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Autore: 0421_Lacie_Baskerville    17/08/2023    1 recensioni
"Conservava uno strano ricordo del momento in cui il flebile fruscio dell'erba alta gli aveva fatto sollevare lo sguardo dai blocchi in legno con cui stava giocando, per incrociare quegli occhi penetranti che lo fissavano. Il silenzio immobile denso dell'odore dei fiori in cui erano rimasti a guardarsi, avvolti dall'ombra odorosa del glicine, con la voce cristallina di sua madre intenta a stendere il bucato poco lontano che faceva fremere le sottili orecchie pelose della volpe con il suo dolce canto. (...) Non sapeva ancora niente, allora, a parte che quella visione fugace l'aveva stregato. "
Venite con me, se quello che cercate è un mondo in cui potervi perdere e cercare riposo, questa storia potrebbe fare proprio al caso vostro. Perciò, girate pagina e addentriamoci insieme nelle atmosfere senza tempo del Giappone antico e forse, potremo vedere insieme una volpe dagli occhi rossi riposare all'ombra odorosa del glicine insieme al ragazzo che rinunciò a tutto per perdersi con lui in sogno...
💚 AU con ambientazione storica-leggenda giapponese
🦊 Kitsune legend
Genere: Fantasy, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Altri, Inko Midoriya, Izuku Midoriya, Katsuki Bakugou
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Come nasce un'amicizia all'ombra del glicine. II

Fu in un pomeriggio d'inizio estate di quell'anno che l'incantesimo sembrò destinato a spezzarsi e tutto finì sotto l'ombra odorosa del glicine sotto cui si incontrarono.

Là dove tutto aveva avuto inizio.

Una leggera brezza calda soffiava fra le corone di fiori e sollevava i petali violacei, spingendoli sulle acque cristalline del laghetto alle sue spalle. Le iridi scarlatte che lo fissavano beffarde dalle alte frasche catturavano la luce del sole, rilucendo di riflessi aranciati.

≪ Ce ne hai messo di tempo ad arrivarci. ≫

Un sorriso pigro gli aveva curvato le labbra. L'ondeggiare lento delle voluminose code dorate scandiva il tempo in cui restò a guardarlo con gli occhi verdi sgranati e il cuore che batteva rapido in petto, mozzandogli il respiro. ≪ È più di un'ora che sta lì. ≫

La palla che stringeva fra le mani cadde ai suoi piedi con un tonfo e rotolò via. Per un attimo, il tempo sembrò fermarsi all'istante in cui sollevò il viso e lo trovò là a fissarlo fra le alte fronde. Una figura surreale e perfettamente visibile che non era mai stata tanto vicina da lasciarsi guardare. Un'immagine che si sarebbe impressa nella sua memoria per accompagnarlo per il resto della sua vita, anche una volta cresciuto.

Se lo ricordava ancora così, con i biondi capelli sfiorati da pagliuzze dorate di luce solare e il viso di bambino in ombra. Il granato scuro del suo yukata di cotone che disegnava una sfumatura di colore sulla pelle chiara del collo e quel sorriso storto a curvare le labbra sottili e scavare una piccola fossetta all'angolo della bocca.

Perfino quando la sua voce si era fatta più profonda e le rotondità del viso avevano lasciato il posto ai tratti più marcati del giovane uomo che sarebbe diventato, gli capitava di guardarlo e scorgere ancora quel bambino dalle voluminose code dorate e le orecchie volpine tese a far capolino dalle bionde ciocche di capelli.

Ne cercava il ricordo nel cullarne il sonno sotto l'ombra odorosa del glicine, con la schiena appoggiata al tronco ruvido di un albero e la sua testa in grembo. Nel lasciar scorrere le dita fra i biondi capelli di lui, solleticandogli la nuca con i polpastrelli caldi e gli occhi verdi socchiusi sotto le lunghe ciglia nere, mentre petali dalla sfumatura violacea cadevano dall'alto per posarsi sul suo ampio petto e sul viso marcato.

Smettila. ≫ La sua voce rauca tradiva il soffiare soffocato di un animale irritato e il labbro superiore si arricciò in una smorfia quando aprì gli occhi per guardarlo dal basso con le iridi scarlatte che catturavano la luce del sole, assumendo una sfumatura ramata. ≪ Mi dai i brividi quando mi guardi così. Come se fossi uno dei tuoi cazzo di dipinti.

Una risata leggera sfuggì dalle labbra di Izuku, disperdendosi nell'aria calda. Un sorriso sornione fece scintillare il verde dei suoi occhi sotto l'ombra dei riccioli scuri che gli sfioravano la fronte candida. ≪ Pensavo che ti piacesse essere ammirato. ≫ Le dita sfiorarono lo zigomo marcato di lui in una carezza delicata, scendendo a disegnare la curva della guancia e la linea mascolina della mandibola. ≪ E sei così bello quando sei tranquillo che se non temessi di disturbare il tuo sonno, prenderei carta e pennello e ti dipingerei in questo momento. ≫

Un lieve rossore affluì sulle guance di lui, leggero come un gioco di luce e altrettanto sfuggente e ingannevole. Uno sbuffo seccato fu tutto ciò che scaturì dal fondo della sua gola mentre distoglieva lo sguardo e nascondeva il viso fra le pieghe della sua veste. ≪ È troppo presto per le tue stronzate, Deku. Lasciami riposare in santa pace. ≫

≪ Veramente è già pomeriggio inoltrato. replicò lui con un leggero sorriso a curvare le labbra, scostando un petalo violaceo dalle bionde ciocche ispide dei suoi capelli. ≪ Sei tu che dormi sempre nelle ore sbagliate. ≫

Riccioli scuri caddero a sfiorargli la fronte candida e ombreggiare il verde dei suoi occhi che si sgranarono sorpresi quando le dita di lui colpirono svelte il fianco, pizzicandogli la carne attraverso il cotone dell'abito e strappandogli di bocca un urlo strozzato.

Non controbattere, piccolo insolente che non sei altro. soffiò la volpe, balzando a sedere con un unico movimento fluido, gli occhi rossi baluginanti di riflessi aranciati e un'espressione cupa sul bel viso. Le dita agili colpirono i fianchi di Izuku, pizzicandogli la pelle attraverso gli strati di stoffa dello yukata e facendo sorgere sulle sue labbra un nuovo urlo soffocato. ≪ È tutta colpa tua se sono così stanco. ≫

Izuku ricadde sul tappetto di erba e petali, ridendo e contorcendosi sotto la pressione dei polpastrelli caldi di lui che gli solleticavano i fianchi e risalivano lungo il petto. ≪ Kacchan. Ti prego! ≫ Gli occhi verdi socchiusi, annebbiati di lacrime non versate, fissarono il viso in ombra di lui che si apriva in un sorriso impertinente che fece divampare il rosso delle sue iridi. ≪ Adesso non fai più tanto lo spiritoso, eh piccolo insolente?

Izuku scosse la testa e rise più forte, gettando la testa indietro. La schiena che grattava contro il terreno irregolare e il corpo scosso da un tremito convulso e incontrollato che gli mozzava il respiro in gola.

A volte, gli sembrava che quello fosse stato il momento che aveva fatto deviare il suo destino dal suo sentiero prefissato, quando alzando il viso alle alte fronde e seguendo il suono beffardo della sua voce, l'aveva trovato intento a guardarlo con gli occhi rossi brucianti come fiamme gemelle e un sorriso sfrontato a illuminarne il viso di bambino. Le orecchie volpine ben tese sulla nuca e intente a cogliere il suono del respiro di Izuku che moriva sulle sue labbra schiuse per la meraviglia.

Ora, le orecchie pelose non c'erano più, così come le code, e la kitsune aveva imparato a nascondere la sua natura di yokai dietro sembianze umane. Sorrideva sfrontato davanti al suono della risata ansimante di Izuku e al suo contorcersi a terra, fra le sue cosce tese che gli chiudevano ogni via di fuga, con gli occhi baluginanti di compiacimento. ≪ Chiedi pietà, coraggio. Supplicami di smettere.

Kacchan? ≫

Il suo nome sulle labbra aveva un suono dolce, perfino se pronunciato con voce acuta e fiato corto per il troppo ridere. ≪ Hai vinto. Mi arrendo. ≫ Le dita che lo tormentavano arrestarono la loro corsa e lui lo guardò, seduto a cavalcioni sul suo corpo con gli occhi che divampavano di compiacimento nelle ombre e un sorriso sulle labbra. ≪ Così va meglio, Deku. Molto meglio.

Lo sfondo del glicine alle sue spalle conferiva una sfumatura rosata alla punta argentea dei suoi capelli, gettando un'ombra sui bei tratti del volto. Izuku si rilassò sotto di lui, ansimando per il troppo ridere e tese le mani per toccargli le guance con i palmi caldi, gli occhi verdi scintillanti fissi nei suoi. ≪ Sei terribile, Kacchan. Terribile per davvero. Non c'è nulla da fare con te.

Era diventato un giovane uomo così bello che a volte gli sembrava impossibile credere che lui fosse reale e si trovasse al suo fianco. ≪ Ma sei anche la cosa più bella che abbia mai visto. ≫

A volte, gli veniva più facile credere che non fosse altro che un sogno, il frutto della sua fervida immaginazione o il divampare di un lampo di follia che piegava la realtà al suo volere. Nulla di più dell'immagine sfuggente di una volpe che scivolava ai margini del suo giardino con il pelo soffice come tarassaco fra le foglie e le radici.

Ma poi, lui gli sorrideva in quel modo, con l'angolo della bocca che formava una fossetta adorabile e gli occhi scintillanti di malizia e Izuku si diceva che non avrebbe mai potuto avere così tanta immaginazione da creare qualcosa di così bello e sfrontato. Non avrebbe mai potuto concepire il graffiare basso della sua voce nell'aria calda che sussurrava ≪ Certo che sì. Ti pare che qualcuno potrebbe reggere il confronto con il sottoscritto? ≫ o il suo profumo muschiato che gli si impigliava dentro, facendogli battere più forte il cuore.

Il sorriso sulle labbra di Izuku si inclinò. Disegnò con la punta delle dita le rotondità delle sue orecchie e scese a sfiorare la pelle calda sotto il lobo prima di affondare le mani nella morbida massa di capelli e trarlo a sé. ≪ Bellissimo. ≫ sussurrò e le sue labbra si tesero in un sorriso che accese il verde dei suoi occhi di riflessi più caldi mentre guidava il viso di lui sul proprio fino a sentire la carezza delicata del suo respiro sulla pelle. ≪ E mio. Il mio Kacchan dagli occhi di fuoco.

Il rossore sulle sue guance non poteva essere frutto della sua immaginazione o di un gioco di luci, così come il suo sapore che gli solleticò la pelle, insinuandosi nella bocca socchiusa e pungendogli la lingua con un alito soffocato da un verso strozzato. Il rosso delle iridi di lui divampò come fuoco, orlandosi di ombre scure e profonde prima che le palpebre calassero con un battito delle corte ciglia bionde e la sua bocca premesse su quella di Izuku con prepotente sicurezza, quasi volesse imprimerli sulla pelle il significato recondito di quelle parole.

Izuku ne catturò il sapore e inghiottì la sostanza, lasciandosi guidare dalla morsa calda che gli serrava il ventre e faceva inarcare con dolcezza la sua spina dorsale contro il corpo caldo e solido di lui. Le mani affondarono fra le morbide ciocche bionde dei suoi capelli e le lingue si spinsero a cercarsi e intrecciarsi nel calore delle bocche congiunte.

Mio, sussurrarono le sue labbra muovendosi su quelle di lui. Mio, recitavano le mani che correvano sul tessuto dello yukata e ne aprivano i lembi, esponendo la pelle nuda del torace al tocco caldo delle sue dita e al suo respiro rapido che gli sfiorava il collo, facendo battere più forte il suo cuore nel petto.

Izuku sapeva che non aveva bisogno di parole, la sua volpe, per parlargli. Non ne aveva mai avuto bisogno nemmeno quando erano due bambini che giocavano a rincorrersi e sfidarsi fra le fronde di bassi cespugli spinosi e radici contorte che emergevano dalla morbida terra.

Da ché ne avesse memoria, aveva sempre colto interi discorsi dal modo in cui faceva ondeggiare le sue code voluminose e arricciava il muso affilato; dal modo in cui le sue orecchie triangolari fremevano nell'aria e gli occhi rossi lo guardavano correre per il giardino, fendere le acque cristalline del laghetto o arrampicarsi fra gli alti rami e il tetto spiovente della sua dimora per poi fermarsi ad ammirare il mondo che si distendeva davanti ai suoi occhi da quei punti di osservazione privilegiati.

Resta sempre con me, Kacchan. ≫ sussurrò sulla bocca di lui con un filo di voce rauca e il rosso delle iridi della kitsune divampò come lingue di fuoco all'ombra odorosa del glicine. ≪ Sempre. ≫ mormorò con un mezzo sorriso a curvare la bocca umida di baci. ≪ È una promessa.

Izuku ispirò, sollevato. ≪ Una promessa. ≫

Il tocco delle sue mani sul corpo e il sapore delle sue labbra erano un incantesimo che si rinnova e rafforzava, intrecciandosi ai ricordi. ≪ Un giuramento.

La sensazione di seta dei suoi capelli fra le dita e l'odore di glicine nell'aria calda, una malia che era stata gettata sulla sua stessa anima molto tempo prima. La forza misteriosa che aveva fatto deviare il cammino della sua sorte per una diramazione che non sarebbe dovuta esistere e che aveva preso consistenza quel pomeriggio lontano in cui si erano guardati attraverso le fronde del glicine, pensando che quella fosse la fine della loro storia.

Là dove tutto aveva avuto inizio e dove tutto lo riportava sempre, all'ombra degli alti rami del glicide che ondeggiavano sulle rive scintillanti del lago.

 

🦊🦊🦊

 

Quel pomeriggio, il dolce profumo dei fiori in sboccio era reso più inebriante dai raggi caldi del sole che picchiava inclemente. La primavera giungeva al termine e la canicola dell'estate alle porte asciugava la rugiada raccolta nei boccioli azzurrognoli della nemophila in fiore.

Izuku aveva passato più di un'ora a ispezionare il giardino sotto i raggi caldi con il sudore che gli inumidiva il colletto dello yukata e gli scivolava lungo la pelle, appesantendo i riccioli scuri che cadevano a sfiorargli il volto. Aveva frugato in ogni cespuglio e dietro ogni masso, con una ruga contrariata a segnare lo spazio fra le sopracciglia e un'ombra di malumore crescente sul viso, alla ricerca della palla di stoffa che era scomparsa.

Era sicuro di averla lasciata sul prato quando era corso dentro, accaldato e madido di sudore, a bere una limonata fresca che gli desse sollievo dalla calura soffocante che gli appiccicava il tessuto leggero dello yukata alla pelle e gli arrossava le guance.

Si era attardato a scambiare qualche parola con la cuoca, intenta a pelare le patate per il pranzo mentre Miruku sorrideva, strizzandogli l'occhio con fare complice. L'aveva guardata divertito far cadere a terra un coltello con un colpetto del gomito e chinarsi a raccoglierlo, fra le invettive della vecchia Saori, per infilare una mano dentro la tasca del grembiule senza farsi vedere e trarne fuori un biscotto di pasta frolla ancora fumante, avvolto in un fazzoletto protettivo.

Izuku l'aveva prontamente nascosto nelle pieghe della veste senza farsi scoprire, un lieve sorriso sulle labbra e un brivido di emozione a corrergli lungo la schiena per quel piccolo gesto segreto fra loro. Era tornato in giardino godendosi ogni morso, la pasta frolla che gli si scioglieva in bocca e il passo saltellante che seguiva il ritmo di una filastrocca che gli vorticava nella mente, solo per fermarsi davanti al prato vuoto e scoprire che la sua palla era svanita nel nulla.

Gli occhi verdi avevano fissato increduli i fili d'erba fra la ghiaia ed erano corsi dubbiosi a guardare tutt'intorno, certi di aver mancato di poco il posto in cui l'aveva lasciata. Ma la palla era sparita. Non ce n'era alcuna traccia e nessuno dei servi che si trovavano nei paraggi sembrava saperne nulla.

≪ Dove accidenti è finita? ≫ borbottò fra sé, pestando i piedi sul soffice tappeto di foglie e scrutando in un cespuglio di more. La manica della veste si era rovinata per tutte le volte che l'aveva agganciata a qualche ramo spinoso e fili argentei pendevano dal grigio scuro della seta leggera.

Izuku sbuffò, liberandola con le piccole dita dall'appiglio dei ramoscelli sottili e arricciando le labbra in una smorfia seccata quando il tessuto si strappò. Riusciva già a sentire il risuono dei rimproveri che gli sarebbero piovuti addosso da tutte le parti per aver rovinato la pregiata stoffa, ma la cosa che avrebbe allarmato di più sua madre sarebbero stati i piccoli graffi rosati che gli segnavano la pelle chiara delle mani e delle braccia. Bruciavano d'infiammazione là dove la resina aveva lasciato una traccia, asciugandosi all'aria calda.

La suola in legno dei geta strusciò contro il ghiaietto mentre continuava a gironzolare per il giardino, andando a smuovere il manto di foglie e petali che rivestivano il terreno man mano che si avvicinava al limitare del bosco.

Sotto le alte fronde degli alberi, la luce filtrava in pagliuzze dorate che sfioravano i bassi rami dei cespugli e le contorte radici, distendendo ombre contorte che celavano gemme colorate di fiori in sboccio. Il blu delle nemophila e il rosa pallido della camelia, la sfumatura violacea del glicine i cui petali si impigliavano agli ispidi aghi dei cespugli e si infilavano sotto le contorte radici che sbucavano dal terriccio.

Il bagliore giocoso del sole gli colpì gli occhi verdi, accecandolo con il riflesso azzurrino delle acque del lago e lo costrinse a portarsi una mano al volto. All'ombra di una grossa radice, fra le frasche di una felce che protendeva le sue ampie foglie sulla corteccia candida, Izuku intravide la sfumatura rossiccia della sua palla giacere contro il tronco contorto della maestosa pianta di glicine che dominava lo spiazzo accanto al lago.

≪ Eccoti! ≫ strillò esultante, correndo in avanti. Si sedette sui talloni per sfilarla dal cantuccio di radici con le mani coperte di graffi, la veste che scivolava a sfiorare il tappetto di petali e foglie che rivestiva il terreno e l'odore penetrante della foresta a riempire l'aria calda con la sua fragranza pungente. Da qualche parte, fra i contorti rami delle piante, gli uccelli cantavano e frullavano le loro ali in una melodia gioiosa che si confondeva con il gorgoglio pacifico delle acque placide del lago alle sue spalle.

≪ Ce ne hai messo di tempo ad arrivarci. È più di un'ora che sta lì. ≫

Una voce estranea risuonò nell'aria calda come il frusciare del vento fra le foglie, insinuandosi al di sopra degli altri suoni e facendo guizzare i muscoli della schiena di Izuku. Tutto il suo corpo si tese e immobilizzò. La corteccia del glicine rivelava macchie verdognole e marroncine di muschio acerbo che le iridi scure fissarono mentre i suoi occhi si sgranavano lentamente.

Il respiro gli morì in fondo alla gola e un brivido scaturì dal fondo del ventre, afferrandogli il petto al suono di quella nota disattenta che traspariva dalla voce graffiante del vento. ≪ Pensavo l'avresti trovata prima. In fondo, stavolta ho scelto un posto facile dove lasciarla. ≫

Izuku si voltò a scrutare il bosco oltre il tronco degli alberi, la fitta penombra che avvolgevano ogni cosa come una coperta e la luce del sole che la tagliava con lame dorate dentro cui scintillava e danzava il pulviscolo.

≪ O è stato questo a darti problemi? ≫ gli domandò la voce, abbassandosi di tono. Una bassa risata derisoria vibrò fra le fronde degli alberi, piovendo su di lui con un brivido inquieto che scaturì dalla base del collo per esplodergli in una scossa di energia elettrica che si riversò sulla spina dorsale.

≪ Troppo abituato al tetto ripido della casa? ≫

Izuku si voltò di scatto e fissò con occhi sbarrati i margini del giardino al suo fianco, voltando la testa prima da un lato e poi dall'altro, senza trovare null'altro che la distesa di erba secca e ghiaia che si stendeva fino ai margini del bosco e la lunga distesa del giardino bruciato dal sole.

Uno sbuffo seccato si insinuò fra le spire del vento. ≪ Dove stai guardando, esattamente? ≫

La voce risuonava alle sue orecchie come se provenisse da ogni parte e da nessuna. Non riusciva a capire da dove venisse. Il cuore di Izuku batteva con forza contro lo sterno. Alle sue spalle, il lago gorgogliava, sfiorando con le sue acque le pietre grigie che ne segnavano il confine e inumidendo la terra intorno.

Izuku si alzò sulle gambe tremanti e deglutì, trattenendo quasi il fiato nel rovesciare la testa riccioluta indietro e guardare in alto. Là fra le fronde intrecciate del glicine e i petali violacei che formavano mille ghirlande come un cielo rosato appartenente a un mondo fantastico, un bambino sedeva con la schiena poggiata al tronco principale. Una gamba lasciata penzolare pigramente nel vuoto e un sorriso sornioso al di sotto degli occhi di brace.

≪ Ciao, piccolo piantagrane. ≫ sussurrò con una nota bassa nella voce graffiante e il sorriso sulle labbra si tese, le voluminose code sotto di lui ondeggiarono gioiose nell'aria mentre le orecchie volpine fremevano.

Izuku avvertì il respiro morire sulle labbra con un battito violento del cuore. La palla che teneva fra le mani gli scivolò via e cadde con un tonfo sul tappeto di petali. Lo stupore che si dipinse sul suo viso fece ondeggiare divertite le lunghe e folte code della volpe nell'aria calda, densa dell'odore dolciastro dei fiori in sboccio.

Nel rosso delle sue iridi divampò il compiacimento, il guizzo di un fuoco silenzioso che gli illuminò il viso in ombra, sfiorato dalle pagliuzze di luce solare che accendeva il biondo dei suoi capelli di riflessi argentei. ≪ Ti sei per caso morso la lingua? ≫ rise, gettando la testa indietro e lasciandogli intravedere il lampo candido di un canino appuntito. ≪ Dopo tutto il tempo che hai trascorso a corrermi dietro, non hai nulla da dirmi? ≫

Le labbra di Izuku si schiusero senza una parola. Gli occhi verdi fissarono il bambino seduto sull'intreccio di due rami, le sue orecchie triangolari che spuntavano dalla massa di biondi capelli e si tendevano a cogliere il suono sibilante del suo respiro che tornava a riempirgli i polmoni. L'ondeggiare pigro delle sue voluminose code che pendevano fra le ghirlande di glicine e cadevano al di sotto del piedino nudo di lui, penzolante nel vuoto.

Quello fu il momento che si impresse a fuoco nella sua mente, l'avvenimento che fece deragliare il suo destino verso una strada imprevista. Fino a quel momento, avrebbe ancora potuto essere qualcun altro. La persona che suo padre desiderava che fosse, l'uomo che i suoi genitori volevano che diventasse.

Avrebbe ancora potuto lasciarsi alle spalle la volpe, come un sogno infantile che sfumava alla luce della maturità giovanile e trovare il suo posto accanto alla piccola borghesia, innamorarsi di qualche bella ragazza, mettere su famiglia e portare avanti i sogni e le speranze dei suoi genitori.

Il futuro che avrebbe dovuto appartenergli.

Tutto quello che sarebbe potuto essere, il giovane uomo che si sarebbe sentito a suo agio seduto fra i suoi simili, svanì nel momento in cui aprì la bocca con un sospiro soffocato e mormorò incredulo. ≪ Sono tre. ≫

Il sorriso sul viso della kitsune si inclinò, le voluminose code rallentarono il loro ondeggiare nell'aria, sotto gli occhi verdi di Izuku che non riusciva a smettere di seguirne il movimento ipnotico. ≪ Credevo fossero due. ≫ sussurrò incredulo, le mani che si chiudevano e aprivano in un gesto involontario come a inseguire la sensazione immaginaria di affondare le dita nella morbida pelliccia dorata di cui erano ricoperte. ≪ Ma sono tre. ≫

Come aveva fatto a non accorgersene?

Gli occhi rossi si socchiusero e un'ombra calò sul viso del bambino biondo, inasprendone l'espressione. ≪ Oi, ≫ l'apostrofò con una nota dura nella voce graffiante, quasi animale. ≪ Te lo dirò una sola volta perciò ficcatelo bene in testa, ragazzino, le mie code... ≫

≪ Izuku? ≫

La voce dolce di sua madre risuonò nell'aria calda e fece sussultare entrambi, spezzando le parole sulle labbra della kitsune che alzò di scattò il volto per scrutare con occhi socchiusi il giardino.

Izuku si voltò di scatto con il cuore che batteva forte nel petto. Sua madre incedeva sul prato con le vesti dipinte di splendidi fiori di ciliegio che gli fasciavano le forme e i lunghi capelli neri lasciati sciolti sulle spalle, tenuti lontani dal viso sorridente da un fermaglio d'argento. ≪ Che cosa stai facendo, tesoro mio? ≫

La voce dolce di sua madre e il suo sorriso pieno di calore facevano luccicare il verde dei suoi occhi come pietre preziose che catturavano le pagliuzze di luce solare filtranti dagli alti rami. ≪ Hai trovato la tua palla o devo mandare Mitsuku a comprartene una nuova? ≫

Sulla cima degli alberi un fruscio di stoffa si confuse al morbido ondeggiare delle foglie nella brezza calda. Izuku fremette e un sorriso euforico gli curvò le labbra. ≪ Mamma. Mamma. ≫ strillò, stendendo il braccio per indicare in alto, alle frasche folte del glicine sulla sua testa, con gli occhi verdi scintillanti sotto l'ombra dei riccioli. ≪ C'è una kitsune su quel ramo. Una vera kitsune e ha tre bellissime code bionde! ≫

Sua madre si bloccò a metà di un passo. Il viso paralizzato da un'emozione violenta che lui non comprese e gli occhi verdi fissi sul viso arrossato di emozione di Izuku. Un fremito lo scosse nel congiungere le mani davanti alle labbra e lasciarsi sfuggire una risata estasiata. ≪ Pensavo che fosse una volpe, ma non è così. E parla. Mi ha parlato, mamma. La kitsune ha parlato con me. ≫

Nell'aria risuonò un sibilò feroce e gli occhi di sua madre si sgranarono, ombre scure inghiottirono il verde lucente delle sue iridi mentre sollevava lo sguardo sugli alti rami del glicide e scorgeva la figura che si muoveva a gattoni sul ramo, smuovendo le ghirlande di fiori con le tre lunghe e folte code che si rizzavano in tutto il loro splendore e le orecchie volpine tese in cima alla testa.

Il sorriso sul viso di Izuku si inclinò quando la bocca rosea di sua madre si schiuse con un tremito e il colore defluì dal suo viso per lasciare il posto a un pallore cereo. La kitsune sibilò, scoprendo i denti in una smorfia felina, gli occhi rossi socchiusi e baluginanti di luce solare e ombre.

L'urlo di puro terrore che scaturì dal fondo del petto di sua madre e risuonò nell'aria calda con tanta forza da far trasalire Izuku, lasciandolo paralizzato per lo shock, raggiunse le finestre aperte della casa e attirò la servitù. Non riuscì a cogliere a pieno l'imprecazione che sfuggì dalle labbra della kitsune sopra la sua testa né tanto meno il frusciare delle foglie quando balzò via, saltando da un ramo all'altro e mutando forma un'istante prima di toccare terra con le sottili zampe.

Inko si gettò su Izuku in un turbinio di maniche di seta nera e fiori di ciliegio, agguantandolo con mani forti che lo schiacciarono contro il suo petto morbido, sollevandolo da terra e trascinandolo via.

≪ Aspetta! ≫ gridò Izuku, tendendo la mano oltre il corpo tremante che lo tratteneva, verso la volpe dorata che sgusciò fra i cespugli e i tronchi degli alberi, agile e silenziosa come era sempre stata. Non la vide voltarsi a lanciare un'occhiata alle proprie spalle mentre la servitù accorreva, prima di svanire nel folto della foresta con le code che danzavano alle sue spalle.

Intrappolato nell'abbraccio disperato di sua madre, sollevato da terra e trascinato lungo il giardino fra le urla e la confusione, Izuku non poté fare altro che dibattersi con il viso premuto contro la fresca seta dell'abito e urlare preghiere che restarono inascoltate. ≪ Aspetta. Ti prego. Aspetta. ≫

Si ritrovò circondato dalla servitù, con sua madre che gridava parole senza senso nelle sue orecchie e la sua mano fra i riccioli scuri che premeva per tenergli la testa contro la spalla sottile mentre arrancare sui gradini di pietra, incespicando nello sfilarsi i geta.

≪ Non è come pensi. ≫ gridò Izuku con voce sottile, soffocata contro la spalla della donna e gli occhi brucianti di lacrime non versate. Un singhiozzo rotto gli sfuggì dalle labbra e risuonò sotto le urla concitate di sua madre e della servitù, perdendosi nell'aria. ≪ È sempre stata qui. L'hai spaventata, ma lei è sempre stata qui. ≫

Ma forse avrebbe dovuto dire che lui era sempre stato lì. Negli inverni inclementi degli anni passati e nelle estati piene di risa che aveva trascorso nell'inseguirla, nelle notti in cui giaceva nel suo futon tendendo le orecchie per cogliere la sua presenza nelle urla del vento e nel ticchettio della pioggia fuori dalla sua finestra.

Inko crollò sul parquet lucido del corridoio con un tonfo sordo, stringendo Izuku e chiudendosi su di lui come a volerlo proteggere da un pericolo indefinito e sconosciuto. Il corpo scosso da singhiozzi violenti che la facevano tremare, riversandosi fin dentro le ossa di Izuku. ≪ Ti prego, non fargli del male. Lui non ci ha mai fatto male. ≫

Una voce aspra risuonò al di sopra delle voci concitate della servitù, la voce di suo padre che tuonava, chiedendo spiegazioni. Ma nemmeno questo Izuku comprese. Scioccato e confuso, stretto da quelle braccia protettive che non volevano allentare la presa di pietra con cui lo proteggeva, sentì il panico montargli dentro come una tempesta e scendere lungo le guance in lacrime salate.

Che cosa aveva fatto?

Avrebbe dovuto continuare a tacere, lasciare che gli altri continuassero a non saper dare una forma allo spirito dei boschi che interferiva nelle loro vite e si muoveva ai margini del suo giardino. Avrebbe dovuto preparare sua madre alla vista della volpe con più prudenza, dipingerle le sue sembianze con i suoi racconti, ma nemmeno lui era stato preparato a vederla. Anche lui era stato colto di sorpresa da quell'incontro improvviso e insperato.

≪ Si può sapere che diavolo sta succedendo qui? ≫ tuonò suo padre, incombendo sulla figura rannicchiata della moglie come un'ombra nera dall'espressione severa e dagli occhi brucianti di furia crescente. ≪ Donna, si può sapere quale demoniaco pensiero ti ha spinto a questa sceneggiata?! ≫

Decine di voci si sollevarono all'unisono per spiegare, gridare e lamentare terrorizzate della follia che aveva afferrato la Signora della casa. Pochi avevano compreso cosa era davvero successo e poterono spiegare al Padrone come stessero le cose. Izuku non osava parlare, la gola serrata da un groppo di terrore crescente che esplose in un gemito soffocato quando sua madre sussurrò al di sotto della confusione. ≪ Gli dèi ci hanno maledetto. Una kitsune. Mio Signore, una kitsune si aggira per il tuo giardino e nostro figlio ha osato importunarla. ≫

Le sue parole erano deboli e tremanti, eppure raggiunsero le orecchie del padre di Izuku e fecero cadere il silenzio lungo il corridoio. I servi la guardarono con visi pallidi e occhi sbarrati, Izuku stesso trattenne il fiato e reclinò la testa per guardare sua madre con gli occhi verdi spalancati.

Il viso di Inko era una maschera di terrore e determinazione, le lunghe ciglia rilucenti di lacrime non versate e le labbra tremanti. ≪ Ho visto con i miei occhi lo spirito divino soffiare la sua rabbia contro nostro figlio. Se non l'avessi protetto... ≫ La sua voce si inclinò in un sospiro tremante e Izuku avvertì il brivido di gelido terrore scivolargli lungo la schiena e scuoterlo.

Non è così. Mamma, non è così. Ma nessuna parole sfuggì dalle sue labbra schiuse per lo stupore di vedere sua madre – la stessa donna che credeva negli dèi e che gli aveva trasmesso quella fede, insegnandogli a trovarli nel vento che gli sfiorava il volto e nell'ombra della montagna che incombeva su di loro – parlare con voce tremante di angoscia della sua volpe. Dipingerla come uno spirito maligno che avrebbe potuto fare loro del male.

≪ Se non l'avessi portato via... ≫ sussurrò, dipingendo il terrore sul viso severo di suo marito. Le braccia che avvolgeva Izuku serrarono la loro presa sulle sue spalle, spingendolo contro il suo petto morbido. ≪ Non oso immaginare ciò che gli avrebbe fatto. ≫

Fu in quel momento che Izuku capì cosa aveva fatto. Nel fissare il viso cereo di sua madre e venir afferrato con forza dalla mano ruvida di suo padre che lo strattonò indietro, gridando. ≪ Che cosa hai fatto, Izuku?! Cosa hai fatto? ≫

Izuku incespicò sui suoi geta, perdendone uno. Le grida di suo padre si mescolarono al singhiozzare rotto di sua madre e alla confusione di voci della servitù. Riccioli scuri caddero sul suo viso bagnato di lacrime mentre veniva trascinato da suo padre lungo il corridoio. ≪ Come hai potuto gettare una simile sventura su di noi? ≫

La rabbia che vibrava nella voce di suo padre si mescolava al panico che traboccava dai suoi occhi scuri. Sua madre tremava, inginocchiata sul parquet. Una figura vestita di nero e fiori di ciliegio che gli guardava allontanarsi tremando come una foglia. La bocca di Izuku si mosse senza pronunciare parole.

Guardò la ferita che aveva aperto nelle persone che amava e comprese cosa aveva fatto. Aveva distrutto con le sue stesse mani qualsiasi cosa fosse esistita fra lui e la volpe, il sottile legame che si era steso fra loro negli anni e l'aveva spinto a cercarla con la stessa perseveranza con cui la kitsune era tornata, anno dopo anno, da lui.

≪ Tu non ti rendi conto. ≫ tuonò suo padre, sventolando le mani in alto. Le maniche scure del suo abito ricaddero lungo le braccia asciutte a quel gesto furioso, mettendo in evidenza il candore della pelle. ≪ Hai idea di quanto siano infide quelle creature? Potrebbe dare fuoco alla nostra casa per puro divertimento e restare lì a guardarci bruciare, ridendo di noi. ≫

Lo studio di suo padre profumava di inchiostro e olio bruciato, ma Izuku non riusciva a concentrarsi su nient'altro che non fosse il tremito che lo scuoteva. ≪ Non ci ha mai fatto del male. ≫ sussurrò con voce tremante, sbirciando l'alta figura di suo padre da sotto la punta dei riccioli scuri che gli coprivano la fronte. ≪ Fin ora, non ha mai... ≫

≪ È uno yokai, Izuku! Non gliene importa nulla degli uomini. ≫ urlò suo padre, facendogli balzare il cuore in gola per lo spavento. Izuku si rannicchiò su sé stesso, le gambe tremanti e le mani strette a pugno lungo i fianchi. Avrebbe voluto gridare, piangere e lottare. Dire a suo padre che si sbagliava e che la volpe non era come i mostri di cui parlavano le leggende.

Non avrebbe mai preso possesso del corpo di un essere umano senza il suo consenso o dato fuoco alla loro casa. Non avrebbe mai fatto loro del male. Ma davanti ai suoi occhi c'era solo la paura e la rabbia che sconvolgeva gli abitanti della casa che amava e il tremito che si era impadronito del suo corpo di bambino.

≪ Non possiamo permetterci di attrarre l'odio di una kitsune. ≫ stava dicendo suo padre, misurando la stanza a grandi falcate, il viso severo pervaso di una tensione nervosa che Izuku non gli aveva mai visto dipinta in volto. ≪ No, non possiamo. Gli dèi sanno quanto potrebbe essere imprevedibile la sua vendetta. Ma forse... forse si può ancora rimediare. ≫

Il cuore gli batteva rapido nel petto, un pulsare sordo che gli procurava dolore e angoscia. Suo padre non era mai stato tanto furioso con lui come in quel momento. Misurava la stanza a grandi falcate alternando rimproveri e ragionamenti a bassa voce, chiedendogli come gli fosse saltato in mente di importunare uno yokai e attrarne lo sfavore. ≪ Potremo perdere tutto quello che abbiamo solo perché tu hai osato mancargli in rispetto. No, non possiamo lasciare che accada. Dobbiamo rimediare all'affronto e sperare per il meglio. ≫

Non c'era bisogno che gli dicesse a parole quanto l'avesse deluso, Izuku lo capì dal modo in cui lo guardò. Dalla linea dura della sua bocca sottile che si muoveva appena nel parlare e che scavava un vuoto nel suo petto.

≪ Porgerai le tue scuse alla Kitsune. Pregherai perché ti perdoni e ci risparmi. ≫ Gli occhi neri di suo padre avvamparono come inchiostro versato su una pagina, procurandogli una stretta al cuore. ≪ E poi, lascerai questa casa. Andrai a stare dai tuoi nonni finché non saremo certi che le acque si siano calmate. ≫

Izuku emise un verso strozzato, la bocca arricciata in una smorfia d'orrore. ≪ No. ≫ gemette, indietreggiando di un passo come se potesse sfuggire a quelle parole e alla loro sentenza. ≪ Questa è la mia casa. È l'unica casa che conosco. Non mandarmi via, padre. ≫

≪ Non ho altra scelta. ≫ replicò lui, serrando la bocca in una linea dura. Gli occhi neri fissarono il volto pallido di Izuku per un'istante prima di chiudersi. Un sospiro sfuggì dalle sue labbra esangui. ≪ È l'unico modo in cui posso proteggerti. In cui posso sperare di proteggerci tutti dal potere di quella creatura. ≫

Le grandi mani di suo padre tremarono nello stringersi a pugno lungo i fianchi, alimentando l'angoscia che covava nel petto di Izuku che lo fissava con occhi lucidi e arrossati. ≪ Lo comprendi questo? Tu mi hai costretto a questo. ≫

Izuku aveva letto delle kitsune sui libri, delle storie che giravano intorno a loro e che le dipingevano come mostri capricciosi e demoniaci che avevano cercato di dominare sugli uomini, riuscendo con le loro azioni a cambiare il corso della storia.

Tamamo – no - Mae era famosa per la sua crudeltà e per aver fatto crollare interi regni. Ma non aveva mai pensato di associare quelle malvagità alla sua kitsune né visto cosa fosse la superstizione e quale potere esercitasse sulle menti degli uomini, finché suo padre non riaprì gli occhi e lo guardò. ≪ Sarebbe bastato che tu stessi lontano da quello yokai per evitarlo. Ora capisco perché accadevano tante cose strane in questa casa, ti stava avvertendo di aver superato il limite. ≫

Izuku sussultò come se l'avesse colpito e gli occhi pieni di lacrime si sgranarono mentre guardava suo padre stagliarsi contro la luce del sole che filtrava dalla finestra chiusa alle sue spalle. In quelle poche ore di panico e furia che intercorsero fra il suo incontro con la Kitsune e il momento in cui venne trascinato da suo padre nello studio, Izuku si sentì travolgere da un'angoscia paralizzante che gli levava il fiato.

I suoi deboli tentativi di protestare e ribellarsi si infransero contro un muro. I giudizi di suo padre erano assoluti, un bambino che sapeva così poco del mondo non poteva pensare di lottare contro di essi e fecero nascere in lui un pensiero angosciante. E se si fosse sempre sbagliato? Se la kitsune fosse sempre stata infastidita da lui e si fosse mostrata solo per attaccarlo o ammonirlo?

Sua madre lo guardava angosciata venir vestito della sua veste più pregiata, riservata alle funzioni religiose, e se nemmeno la sua fede lasciava spazio a un dubbio nei riguardi della volpe che per tanti anni aveva abitato ai margini della sua vita, Izuku non vedeva via di fuga.

Camminò accanto a suo padre, trattenendo le lacrime. La sua enorme mano che stringeva quella piccola e graffiata di Izuku con tanta forza da fargli male e dargli la sensazione che volesse trattenerlo dallo scappare piuttosto che accompagnarono. Izuku non protestò né tentò la fuga, seguito com'era da una fila di servi in cerimonioso silenzio e affiancato ai due lati da entrambi i genitori.

Le lanterne nelle loro mani ondeggiavano nella luce del pomeriggio inoltrato, la loro debole luce inghiottita da quella del sole morente. Portarono le loro offerte ai margini del bosco e le disposero in silenzio, con gesti lenti e cerimoniosi, le teste chine e gli occhi bassi. Izuku osservò con amarezza crescente le mani di suo padre accendere l'incenso rituale e lasciarlo bruciare nella ciottola di terra cotta, le ampie maniche che frusciavano sull'erba secca e l'espressione grave sul suo viso.

Se ti ho recato disturbo, mi dispiace. Io... volevo solo continuare a giocare con te. La bocca gli si contrasse in una smorfia scontenta quando dovette farsi avanti per posare il rotolo su un piccolo altare di legno nero e protrarsi davanti ad esso fino a toccare con la fronte il tappetto di foglie. L'odore della terra gli riempì il petto. Ci si sente così soli in questa casa, a volte.

Le unghie grattarono sul suolo morbido e Izuku sentì le lacrime pungergli gli occhi serrati. Suo padre incombeva su di lui, inginocchiato al suo fianco con la schiena dritta e il viso severo. ≪ Leggi la lettera ad alta voce per lui. ≫ ordinò e Izuku percepì il respiro dei presenti mutare.

Il sole tramontava oltre le vette delle montagne, dipingendo di mille sfumature di rosso le acque del lago. ≪ Spirito Antico che abiti questi boschi, perdona... ≫ La sua voce risuonò nell'aria, sottile e incerta come quella di un bambino spaesato solo per spezzarsi al tocco della mano di suo padre che si posava sulla sua schiena.

Il suo peso e calore avrebbe dovuto confortarlo e dargli coraggio, ma riuscì solo a rendere la stretta nel suo petto più intensa e dolorosa. Nessun bambino vuole mai giocare davvero con me o essere mio amico, ma tu hai corso con me. Mi hai mostrato quanto era limitata la mia visione del mondo e dove trovare il coraggio di superare le mie paure.

≪ Perdona questi sciocchi mortali per averti recato disturbo e aver osato offendere la tua persona. ≫ Pronunciò le parole come suo padre gli aveva insegnato qualche ora prima nel suo studio, la voce bassa e chiara e il sapore amaro dell'infelicità sulla lingua.

Erano parole formali e vuote, lontane da quello che avrebbe voluto dirgli quanto lo era la luce delle stelle dagli occhi che si sollevavano a cercarle. Eppure, le pronunciò tutte come suo padre l'aveva istruito a fare in quelle ore, inghiottendo le lacrime e l'amarezza. ≪ Accetta questi doni che ti porgiamo come riparazione per la nostra stupidità. ≫

Mi hai reso così tanto felice che avrei voluto continuare a giocare con te per sempre.

≪ D'ora in avanti avremo cura di non disturbare più la tua quiete. ≫

Si sentì ridicolo nel pronunciare ogni parola, ma era troppo amareggiato per riderne o arrossire. Non sapeva se la volpe poteva sentirlo, se poteva immaginare cosa avrebbe voluto dirgli o se era semplicemente andata via.

Nel risollevare il viso e fissare la fitta penombra del bosco sussurrò il suo addio senza dargli suono, consapevole che le parole che avrebbe voluto dirgli davvero non sarebbero mai state pronunciate se non nella sua mente. Grazie di avermi mostrato il tuo volto. Mi dispiace se per tutti questi anni sono stato un fastidio per te. Volevo solo che fossimo amici.

Lasciò che suo padre lo prendesse per mano e si lasciò trascinare lontano dal bosco. Si voltò solo una volta, giusto in tempo per vedere la sua volpe, indugiare davanti alle offerte con il pelo ispido che catturava gli ultimi bagliori del sole crepuscolare e gli occhi rossi che baluginavano di ombre come braci morenti.

Il muso affilato fremette, odorando l'aria e le orecchie di un biondo scuro e vellutato si appiattirono sulla nuca prima che Izuku scomparisse all'interno della casa, inghiottito dalla folla di persone.

Fu condotto al viale d'accesso dove una carrozza carica dei suoi bagagli l'attendeva, senza che gli fosse permesso nemmeno di cambiarsi. Due splendidi cavalli sauri fremevano, scalpitando e sbuffando. Le lucidi criniere che catturavano gli ultimi bagliori di luce.

Un servo stava accendendo la seconda lampada ad olio e si voltò a guardare il bambino, l'uomo e la donna che si avvicinavano per poi, affrettarsi ad aprirgli la porta e sistemare lo scalino davanti all'apertura.

Izuku piangeva quando salì sulla carrozza che l'avrebbe portato lontano, le spalle scosse dai singhiozzi e gli occhi verdi stanchi e appannati. Non riuscì a distinguere il volto di sua madre e di suo padre attraverso il velo delle lacrime che traboccava a rigargli le guance arrossate.

≪ Vorrei poter venire con te, piccolo mio. ≫ sussurrò sua madre, stringendoli la mano fra le sue, fresche e lisce, e portandosela alle labbra per baciarla. Alle sue spalle, suo padre teneva le mani intrecciate dietro la schiena e scosse piano la testa. ≪ Il tuo posto è qui, Inko. ≫ le disse, con una nota soffocata nella voce.

Se c'erano lacrime nei suoi occhi, Izuku non fu in grado di vederle. Avvertì la stretta nel suo petto sciogliersi in amarezza quando suo padre avvolse un braccio intorno alle spalle tremanti della moglie e chinò il viso sul suo. ≪ Un po' di lontananza gli farà bene. Lo aiuterà a diventare un uomo. ≫

Izuku non disse nulla, pianse soltanto per la tristezza di quell'addio e perché non riuscì a trovare la forza di ribellarsi ad esso. Si sentì debole e tremante, un fuscello mosso dal vento che veniva sballottato dalla carrozza in movimento, dal destino che aveva voluto prendersi gioco di lui. E continuò a piangere per gran parte del viaggio, sapendo che era tutto finito e che non avrebbe mai più rivisto la sua volpe.

Alla fine, era rimasto solo.

 

to be continued... Come nasce un'amicizia all'ombra del glicine. II

 

 

 

_________________ Angolino Lacie _____________

Dopotutto questa storia sta sfuggendo al mio controllo, dilungandosi per sentieri che non avevo previsto. ( Strano, non mi succede MAI – se chiedono. ). Mi rendo conto di aver appena spezzato in un'ulteriore terza parte un capitolo, ma quattordici pagine mi sembravano sufficienti e anche una pausa per eventuali fazzoletti sembrava indispensabile.

Spero che la storia vi stia piacendo.

Vorrei ringraziarvi di tutto cuore per continuare a leggerla, per i voti e i commenti su wattpad e le visualizzazioni e l'aggiunta nei vostri elenchi su Efp. Grazie di avere tanta pazienza e rispettare i miei tempi, a volte così lunghi da farmi sentire in colpa nei vostri confronti. Spero anche le informazioni date fin ora sulle kitsune siano chiare (nel caso, vi prego di farmelo sapere e provvederò a ritoccare il testo per spiegarmi meglio o se lo reputate più utile, aggiungere un piccolo glossario nella parte introduttiva. ).

Vorrei farle trasparire piano piano dal testo ma se non sono già abbastanza chiare fin qui è evidente che ho commesso un errore e preferisco rimediare che lasciarvi nella confusione più totale.

Grazie ancora per essere qui e al prossimo capitolo!

Baci

Lacie

 

 

   
 
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