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Autore: Demy77    30/07/2023    3 recensioni
Per questa nuova long a tema Poldark ho deciso di farmi ispirare da un’altra delle mie grandi passioni televisive: la telenovela messicana Cuore Selvaggio, andata in onda in Italia nei primi anni ’90.
La trama in sintesi: Francis Poldark è tra i più ricchi giovani scapoli della Cornovaglia. L’ambizioso padre Charles pianifica il suo matrimonio con la contessina Elizabeth Chynoweth, la cui famiglia, pur di nobili origini, è caduta in disgrazia dopo la morte del capofamiglia Jonathan.
Con Elizabeth, bellissima ma capricciosa e volubile, vive Demelza, sua sorella adottiva, una trovatella che è stata cresciuta dai Chynoweth per volontà del defunto padre di Elizabeth; la ragazza è segretamente innamorata di Francis.
Il cugino di Francis, Ross, diseredato dalla famiglia molti anni prima, ritorna in Cornovaglia dopo aver combattuto nella guerra di indipendenza americana. Conduce una vita sregolata, dedicandosi ad affari poco leciti, trattando con disprezzo le classi sociali più abbienti.
Le strade dei quattro giovani si incroceranno, dando vita a passioni, intrighi, malintesi e ad una inaspettata e travolgente storia d’amore…
Genere: Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Demelza Carne, Elizabeth Chynoweth, Francis Poldark, Ross Poldark
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Il temporale era scoppiato all’improvviso. I due pescatori avevano fatto appena in tempo a trascinare la barca in secca, recuperare le reti con il bottino della giornata e ripararsi in un anfratto tra le rocce. Da lì, con i capelli grondanti d’acqua, intirizziti per il vento sferzante, con la serenità di chi si sente scampato ad una minaccia imminente, osservavano la burrasca che squassava le coste della baia di Falmouth.
Ad un tratto uno dei due esclamò: “Si starà ballando, a bordo del Lucifero!”, puntando con il mento in direzione di un’imbarcazione che era ormeggiata poco più al largo, un battello di medie dimensioni la cui polena riproduceva l’immagine ferina di un demonio dal volto affilato e barbuto.
L’altro rise. La barca beccheggiava pericolosamente tra la spuma, sollevandosi ed inabissandosi ritmicamente, sballottata dai flutti e dal vento. “Tanto, quello lì, non lo ammazza nemmeno la buriana!” – commentò con un certo fastidio, sputando in terra un sigaro smozzicato. Il proprietario dell’imbarcazione non doveva essergli, evidentemente, molto simpatico.
Il primo che aveva parlato convenne con il suo compagno: quell’uomo, il padrone della barca, era un tipo parecchio strano, selvaggio, solitario e fiero; talmente freddo e brutale che il nome che aveva scelto per il suo vascello gli si addiceva proprio! Era arrivato da un paio di mesi sulle coste corniche, a bordo di quella nave dal nome curioso; si vociferava che fosse originario di quelle parti, ma nessuno lo conosceva; pareva avesse combattuto in America, ed infatti in battaglia aveva rimediato una cicatrice a sinistra del volto, poco più in basso dell’occhio, che correva lungo la guancia e gli conferiva un aspetto tetro.  Doveva avere circa trent’anni, era scuro di capelli, di poche parole e stava sempre da solo, eccezion fatta per gli uomini della sua ciurma, che era composta da un pirata scalcagnato di mezza età, da due fratelli, uno smilzo e l’altro più robusto, e da un giovane mozzo che poteva avere 14 o 15 anni. Quella barca – con cui certamente si dedicava al contrabbando, si dissero i due, benché le autorità non lo avessero ancora pizzicato – era anche la sua casa; ci mangiava, ci dormiva, non se ne allontanava mai, se non per concludere qualche affare al porto. Le uniche volte che lo avevano visto in paese era stato al Red Lion, ad imbottirsi di gin. Non si era mai ubriacato, però, al punto da non riuscire a reggersi in piedi; spesso, anzi, lo si era visto salire al piano di sopra, ove si trovavano gli alloggi, per intrattenersi piacevolmente con qualche cameriera. I due pescatori, con malcelato disprezzo, commentarono che alle donne non interessa che un uomo non spiccichi una parola, purché sappia fare altro… e non c’erano dubbi che quell’uomo, nonostante lo sfregio sul viso, fosse uno che alle donne piaceva molto. L’aria di mistero che lo circondava certamente contribuiva al suo fascino. Quale cognome avesse, per esempio, non lo sapeva nessuno. L’unica cosa certa era che si chiamava Ross. La gente del posto aveva preso a chiamarlo “il Capitano”, scimmiottando quelli del suo equipaggio, che si rivolgevano a lui con questo appellativo: non si sa se per il grado militare acquisito in guerra o perché era colui che a bordo del Lucifero dettava legge.
I due tacquero, continuando ad osservare il bastimento sballottato fra le onde, e mentre il vento e la pioggia lo sferzavano impietosamente restarono in silenzio, quasi in segno di rispetto. Al di là di tutto, non si poteva negare che quel Ross avesse un fegato fuori dal comune.
§§§
Nella elegante dimora appartenente da secoli alla famiglia Poldark, Trenwith, il vecchio Charles osservava la pioggia battente sui vetri con le mani conserte dietro la schiena. Era pensieroso, il gentiluomo, quella mattina. Non erano certo gli affari a tenerlo sulle spine: quelli non avrebbero potuto andare meglio. Da generazioni attivi nel settore minerario, i Poldark possedevano diversi giacimenti e davano lavoro alla maggior parte dei minatori della zona. Mentre costoro riuscivano appena a sopravvivere, con salari da fame, il padrone si era arricchito notevolmente negli anni, complice anche l’incapacità della concorrenza ed un paio di congiunture favorevoli: Charles aveva ereditato tutti i beni di famiglia quando il fratello minore, Joshua, aveva disonorato la famiglia fuggendo con una donna di malaffare di origini irlandesi, ed era stato per questo motivo diseredato dal padre; Charles aveva avuto un unico figlio, Francis, e ciò consentiva di mantenere integro quel cospicuo patrimonio.
La principale preoccupazione di Charles era data appunto da quest’unico figlio. Francis era un giovane di circa 25 anni, biondo, delicato, timido. Sebbene Charles lo avesse affiancato a sé negli affari fin dalla giovane età, insegnandogli tutto ciò che sapeva, Francis era un sognatore, un idealista, e spesso si mostrava sprovveduto, incapace di alzare la voce con i sottoposti e di farsi rispettare. L’unico aspetto positivo del suo carattere era che adorava il mondo delle miniere, conosceva a perfezione la tipologia delle rocce e dei metalli e non aveva timore di inoltrarsi anche negli strati più profondi del sottosuolo, quando vi era la speranza di reperire un nuovo filone, insieme a suoi operai.
Era giunto ormai il tempo che il ragazzo prendesse in mano le redini dell’attività di famiglia, prendendo le decisioni come si addice ad un vero capo; con la supervisione del padre, certo, ma assumendosi le responsabilità delle sue scelte. Charles si crucciava perché non era stato capace di allevare il ragazzo come avrebbe voluto; a sua discolpa, però, bisognava considerare che il fanciullo era rimasto orfano di madre ad appena due anni ed era sempre stato molto cagionevole di salute. Per tali motivi il padre non se l’era mai sentita di usare troppa fermezza con lui. Nonostante tutto, Francis era un figlio che aveva dato sempre grandi soddisfazioni: aveva avuto buoni risultati negli studi, dimostrando ai suoi precettori attitudine alla riflessione e all’approfondimento. Quelle doti erano certamente utili quando si dovevano studiare nuove tecniche di scavo, stare al passo con il progresso dei tempi, verificare scrupolosamente i conti. Quello in cui ciò difettava Francis era il polso, la capacità di comandare, ma in fin dei conti era una questione di indole, sulla quale si poteva intervenire fino ad un certo punto.
Charles aveva sempre guidato e consigliato il figlio, ma sapeva di non essere destinato a vita eterna. Era necessario che il figlio trovasse una compagna di vita forte, matura, capace di valorizzare anche i suoi punti deboli. Non vi erano, in zona, molte candidate rispondenti ai requisiti che l’ambizioso gentiluomo si prefiggeva di trovare nella sua futura nuora. Qualcuna era troppo vecchia; qualcun’altra troppo giovane; altre non gli sembravano caratterialmente adatte; altre ancora non avevano il lignaggio opportuno.
Alla fine, la sua scelta si orientò verso Elizabeth Chynoweth. Era una delle ragazze più belle della contea, aveva nobili origini ed un titolo di contessa da trasmettere ai propri figli. Era una ragazza elegante, garbata, ma anche di intelligenza viva e spigliata. L’unico aspetto negativo era che i Chynoweth erano poveri in canna ed Elizabeth, probabilmente, non aveva neppure una ghinea da portare in dote. Questo, però, non costituiva un problema: i Poldark avevano denaro in abbondanza, ed un titolo nobiliare aveva di per sé un valore non trascurabile. La signora Chynoweth, anche dopo la vedovanza, aveva continuato a frequentare gli ambienti che contano ed era anche grazie alle buone relazioni intessute che era riuscita a gestire con decoro le scarse risorse che il marito le aveva lasciato in eredità. Grazie al legame con quella famiglia importante Francis avrebbe potuto consolidare il suo ruolo in società e, perché no, avventurarsi anche in politica, oppure accedere a cariche amministrative e giudiziarie. Chi veniva dal commercio infatti, seppure dotato di potere economico, veniva sempre guardato con una certa diffidenza dagli ambienti più tradizionalisti; meno che mai un semplice proprietario di miniere poteva ambire ad essere ricevuto a Corte!
Invitare la signora Chynoweth a Trenwith per discutere della faccenda uno dei giorni a venire era la cosa migliore da fare, si disse Charles mentre osservava le chiome degli alberi del giardino pericolosamente agitate da quel temporale scoppiato all’improvviso.
Era normale che i matrimoni nelle famiglie di un certo rango fossero organizzati dai genitori dei nubendi; per quanto fosse un genitore piuttosto autoritario, Charles Poldark non era talmente privo di senno da porre il figlio dinanzi al fatto compiuto; decise pertanto di anticipare a Francis l’oggetto delle sue riflessioni.
“Chiamatemi mio figlio, Spencer” – intimò Charles al maggiordomo, dopo averlo convocato con un trillo di campanello.
Quando il padre gli comunicò il nome della fanciulla cui aveva pensato come moglie, Francis sgranò gli occhi e balbettò: “E…E…Elizabeth Chynoweth? Si sposerà con me?”
“Devo ancora discuterne con sua madre, ma che diamine, non penso che si azzardi a rifiutare la proposta! Non esiste partito migliore di te in tutta la Cornovaglia, figliolo!”
Il giovane riccioluto continuava a fissare il padre con poca convinzione, restio a farsi contagiare dal suo entusiasmo. Quando il padre, spazientito, gli domandò la ragione della sua titubanza, Francis spiegò che Elizabeth era certamente una ragazza gradevole e dalla raffinata educazione, ma che di fatto loro due non si conoscevano. Si erano incontrati soltanto in occasione di qualche ricevimento ed avevano scambiato poco più di qualche parola. Lui era un ragazzo molto timido, invece Elizabeth era spigliata, amava conversare e ad ogni festa era sempre al centro dell’attenzione, circondata da un nugolo di giovani corteggiatori. Francis dubitava, dunque, di essere il tipo di uomo che potesse piacerle.
“In realtà, ho sempre trovato più gradevole discorrere con sua sorella Demelza…”- accennò timidamente Francis.
“Sciocchezze!” – esclamò il padre , rammentando a Francis che quella ragazza non era la sorella di Elizabeth, ma soltanto un’orfana, generosamente accolta in casa dal conte Chynoweth. Molti anni prima, in occasione di un viaggio a Londra, il padre di Elizabeth si era imbattuto in questa bambina gracile e sporca, poco più piccola di sua figlia, che chiedeva l’elemosina. Impietosito, l’uomo l’aveva portata a casa come compagna di giochi per Elizabeth. Superando la durezza della moglie - che non faceva che rinfacciargli che si erano messi in casa una stracciona che costituiva solo una bocca in più da sfamare - Jonathan aveva preteso che Elizabeth e Demelza fossero cresciute ricevendo la stessa educazione e godendo delle stesse possibilità. Nonostante gli sforzi del capo famiglia, Demelza agli occhi del mondo non era mai stata considerata alla pari dell’unica figlia legittima: la vera Chynoweth, colei che doveva tramandare i fasti dell’illustre cognome, era la contessina Elizabeth. Demelza veniva considerata solo un’ospite in casa Chynoweth, una sorta di dama di compagnia, una compagna di giochi e di avventure per Elizabeth che non doveva mai farle ombra.
Demelza non era di una bellezza appariscente come quella di Elizabeth, ma aveva una sua grazia e gentilezza nei modi che la rendeva apprezzata da tutti. Sapeva bene che senza la generosità del signor Jonathan sarebbe morta o vissuta in povertà, senza cibo, istruzione, un tetto sulla testa. Per questo, non si doleva di quel suo ruolo comprimario, sempre un passo dietro Elizabeth, e non provava nei suoi confronti né invidia né gelosia. Elizabeth, dal canto suo, tollerava Demelza proprio perché non le sottraeva nulla, anzi la assecondava in tutto e per tutto e a volte la proteggeva anche da qualche ramanzina dei genitori; in cuor suo la considerava una ragazza scialba e poco interessante, ma dopo tanti anni era una presenza nella sua vita cui si era abituata e persino, a modo suo, affezionata.
Charles fece osservare al figlio che la signora Chynoweth non avrebbe mai consentito che Demelza si sposasse prima di Elizabeth.  Correva anzi voce che Demelza avesse avuto vita facile finché il conte Jonathan era rimasto in vita, ma dopo la sua morte la contessa l’aveva relegata in una posizione ancora più marginale in famiglia, impartendole degli ordini quasi come fosse una governante. Non era certo la sposa adatta a suo figlio, sebbene educata come si conviene ad una Chynoweth.
“Non dicevo di volerla sposare, padre… so bene chi è e da dove proviene. Volevo solo dire che ha un carattere molto affabile, mi è sempre stato più facile parlare con lei che con la sorella… ad esempio al ballo dei Linton abbiamo discusso parecchio, perché a nessuno dei due piace ballare, e così…”
Charles lo interruppe e sentenziò che per la buona riuscita di un matrimonio non era necessario che gli sposi avessero un carattere simile; anzi, le diversità erano un fattore fondamentale, perché ognuno dei membri della coppia, reciprocamente, arricchisse l’altro e traesse dall’altro ciò che gli difettava. Inoltre, il figlio non doveva farsi scoraggiare dal fatto che Elizabeth fosse una ragazza molto corteggiata; sua madre non avrebbe mai dato il consenso a che sposasse uno spiantato, e non vi era nessuno nella contea tanto ricco da poter sposare una donna priva di dote.
Alla fine, anche Francis si convinse dei vantaggi di quell’unione e cominciò ad accarezzare l’idea di un matrimonio con l’avvenente contessina dai lunghi capelli castani….
§§§
“Sono stufa di questa pioggia! Stufa!” – sbottò Elizabeth sbattendo i piedi per terra con stizza, lo sguardo rivolto ai balconi offuscati dal temporale. “Avevo voglia di andare a cavalcare sulla spiaggia questa mattina” – aggiunse in tono più pacato, rivolgendosi alla sorella adottiva che era intenta a cucire in poltrona.
“Abbi pazienza, ci andrai domani,– commentò, accondiscendente, Demelza – piuttosto, dimmi su quale abito vuoi che ti applichi questi pizzi che ci ha regalato Miss Hatkinson: su quello viola o su quello rosso?”
Elizabeth lanciò uno sguardo distratto ai due vestiti. “Cosa vuoi che me ne importi, decidi tu – rispose con malagrazia – in ogni caso si tratterà di abiti vecchi rimaneggiati! Possibile che dobbiamo andare alle feste in queste condizioni? Che non abbiamo mai diritto ad un abito nuovo, ad un cappellino, a delle calze di seta? La gente se ne accorgerà che sono abiti fuori moda, già indossati più volte, nonostante tutti i tuoi sforzi di abbellirli con merletti e trine! Come farò a trovare un marito, se a tutti i balli cui partecipo assomiglio ad una pezzente?”
Demelza la fissò con uno sguardo di leggero rimprovero.
“Se non troverai marito, non sarà a causa dell’abito, ma della tua cocciutaggine e del tuo brutto carattere! Sai bene di tutti gli sforzi che fa nostra madre per assicurarci una vita dignitosa. Questi abiti non hanno nulla che non va, e con qualche piccola modifica saranno ancora più graziosi. A te, poi, sta bene tutto, e certamente non sfigurerai…“
Il complimento addolcì la ragazza bruna, che tra i vari difetti aveva quello di essere estremamente vanitosa.
“Mi piacerebbe molto avere del denaro per comprare tutto quello che voglio: vestiti, gioielli, profumi…ma, senza dote, il mio destino sarà quello di restare zitella, oppure sposare un vecchio vedovo brutto e grasso…. come sir Hugh Bodrugan!”- si lamentò Elizabeth.
Demelza ridacchiò. Sir Hugh era davvero brutto e grasso, ed in più aveva la nomea di allungare un po’ troppo le mani sulle fanciulle. Cercò di consolare la sorella: anche se fino a quel momento non si erano fatti avanti dei pretendenti, non era detta l’ultima parola: le cose potevano cambiare, non doveva perdere la speranza. La signora Chynoweth aveva molte amicizie anche a Londra, ed una ragazza bella come Elizabeth avrebbe certamente trovato un marito giovane e degno di lei.
Dopo aver fantasticato sulla possibilità di trasferirsi a Londra grazie ad un buon matrimonio, Elizabeth aveva ritrovato un po’ di buonumore. Concordò con la sorella le modifiche da apportare all’abito rosso, scegliendolo tra i due che Demelza le aveva proposto; poi si allontanò per leggere un libro in biblioteca.
Demelza, rimasta da sola, sospirò. Se Elizabeth era angosciata all’idea di rimanere zitella, lei aveva la certezza che quella sarebbe stata la sua sorte. La signora Chynoweth, alla morte del marito, era stata ben chiara: se fosse riuscita a mettere qualche risparmio da parte, lo avrebbe destinato alla dote di Elizabeth. Aveva rimarcato che Demelza era stata accolta in quella casa e doveva essere grata per aver avuto una vita serena, per essere stata nutrita, vestita, istruita, per aver imparato a leggere, fare di conto, suonare il pianoforte, cavalcare: tutte attività che le sarebbero state precluse se il conte non l’avesse strappata alla miseria in cui si trovava. Di più, però, non poteva chiedere: senza dote e senza prospettive, il suo destino era il convento, oppure un lavoro da istitutrice, a servizio in casa d’altri.
Per questo motivo, fin da quando era piccola, la signora Chynoweth aveva insistito affinché Demelza imparasse a cucinare, a cucire, a svolgere delle attività manuali, anche di giardinaggio. A casa Chynoweth vi era solo una cameriera, Ginny, e per il resto sopperiva a tutto Demelza. Probabilmente, una volta sposata Elizabeth, il destino di Demelza sarebbe stato quello di rimanere a fare assistenza alla signora Chynoweth nella sua vecchiaia, oppure avrebbe allevato i figli della sorella. In alternativa, avrebbe dovuto cercare un impiego come bambinaia oppure come sarta, perché amava molto cucire; ma lontano da Truro, perché sarebbe stato disdicevole che una Chynoweth, sebbene non tale per nascita, lavorasse per mantenersi!
Eppure anche Demelza, come ogni fanciulla della sua età, aveva dei sogni. Le sarebbe piaciuto innamorarsi, incontrare il principe azzurro delle fiabe descritto nei libri della sua infanzia. Nessuno lo sapeva, non si era confidata neppure con Elizabeth, ma da qualche tempo c’era qualcuno che le aveva fatto battere il cuore: Francis Poldark. Si erano incontrati una sera ad un ballo ed avevano trascorso molto tempo insieme, perché a nessuno dei due piaceva ballare. Si erano dunque appartati in un salottino ed avevano avuto una conversazione molto piacevole. Entrambi erano piuttosto timidi e riservati, ma si erano sentiti subito in sintonia. Avevano scoperto di avere delle passioni in comune, la poesia ad esempio, e la musica: Demelza suonava il pianoforte ed amava cantare, mentre Francis aveva studiato violino da ragazzo ed ancora adesso, ogni tanto, si cimentava con qualche brano.
Demelza era stata conquistata dallo sguardo limpido di Francis. Spesso, la notte prima di addormentarsi, ripensava a quegli occhi azzurri e si sentiva battere forte il cuore. Le sarebbe piaciuto rivederlo e parlare ancora con lui, ma la signora Chynoweth non era solita ricevere persone in casa, tranne qualche amica molto fidata o qualche parente, date le note difficoltà economiche. Demelza non osava neppure andarlo a cercare dalle parti delle miniere: che scusa avrebbe potuto trovare? Sarebbe stato inappropriato per una ragazza fare il primo passo, ed inoltre, a che pro? Sapeva bene che si trattava solo di un sogno impossibile, perché non avrebbe mai potuto sposare Francis. Eppure, quel sogno ad occhi aperti era una delle poche cose che la teneva viva…
§§§
Il giorno successivo il sole era tornato a splendere sulla Cornovaglia. La spiaggia recava ancora le tracce della bufera del giorno precedente: rottami di legno, pezzi di metalli arrugginiti, cumuli di alghe trascinati sulla sabbia dai flutti impetuosi. Elizabeth, in sella al suo destriero bianco, percorreva la spiaggia di Hendrawna. I tiepidi raggi dorati, insieme allo sforzo della cavalcata, avevano impresso sul suo viso un bel colore rosato, che faceva risaltare ancora di più i suoi occhi verdi dalle ciglia ricurve. Dopo una bella galoppata la fanciulla teneva ora il passo, godendosi la passeggiata ed il tepore primaverile.
Ad un tratto, poco lontano dalla riva, la ragazza intravide dei marinai che movimentavano casse tra un’imbarcazione e la riva. Avvicinandosi, notò una nave che non aveva mai visto prima. Sulla fiancata sinistra campeggiava una scritta in rosso “Lucifero”, e dalla parte anteriore della prua si protendeva verso il mare una specie di scultura scura, probabilmente di metallo, che raffigurava un mostro barbuto. Pareva a tutti gli effetti una nave pirata; all’uomo con il codino grigio che dirigeva le operazioni sembravano mancare solo un uncino ed una benda sull’occhio, pensò Elizabeth.
Ad un tratto, una voce perentoria, ma al tempo stesso calda e profonda, provenne dal ponte della nave: “Peter! Datti da fare con quelle funi!” – e dopo un po’ si vide un ragazzino magro, agile come una scimmia, issarsi sull’albero maestro e srotolare le vele ad una ad una.
Elizabeth, incuriosita, scrutò in direzione della parte superiore della nave. Fu allora che vide un giovane dai capelli scuri come la pece, di media lunghezza, sciolti, che stava a torso nudo al centro del ponte ed impartiva ordini agli altri che erano di sotto. Non era certo la prima volta che Elizabeth vedeva un uomo a torace scoperto, ma quel giovane dalla posa statuaria aveva in sé qualcosa di magnetico e selvaggio: i capelli sciolti ed ondulati, contrariamente alla moda del tempo che prevedeva per gli uomini di tenere i capelli lunghi legati con un nastro; la spavalderia con cui esibiva quei pettorali al vento, benché non fosse una giornata eccessivamente calda; il coltello infilato nella fusciacca alla vita, come se attendesse da un momento all’altro di doversi cimentare in un duello corpo a corpo.
Mentre Elizabeth lo guardava ammaliata, il giovane marinaio voltò lo sguardo verso di lei, notandola a sua volta. Un sorrisetto malizioso e compiaciuto si dipinse sul suo volto. Elizabeth distolse lo sguardo, imbarazzata, proseguendo comunque la marcia in direzione del Lucifero; cambiare direzione all’improvviso, infatti, avrebbe attirato ancora di più l’attenzione. Intanto, anche gli altri uomini della ciurma scrutarono la graziosa contessina a cavallo; quello più anziano, quello che somigliava ad un pirata, le fece addirittura una riverenza togliendosi il berretto e scoprendo in un sorriso un paio di denti cariati.  Elizabeth rispose timidamente a quel saluto con un cenno del capo. Sentì poi la voce del giovane capitano che diceva: “Mentre voi terminate di caricare, io vado a farmi un bagno!”, frase cui seguì, dopo poco, l’inequivocabile rumore di un tuffo.
Elizabeth si voltò e vide il giovane bruno che dava delle vigorose bracciate nella stessa direzione che lei stava percorrendo a cavallo. Guardando di sottecchi si accorse che l’uomo si dirigeva verso la riva ed emergeva dalle onde, giusto nel momento in cui lei sopraggiungeva a cavallo, tanto da non poter evitare di trovarsi l’uno di fronte all’altra.
“Buongiorno - la salutò Ross, che nel frattempo, notò Elizabeth, non indossava più il pantalone scuro con la fusciacca ed il coltello, ma soltanto un pantalone di tessuto leggero chiaro, che doveva costituire il suo abbigliamento intimo – è raro vedere qualcuno che non sia un pescatore da queste parti… soprattutto una cavallerizza affascinante come voi…”
Elizabeth, sebbene a disagio nel trovarsi davanti un uomo seminudo che le si rivolgeva con tanta sfrontatezza, mostrò di saper gestire la situazione: in fondo, era sempre stata una maestra nel civettare e farsi desiderare dagli uomini, senza concedersi troppo.
“Voi, invece, dovete essere un gran maleducato per presentarvi in questa maniera ad una dama!”
Ross rise.
“Dovete perdonarmi, signorina: come vedete, non ho né l’abito né i modi di un cavaliere. Questo non vuol dire, però, che non conosca anche io la buona creanza. Mi presento: sono il capitano del Lucifero, la nave che avete visto ormeggiata poco più in là. Sono arrivato circa tre mesi fa dal Nuovo Mondo; mi occupo di commercio tra le coste della Cornovaglia ed il nord della Francia. Mi chiamo Ross…e voi, qual è il vostro nome?”
“Elizabeth Chynoweth” – replicò lei con sussiego, stendendogli una mano da baciare, che egli prontamente afferrò appoggiandovi lievemente le labbra, fissandola negli occhi con uno sguardo talmente intenso e sensuale che Elizabeth si sentì improvvisamente avvampare. Fu allora che notò lo sfregio sul viso di Ross, ed assunse un’espressione sconcertata.
“Elizabeth: un nome antico, regale…- commentò lui –  non lasciatevi spaventare dal mio aspetto, miss Elizabeth: posso sembrare un poco di buono, con questa cicatrice in viso, ma in realtà essa è una testimonianza del mio coraggio. Me la sono procurata grazie ad una baionetta nemica in America, ho rischiato quasi di perdere l’occhio… ed il nostro generoso re mi ha ricompensato con un titolo da Capitano! In guerra ho messo da parte il denaro sufficiente per comperare una barca, e così, dopo la disfatta delle nostre truppe, mi sono dato da fare. Avevo sempre sognato di stabilirmi in questa regione dell’Inghilterra, riveste un fascino particolare per me! E voi? Abitate da queste parti? Posso sperare di rivedervi?”
“Chi può dirlo… - insinuò lei, civettuola – ma, se voi viaggiate per commercio, come dite, potrebbe essere difficile rincontrarci…”
Ross rispose che sarebbe partito di lì a poco per una consegna da effettuare in zona e che sarebbe tornato già in serata. Solo dopo qualche giorno sarebbe poi ripartito per la Francia. Le chiese se era mai stata su una barca: c’erano delle calette pittoresche poco distanti che si potevano ammirare solo dal largo e disse che gli avrebbe fatto piacere mostrargliele.
Elizabeth rispose che il mare le piaceva molto, ma che le incuteva anche un certo timore, quando era agitato.
“Con me non dovrete temere nulla – disse Ross – e poi non preoccupatevi: dopo la furia degli elementi cui abbiamo assistito ieri, ci attendono dei giorni di bonaccia”.
Elizabeth lo salutò con fredda cortesia, con il pretesto di dover rientrare presto a casa dove la attendevano, e non promise nulla; in cuor suo, però, decise che sarebbe tornata presto su quella spiaggia. Non sapeva dire il perché, ma quel Ross aveva qualcosa di irresistibile. Era come una fiammella accesa intorno alla quale le sue ali da farfalla vorticavano impazzite, incuranti del pericolo di bruciarsi.
  
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