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Autore: Puffardella    27/07/2023    1 recensioni
Eilish è una principessa caledone dal temperamento selvatico e ribelle, con la spiccata capacità di ascoltare l’ancestrale voce della foresta della sua amata terra.
Chrigel è un guerriero forte e indomito. Unico figlio del re dei Germani, ha due sole aspirazioni: la caccia e la guerra.
Lucio è un giovane e ambizioso legionario in istanza nella Britannia del nord, al confine con la Caledonia. Ama il potere sopra ogni altra cosa ed è intenzionato a tutto pur di raggiungerlo.
I loro destini si incroceranno in un crescendo di situazioni che li spingerà verso l’inevitabile, cambiandoli per sempre.
E non solo loro...
Genere: Guerra, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Antichità greco/romana
Capitoli:
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Caro lettore, siamo finalmente giunti alla fine di questo lungo viaggio. Se sei arrivato fino a qui vuol dire che questo racconto ti è piaciuto, nonostante la lunghezza, i refusi, i difetti, le contraddizioni, le ripetizioni e tutte le varie imperfezioni che lo caratterizzano. Ci lavoro da circa otto anni e non smetto mai di farlo. Ogni tanto lo riprendo, lo correggo, tolgo, aggiungo, modifico, ma ogni volta mi sembra che non sia mai abbastanza, che avrei potuto fare di meglio.
Eppure tu, caro lettore, sei comunque arrivato fino alla fine e già solo di questo io ti sono infinitamente grata. Ma, devo ammetterlo, conoscere la tua opinione sarebbe per me davvero importante al fine di migliorare il racconto.
Quale personaggio hai amato di più? Quale di meno? Che cosa del racconto non ti ha convinto? Quale episodio hai trovato più emozionante, quale più irritante? Cosa avresti cambiato e come? Ora che sei arrivato alla parola "fine", ti mancherà? Tante domande alle quali forse non ti va di rispondere per timidezza, o per mancanza di tempo.
In conclusione: conoscere la tua opinione sarebbe per me un dono davvero molto gradito, una ricompensa per tutto il duro lavoro svolto in questi anni, perché il romanzo è, come dicevo, imperfetto, e di questo fatto sono dolorosamente consapevole, ma è anche frutto di tanto lavoro, una mole inquantificabile di lavoro, soprattutto di ricerca.
Ciononostante, in ogni caso, grazie di essere arrivato fin qui. Grazie davvero di cuore.
Un caro saluto.
Puffa.
       





ADRIAN
La sala sul retro della taverna era, come sempre, affollatissima. Adrian stava agitando i dadi dentro la turricola. Ci stava mettendo più del necessario, per innervosire ulteriormente il suo avversario e, in generale, la gente che stava loro intorno.
Stava perdendo, ma per lui quello non era un problema. Non giocava mai per soldi, ma per la scazzottata che di solito riusciva a scatenare dopo ogni partita. Così, per fomentare gli animi, mentre agitava i dadi nel cilindro di legno, riempiva di improperi tutti i presenti, accusandoli di avergli portato sfortuna.
Poi passò ad insultare il suo avversario. Mentre era lì che gli offendeva in maniera volgare la madre e tutte le sorelle, l’ombra di una figura singolare passò di fianco al suo tavolo. Da buon soldato qual era, abituato a cogliere ogni minimo particolare anche in mezzo al finimondo, Adrian riuscì a intravedere l’uomo tra la masnada urlante di gente. Aveva barba e capelli insolitamente lunghi e si muoveva con un’andatura rozza, simile a quella di un orso ferito: con le spalle curve e il passo pesante.
Adrian sentì le viscere rivoltarglisi nella pancia quando realizzò chi fosse.
Kayden andò a sistemarsi in un angolo buio della sala, forse in attesa che finisse di giocare.
Adrian smise di fare chiasso e imprecò a denti stretti. Tutta l’euforia provata solo un istante prima era svanita, sostituita da un cieco sentimento di rabbia che lo faceva fremere intimamente.
Desideroso ormai solo di concludere in fretta quella partita per affrontare il fratello, sbatté il cilindro sul tavolo, scoprì i dadi e, senza nemmeno controllarli, dichiarò al suo avversario che poteva ritenersi vincitore.
Quello rise sguaiatamente e iniziò a raccogliere tutte le monete della puntata che erano sul tavolo, mentre la folla intorno a loro urlava, chi esultando per aver vinto le scommesse contro di lui, chi infuriato per averle perse. Uno di questi ultimi gli sbarrò la strada e, con fare minaccioso, gli disse che aveva perso tutto a causa sua.
«Se non ti piace perdere allora non scommettere» lo ammonì glaciale Adrian, cercando di scansarlo. Quello, però, non glielo permise. Gli ostruì il passaggio e lo colpì sul mento con un pugno. Gli uomini di Adrian si mossero tempestivamente in sua difesa. Lui, però, li richiamò all’ordine. Sputò un grosso grumo di sangue e saliva ai piedi del suo aggressore e, massaggiandosi la mascella, gli disse, con voce bassa e torva: «Non voglio rogne, coglione. Non oggi. Perciò togliti dai piedi.»
Quello guardò prima lui, poi gli uomini che si erano sistemati alle sue spalle, infine decise saggiamente che era meglio ritirarsi prima di perdere qualcos’altro oltre ai soldi.
Adrian fece un cenno con la testa ai suoi uomini e quelli si incamminarono verso la porta. Mentre anche il resto degli astanti scemava lentamente verso l’uscita, raggiunse il fratello, sedette di fronte a lui e lo guardò in cagnesco.
Non era molto cambiato in quegli ultimi sei anni. Era rimasto lo stesso sporco e cencioso druido che ricordava.
«Avevamo un accordo, tu ed io» esordì duramente.
«Non ho usato i miei poteri per sapere dove ti trovavi. La tua fama ti precede ovunque, Adrian.»
«L’accordo prevedeva che tu ed io non ci incontrassimo più, druido. Ti credevo morto. Non era quello che volevi?»
Kayden non rispose e Adrian scosse la testa, stizzito e rassegnato.
«Che cosa vuoi?» gli chiese.
«Ti porto un messaggio da parte di Kaleva. Vuole sapere quando suo fratello si degnerà di andare a trovarlo.»
«Fratellastro, non fratello. Oltretutto da parte di madre...» contestò Adrian in tono sprezzante, ma poi si vergognò delle sue stesse parole, abbassò la testa scuotendola e chiese, in tono più condiscendente: «Lui come sta? Ho sentito dire che alla fine l’ha sposata, la sua principessa. Ha due o tre figlie femmine, se non sbaglio…»
Era stato Willigis a dirglielo. Andava a trovare il vecchio bastardo del suo ex capo in Grecia, dove aveva scelto di stabilirsi, ogni volta che poteva. Lui e Lidia, che ogni volta che lo vedeva si commuoveva fino alle lacrime per via della sua somiglianza col nipote, sembravano finalmente aver trovato quella serenità di cui avevano sentito il bisogno per tutta la vita.
Non si fermava mai troppo da loro, giusto il tempo di fare il pieno di notizie che giungevano dalla Grande Isola.
«Ha una figlia femmina» precisò Kayden. «La primogenita è morta dopo pochi mesi di vita. Si è spenta nel sonno. L’ultima è nata morta prima del termine.»
«Mi dispiace…» sospirò sinceramente contrito Adrian.
«La regina è di nuovo incinta e stavolta gli partorirà un figlio maschio» aggiunse Kayden.
Adrian iniziò a tamburellare nervosamente sul tavolo con le dita. Ogni volta che il fratello faceva sfoggio dei suoi poteri, sentiva le viscere contorcerglisi dal fastidio.
«Di’ a Kaleva che non ho mai smesso di ritenerlo il mio re, e che prima o poi andrò a salutarlo.»
Stava per rimettersi in piedi quando Kayden lo fermò.
«Non sono qui solo per riferirti un messaggio di Kaleva. In realtà sono venuto a portarti questo» disse, mostrandogli un bracciale di cuoio. Sopra c’era scritto il nome del figlio. Adrian guardò il bracciale a lungo, poi di nuovo il druido.
«Lo ha fatto Aidan per te. Porta sempre al polso quello che tu regalasti a Enya e che provvedesti a fargli avere tramite Fionn. È tutto consumato e ci ha dovuto mettere delle aggiunte per poterselo allacciare, ma dice che è l’unico modo che ha per sentirvi vicini, sia tu che la madre…»
«Sta’ zitto, Kayden» ringhiò tra i denti Adrian, che cominciava a perdere il controllo delle sue emozioni.
«Spera che, se lo metterai al polso, anche tu ti ricorderai di avere un figlio…»
«Zitto, ho detto!» gridò Adrian alzandosi in piedi e rovesciando la sedia sul pavimento. Si passò le dita di entrambe le mani tra i capelli, poi le intrecciò dietro la nuca. Si prese del tempo per darsi una calmata, dopodiché proseguì, con la voce incrinata dall’indignazione e dal dolore: «Come ti permetti di venire qui a parlarmi di mio figlio!»
«Qualcuno doveva pur farlo, Adrian. Tuo figlio ha bisogno di te. Non capisce perché lo hai abbandonato, ogni giorno che passa si fa sempre più irrequieto. La rabbia che sente dentro lo sopraffarà, prima o poi.»
«E a te che cosa te ne importa?»
«Sai che è così. Mi importa, di tutti e due.»
«Ah, adesso ti importa. Ma dov’eri tu quando avevo più bisogno di te? Dimmelo!»
«Adrian, se potessi riportarti tua moglie in vita, io…»
Adrian iniziò a ridacchiare e a scuotere la testa, disgustato dall’ottusità del fratello.
«Tu non hai mai capito niente, Kayden... Credi che io sia arrabbiato con te per via di Enya? Credi che ti ritenga responsabile della sua morte? Non è così, bastardo di un druido! Enya sarebbe morta in ogni caso, anche se tu me ne avessi parlato prima. Non avremmo comunque potuto farci niente, nessuno dei due. Quello che mi aspettavo da te, “fratello”, era che tu mi sostenessi nel dolore. Avevo bisogno di sapere che potevo contare su di te anche in quella circostanza, invece hai preferito tenermi all’oscuro di tutto e farmi affrontare il lutto da solo. La verità, Kayden, è che tu eri cambiato prima della morte di mia moglie. Del fratello che amavo, che piangeva insieme a me per la perdita di nostra madre o per quella di Ailisa, che non si vergognava di mostrarmi i suoi sentimenti e le sue debolezze e si faceva carico delle mie afflizioni, non è rimasto niente, ed è questo che mi fa arrabbiare! Quel fratello mi manca fottutamente, darei qualsiasi cosa pur di riaverlo indietro!»
«Non puoi» ammise amaramente Kayden.
«E allora vattene! Vattene, druido, e non azzardarti mai più a venire a farmi la morale su come dovrei comportarmi con mio figlio! Non ne hai nessun diritto!»
Adrian tacque. Dalla sala adiacente proveniva il brusio delle persone sedute ai tavoli e il profumo di carne arrostita e pane appena sfornato. Qualcuno disse ad alta voce qualcosa di osceno in un latino ibrido, risultato delle diverse etnie insediatesi a Roma dopo il disfacimento dell’impero, facendo scoppiare l’ilarità generale.
«Kaleva e Aidan non sono le uniche persone che hanno bisogno di te, Adrian. Anche io ho bisogno di te» confessò dopo un po’ Kayden.
Adrian lo guardò allibito. «Mi prendi per il culo?»
Kayden scosse la testa. «Tu hai ragione, io non sono più quello di una volta. Non potrebbe essere diversamente. Hai menzionato nostra madre e quanto fu grande il dolore che provammo nel perderla. Eppure, quel dolore, col tempo è andato sfumando. Ne conserviamo il ricordo, ma non la stessa intensità. Ora, prova a immaginare cosa accadrebbe se tu avessi la capacità di percepire il dolore degli altri, se fossi costretto a provarlo in perpetuo, giorno dopo giorno, ora dopo ora. Riusciresti a sopportarlo? Ci riusciresti, Adrian? No, credimi se ti dico che ne rimarresti schiacciato e a lungo andare impazziresti, o moriresti. L’unica alternativa sarebbe imparare a controllare i sentimenti, a soffocare le emozioni. È quello che ho dovuto fare io. Ci sono voluti anni perché ci riuscissi, e alla fine ho imparato così bene da non essere più in grado di provare niente. Niente, capisci? Dolore, rabbia, odio, compassione, non provo più niente per la stragrande maggioranza delle persone. L’unico in grado di farmi ancora provare dei sentimenti, sei tu. Sei l’ultimo piccolo brandello di umanità rimasta in me, Adrian, fratello… Ecco perché ho bisogno di te, più che di chiunque altro.»
Kayden aveva parlato con la solita espressione imperturbabile sul volto, ma con un tono di voce meno impersonale. Eppure non fu quello a sorprendere Adrian, piuttosto le lacrime che, ad un certo punto, avevano iniziato a bagnargli gli occhi. Piangeva e sembrava che nemmeno se ne rendesse conto.
Adrian non replicò nulla, rimase a fissarlo con la fronte corrugata e le labbra schiuse, disorientato. Kayden si accorse della sua perplessità. Si portò una mano sulla guancia, si bagnò le dita con le lacrime e le osservò brevemente, ma senza mostrare alcuna emozione, come se si trattasse delle lacrime di qualcun altro.
«Questo sono diventato, Adrian» disse mettendosi in piedi. «È tutto ciò che rimane del Kayden che amavi ed è tutto ciò che puoi avere. Vorrei tanto ti bastasse, ma se anche così non fosse lo capirei. A ogni modo non sono qui per questo. Il bracciale di tuo figlio, mettilo. Stabilirà un legame tra voi due. E chissà che, un domani, tu non trovi il coraggio di affrontare i tuoi demoni e ti decida a tornare da lui. Se lo farai, sarai un passo più vicino da Kaleva. E forse, dopo, anche da me.»
A quel punto si mosse lentamente verso la porta. Adrian si sentiva frastornato e combattuto. Una parte di lui continuava a detestarlo con tutte le sue forze, l’altra desiderava corrergli incontro, tenerlo stretto tra le braccia, scuoterlo fino a farlo riprendere dal torpore in cui, evidentemente, era scivolato per poter sopravvivere.
Prima che fosse uscito dalla stanza lo chiamò. Quando Kayden si fu voltato nuovamente verso di lui, gli disse: «Hai detto che Kaleva avrà presto un maschio.»
«È così» rispose sicuro di sé il druido.
«Cercherò di esserci per la Cerimonia del Nome. È tutto quello che mi sento di dirti in questo momento.»
Kayden annuì e ad Adrian parve di vedere che i tratti del suo viso si distendessero in qualcosa di simile a un sorriso.
«È già qualcosa» disse Kayden.

KALEVA
La sera ottobrina profumava di foglie secche e funghi. Il cielo era terso, privo di luna ma incredibilmente stellato.
Nel silenzio riverente che era sceso su tutta la valle, il pianto del piccolo risuonava con forza. Kaleva lo guardava dimenarsi sopra la lastra di pietra vicino al braciere sul quale aveva messo a scaldare il ferro con cui, di lì a poco, avrebbe impresso nella sua carne il Mannaz, come suo padre aveva fatto con lui quasi trent’anni prima.
Quel piccolo uscito dai suoi lombi era destinato ad amministrare tutte le genti del Nord, non più solo Germani e Caledoni, ma anche Norreni e perfino Britanni. Kaleva si chiedeva se sarebbe stato in grado di fare di suo figlio un uomo di tempra, giusto e coraggioso, qualità necessarie ad assolvere al meglio quella immane responsabilità che presto o tardi avrebbe ereditato.
Si augurava di sì.
Il cuore gli batteva all’impazzata mentre prelevava il ferro rovente dalle braci e si avvicinava al piccolo, tenuto nascosto agli occhi di tutti i presenti dal cerchio di Adelingi in ginocchio sul terreno umido.
A suo padre, la runa era stata marchiata sul polso, lui l’aveva sul petto. Per il figlio aveva scelto la spalla destra. Gli incrociò le manine sulla pancia e fece quanto doveva fare. La pelle del piccolo, che prese a singhiozzare ancora più forte, sfrigolò al contatto con il ferro rovente, ma tutto durò appena un attimo. Dopo la cerimonia, Kaleva urlò agli Adelingi di rimettersi in piedi, avvolse finalmente suo figlio in un telo candido e lo portò alla madre. Ma, prima di pronunciare le ultime parole di rito e poter ritenere conclusa la cerimonia, bisognava presentare il piccolo a tutta la comunità.
Kaleva sollevò suo figlio in alto sopra la testa e, con voce possente, dichiarò: «Hartalah!»
Tutti i presenti diedero il benvenuto al piccolo principe, ripetendo in maniere gioiosa il suo nome.
Kaleva approfittò di quel momento per farsi una veloce panoramica di tutti gli astanti. Il cugino Eirikr, il Nuove Re dei Norreni, era ovviamente in prima fila insieme a Wolfgang, a sua sorella Kyla e al piccolo Rantgar, che continuava ad amare come un figlio suo. Alle loro spalle c’erano Bjorn e il branco dei lupi. Tra la folla scorse anche Fionn. E, in disparte come sempre, Kayden.
Nonostante la lontananza, Kaleva ebbe la netta sensazione che il druido stesse sorridendo. Kaleva ne rimase piacevolmente stupito, ma subito distolse lo sguardo, impaziente di verificare se, tra tutti quei volti, fosse presente anche quello che più sperava di vedere. E poi, quando aveva cominciato a perdere le speranze, un istante prima che l’Adelingo che presiedeva il gruppo di guerrieri germanici ordinasse a tutti di prostrarsi di fronte al loro futuro re, individuò Adrian ai margini della massa di gente. Teneva amorevolmente una mano sulla spalla esile di un ragazzino dai capelli scuri e lo sguardo serio e concentrato.
Si scambiarono un lungo sguardo colmo d’affetto e Kaleva si sentì riempire di uno straripante sentimento di gioia.
Si voltò di nuovo in cerca del druido - il quale era sicuro fosse l’artefice di quel miracolo - per ringraziarlo, e non si sorprese di constatare che non era più al suo posto.
Non aveva importanza. Dovunque fosse in quel momento, sapeva che avrebbe ascoltato i suoi pensieri.
«Grazie» pronunciò quindi a voce bassa, mentre tutti i presenti si prostravano dinanzi al figlio: il futuro Re della Terra dei Fiordi.


FINE
   
 
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