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Autore: Menade Danzante    31/07/2023    0 recensioni
[Established Relationship | Post-Apoca-nope | Post-"Una settimana e un giorno" | Può essere letta anche senza conoscere le altre storie della serie.]
«Tata Ashtoreth?»
Crowley guardò gli occhi chiari del giovanotto oltre l'inferriata e sorrise.
«Warlock.»
Il ragazzo quasi non fece in tempo ad aprire il cancello quel tanto che bastava perché vi passasse attraverso che già le sue braccia si erano avvinghiate al busto della tata in un abbraccio scomposto e sbilanciato che Crowley fece del suo meglio per riuscire a ricambiare.
«Sei tornata! Sei tornata davvero a salutarmi!»

[Questa storia partecipa alla ToBeWritingChallenge2023 di BellaLuna indetta sul Forum delle Penne]
Genere: Fluff, Hurt/Comfort, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Aziraphale/Azraphel, Crowley, Warlock Dowling
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'How to cope with Apoca-nope and be happy'
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promessa

Una promessa da mantenere








Sei anni prima...



Se ne sarebbero andati tre giorni dopo. Erano stati i Dowling a comunicare alla tata, con due mesi di anticipo, che adesso che il bambino aveva sei anni era diventato un giovanotto a cui non serviva più la bambinaia: la priorità ora erano l'istruzione scolastica e la cultura. Crowley aveva annuito con fare comprensivo e la sera stessa aveva riferito ad Aziraphale i piani dei genitori del giovane Warlock.

«E come faremo adesso?» aveva esclamato l'angelo, in preda al panico, già figurandosi l'immagine terrificante dei mari in subbuglio per l'Apocalisse che non erano riusciti a sventare.

«Facile: ti dimetti anche tu e diventiamo noi i suoi maestri,» l'aveva rassicurato il demone con semplicità: ci aveva pensato tutto il giorno e questa era stata l'unica soluzione a cui il suo cervello fosse giunto. L'angelo aveva accettato di buon grado, poi aveva proposto un brindisi alla genialità e aveva cominciato subito con i miracoli per indurre i Dowling a contattare tali Mr. Harrison e Mr. Cortese dalle straordinarie referenze.

Era stato tutto stabilito nei dettagli e i due avrebbero continuato a seguire l'Anticristo nella crescita, solo con una divisa diversa dal solito. Non c'era motivo perché qualcosa potesse andare storto.

Ma Crowley si era ben presto reso conto dell'esistenza di un unico, madornale, imprevedibile fattore, tutto inglobato nel corpicino di bimbo di Warlock. I genitori avevano dato a tata Ashtoreth l'ingrato compito di comunicargli la decisione di sostituirla con un insegnante, e che quello fosse un compito ingrato lei l'aveva capito con un attimo di ritardo, subito dopo aver pronunciato le fatidiche parole al ragazzo: Warlock era scoppiato in lacrime e le si era attaccato a una gamba, come se avesse temuto di vederla sparire all'istante.

«Su su, caro,» era riuscita a mormorare con un improvviso groppo alla gola. «Non è la fine del mondo.»

Warlock aveva stretto più forte la gamba della donna. «Non te ne andare, tata Ashtoreth!»

«Devo,» aveva replicato, appoggiando una mano sulla testa del bambino. «Stai crescendo, mio caro, non hai più bisogno di me.»

«Non te ne andare!» aveva ripetuto il piccolo tra i singhiozzi.

La scena si era ripetuta per tutto il primo mese di preavviso del licenziamento, quando la tata lo sollecitava ad andare a dormire. L'unico modo per farlo smettere di piangere era stato quello di cantargli la ninna nanna ogni maledetto giorno: Warlock andava a dormire con gli occhi gonfi di lacrime e Crowley se ne andava con la testa pesante di dubbi.

Al secondo mese il bambino aveva ormai capito di non poter fare nulla contro l'inevitabile necessità di salutare la sua tata. Questo non gli aveva impedito di chiederle di tanto in tanto se fosse stata proprio sicura di quello che le avevano riferito i genitori e di rattristarsi quando Crowley, suo malgrado, si era ritrovata a dover confermare.

«Ti divertirai con il nuovo maestro,» gli aveva assicurato.

«Io non voglio un nuovo maestro.» La tata non era riuscita a indorare la pillola neanche un po'. Se non altro, i capricci erano una cosa estremamente negativa e, a modo suo, quella situazione avrebbe contribuito ad alimentare i successi del piano.

La vera sfida per Crowley, tuttavia, si era rivelata l'ultima settimana di permanenza in casa Dowling: ambasciatore e signora, impegnati in un viaggio di lavoro, le avevano lasciato la piena responsabilità del bambino in quei sette giorni e l'avevano costretta a rimanere anche per la notte per accudirlo e controllarlo. Aveva accettato solo per evitare di essere rimpiazzata improvvisamente da qualcuno o troppo buono o troppo cattivo in grado di vanificare tutti gli sforzi combinati di tata e giardiniere; se quel problema non fosse esistito, Crowley non avrebbe esitato a declinare l'offerta: affrontare Warlock ventiquattro ore su ventiquattro era una prospettiva che non l'allettava per niente, non in quello stato. Vederlo piangere la faceva stare male, peggio di quanto fosse disposta ad ammettere, e sapeva che quei giorni sarebbero stati davvero difficili per il bambino. Si era ben presto resa conto di aver indovinato: Warlock era triste e le stava sempre addosso, tanto che vedere Aziraphale per scambiarsi pareri sull'educazione del bambino era diventata una vera impresa. L'angelo si era dimostrato alquanto comprensivo e fin troppo empatico: non mancava mai di guardare con estrema dolcezza il piccolo Warlock e trovava adorabile il fatto che si fosse affezionato alla tata così tanto da essere disperato a tal punto ora che doveva salutarla. «Dovresti chiederti se non sia un brutto segno, idiota,» l'aveva rimbeccato Crowley quando Aziraphale era riuscito a riferirglielo al telefono a tarda notte. Non sopportava che l'angelo potesse pensare che lei fosse una tenerona con Warlock. Gli aveva raccontato tutte le fiabe originali dei Grimm e quelle di Andersen senza edulcorarle nemmeno un po'; gli aveva parlato di sangue, di violenza e di malvagità. Che diamine, non era una rammollita! «Warlock è traumatizzato, non affezionato, fidati,» aveva chiuso il discorso così, ma Aziraphale dall'altra parte della cornetta aveva semplicemente riso.

Tre giorni.

Solo tre giorni e tutta quella tragedia sarebbe finita.

«Buonanotte, caro» mormorò la tata quella sera prima di spegnere la lampada a forma di dinosauro e di dileguarsi per raggiungere la stanza che le era stata concessa dalla famiglia. Una volta dentro per prima cosa si liberò degli stivaletti e schioccò le dita: lo smartphone si attivò componendo automaticamente il numero della libreria di Aziraphale.

«Cara, buonasera,» rispose l'angelo con prontezza.

«Dorme,» comunicò senza smancerie togliendosi gli occhiali e cominciando a slacciare il fiocco intorno al collo. «Niente piagnistei oggi.»

«Crowley

La donna guardò truce lo schermo luminoso: conosceva il tono dell'angelo e quello voleva dirle che non era necessario mentire, che a lui poteva dire di essere in difficoltà. Lanciò con foga il nastro rosso sul pavimento: essere rimproverata da Aziraphale, anche se bonariamente, era l'ultima cosa di cui aveva bisogno.

«Com'è andata a te?» cambiò discorso.

«È stato dolcissimo, oggi. Abbiamo parlato di–»

«Zitto,» sibilò la tata, improvvisamente all'erta. «Ho sentito qualcosa.» Aveva avuto l'impressione di aver udito dei passi fuori dalla porta e ne ebbe piena conferma quando qualcuno bussò.

«Devo chiudere, angelo: ho visite,» bisbigliò.

«Oh, che carino!» esclamò sottovoce l'altro con fare stranamente zuccheroso, che Crowley non comprese. «Ci vediamo domani.»

La donna riattaccò perplessa e si affrettò ad alzare la voce. «Chi è?»

«Io.»

Bastardo di un angelo, pensò, inforcando gli occhiali e guardando di nuovo male il telefono: lui aveva indovinato prima di lei.

«Qualcosa non va, Warlock?» domandò aprendo la porta. Il ragazzino se ne stava lì, ritto in tutti i suoi sei anni, con il pigiamino di Spider-Man indosso e l'espressione colpevole di chi ha combinato un disastro e spera che qualcuno gli copra le spalle.

«Posso stare con te, tata Ashtoreth?» chiese alla fine, il luccichio negli occhi che presagiva il pianto. «Per favore.»

Crowley fu estremamente felice di aver chiuso la chiamata con Aziraphale giusto in tempo per non avere testimoni. Frugò velocemente nel suo cervello alla ricerca di una buona motivazione – una sola – per far passare il suo consenso come un'azione demoniaca di primo livello, ma la sua testa era completamente incentrata sull'odio che provava per sé stessa mentre si spostava e faceva accomodare Warlock sotto le coperte.

«Solo per stanotte, mio caro,» precisò quando lo ebbe raggiunto, e il bambino annuì sorridente prima di strizzarla in un abbraccio e rimanere in quella posizione.

Crowley si scoprì con orrore a muovere il braccio per cingerlo e accarezzargli i capelli in gesti delicati e continui. Una cosa era certa: avrebbe negato l'accaduto con Aziraphale fino alla morte, se fosse stato necessario, e sarebbero stati guai anche per Warlock se solo avesse osato spifferare al giardiniere anche una sola parola sulla questione.

«Devi proprio andartene, vero?» domandò il bimbo prima che lei potesse esplicitare le minacce. Tanto bastò per farla desistere.

«Ne abbiamo già parlato,» gli ricordò più gentilmente che poté.

Warlock annuì contro la sua spalla. «Va via anche Fratello Francis, non è vero?» chiese affranto.

Questo la colpì. Nessuno sapeva che anche Aziraphale avrebbe lasciato la casa: il piano era rassegnare le dimissioni dopo il suo turno il giorno stesso della dipartita della tata, ma solo loro due ne erano al corrente.

Crowley chinò il capo per guardare Warlock negli occhi. «Come ti viene in mente una cosa del genere?»

Poi ricordò: erano ormai due anni che il ragazzino sospettava che la tata e il giardiniere si intrattenessero in una tresca amorosa e che addirittura si sarebbero sposati, un giorno, con figli. Aziraphale non aveva più accennato a questo discorso da quando era saltato fuori circa un anno prima e piano piano Crowley aveva smesso di stuzzicarlo sull'argomento: d'altronde era facile trovare modi di far arrossire l'angelo e avere l'ultima parola, non era necessario per lei giocare con quella faccenda.

«Siete così innamorati,» fornì candidamente il ragazzino. «Non potete vivere separati: se vai via tu, deve andarsene anche lui.»

Crowley forzò una risata per dissimulare il miscuglio di sensazioni che la colpì. «Di cosa stai parlando, Warlock? Francis ed io non–»

«Non devi nasconderti, tata,» la rassicurò il bambino. «So mantenere i segreti.»

Nel dire quelle cose Warlock le parve un piccolo ometto tutto fiero di avere una responsabilità e sicuro di potersi fare onore. Fu per quello che Crowley non ebbe il cuore di negare: probabilmente la via giusta per il Male avrebbe dovuto farle dire di diffondere la voce, di non tenere la bocca chiusa e di infrangere subito quella promessa che aveva appena fatto, ma per il suo bene rinunciò a seminare zizzania tra i pensieri del bambino.

Si chiese con rabbia come avesse fatto un ragazzino di sei anni a coltivare una tale fantasia tanto a lungo e si domandò dove avesse sbagliato: come era stato possibile dare a Warlock un'impressione così sbagliata del loro rapporto? Che cosa era andato storto nel processo di comunicazione tra loro e il birbante che la guardava con così tanta ovvietà?

La tata sospirò e decise di non avere la voglia né il tempo di indagare ulteriormente: Warlock la pensava così e gli ultimi due giorni di lavoro non avrebbero dipanato la nebbia intorno al palese equivoco.

«Ti trovi molto bene con lui, caro?» domandò invece, sondando il terreno.

Il piccolo annuì, triste. «Siete i miei migliori amici.»

Crowley lo strinse di più a sé, incredula e toccata allo stesso tempo. Non si era mai resa conto davvero di quanto fosse solo quel ragazzino e di come la presenza di una tata e un giardiniere gli avesse dato una speranza, quella di avere degli amici. Con due genitori assenti come i suoi e l'educazione privata a cui era e sarebbe stato sottoposto in futuro, Warlock aveva visto in loro due pazzi confidenti, due amici da cui trarre il massimo vantaggio affettivo. Forse era a causa della famiglia poco presente che si era impegnato a proiettare su di loro l'amore che non gli veniva trasmesso a casa: in tata Ashtoreth e in Fratello Francis aveva visto tutto quello che non aveva avuto per natura e ora doveva fare i conti con lo strappo che l'avrebbe riportato alla realtà.

Crowley, non vista, digrignò i denti in preda alla collera: se non fosse stato per quella stupida Apocalisse da quattro soldi, avrebbe potuto garantire a Warlock che non l'avrebbe persa, che non avrebbe lasciato nemmeno Francis e che li avrebbe ritrovati una settimana più tardi in abiti maschili, tutti impomatati, a insegnargli la storia, la letteratura e la matematica. Ma questo non poteva farlo: il bambino era l'Anticristo, lei e Aziraphale avevano il dovere di fermarlo e non potevano permettersi di cedere ai sentimentalismi, nemmeno per le lacrime di un bambino tanto viziato quanto solo e addolorato.

L'unica cosa che la tata poteva fare era prepararlo al meglio alla partenza di tutti e due.

«Hai ragione, tesoro,» si sentì dire dolcemente. «Anche lui andrà via. Ma non dirgli che te l'ho detto.»

Warlock annuì e tirò su con il naso. «Non mi volete più bene?»

Quello era troppo.

«Non dirlo mai più,» ordinò, più dura di quanto avesse voluto. «Non pensarlo nemmeno. Noi ti vogliamo e ti vorremo sempre bene, mi capisci?»

Il ragazzino la abbracciò più forte.

«I tuoi hanno deciso che hai bisogno di un insegnante,» disse la tata, atona. «Non ce ne andiamo per nostra volontà.»

Sentì Warlock grugnire il suo disappunto. «Mi verrete a trovare?»

Crowley si sforzò di sbuffare una risata: era una domanda troppo ridicola alle sue orecchie. «Prima di quanto immagini, caro.»

Il bambino sollevò la testa per sorriderle radioso.

«Ora dormi, carissimo,» mormorò per poi prendere a cullarlo continuando ad accarezzargli i capelli.

Quando era arrivato il momento di andare, Crowley avrebbe preferito discorporarsi. Warlock aveva pianto e le era saltato al collo con disperazione, ma non le aveva più chiesto di restare: aveva capito di non avere potere in merito.

La tata gli aveva dato un bacio sulla guancia paffuta, lasciandogli stampato sulla pelle il segno delle sue labbra pitturate di viola.

«Buona giornata, Warlock, e ricorda sempre, fallo per me: tutte le creature della Terra meritano il tuo più spietato disprezzo.»



Sei anni dopo, al tempo presente...



Le immagini di Warlock avvolto intorno al busto di tata Ashtoreth svanirono poco a poco nella sua mente, ma la sensazione di avere dei capelli a solleticargli la faccia e un corpo incollato al suo non se ne andò allo stesso modo.

Crowley aprì gli occhi con una certa difficoltà per incontrare le iridi chiare di Aziraphale che gli sorridevano. Non ricordava di essersi addormentato così vicino all'angelo, né che anche l'altro avesse deciso di dormire la notte precedente, ma la situazione tutto sommato non gli dispiacque. Pensò di poter fare una battuta sarcastica, ma tutto quello che uscì dalla sua bocca fu un sussurro soffuso.

«Angelo.»

«Buondì,» rispose Aziraphale con le guance appena arrossate.

Il demone prese qualche secondo per inquadrare fugacemente la stanza e la luce tenue che filtrava dalla finestra.

«Tu ieri stavi leggendo quando mi sono addormentato,» rilevò Crowley, rendendosi conto solo dopo di star massaggiando i riccioli dell'angelo. Si bloccò per un momento, ma visto che all'altro non sembrava dare fastidio, perseverò nell'attività.

«Ho finito il libro.»

«Mm-hm.»

Quello, però, non spiegava il gomitolo di braccia e gambe in cui erano incastrati.

«Non guardarmi come se fosse colpa mia, caro,» lo rimproverò Aziraphale con serietà. «Ti sei rotolato fino a qui e mi hai abbracciato.»

«Ma per favore!» sbottò il demone.

«Giuro,» confermò piccato l'angelo. «Io mi sono solo sdraiato.»

Crowely si issò appena su un gomito per controllare la sua posizione nel letto: si trovava effettivamente nella metà di Aziraphale. Si costrinse ad ammettere che avesse senso, e non solo quello: era stato probabilmente quell'abbraccio involontario a suggerirgli di sognare una delle ultime notti in casa Dowling nei panni della tata di Warlock.

«Se per te è un problema, ecco...» bofonchiò Aziraphale senza guardarlo negli occhi. «Ecco, non voglio metterti a–»

«Chiudi la bocca, angelo,» Crowley troncò la sciocca protesta dell'altro con un'occhiataccia. Si risistemò meglio nella stretta e ricominciò ad accarezzare i capelli dell'angelo. «Ho chiesto per capire, non per lamentarmi.»

«Oh.»

Quando finalmente si sciolsero dall'abbraccio, era ormai primo pomeriggio, il momento giusto per aprire la libreria.

Rimasto solo, Crowley si scoprì a tornare con la mente a Warlock e al sogno che aveva fatto. Non aveva lavorato di fantasia, aveva solo rivissuto nella mente il momento più basso della sua carriera di tata demoniaca, ma questo era stato sufficiente a ricordargli della promessa. L'aveva completamente dimenticata: il secondo travestimento per tenere sotto controllo l'Anticristo aveva contribuito a non fargli sentire la mancanza del ragazzino, anche se con Mr. Harrison Warlock non aveva sviluppato alcun rilevante legame affettivo. L'aveva rispettato come insegnante, questo sì, ma non gli aveva mai nascosto di non essere uno studente particolarmente appassionato: nessuno dei due tutori lo aveva davvero conquistato e il rapporto era diventato più professionale che emotivo da parte di tutti e tre.

Con ogni probabilità anche il ragazzo aveva dimenticato la promessa di tata Ashtoreth: adesso aveva i suoi amici, i suoi hobby; la sua mente da ragazzino aveva di sicuro eliminato quell'informazione infantile.

Ma il sogno aveva turbato Crowley: e se Warlock fosse stato ancora in attesa del ritorno della sua vecchia tata? Non l'aveva più nominata durante le lezioni di Harrison, e nemmeno in quelle di Cortese. Nei cinque anni successivi alla dipartita di tata Ashtoreth e di Fratello Francis era stato come se quelle due figure non fossero mai esistite nella vita di Warlock...

«Non mi volete più bene?»

Le parole del piccolo gli rimbombarono nella mente e gli fecero abbandonare la testa contro la spalliera del letto in un gesto disperato mentre un'idea si formava nel suo cervello.

Sospirò, perché non aveva alcuna scusa malvagia per fare quello che gli era venuto in mente. Attese qualche minuto per sforzarsi più a fondo, ma la situazione non cambiò.

Per amor di Qualcuno.

Si alzò con un grugnito, schioccò le dita per far apparire un bigliettino per Aziraphale – “Sono uscito, angelo. A dopo. C.” – e ripeté il gesto in bagno per cambiarsi d'abito. Lanciò uno sguardo allo specchio e ghignò.

Doveva ammettere che quando era uscita di casa si era sentita molto più sicura di sé. Mano a mano che la villa dei Dowling si era avvicinata, però, Crowley aveva avvertito tutta la sua spavalderia sfumare via.

Quella era probabilmente la cosa più stupida che avesse mai fatto in più di seimila anni di vita. Persino amare Aziraphale le sembrò improvvisamente più accettabile dell'idea di andare da Warlock nei panni della sua vecchia tata. Che cosa le era saltato in mente? Come avrebbe giustificato la sua presenza lì dopo quasi sei anni? E se Warlock l'avesse davvero dimenticata? Non aveva onestamente idea di come avrebbe reagito se quella prospettiva si fosse avverata sul serio. Avrebbe retto il colpo? Sarebbe stata in grado di ignorare il tutto?

Arrivata all'alto cancello della casa pensò di fare dietrofront e tornare nel suo appartamento e fare finta che non fosse successo niente; cominciò anche a mettere in pratica il proposito, ma una voce la bloccò sul posto e la costrinse a voltarsi nuovamente.

«Tata Ashtoreth?»

Crowley guardò gli occhi chiari del giovanotto oltre l'inferriata e sorrise.

«Warlock.»

Il ragazzo quasi non fece in tempo ad aprire il cancello quel tanto che bastava perché vi passasse attraverso che già le sue braccia si erano avvinghiate al busto della tata in un abbraccio scomposto e sbilanciato che Crowley fece del suo meglio per riuscire a ricambiare.

«Sei tornata! Sei tornata davvero a salutarmi!»

Non l'aveva dimenticata.

«Ma certo.»

Warlock la prese per mano e fece per guidarla all'interno del parco di casa Dowling. Subito Crowley avvertì un brivido di disagio risalirle lungo la schiena, sempre più convinta che comunque quella non fosse stata un'idea brillante.

«Sei sicuro che vada bene? I tuoi non si aspettano di–»

«I miei non ci sono.»

Ovviamente.

Si sedettero sull'erba profumata – troppo profumata, troppo curata perché, in qualche modo, non ci fosse ancora lo zampino di Aziraphale – e Warlock cominciò a parlare senza freni, raccontando aneddoti di vita, progressi scolastici, ricordi del passato, ricordi che riguardavano sia la tata e il giardiniere che i suoi due maestri. Ricordi che Crowley si scoprì felice a condividere di nuovo da un altro punto di vista, quello del bambino che lei e l'angelo avevano cresciuto insieme, contro ogni più rosea aspettativa. Trovò curioso approcciare alle stesse esperienze con occhi, significati e basi così diverse. A Warlock non era mai sfuggito niente, era sempre stato un bambino sveglio e attento, e adesso le stava dando prova della sua memoria, della sua creatività e di tutto l'affetto che un bambino di undici anni fosse capace di provare per un momento ben preciso della sua breve vita. Crowley riusciva a distinguere un velo costante di nostalgia nel tono del ragazzino, ma anche una altrettanto perpetua gioia scaturita dalla ricondivisione di episodi vissuti insieme a lei o a Francis, o dal racconto delle marachelle fatte a scuola o in presenza dei suoi insegnanti privati di cui non aveva mai scoperto la vera identità. La confidenza e la serenità con cui Warlock le parlava e con cui ripercorreva il passato davano a Crowley l'impressione che non fosse passato nemmeno un giorno dall'ultima volta in cui si erano incontrati in quelle vesti e questo le scaldò il cuore più di quanto sarebbe stata disposta ad ammettere a chiunque, persino a sé stessa.

Tuttavia, tutta la simpatia che Crowley sentiva nei confronti del bambino non fu sufficiente a risparmiarle un certo tipo di imbarazzo che credeva che non avrebbe mai più provato in vita sua, perché niente poté evitare che Warlock si tuffasse a bomba direttamente nella sua vita privata. E un po', in effetti, la donna avrebbe dovuto aspettarselo.

«Tu e Fratello Francis siete ancora innamorati?» le chiese, infatti, di punto in bianco, con così tanta naturalezza da prenderla del tutto in contropiede.

A quella domanda la testa di Crowley si svuotò completamente. La facilità con cui quel ragazzino, a suo tempo, aveva già capito tutto era tuttora capace di spiazzarla, ma la domanda diretta, con quell'ancora pronunciato così casualmente, la fece vacillare ancora di più. Forse l'interrogativo giusto da porsi era se mai ci fosse stato un tempo in cui non l'avesse amato, almeno da parte sua, ma Warlock questo non poteva immaginarlo nemmeno lontanamente.

Deglutì a fatica, incespicò nelle parole e nei gorgoglii gutturali, deglutì un'altra volta e poi rispose: «Be', s-sì.»

«Come avete fatto?»

«Cosa?»

Warlock allargò le braccia platealmente. «Tutti questi anni insieme! Come ci siete riusciti?»

Crowley prese un grosso sospiro prima di dire: «Non ne ho la minima idea, caro.» Non era solo una formula con cui evitare domande sul fallimento del matrimonio dei genitori del bambino: era la pura e semplice verità. Era anche abbastanza sicura che se Warlock avesse posto la stessa domanda ad Aziraphale, nemmeno lui avrebbe saputo dare una risposta diversa. O forse... forse sì. Pensandoci bene, l'angelo si sarebbe lanciato in una ispirata e lunghissima spiegazione sull'amore e i buoni sentimenti. Spiegazione da cui Crowley sarebbe uscita rabbrividendo e fumando di viscerale, tremenda, umanissima vergogna. E sapeva anche che non sarebbe stata in grado di fermarlo, che sarebbe stata costretta a sorbirsela tutta. Quello sì che l'avrebbe fatta discorporare, in barba all'acqua santa.

D'improvviso la risata del bambino le si insinuò nei pensieri e le immagini catastrofiche si dissolsero in un battito di ciglia così come erano state generate.

«Che c'è?»

«Ti sei incantata, ti sei incantata, ti sei incantata!» cantilenò Warlock, puntandole contro un dito e coprendosi la bocca con l'altra mano.

«Io non–»

Il ragazzino allungò le labbra in avanti in un finto bacio e si abbracciò stretto il busto, ondeggiando a destra e a sinistra tra un mugolio e l'altro. Rise da solo, compiaciuto di sé stesso, prima di sentenziare: «Che schifo!»

Crowley rimase di sasso per un momento prima di spalancare la bocca: «Io non ti ho spiegato queste cose. Noi non ti abbiamo spiegato queste cose.»

«Le sanno tutti.»

Crowley gli rifece il verso prima di scuotere la testa senza speranza: urgeva un cambio d'argomento, e in fretta, anche.

«Comunque, come va con i tuoi amici?» optò per la prima cosa che le venne in mente per reindirizzare l'attenzione su di lui. «Ne hai tanti?»

Crowley ricordava la festa di compleanno del ragazzo, piena dei suoi compagni di scuola, ma il modo in cui Warlock, del tutto abbandonata l'ilarità di poco prima, si strinse nelle spalle in risposta la mise in allarme: quella sorta di ferita indifferenza le risultava suo malgrado completamente nuova: nei panni del suo insegnante privato non aveva mai avuto modo di approfondire il lato più emotivo del ragazzino, quello che con la tata non aveva mai faticato ad uscire allo scoperto. Negli ultimi sei anni aveva assistito solo alle piccole ribellioni dovute al troppo studio, al desiderio di giocare, alla voglia di uscire all'aria aperta. Ribellioni che, in nome della buona riuscita del piano, aveva sempre accolto e sostenuto con fervore, ma che raramente si erano risolte in una sana chiacchierata o in confidenze. Il più delle volte, come premio per le proteste gli aveva concesso di passare tutto il pomeriggio incollato ai videogiochi, con le scarpe sul divano e le mani unte di patatine fritte, tutte cose che poi facevano infuriare sua madre. Utili, sì, ma forse Crowley aveva smesso di conoscerlo a fondo e ora quella reticenza a parlare della sua piccola vita sociale le faceva avvertire uno strano senso di angoscia, come se si fosse dimenticata di vederlo davvero al di là delle ore passate sui libri, come se non fosse stato altro che uno strumento necessario a fermare la fine del mondo. Il pensiero le torse lo stomaco.

«Warlock?» incalzò, la testa leggermente inclinata.

«Sì, tutto bene... Siamo in tanti.»

Dietro le lenti scure, gli occhi di Crowley si ridussero a fessure.

«Caro, ti ho insegnato io a mentire,» rilevò, calma ma tagliente. «Forse è il caso di essere sinceri, che ne dici?»

Warlock roteò gli occhi al cielo sbuffando. Anche questo glielo aveva insegnato lei. «Non è facile fare amicizia,» fu l'ammissione spontanea, seguita da un fugace sguardo contrariato alla casa. Crowley fece rapida due più due: poteva solo immaginare quanti ragazzini si avvicinassero a Warlock esclusivamente per potersi vantare di aver giocato con il figlio dell'ambasciatore americano, o per poter far visita a quell'immensa villa, troppo grande per un bambino piccolo come lui. Non dubitava nemmeno dell'insistenza delle famiglie alle spalle dei suoi compagni di classe, con ogni probabilità desiderose di ricevere favori o anche solo un briciolo di notorietà dalla frequentazione di un funzionario estero.

La donna strinse il manico dell'ombrello tra le dita guantate e per un lungo momento nessuno dei due disse niente. Scoprì che le faceva più male del previsto realizzare quell'aspetto lì: la solitudine di un bambino, la consapevolezza di aver trascurato il lato emotivo della sua crescita in nome del piano, l'orribile, pregnante sensazione di non esserci stata abbastanza per lui quando ne aveva avuto più bisogno... Ma come avrebbe potuto fargli ancora da balia nei panni del suo insegnante di matematica?! Come avrebbe potuto insinuarsi nella sua vita privata senza essere inopportuno, senza spingersi troppo oltre e senza rischiare di compromettere la riuscita della strategia condivisa da angelo e demone?

Crowley scosse la testa e distolse lo sguardo per un momento.

Quelle erano tutte scuse. Convincenti, sì, ma ugualmente scuse.

Lei conosceva la verità, ed era anche molto semplice: avrebbe dovuto fare di più. E adesso che aveva tutto il tempo dell'universo, che la fine del mondo era stata sventata e che finalmente c'era un po' di pace nella sua vita, Crowley sentiva di non essere più in grado di aiutarlo: i rapporti angelici erano complicati, ma quelli umani erano la cosa più sconclusionata che avesse mai visto. Se in tutti quegli anni era riuscita a venire a capo di alcune dinamiche tra adulti, i rapporti tra i bambini le erano pressoché del tutto estranei. Se li avesse vissuti al fianco di Warlock nei panni della sua tata, sicuramente li avrebbe capiti di più, li avrebbe visti crescere insieme ai mocciosi, ma così... Come avrebbe potuto aiutarlo a farsi nuovi amici? Lei conosceva solo...

Oh.

E se...?

«Sai,» iniziò, guardando di lato per assicurarsi che Warlock la stesse ascoltando, «prima di tornare qui ho conosciuto un ragazzino della tua età.» Silenzio. «Un gruppo, in realtà. Tr– No, quattro, come i...» come i Cavalieri dell'Apocalisse, ma certo, diciamolo al bambino. Crowley roteò gli occhi: quei mesi di pausa dai suoi doveri infernali le avevano fatto perdere abitudini più che consolidate in tutti quei millenni. «Come i Queen. Comunque, un bel gruppo. Adam e... gli altri.»

Crowley non credeva che Warlock potesse apparire più disinteressato all'argomento, con le palpebre cadenti e la bocca floscia, eppure la sorprese chiedendo: «Dove? Non conosco nessuno con quel nome qui.»

«Tadfield.»

«Ma non è lontano?»

«Non molto. Ha un cane.»

«Non ho mai avuto un cane.»

«Penso che andreste d'accordo. Sono molto–»

«Perché me lo dici?»

Crowley sbatté le palpebre un paio di volte prima di essere definitivamente certa di non sapere quale fosse il significato nascosto dietro quella domanda. Anche come suo insegnante non era stato sempre semplice leggere tra le righe degli scatti e degli sbalzi umorali di un bambino in crescita, soprattutto nel suo ultimo periodo di attività, ma Crowley era sicura di star riscontrando più difficoltà del solito e che questo in parte fosse dovuto alla familiarità con cui Warlock si rivolgeva alla sua tata e che mai aveva riservato all'istitutore.

«Be', perché penso che tu non abbia incontrato le persone giuste, caro,» disse, paziente, anche se sentiva di star camminando sul filo del rasoio. «Adam è un bravo ragazzo, i suoi amici–»

«Sì, ma perché

«Non lo so, sono buoni e basta!»

Warlock sbuffò come se avesse davanti un'idiota. «Io sono qui! Non a Tadfield. I miei non mi faranno mai andare, è inutile.»

In nome di Qualcuno, una tragedia per un problema logistico?!

«Perché no?» disse Crowley, allargando le braccia. «Se fai i capricci, ti manderanno con l'autista, come sempre.»

Ma la faccia di Warlock, se possibile, si rabbuiò ancora di più. «Non funzionano più, i capricci.»

«Ma se eri così bravo!»

«Sono ancora bravo,» la rimbeccò lui, l'orgoglio ferito palpabile nella voce. «È che dicono che adesso devo smetterla, che sono cresciuto.»

«Stronzate.» Warlock la guardò con gli occhi spalancati, ma Crowley non si preoccupò di ritrattare. «Senti, a te piacerebbe conoscere questi ragazzi?» Il bambino si strinse nelle spalle, come a dire Se proprio devo, ma stavolta l'altra non ebbe dubbi: Warlock moriva dalla voglia di conoscere altre persone, soprattutto gente che la sua tata gli aveva presentato come persone giuste per lui, dei possibili amici, un gruppo di amici, ma era così abituato ad essere solo da non osare nemmeno concedersi il lusso di sperare di riuscirci. «Sì?» concluse dunque da sé la donna, senza dargli l'opportunità di pronunciare anche solo una sillaba che potesse andare contro quel desiderio. «Okay. Allora io ti prometto che stavolta i tuoi capricci funzioneranno e i tuoi ti permetteranno di andare a Tadfield tutte le volte che vorrai.»

Warlock sbuffò una risata di scherno. «Non succederà mai

«Fidati. Ti ho mai deluso, piccolo mio?»

Il bambino scosse la testa. «Ma per questo servirebbe un miracolo, tata. Tu non puoi far accadere le cose solo...» Warlock si perse nel tentativo di far schioccare le dita, ma Crowley lo precedette con un pop forte e chiaro che fece sorridere entrambi.

«Aspetta e vedrai, tesoro.» gli disse, lasciando scivolare gli occhiali sul naso per lanciargli un occhiolino. «Dovrai solo chiederglielo.»

Il ragazzino sembrava ancora palesemente scettico, ma annuì comunque e Crowley seppe che l'avrebbe fatto, che avrebbe chiesto ai suoi genitori il permesso di andare a Tadfield e loro, senza alcuna rimostranza, gliel'avrebbero accordato. Non sarebbe intervenuta su nient'altro, però: sarebbe toccato ai ragazzi il compito di scoprirsi e di far funzionare l'ipotesi che le era saltata in testa, perché faceva parte della loro libertà, ma soprattutto perché lei non avrebbe saputo neanche da dove cominciare.

Warlock fece per dire qualcosa, ma il rumore di ruote sull'acciottolato del vialetto lo fece voltare immediatamente nella direzione in cui si trovava l'ingresso della villa. Dal punto in cui erano, gli alberi coprivano la visuale, ma a nessuno dei due serviva vedere le automobili lucide per essere certi del rientro dei Dowling.

«È meglio che vada, caro,» suggerì Crowley. Warlock non protestò, ma le spalle gli si afflosciarono di riflesso. La donna sapeva che se fosse stato un pochino più piccolo, l'avrebbe pregata di restare ancora un po', ma su un punto i suoi genitori avevano ragione: Warlock era cresciuto e cominciava davvero a capire che ci fossero un tempo e un luogo per ogni cosa, e tata Ashtoreth non era più parte di quella casa, non per il resto della sua famiglia, almeno.

«Tornerai a trovarmi, un giorno?» le chiese.

Erano passati sei anni, ma quella domanda era rimasta ferma nel tempo. Crowley sorrise.

«Ma certo.»

«Porterai anche Francis?»

«Sì.» . Ad Aziraphale avrebbe fatto piacere.

Sulle labbra di Warlock tornò il sorriso, ma Crowley lo vide per un secondo appena: il bambino le si gettò al collo e la strinse forte. Era un abbraccio diverso da quello che lei ricordava: stavolta c'era la certezza che la tata sarebbe tornata da lui, che l'avrebbe fatto contento e che non l'avrebbe mai davvero lasciato del tutto. Era stata di parola una volta, non c'era ragione di credere che non lo sarebbe stata ancora e ancora e ancora.

«Arrivederci, tata.»

Crowley lo abbracciò stretto a sua volta.

«Arrivederci, piccolo mio.»

La donna si lasciò cadere sulla solita panchina di St. James con l'animo più leggero. Quello che aveva fatto era stato relativamente semplice, almeno a parole, ma la fatica che le era costato le faceva quasi pensare di aver compiuto un'impresa tra le più grandiose, una di quelle per cui un wahoo all'Inferno sarebbe stato solo il preludio di un festeggiamento pazzesco, da ricordarsi nei secoli a venire, un'impresa che avrebbe fatto scuola ai demoni e che sarebbe stata vista dall'Alto come una minaccia tanto spaventosa quanto irripetibile. Un'impresa che avrebbe reso Crowley un esempio da seguire e un monito da cui tenersi alla larga.

Fu con questo spirito che sospirò e si tolse il cappello.

Fu con tutt'altro spirito che affrontò il resto.

«Ti dispiace se mi unisco a te, cara?»

Crowley non si preoccupò neanche di mascherare la sonora imprecazione che le sfuggì di bocca.

«Che diamine ci fai qui?!» chiese mentre Aziraphale prendeva posto accanto a lei.

«Come sta Warlock?»

Crowley boccheggiò come un pesce rosso nel tentativo di mettere le parole nel loro ordine corretto. Quando ci riuscì, il risultato fu comunque un balbettio imbarazzato: «C-C-Come lo sai?»

Aziraphale le riservò uno sguardo penetrante. «Davvero? Mia cara, devi essere più sottile la prossima volta se non vuoi farmi sapere dove vai. Ti ha tradita il profumo da donna, credo.»

Crowley alzò gli occhi al cielo e annuì, sconfitta e improvvisamente colpevole. «Non è che non volessi fartelo sapere,» borbottò con una smorfia. «È che... Oh, che ne so. Te l'avrei detto più tardi, giuro.»

L'angelo sorrise con tenerezza. «Non serve, Crowley.»

«Glielo avevo promesso.»

La donna evitò accuratamente di incrociare lo sguardo dell'altro, ma questo non fu sufficiente a tapparle le orecchie contro i versi deliziati emessi dall'angelo, a metà tra lo squittio di un topo e il fischio di un bollitore.

«Oh, smettila, è imbarazzante,» tentò, ma Aziraphale alla voce aggiunse una mano posata sulla sua, gesto che placò qualunque ulteriore protesta da parte sua.

«Vedi che ho ragione, Crowley?» continuò l'angelo, felice.

«Su cosa?»

«In fondo, tu sei davvero...»

«Oh no, zitto

«... una persona splendida.»

Crowley sospirò pesantemente. «Ora sei contento, immagino. Se non lo dici almeno due volte a settimana non va bene, no?»

Aziraphale rise. «Tieni il conto, per caso? Adorabile.»

Sì, certo che teneva il conto. Non che fosse difficile: a Crowley bastava tenere a mente quante volte in una settimana si fosse imposto di non urlare in preda a una crisi isterica e il gioco era praticamente fatto. «No, è solo una battuta,» mentì.

«Come dici tu.» Aziraphale rafforzò la stretta sulla mano e Crowley si decise finalmente a ricambiarla: era una battaglia persa ogni volta e sapeva che prima o poi avrebbe smesso anche di iniziare qualsiasi forma di ostruzionismo nei suoi confronti.

Non oggi.

«Sta bene, comunque, e in matematica è sempre bravissimo,» fornì dopo un attimo di silenzio. «Ti saluta. Cioè, saluta Francis. La prossima volta vuole anche te.»

«Che caro ragazzo,» commentò l'angelo. Poi aggrottò la fronte. «Avete parlato di me?»

«Non ha dimenticato me, figurati il giardiniere con i favoriti fuori moda da almeno cent'anni.»

Aziraphale assottigliò le palpebre, ma non accolse la provocazione. «È stato gentile. Ha evocato bei ricordi legati a me, spero... Non è vero?»

Crowley annuì. «Stranamente ricorda con piacere entrambi. Gli abbiamo dato la peggiore educazione al mondo, ma ci ricorda con affetto.»

L'angelo rise. «Abbiamo lasciato il segno, evidentemente.»

«Più d'uno, direi. Mi ha anche chiesto se stiamo insieme.» Ancora. Se stiamo ancora insieme, ma questo non le parve il caso di precisarlo, soprattutto sentendo l'angelo trattenere distintamente il fiato. Lo guardò in viso. «Gli ho detto di sì.»

«Oh.» disse Aziraphale. «Be', è... è vero.»

Crowley annuì. «Certo. Ma dirlo a un bambino di undici anni e mezzo è stato... strano.»

«Non è l'unico a saperlo... Anathema e Newton... Credo che anche la signora al piano di sotto lo sappia già. Mi saluta sempre.»

«Questo è quello che dirai ai giornalisti quando verranno ad arrestarla per omicidio?»

«Che intendi dire? È un'assassina?!»

«No, non lo so... È un modo di dire, lascia stare. E comunque è stato strano.» Fece una piccola pausa prima di precisare: «Strano buono.»

Crowley non stava guardando nella direzione di Aziraphale, ma in qualche modo era certa che l'angelo stesse sorridendo.

«È quello che è,» lo sentì dire.

È quello che è, ripeté lei nella sua testa, stringendo la mano dell'altro appena più forte. È quello che è sempre stato.

Aziraphale rafforzò la presa a sua volta e Crowley seppe di essere stata ascoltata.

Dietro le lenti i suoi occhi sorrisero.










Angolino di Menade Danzante.

Salve!
Anche questo mese per la ToBeWritingChallenge2023 di BellaLuna sono in assoluto anticipo, ovvio. Stavolta il prompt è “Domestic fluff”, che non so se ho rispettato oppure no! Questa OS era partita corta corta, poi mi è sfuggita di mano, ma ho deciso in perfetta autonomia che la semantica di “Domestic” può essere molto ampia e alla fine eccomi qua (se stai leggendo, Bellaluna, e non ritieni che ciò sia possibile, ti chiedo scusa ed eliminiamo la storia dall'elenco: tracotante sì, ma fino a un certo punto, ahah!).
Io non ho ancora visto la stagione 2. Questo sviluppo fa sempre parte della mia serie, non del canone attuale. Non ho idea di quanto le cose stiano andando diversamente (al di là del trailer, io ho evitato qualunque spoiler), lo scoprirò, però io a questo mio personalissimo sequel tengo tanto e, tempo e ispirazione permettendo, continuerò a tornarci su.
Io vi ringrazio immensamente per essere arrivat* fin qui. Vi abbraccio forte!
Alla prossima,

Menade Danzante

   
 
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