Mi svegliai male, con tutti dei dolori alla schiena e un bruttissimo presentimento.
I dolori alla schiena erano facilmente provocati dalle ginocchia di Kay che si era addormentata da me e non si era più schiodata da lì mettendosi a piangere come un’isterica svegliando tutti.
Il presentimento… quello poteva essere solo riferito ad Elisabeth. Non mi sarei mai perdonato se le fosse successo qualcosa di male, mai.
Mi alzai seduto stiracchiandomi e appoggiai le mani alle ginocchia, chiudendo gli occhi e respirando profondamente.
Elisabeth…
Guardai Kay muoversi al mio fianco e mi accorsi che il suo viso non era sereno come sempre, pure nel sonno era triste, come se le mancasse qualcosa, e tutti sapevamo che cosa le mancasse in quel momento. Io per primo perché mancava pure a me.
Andai di sopra e scoprii che la camera da letto di Elisabeth era vuota. Con un groppo in gola proseguii, sperando di vederla sorridente e impegnata in cucina, ma non la trovai nemmeno lì.
Era già l’alba e di lei nessuna traccia. E il bello era che non potevo fare assolutamente niente se non aspettare qualche sua notizia o la sua miracolosa comparsa di nuovo tra noi.
Mi misi seduto al tavolo e poco dopo vidi Bill che mi fissava alla porta, lo sguardo triste.
«Non è ancora tornata, vero?»
Scossi la testa, afflitto. Lei mi aveva promesso che sarebbe tornata, ma come avrebbe mai potuto se… Non volevo nemmeno pensare a quella possibilità fin troppo ampia, sia per me che per Kay. Quella bambina aveva già perso il padre, non poteva perdere anche lei a causa di quell’ignobile di Rua.
«Tom…»
«Uhm?»
«Tra te e lei c’è stato qualcosa, non è così?»
«Non era così difficile intuirlo.»
«E… con Kay?»
«Che cosa intendi dire?»
«Sei davvero sicuro di volerti prendere la responsabilità di quella bambina? Se non sei convinto… non illuderla.»
«Perché tutti mi dicono che illudo le persone? Io le promesse che faccio le mantengo. Sempre.»
«Su questo non ne dubito, però tu… padre?», sorrise.
«Sì, non ci avevo mai pensato. E nemmeno di diventarlo in questo modo e durante questa stupida guerra. Fino a poco tempo fa vivevo principalmente per salvarmi la pelle, ora vivo per adempire a delle promesse che ho fatto: vivo per delle persone.»
Bill mi sorrise e dietro di lui comparve Kay, ma non sapevo se lui se ne fosse accorto.
«Kay…», mormorai.
«Dov’è la mia mamma?», chiese dura, arrabbiata.
Come se la colpa fosse mia, in fondo. E un po’ lo era, perché invece di tentare di salvarla stavo lì con le mani in mano.
«Io… io non lo so, Kay…»
«Voglio la mia mamma», la sua voce iniziava a tremare, ma di piangere non ne aveva nessuna intenzione. Non era più una bambina, lei.
«Anche io la voglio, Kay. Tutti la vogliamo.»
«La salveremo, vero?»
Era sicura che fosse ancora viva, perlomeno. E nei suoi occhi brillava lo stesso suo ardore, la stessa voglia di combattere per le persone che amava.
«Sì, ma… come?»
In quel momento il mio sguardo cadde di nuovo sul ciondolo che aveva legato al collo. Una chiave. E non sembrava una chiave giocattolo, sembrava una chiave vera ed era anche abbastanza vecchia.
Che fosse quella la chiave per salvare Elisabeth?
Non
aveva dormito molto quella notte, come avrebbe potuto? Aveva continuato
a pensare a sua figlia, a Tom, ai suoi amici, guardando il soffitto
buio su cui si creavano delle ombre grazie alla luce tremolante di una
lampada ad olio delle guardie appostate non molto lontano da lei.
Le
sentiva ridere, bere, giocare a carte… e lei era
lì, in silenzio, a pensare a come potessero stare tutte le
persone che stava facendo preoccupare. Avrebbe voluto dirgli che stava
bene, ma non avrebbe promesso di tornare, non nella situazione in cui
si trovava.
Alle
prime luci dell’alba sentì un brivido.
Tom…
Che
la stesse pensando? Possibile che riuscisse a percepire quando
accadeva, come se fossero legati da un filo invisibile e profondo, lo
stesso che l’aveva legata a Charles molti anni prima?
Trovò
assurda quella possibilità, perciò si disse che
era solo il freddo di quella notte scura che le si era insidiato nelle
ossa.
Sentì
dei rumori, dei tacchi sul pavimento di pietra e le guardie si alzarono
in piedi e fecero un inchino. Sospettava già chi fosse
venuto a farle visita, ma sperò proprio di no fino
all’ultimo; piuttosto che vederlo si sarebbe lasciata marcire
in quella cella per il resto dei suoi giorni.
Lo
vide, ancora nella sua vestaglia rossa, il suo sguardo accattivante e
il suo sorriso maligno così diverso da quello dolce di
Charles. Ancora non riusciva a capacitarsi di come loro due un tempo
potessero essere stati cugini.
«Elisabeth,
passata una bella nottata?»
«Molto
meglio qui dentro che con te sicuramente.»
«Mi
fa piacere. Senti, ho pensato molto a come punirti, ma… come
potrei punire la moglie del mio caro cugino defunto?»
«Mi
fai schifo», ruggì alzandosi e avvicinandosi alle
sbarre.
«Dai,
non dire così che non lo pensi. Comunque pensavo che tu
potresti diventare mia moglie.»
«Te
lo puoi anche scordare!»
«Preferisci
davvero morire e lasciare la tua carinissima Kay piuttosto che
sposarmi?», chiese offeso, ma divertito.
«Certo!»
«Beh,
sta di fatto che la mia non era una richiesta, ma un ordine. Tu
diventerai mia moglie, come avrebbe dovuto essere da sempre.»
«E
con questo cosa vorresti dire?»
«Che
ero geloso marcio di Charles anche perché aveva te, la donna
di cui mi sono innamorato.»
Si
girò di spalle a lei, stordita, e ordinò alle
guardie di liberarla e di portarla nella stanza più lussuosa
fra quelle degli ospiti della sua villa, e sorvegliarla fino al suo
ritorno: doveva organizzare il matrimonio che si sarebbe svolto la
mattina seguente.
«Kay, Kay dimmi a cosa serve quella chiave», la scossi per le braccia ansioso, la bambina mi guardò senza sapere che fare o che dire.
«Io non lo so, non me lo ricordo.»
«Sì che lo sai, invece. Kay, dimmelo, è per il bene di tua mamma!»
La bambina sobbalzò, si liberò dalla mia stretta e si rannicchiò sul divano, la testa fra le ginocchia.
«Kay… probabilmente ti avranno detto di non dirlo a nessuno, ma… la tua mamma è in pericolo, e noi dobbiamo salvarla, ti ricordi?»
Kay annuì, strinse la chiave nella mano e poi si levò la collana dal collo, la fece penzolare di fronte al mio viso e intanto la guardava, parlando.
«Me l’ha data papà prima di non tornare, anche se mamma non era d’accordo, diceva che correvo troppi pericoli se ce l’avevo addosso, ma papà ha voluto così… Io non so a cosa serve, ma mi hanno sempre detto di non dirlo a nessuno e di non togliermela mai, di proteggerla.»
«Ti puoi fidare di noi, Kay», le sorrisi. Kay ricambiò e la lasciò cadere nella mia mano, per poi mettermi le braccia al collo in un abbraccio.
«Ti voglio tanto bene, signor Tom.»
Sorrisi e le massaggiai la schiena, stringendola al mio petto.
«Anch’io piccola, tanto. Ma ora dobbiamo cercare ciò che si apre con questa chiave.»
Kay mi seguì a svegliare gli altri, ma non fecimo in tempo a vederli giù dal letto che qualcuno bussò furiosamente alla porta di sopra.
Il cuore mi accelerò, sentivo il pericolo nell’aria, ma costrinsi i ragazzi a stare nel bunker mentre io andavo a vedere.
Salii le scale lentamente, il battito del mio cuore che mi rimbombava nella testa, il sangue congelato nelle vene, la mente piena di mille pensieri sconnessi e… il corpo attraversato da brividi di paura. Mai come ora avevo paura di morire, avevo fatto troppe promesse e dovevo mantenerle.
Sbirciai dalla tenda e vidi Dimitri, il bambino che ci portava i viveri ogni tanto, rubandoli dalla bancarella al mercato di suo padre.
Aprii la porta con cautela e lasciai che fu lui da solo ad entrare, per non farmi vedere all’esterno.
Quando mi vide appiattito alla parete, il sudore sulle tempie, mi salutò con un gesto della mano nervoso e chiuse la porta. Sembrava triste, ma allo stesso tempo arrabbiato e desideroso di vendetta.
«Cos’è successo?», gli chiesi.
«Mia madre è morta.»
«Mi… mi dispiace… come’è successo?»
«L’hanno uccisa, ha fatto la spia con voi e…»
«Mi dispiace davvero tanto, Dimitri… io…»
«Non importa. Sono venuto qui per dirvi di Elisabeth.»
Il mio cuore rimbalzò nel petto e iniziai di nuovo a sentirmi nervoso ed agitato, desideroso di sapere ma anche impaurito per quello che avrebbe potuto dirmi.
«Dimmi…»
«C’è una notizia buona e una cattiva.»
«Qual è quella buona?»
«Elisabeth è viva e sta bene.»
«Oh, menomale», sospirai sollevato, sentendomi poi in colpa per quel povero bambino che aveva appena perso la madre, ma come potevo aiutarlo io? Certi dolori erano impossibili da guarire, soprattutto in un cuore così piccolo. «E quella cattiva qual è?»
«Quella cattiva è che è stata arrestata e ora Rua vuole sposarla, domani mattina.»
«No! Se lo può anche scordare!»
«Cosa avrebbe potuto fare? Ha dovuto accettare per forza, sa di voi per colpa di mia madre e l’ha minacciata di uccidervi tutti se non l’avesse sposato.»
«Merda! No, no, no!», gridai prendendomi la testa fra le mani.
«Che cos’è successo?», chiese Bill, apparso in cucina dopo essersi accertato che fosse tutto tranquillo. Con lui c’erano Kay, fra le sue braccia, Gustav e Georg.
«Un’enorme, maledettissimo, casino.»
***
Ringrazio subito, visto che non sono di molte parole perchè ho un mal di testa che mi uccide XD
_samy: Sì, davvero davvero male. Riusciranno a salvarla? Mah, chi può dirlo XD Ciao bacio.
layla the punkprincess: Maledetto davvero, tutto sta venendo a galla. Vedremo cosa succederà alla povera Elisabeth, chissà se riusciranno a salvarla. Ciao, alla prossima!
Utopy: Io sono crudele?! E' Rua, non io!! La mamma di Dimitri l'ha fatto solo per disperazione, poverina... Boh, vedremo che succederà ora!! ^___^
Alla prossima, vostra
_Pulse_