla mia faccia. «P-posso?» balbettò, indicando la pancia.

Guardai Edward, che annuii. Probabilmente con il pigiama, la vestaglia, e il plaid, il freddo della placenta non sarebbe stato percepibile. Così mi voltai verso mio padre e diedi il mio assenso.

Timoroso avvicinò, tremante, la sua mano e con delicatezza la posò sul ventre, per poi sorridere, estatico. «È bellissimo» disse infine. «Congratulazioni».

Andò via poco dopo, con lo stesso sorriso stampato in faccia. Ero davvero contenta della sua felicità.

«Ciao Bells, mi raccomando, dillo a mamma» disse abbracciandomi stretta.

Feci una smorfia di dolore, senza farmi vedere da lui. Mi faceva male il seno. Mi staccai, sorridendo forzatamente. «Certo, glielo dirò quanto prima» lo salutai, prima che Edward lo accompagnasse alla porta d’ingresso.

Mi sarei sicuramente addormentata se non fosse tornato in meno di cinque minuti. «Bella, dovresti mangiare».

«Sì» farfugliai sbadigliando.

Dopo cena Edward mi riportò in camera. Non riuscivo neppure a stare in piedi per quanto mi sentivo stanca. Ero letteralmente esausta, per i miei canoni letargici quella era stata una giornata molto stancante.

Ad un tratto Edward s’irrigidì. «Il telefono» spiegò ad un mio sguardo incuriosito. «Torno subito», disse, scomparendo nel soggiorno. Aveva spostato il telefono perché non mi disturbasse.

Mi accoccolai in posizione fetale. Mi sentivo molto stanca, ma non era abbastanza per dormire. Da quando avevo avuto la notizia del bambino, nonostante avessi ridotto gli antidepressivi, non avevo più molto spesso incubi, ma, nonostante mi sentissi molto stanca, e nonostante una volta assopita sognavo per lunghe ore, addormentarmi rimaneva un problema, e dato che i sonniferi erano out… Ci pensava Edward.

Mi girai dall’altro lato, mugugnando. Non riuscivo a stare in nessuna posizione per quanto mi doleva il seno. Mi imbarazzava tantissimo, per questo non l’avevo ancora detto a lui.

Intravidi la mia immagine nello specchio. Notai con fastidio che i miei capelli erano pieni di nodi, così erano stati legati in due trecce basse da Rosalie. Avevo bisogno di uno shampoo. Un bagno.

Edward tornò in camera. «Erano Alice e Rose» m’informò «allora, dormiamo?».

Feci un piccolo sorriso. «Vorrei lavarmi» mormorai imbarazzata.

Sollevò le sopracciglia. «Pensi che sia una buona idea? Non ti reggi in piedi. Non sono sicuro che tu ce la faccia».

Abbassai il viso, arrossendo. «Speravo di poter avere un po’ d’aiuto» borbottai imbarazzata.

Lui mi sorrise. «Va bene. Alice e Rose volevano venire, ma pensavo tu volessi dormire. Non c’è problema, le richiamo, saranno qui in men che non si dica» disse voltandosi.

«Edward!» esclamai, prima che sparisse.

Lui si voltò verso di me. «Sì?».

Abbassai lo sguardo, arrossendo ancora e mordicchiandomi il labbro. «Ecco… io… vorrei… sempre che tu voglia… ecco… sì…».

Sentii una mano ghiacciata lenire il calore che m’imporporava una guancia e sussultai, sollevando lo sguardo su Edward. «Amore. Prendi un respiro» mi ordinò con un sorriso.

Sospirai. «Se-se vuoi… puoi farlo tu. Il bagno. Aiutarmi a farlo. Solo se vuoi» cincischiai.

Lui mi sorrise. «Davvero?».

Annuii. «Vuoi?».

«Solo quello che vuoi tu» mi disse dolcemente.

Annuii ancora, consentendogli di aiutarmi ad alzarmi dal letto. «Grazie». Nonostante fosse rimasto con me durante la visita, e nonostante ci fossero state altre brevi occasioni, Edward non mi aveva mai forzata, e aveva continuato a riservarmi una certa privacy.

Riempì la vasca di acqua calda e schiumosa, poi uscì dalla stanza e mi lasciò spogliare e immergermi in quel tepore. Rientrò dopo un po’, si sollevò le maniche della camicia fino ai gomiti, poi prese una spugnetta e cominciò, con gesti lenti e delicati, a passarla sul mio corpo. Non c’era alcuna malizia, era come un restauratore che riporta alla luce una statua antica, con perizia ed estrema leggerezza. Ogni tanto mi lasciava un bacio. In fronte, sul naso, e le sue mani erano un toccasana per il mio corpo, come quando mi massaggiava la schiena.

«Vuoi uscire?» mi chiese dopo un po’ sorridendomi.

Annuii.

Prese un asciugamano bianco e morbido e me lo porse, senza guardarmi. Mi alzai in piedi e mi lasciai avvolgere. Mentre mi asciugava i capelli notai una cosa. Faceva di tutto per non guardarmi, era sempre contenuto nei gesti, stava attento a non toccarmi in maniera impropria. Non mi ero mai fermata a pensare quali conseguenze potesse aver avuto il mio rapimento su di lui. Ripensai a quello che era successo in camera sua, le mie urla, la paura per i suoi gesti e per le sue mani. Per un attimo mi sentii rifiutata, poi di diedi della sciocca. No, era solo terrorizzato all’idea di farmi del male, fisicamente o psicologicamente.

Si sedette sul bordo del letto, con me, ancora avvolta nell’asciugamano, fra le braccia.

Mi accarezzò i capelli, ancora leggermente umidi. «Vado a prendere dei vestiti puliti».

Misi una mano sulla sua guancia, bloccando i suoi gesti. «Aspetta, Edward» mormorai piano.

Mi fissò incuriosito.

«Edward» deglutii «guardami… p-perché non mi guardi?».

Si accigliò. «Ti sto guardando».

«No» sussurrai, scoprendo il mio corpo dall’asciugamano e rimanendo nuda fra le sue braccia. «Guardami, ora».

Lui emise un fremito, poi sollevò lo sguardo verso il vuoto.

Automaticamente strinsi i pugni contro la stoffa della sua camicia. Ed ecco il senso di rifiuto tornare prepotentemente. «Non mi vuoi più?» chiesi, deglutendo per scacciare via il magone che dolorosamente mi chiudeva la gola.

Si voltò di scatto. «No, Bella, no, come puoi dire questo?!» ansimò, per poi voltarsi a fissare nuovamente il vuoto. «Io… non posso» disse, afflitto.

«Perché non puoi?» chiesi addolorata.

«Io» chiuse gli occhi, stringendo i pugni «ti voglio» disse infine, con le palpebre ancora serrate «troppo».

Una lacrima scese dai miei occhi, mentre mi stringevo con forza al suo petto. «Ti prego Edward, dimmelo. Dimmi che sono solo tua, dimmi che mi vuoi, dimmi che sono sempre stata solo tua, sempre. Perché… anche la pioggia, sai» singhiozzai «anche la pioggia tocca il mio corpo, e scivola via, non lascia traccia… non… non lascia nessuna traccia. L’unico a lasciare una traccia sei stato tu Edward… sono tua, sono solo tua e lo sono sempre stata…».

Lui aprì gli occhi, ma non rispose, pur guardandomi con amore.

Tremate mi asciugai gli occhi, poi presi una sua mano e la posai sopra il mio fianco. «Ti prego… toccami. Amami…».

La sua mano, tremula, delicata, rimase per un po’ ferma a sfiorare il mio fianco.

Immobile.

Quando pensai che non si sarebbe più mossa, prese vita, e con estrema delicatezza salì sul mio volto, sfiorando le mie palpebre chiuse, il naso, le labbra; delicata come le ali si una farfalla. Poi scese sul collo, con dolcezza, accarezzando e sfiorando, le braccia, le mani, le dita, baciando i polpastrelli. Proseguì dalla caviglia, accarezzando i piedi, i polpacci, le ginocchia, disegnando fantasie strane e immaginarie, sempre con la stessa delicatezza, lo stesso amore. Salì fino alla pancia, baciandola e accarezzandola come con un velo di seta e poi… intorno i seni, tracciandone delicatamente il profilo, e giù, sulla schiena, su tutto il corpo.

Mi fissò cautamente, quasi spaventato di potermi aver fatto del male con quelle lievi carezze. «Non ho mai smesso di desiderarti, ma…».

«Lo so» mormorai piano, asciugandomi le lacrime agli angoli degli occhi «non so come faremo, ma ti prometto che impareremo di nuovo ad amarci in tutti i modi possibili. Voglio farlo».

Annuì, guardandomi con intensa serietà.

Scossi il capo, sentendo i miei occhi riempirsi nuovamente di lacrime. «Ti amo così tanto» biascicai.

«Lo so. Ti amo anch’io». Mi prese fra le braccia, stringendomi al suo petto.

Sibilai, dolorante.

Chinò il capo di lato, osservandomi. «Che c’è?».

Sbuffai, sospirando fra i denti. «Mi fa male il seno» confessai infine, rossa fino alla radice dei capelli.

Lui sorrise, sornione. «Mi chiedevo quando me l’avresti detto» ammise con divertimento.

Lo fissai, sbigottita. «Tu lo sapevi!» lo accusai.

Lui rise. «E tu non me l’hai detto!» esclamò continuando a ridere.

M’imbronciai, incrociando, in un gesto istintivo, le braccia al petto. «Ahia» mi lamentai.

Smise di ridere. «Ti fa molto male?» mi domandò, con solo una punta di divertimento nella voce.

«Sì» sussurrai, querula «è una tortura».

Lui mi sorrise dolcemente. «Non ti preoccupare, è normale. È» fece una pausa, pensieroso «la prolattina. Sai, credo che questa interesserà molto a Carlisle. Se il tuo seno si sta preparando per  produrre latte, forse, vuol dire che al bambino piacerà il latte, oppure potrebbe essere una normale risposta del tuo organismo a…» s’interruppe, smettendo di pensare a voce alta. Mi sorrise. «Aspetta qui» mi disse alzandosi e facendomi sedere sul copriletto.

Tornò in un battibaleno con il mio intimo, un pigiama pulito, e una scatolina rettangolare.

Infilai gli slip, ma quando stavo per mettere il reggiseno mi bloccò. «Aspetta» disse, facendomi stendere sul letto e sedendosi accanto a me.

Prese la scatolina rettangolare e tirò fuori un tubetto di crema. «Per le smagliature» mi spiegò con un sorriso «Alice aveva visto che ce ne sarebbe stato bisogno». Ne mise un po’ sulla pancia, massaggiando delicatamente e poi ne mise un po’ sul seno.

«Ahi» mi lamentai quando cominciò a sfregare.

«Scusa» disse lui, rendendo i suoi gesti ancor più delicati.

Ma a ma faceva male lo stesso. Feci una smorfia, mordicchiandomi il labbro. «Ahiiii» pigolai.

«Forse sarebbe meglio se tu facessi un controllo» disse Edward «magari Rosalie…».

«Beh, se sei stato il medico di tutte quelle donne nude non vedo perché non tua moglie» borbottai piena d’imbarazzo.

Tentò seriamente in ogni modo di contenere il suo divertimento. «Saranno state tre o quattro» ridacchiò. «Come desideri, mia gelosa moglie» disse allegro, scuotendo il capo. «Dimmi quando ti fa più male» fece cominciando a tastarmi con delicatezza.

Perché adoravo tanto quelle mani, che si muovevano con assoluta professionalità e senza un briciolo di malizia?! «Ahi… ahi… ahi… ahi…» dissi ad ogni suo tocco.

Rise. «Ma ho detto quando ti fa più male!».

Feci un sorriso malizioso. «Se te lo dico poi tu continui a controllare?» chiesi, arrossendo.

Lui scoppiò in una fragorosa risata, che finì in un appassionato bacio sulle mie labbra. «Quanto tempo vuoi!» esclamò infine.

   
 
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