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Autore: Neamh Moonstar    17/08/2023    3 recensioni
[SPOILERS SECONDA STAGIONE]
Le loro separazioni non erano mai per sempre. In fondo lo aveva detto anche Aziraphale stesso: "Nulla è per sempre".
Eppure la loro ultima lite era sembrata una ghigliottina: li aveva divisi così profondamente da lacerarli, così duramente da far mettere ad entrambi il punto su una relazione che pareva essere appena cominciata - o che era morta ancor prima di cominciare davvero.
Crowley si era sentito tradito, così tanto da dirsi che non sarebbe tornato dall'angelo nemmeno se gli fosse piombato davanti - in ginocchio, per giunta.
Peccato che fosse solo tutta una stupida storiella che si ripeteva per non ammettere quanto in realtà sperasse in un ritorno. Sperava in un chiarimento. Sperava in una svolta.
E adesso la svolta era arrivata così, di colpo, senza preavviso.
Dopo un anno intero da quel disperatissimo bacio.
Genere: Angst, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Aziraphale/Azraphel, Crowley, Metatron
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non era sempre lui a chiamare Muriel. Qualche volta, Muriel chiamava lui.

Spesso era per chiedergli cose tipo: "Come dico di 'no' ad un 'cliente' senza offenderlo?". E lui sorrideva, perché una richiesta del genere significava che qualcuno si era già offeso, e tanto anche. Di nuovo, si chiese come avesse fatto la piccoletta a sopravvivere da sola per tutto quel tempo. Doveva essere tra i preferiti di Dio: altrimenti non si spiegava come mai nessuno l'avesse ancora pesantemente mandata a quel paese. Quello, o la sua ingenuità e il suo sorriso da cucciolo erano capaci di far fare tre passi indietro a chiunque.

Entrambe le opzioni erano valide.


Come al solito, andava a trovarla quando sapeva di non beccare nessun altro in giro per il quartiere. La sua vera paura era quella di ritrovarsi o Maggie, o Nina - o peggio: entrambe - davanti. Non avrebbe mai e poi mai avuto il coraggio di spiegare loro cos'era successo, né aveva intenzione di giustificare loro la sua letargia, o il suo ermetismo, o il suo correre da Muriel perché era l'unica cosa vagamente angelica rimasta in libreria. Nina soprattutto era capacissima di fargli una testa grande quanto l'Inghilterra su quanto sbagliato fosse il suo comportamento. Ma che altro avrebbe potuto fare? Non ci pensava nemmeno ad andare in Paradiso: era territorio di Metatron, adesso - o meglio: tecnicamente lo era sempre stato, ma mai così tanto. Non voleva nemmeno sapere se e come Aziraphale fosse riuscito a cambiarlo. Non voleva saperne assolutamente niente. Quel posto era morto da eoni per lui.

Se l'angelo voleva restarci, Crowley non era nessuno per dirgli di no. Se non voleva tornare nemmeno per un saluto, allora era libero di farlo.

Un saggio una volta gli aveva detto: "Amare significa decidere di stare con qualcuno pur sapendo che non puoi controllare qualcosa che non è tuo."

Aziraphale non era suo. Non lo era mai stato e mai lo sarebbe stato. Era intelligente: se c'era qualcuno capace di cavarsela in Paradiso adesso che non c'era più mister pomposo, quello era lui.

Forse avrebbe dovuto dirglielo quella volta. Forse avrebbe dovuto porsi meglio: era stato fin troppo insicuro, aveva esitato troppo e aveva lasciato che la decisione di Aziraphale cambiasse completamente il discorso che davvero voleva fare. Forse, forse, forse.

    «E ci stai pensando troppo, di nuovo» si disse, trangugiando l'ennesimo bicchier di vino. Mai piangere sul latte versato: era la prima cosa che ti insegnavano all'Inferno, anche perché non potevi fare altrimenti. Una volta sceso, non puoi risalire - Metatron o non Metatron.

In sostanza, sì: continuava a fare un male cane, ma poteva farci veramente poco.


Era un tranquillo pomeriggio d'estate, e se ne stava tutto storto sul divano, aspettando semplicemente che il sole calasse - così da potersi dirigere verso Soho. Da quando il clima si era rifatto un po' più caldo, le cioccolate si erano trasformate in succhi di frutta per la piccoletta e, beh, tante altre cose per lui.

    Una volta, Muriel aveva inclinato la testa e storto il naso davanti ad un bicchiere di whisky. «Che cos'è?»

    «Non credo proprio ti piacerebbe. Ma sai cosa dico sempre io?»

    «No. Cosa dice sempre?»

    «Che tentare non nuoce.»

    Le aveva passato il bicchiere, ma lei si era inclinata all'indietro e aveva scosso la testa. «No, grazie. Ha un odore orribile.»

    Lui si era fatto scappare un sorriso amaro. «Credimi, anche il sapore non è il massimo.»

    «E allora perché lo beve?»

    «Mi piace la sensazione che lascia.»

E la botta in testa che ti da, fu quello che non aggiunse. Si rese conto che l'acool era come l'amore: alle volte era buono, alla lunga faceva male, altre volte aveva un saporaccio ma non potevi comunque farne a meno. Così come lui non poteva fare a meno di pensare che era passato un anno e l'unica cosa simile agli usignoli che aveva sentito era stata la risata di Muriel.

Non si era mai ubriacato davanti a lei: ci sarebbe rimasta male. Non l'aveva mai invitata a mangiare: non sembrava interessata a quelle cose. A lei piacevano quelle piccolezze che gli umani consideravano scontate: il calore del sole, il freddo dell'inverno, il colore del cielo, l'odore della carta, la sensazione che la cioccolata calda ti dà quando scende nell'esofago, il suono della musica e cose così. Osservarla mentre si faceva coinvolgere da quelle cose era diventato terapeutico - non abbastanza da far cessare il dolore misto depressione che Crowley sentiva ammontare nel suo ipotetico stomaco, ma comunque terapeutico.

Ormai la considerava un'amica, per quanto strana. Almeno era gradevole, a differenza della stragrande maggioranza del Paradiso. Forse era proprio per quello che Metatron l'aveva incastrata tra quelle quattro mura: non se ne faceva niente di un'inetta.

Una cosa era certa: stare con lei era meglio che starsene da soli in una pozza di lacrime.


    Quando squillò il cellulare, interrompendo la sua leggera sbronzata, dovette rimettersi in fretta prima di rispondere. «Ehi, agente. Cosa c'è?»

Si stava ancora scrollando di dosso la sensazione di confusione e leggerezza indotta dal vino, ma ciò che gli arrivò in risposta lo fece riprendere abbastanza da renderlo lucido all'istante.

    «Ricorda quando mi ha detto che gli umani ci mettono un po' ad innamorarsi?» Chiese Muriel, la solita nota di contentezza nella voce.

    «Parli di Maggie e Nina, vero?»

Aveva appena finito di pensare a loro... Alle volte, l'universo aveva un interessante senso dell'umorismo.

    «Mhmh. Le ho appena viste fare quella cosa strana che fanno gli umani quando si, beh, quando si innamorano. Sa, quella cosa con le labbra.»

Oh... Oh. Allora alla fine era successo.

Crowley si fece scappare un sorriso amaro. Già: era quello che gli umani facevano quando capivano di essere fatti gli uni per gli altri. Era un linguaggio universale: una delle poche cose su cui erano tutti d'accordo. Era un simbolo chiaro, un segno di affetto profondo e sicuro... Giusto?

Per un attimo lo sentì di nuovo, quel sapore: tè, cioccolata calda e una nota inconfondibile di caffè. Stavolta non fece niente per mandarla via.

    «Già, a proposito di quelle due. Non gli hai detto che ci vediamo, vero?» Chiese invece, ricacciando indietro il magone che si era formato nella sua gola.

    Muriel si mise a pensare. «In effetti no. Non ne ho mai avuta l'occasione.»

    «Bene, non dirglielo. Non voglio che sappiano che continuo a tornare a Soho, ok?»

    «Oh, va bene». Pareva sorpresa, ma il tutto le scivolò addosso alquanto rapidamente: «Nel caso, dirò loro che non ho ricevuto nessuna visita degna di nota. Sarò insospettabile.»

    «Insospettabile, eh? Come il migliore dei criminali.»

    Lei ridacchiò. «Oh, sì: soprattutto quelli dei libri gialli.»

    Crowley si fece scappare una leggera risata: «Ah, hai iniziato a leggere quelli». Aziraphale ne sarebbe stato contento: li adorava e non conosceva nessuno di così interessato da parlarne - e non aveva idea di come funzionasse un forum, perciò era davvero solo con la sua passione per Sherlock e affini. Lui e Muriel avrebbero intrattenuto le meglio conversazioni.

    «Sono davvero intriganti: mi piacciono.»

E sì, quella è una cosa che il suo angelo avrebbe decisamente detto.

Ma non è tuo, non è mai stato tuo e mai lo sarà. E queste cose non te le dirà mai più perché avete chiuso. Per sempre.

    Mise nuovamente a tacere i suoi pensieri, calandoli sotto una maschera di simpatia. «Posso ancora chiamarti "agente", vero? O hai già in mente un nome da malvivente?»

Ascoltò la risata dall'altra parte della cornetta intanto che si rimetteva a bere, lo sguardo perso in un punto vuoto davanti a sé.

    «Beh, non sono più un'agente, né un'ispettrice... Ma se può farle piacere, può continuare a chiamarmi così.»

    Crowley si prese tutto il tempo di ripulire il bicchiere anche dall'ultima, microscopica gocciolina. Dopodiché schioccò le dita, lo riempì di nuovo e bevve un altro, lungo sorso. «Perché no» rispose infine. «Come titolo ti sta proprio bene».


°•°•°


Le sere alla libreria erano sempre state tranquille, silenziose e perfette per le chiacchierate. Erano un bel ricordo, talmente bello che Crowley poteva sentirlo dolere lì dove stava il suo inutile cuore.

    «Sono stata io a renderla triste?»

Sbatté gli occhi un paio di volte - una volta tanto li aveva scoperti, e a Muriel non aveva fatto né caldo né freddo. Anzi, adesso lo stava guardando con un sorriso triste, rigirandosi il bicchiere di succo d'arancia tra le mani.

    La fissò, confuso. «In che senso?»

    «Le sue amiche umane» rispose lei, accennando con la testa alla caffetteria. «Sa, non volevo farle ripensare ad Aziraphale dopo che mi ha detto quanta fatica sta facendo per, beh, non pensarci.»

Oh. Sapeva bene che tralasciare certi dettagli era pericoloso, ma c'era cascato con tutte le scarpe. Accidenti a lui e ai suoi momenti di debolezza.

E poi - quasi istintivamente - una volta arrivato, subito era andato a rintanarsi sul divano, portando lei ad accomodarsi ben composta sulla poltrona di Aziraphale, lì, al lato est della libreria. Sembrava lo facesse apposta a voler ricostruire una realtà che non esisteva più.

    «Nah, tra noi non c'è nulla del genere» mentì. O meglio: sperò di mentire.

A dirla tutta: nemmeno lui sapeva che razza di relazione fosse, la loro. O meglio: che tipo di relazione fosse stata.

    Muriel inclinó la testa. «Ah, no? E allora cosa c'è?»

    «È complicato, agente.»

Seguì un poco convinto: "Mh" che mise a nanna la conversazione, almeno per un po'.

Crowley ebbe tutto il tempo di rimettersi a pensare durante quel breve periodo di silenzio. Ovviamente non portò a nulla di buono. Si rese conto che sentiva una punta bruciante di gelosia nei confronti delle umane dall'altra parte della strada. In fondo, loro erano riuscite nel loro intento; mentre lui era lì e quello che aveva sempre considerato come l'unico amore della sua esistenza era da qualche parte lassù, oltre il cielo incredibilmente terso di quella sera.

Era chiaro che avessero sbagliato tutto, così com'era chiaro dove avessero sbagliato. Il problema ora era: come sistemare la questione?

Semplice: non potevano sistemarla. Erano incompatibili, punto. Avevano chiuso.

Per sempre.


    «Posso farle una domanda senza che si arrabbi?»

Oh, no. Guardò la piccoletta e si rese conto di quanto la preoccupazione e l'indecisione avessero quasi - non del tutto, ma poco ci mancava - soppresso il suo sorriso.

    «Devo iniziare a preoccuparmi?»

    «Mi dica solo se posso.»

    Date le premesse, il rosso non ne era poi così convinto. La sua testa gli stava ovviamente urlando di non lasciarla fare, ma, ehi: la curiosità era sempre più forte e le vinceva tutte. Perciò, si raddrizzò appena e le fece un cenno con la testa: «Va bene. Puoi.»

Muriel poggiò il suo bicchiere sulla scrivania e lo fissò con gli occhioni da gufo che si ritrovava. Doveva essere il suo tentativo di apparire seria almeno per una volta.

    «Cosa farebbe se Aziraphale decidesse di tornare?»

A Crowley sarebbe piaciuto rispondere con l'ennesima risata sarcastica e il solito: "Tanto non succederà mai", anche perché era la verità.

Eppure, stavolta si mise veramente a pensare all'eventualità. Per quanto bello sarebbe stato un epilogo da film, con tanto di frasi farcite fino all'osso di smancerie, sapeva bene che la realtà sarebbe stata un'altra: più dura e decisamente più, beh, realistica.

    «Mi arrabbierei con lui» confessò. Perché sì, lo aveva sempre saputo: sotto alle lacrime, ben sepolta sotto la disperazione, se ne stava una base di rabbia non indifferente. Non aveva fatto altro che soffocarla, ma era lì e bruciava di tradimento. Sapeva di abbandono.

    «Beh,» balbettò Muriel - forse non aspettandosi una risposta del genere. «Allora mi piacerebbe se Aziraphale tornasse davvero. Risolvereste le vostre divergenze.»

    Stavolta il demone rise di gusto. «Stai leggendo troppo, agente. Non funziona così nemmeno tra gli umani, figurati tra di noi.»

    Lei fece spallucce: «Tentar non nuoce. Giusto?»

Ahia, sta imparando in fretta a usare su di te la tua stessa medicina: tienila a bada.

    Crowley scosse la testa. «Vero, ma tentare significherebbe litigare di nuovo e, sinceramente, non ne ho proprio voglia.»

    Recuperando la sua bibita, la piccoletta si alzò e andò a sedersi accanto a lui. «Non ci capisco molto di queste cose» ammise - come se non fosse già palese, «però mi piaceva il modo in cui facevate le cose insieme: era bello da guardare.»

    «Era bello anche da provare, ma ormai è finita. Impara una cosa» mormorò lui, ingoiando a fatica il groppo nella sua gola. «Nulla è per sempre.»

Quelle parole rimbombavano come un'eco nella sua testa almeno per venti delle ventiquattro ore della giornata. Le odiava e non ne capiva il senso, ma erano lì.

E lo torturavano.


°•°•°


La mattina dopo venne svegliato dall'improvviso squillo del cellulare.

Si mise a sedere di scatto, ancora mezzo intontito. Gli ci volle un attimo di raccoglimento - e qualche imprecazione ben assestata - per convincersi a rispondere.

    «Hai idea di che ore ssiano?!» Sibilò.

In realtà, non ne aveva idea nemmeno lui, ma era decisamente troppo presto per una chiacchierata. Vero era che Muriel non dormiva perché sapeva di non averne bisogno - e non aveva idea di come si facesse. Crowley, invece, lo aveva ormai adottato come modo migliore, dopo l'alcool, per spegnere il cervello.

    «Mi dispiace, non volevo disturbarla. È che, ecco, beh-»

Wow, sembrava davvero turbata. Forse non era poi così presto e la piccoletta aveva appena sperimentato cosa significa avere a che fare con gli umani rudi, testardi e poco affetti dall'ingenuità.

    Richiudendo gli occhi e tuffandosi sul cuscino, il rosso sospirò. «Spiegati con calma, agente. Se inizi a balbettare non ci capisco niente.»

    Dall'altra parte della cornetta si udirono un paio di fruscii. «Va bene, va bene» una risata nervosa, «ha ragione.»

    Le diede cinque secondi, dopodiché iniziò a spingere: «Ebbene?»

Iniziava seriamente a preoccuparsi. Era la volta buona: aveva incendiato qualcosa, o magari aveva fatto esplodere una tubatura e aveva allagato il seminterrato. O peggio: le era caduto il succo di mela sulla pagina.

    «Si tratta di Aziraphale. È tornato.»


Adesso sì che era sveglio. Quelle parole avevano funzionato meglio di una secchiata di ghiaccio dritta in faccia, e meglio ancora di una scarica elettrica dritta in vena.

Era scattato in piedi senza nemmeno rendersene conto e aveva chiuso la chiamata, salvo poi starsene lì, immobile, tremante, incapace di reagire.

Il cuore gli batteva all'impazzata, sbattendo senza pietà contro le sue costole. Non poteva essere vero... era un sogno - un incubo, forse. Ma no, era la realtà quella, ne era certo. Stava succedendo veramente?

Non avrebbe dovuto farlo, ma ormai la tentazione era forte. Con cautela, provò ad utilizzare un trucchetto che lo aveva accompagnato per secoli, quello che lo aiutava a trovare l'angelo quando ne aveva bisogno.

Così cercò la più familiare delle auree e la trovò subito, lì, in libreria. Era splendente e perfetta come sempre: una luce bianca, azzurra e dorata che sapeva di casa, sicurezza e-

No.


Il mondo riprese a girare, ma lui non si prese nemmeno il tempo di sistemarsi come doveva. Semplicemente, schioccò le dita e corse fuori.

Le loro separazioni non erano mai per sempre. In fondo lo aveva detto anche Aziraphale stesso: "Nulla è per sempre".

Eppure la loro ultima lite era sembrata una ghigliottina: li aveva divisi così profondamente da lacerarli, così duramente da far mettere ad entrambi il punto su una relazione che pareva essere appena cominciata - o che era morta ancor prima di cominciare davvero.

Crowley si era sentito tradito, così tanto da dirsi che non sarebbe tornato dall'angelo nemmeno se gli fosse piombato davanti - in ginocchio, per giunta.

Peccato che fosse solo tutta una stupida storiella che si ripeteva per non ammettere quanto in realtà sperasse in un ritorno. Sperava in un chiarimento. Sperava in una svolta.

E adesso la svolta era arrivata così, di colpo, senza preavviso. Dopo un anno intero da quel disperatissimo bacio.

Non riusciva a capacitarsene. Entrò nella Bentley cercando di raccogliere le idee e capire cosa dire, cosa fare, come comportarsi, da dove iniziare...

Schiacciò il piede sull'acceleratore sapendo che stava sbagliando di nuovo: stava andando lì agitato, teso e senza un discorso. Non era pronto. Avrebbe dovuto darsi tempo... Avrebbe dovuto farlo aspettare come Aziraphale aveva fatto sempre aspettare lui.

Sarebbe stato giusto.

Sarebbe stato utile.

Sarebbe stato sensato, certamente di più di quello che stava facendo.


Prese svolte a caso - ignorando gli altri automobilisti, i pedoni, le bici, i semafori e il senso di marcia. Non sapeva nemmeno che emozione fosse quella che stava provando. Era teso, arrabbiato, disperato ma anche un po' sollevato. La sua aura rigirava e ribolliva come lava di un vulcano, e poteva sentire l'adrenalina corrergli su per le braccia.

Arrivò a destinazione e lì, per qualche secondo, si fece cogliere dal panico.

Era sull'orlo di un precipizio e le opzioni erano due: allontanarsi dal bordo o assecondare la voglia di volare. Sarebbe stato un casino in ogni caso, se lo sentiva.

Eppure scelse di scendere dall'auto.

La breve camminata che lo portò all'ingresso gli parve infinita. Aprì la porta e la campanella gli rimbombò nelle orecchie. Davanti a lui c'era Muriel, ma stavolta non sorrideva, anzi: stava cercando di dirgli qualcosa, ma non riuscì a capirla.

Avrebbe dovuto percepire già da lì che qualcosa non andava, ma il tempo fece il resto.

Gli bastò addentrarsi un po' di più, giusto qualche passo. Fu allora che l'universo parve bloccarsi di nuovo.

    Si bloccò a sua volta, smise di respirare, e il suo cuore perse un battito, fremette, vacillò e si ruppe. «Angelo?»


Qualsiasi emozione fosse quella che aveva provato fino ad allora, adesso era sparita.

E l'ansia si era sciolta, riducendosi in una metaforica pozza tra le fughe del parquet.

   
 
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