Storie originali > Generale
Segui la storia  |       
Autore: BluCamelia    18/08/2023    1 recensioni
Anno 1994. Costretta a cambiare scuola per via della separazione dei genitori, Milly affronta il trasferimento con ironia, una certa ansia sociale e un pizzico di presunzione dovuta al suo passato di studentessa modello. Non sa che dovrà affrontare sfide che hanno ben poco a che fare con la media dell'otto.
Una delle sfide in particolare potrebbe rivelarsi troppo difficile per una liceale: il professor Vanini.
Non è una storia d'amore.
Genere: Drammatico, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Quando Alberto mi aveva beccato che guardavo il gruppo di Occhiverdi mi aveva chiesto: «Ti interessano quei ragazzi?» come se avessi rivelato un lato inaspettato della mia personalità. Vedendo il mio imbarazzo aveva fatto un sorrisetto complice e aveva lasciato cadere il discorso.

Un giorno incontrai il ragazzo misterioso alla macchinetta degli snack, una volta tanto da solo. Decisi di salutarlo. Dopotutto eravamo vicini di aula.

«Ciao.»

«Ciao. Sei nuova, vero?»

«Sì, mi sono trasferita quest’anno, mi chiamo Milly.»

«Ok.» Non mi disse il suo nome. «Be’, ti serve qualcosa?»

Mi parve che avesse dato un’intonazione particolare alla parola ‘qualcosa’ e mi sentii arrossire. Lui alzò gli occhi al cielo come se mi trovasse incredibilmente stupida e dietro di me sentii una risata femminile sguaiata. Mi girai di scatto. Figuriamoci se Labbro Gigante era lontana.

I due si dileguarono in tutta fretta e vidi che si stava avvicinando la Canè. «Hai fatto amicizia con Zanetti?» mi chiese.

«Proprio amicizia non direi» risposi, sarcastica. Non capivo perché le dovesse importare qualcosa delle mie amicizie.

«Guarda che non ti perdi niente... vieni, è ora di iniziare.»

Per fortuna le sue lezioni erano sempre abbastanza interessanti da distrarmi.

Si sedette alla cattedra e declamò:

«Allombradeicipressiedentrolurneconfortatedipiantoèforseilsonnodellamortemenduro?»

Io e Carla ci guardammo in faccia. La Canè che recitava Foscolo, doveva avere la febbre alta.

«Ti si aggroviglia la lingua solo a pronunciarlo.» Scoppiammo a ridere. «Sentite questo, invece:


The ice was here, the ice was there,

The ice was all around :

It cracked and growled, and roared and howled,

Like noises in a swound!»


E recitò alcuni versi della ballata del vecchio marinaio, con la sua voce profonda quasi maschile. Era piacevole, un po' come una campana in tono basso.

A nessuno importava veramente dell'insulto a Foscolo, comunque per spirito di contraddizione Gabriele obiettò che secondo tutti i suoi amici inglesi l'italiano ha un suono bellissimo.

«Può essere musicale quanto ti pare, ma bisogna vedere quello che ci scrivi. Qualcuno di voi ha letto Frankenstein? Cime Tempestose? Oliver Twist

Si alzarono diverse mani tra cui la mia.

«E secondo voi quanti ragazzi inglesi si sono letti I promessi sposi per divertimento?»

Tié, sistemato anche Manzoni. Leopardi, hai le ore contate!


«Leooo...» i tacchi della Colombo ticchettarono più in fretta nel tentativo di affiancarsi a Vanini. Trovava sempre qualche scusa per parlarci.

Eravamo fuori per la ricreazione e Carla imitò i suoi passetti, senza fare lo stesso rumore, visto che indossava le Adidas.

Ridacchiai. «Leo? È proprio il tipo da chiamarsi Leonardo o Leopoldo.»

«Ancora peggio, si chiama Leandro» mi informò Carla.

Si avvicinò la Guida: «In classe!» Guardai l’orologio, seccata. La ricreazione non era ancora finita. «Su, su, tutti dentro!» Non è che potevamo dirle di non rompere, così ci avviammo verso la classe.

Qualcuno mi piombò addosso. Alzai il viso per dirgli il fatto suo ma rimasi senza parole vedendo Zanetti.

«Scusa» mormorò, in tono molto più educato del solito. Quasi dolce.

Restai senza parole e prima che mi riprendessi lui si era già allontanato. Entrai in classe con passo più leggero del solito.

 Pochi minuti dopo mi fu chiaro perché i prof ci volevano seduti. Entrarono due poliziotti con cani antidroga.

«Non vedo l'ora di raccontarlo ai miei» disse Carla, ironica.

«Non dirmelo... la mia diventerà matta!» più che per il fatto in sé, perché mio padre aveva avuto ragione valutando quella scuola, ma questo non lo dissi.

I cani cominciarono ad abbaiare. Mi girai per vedere il colpevole, ma stavano abbaiando ad una delle giacche.

La mia.


Quello stronzo di Zanetti mi aveva infilato in tasca una bustina di pastiglie. La cosa più ridicola è che l'avevo vagamente sentito armeggiare intorno alla mia tasca e avevo pensato mi stesse rifilando un biglietto con il suo numero di telefono o qualcosa del genere.

Mi ritrovai dalla preside. Avevo la lingua incollata al palato. Mi sembrò che durasse tantissimo, ma probabilmente furono pochi secondi. Alla fine presi un bel respiro e dissi: «Non è mia... mentre passavo in mezzo alla folla qualcuno mi si è buttato addosso e mi ha infilato la mano in tasca.» Speravo di non dover dire di chi si trattava. Non morivo dalla voglia di spiegare i miei rapporti con Zanetti.

«Va bene, adesso ne parliamo con i tuoi genitori.» Dal tono di voce non riuscii a capire quanto mi credesse. Vidi che componeva il numero.

“Stai fresca” pensai. Mio padre era sempre irreperibile e mia madre era sempre in giro per commissioni o a colloqui di lavoro.

Qualcuno bussò, era Gabriele. La preside gli fece cenno di entrare.

Evidentemente mia madre non rispondeva, perché la preside chiuse il telefono e chiese a Gabriele cosa volesse.

Gabriele aveva visto la scena. Non il sacchetto di pastiglie, ma la mano di Zanetti nella mia tasca.

«E perché non hai avvertito Barbier?»

«Pensavo che Zanetti...» (mi stesse infilando in tasca un bigliettino?) «...magari era nei guai con i suoi... ehm, amici, e infilava le mani in tasca alla gente cercando soldi o un portafoglio. Quando ho visto che non aveva preso niente ho lasciato perdere.»

La mattinata passò senza che ascoltassi una sola parola di lezione. Stavo veramente pensando a come dirlo a mia madre.

Lei diventò di tutti colori, le si dilatarono le narici, mi parve di vederne uscire un filo di fumo, strinse la labbra, e non disse assolutamente niente. Quando cominciavo a pensare che la notizia le avesse provocato un ictus, disse: «L'anno prossimo cambi scuola.»

«Ma mamma, non...»

«Non intendevo la tua vecchia scuola, cercheremo un liceo con un ambiente migliore. Non sarà una tragedia se invece di cinque minuti di autobus ne fai venti.»

Nei giorni seguenti si parlò ancora della faccenda. Prima di tutto notai che la bionda stronza e le sue amiche mi guardavano con odio. Scottata dalla sorpresa con Zanetti, avevo deciso di basarmi meno sulle mie geniali intuizioni e parlare di più con i miei compagni, così chiesi subito a Noemi informazioni più precise.

«Quella alta e bionda è la ragazza di Zanetti, si chiama Penelope ma si fa chiamare Penny, anche lei si impasticca. Le altre due sono le sue migliori amiche.»

«Mmm... se mi chiamassi Penelope prenderei droghe pure io.»

«Vuoi sapere perché ce l'hanno con te?» Chiese Noemi, ironica.

«Zanetti ha passato guai, eh?»

«Temo proprio di sì. Oltre che drogarsi spacciava a scuola, e adesso è pure maggiorenne.»

Origliai anche una conversazione tra la Canè e il professore di religione. Lui le stava chiedendo:

«Ma se hai visto Barbier con Zanetti, perché non l'hai avvertita?»

«Illuminista che non sei altro. Dì a una ragazzina che deve stare alla larga da quel bel moro perché è un cattivo soggetto e hai fatto nascere un grande amore. Non ho detto niente perché speravo che vedendo la situazione lo lasciasse perdere spontaneamente.»

Mi seccai un po' per questa idea della Canè che mi piacesse un ragazzo solo perché era stronzo, ma alla fine dovetti ridere per quel “illuminista che non sei altro”, soprattutto rivolto al nostro prof di religione. Decisi di dimenticarmi quella sgradevole faccenda. Peccato che altri a scuola avessero la memoria lunga.

Con tutti quegli avvenimenti non mi bastava più l’ultima pagina del quaderno per i miei appunti personali, così decisi di comprarmi un diario. Non volevo un diario del cuore con la faccia di Holly Hobbie e il lucchetto; mi comprai una grossa rubrica telefonica con la copertina cartonata, e presi l’abitudine di cominciare ogni entrata con la lettera della rubrica a cui mi trovavo quel giorno.


In ogni classe ci sono dei personaggi. Alberto era il genio in matematica, Gabriele il comunista, Noemi la dea del sesso, Miriam la secchiona, Rita... be' se non ho detto niente di lei fino ad ora è perché lei era quella invisibile. Io avevo resistito un po' ma stavo già scivolando nel mio solito ruolo: quella strana.

Dal punto di vista delle amicizie non stava andando molto bene. Parlavo parecchio con Carla perché era la mia compagna di banco e con Elisa perché la sua personalità calorosa rendeva tutto facile, ma erano rimaste amicizie superficiali. Potevo sforzarmi come avevo fatto in biblioteca, ma alla fine la mia mancanza di interesse per i classici argomenti femminili veniva a galla e mi fregava. E non avevamo neanche altri interessi in comune. Anche nella vecchia scuola non avevo un'amica del cuore, però avevo fatto amicizia con le ragazze del maneggio. Ci sentivamo ancora, ma gli incontri si stavano diradando perché sentir parlare di cavalli mi faceva soffrire.

Un giorno Carla mi chiese: «Non è che preferiresti stare nel banco con Miriam?»

Risi. A Miriam stavo sulle scatole perché prima che arrivassi io era la più brava della classe. Veramente lo era ancora perché i miei voti non erano eccezionali, ma il mio successo con Vanini era un evento troppo inedito per non mettermi sotto i riflettori.

Poi dalla faccia di Carla capii che l'aveva detto sul serio.

«Ma se non mi sopporta!»

«Boh, ho pensato che magari potevate parlare di letteratura.» Cercò di pronunciare la parola 'letteratura' in modo disinvolto, ma dal tono capii che non lo considerava un argomento perbene.

Invece i professori continuavano in linea con le impressioni dei primi giorni. Italiano e latino erano una tortura, mi sarebbero serviti quegli aggeggi per tenere aperti gli occhi tipo Arancia Meccanica. Di chimica non stavamo imparando proprio niente, il professore era spessissimo assente e avevamo supplenti sempre diversi. Con Paris mi arrangiavo come potevo. Avevo scoperto che le sue lezioni erano una sorta di riassunto per chi sapeva già tutto, e leggendomi in anticipo sul libro gli argomenti che avrebbe dovuto spiegare mi trovavo meglio. Anche se di solito funziona che il professore aiuta gli alunni spiegando il libro, non il contrario. Se poi capitava che dovesse sostituire un collega o qualche altra occasione speciale ci toccava di nuovo la lettura di poesia. Gabriele disse che se Paris avesse letto di nuovo i suoi poemi apocalittici durante l'ora di fisica l'avrebbe registrato su una cassetta e fatto licenziare per infermità mentale.

Questa voce arrivò alle orecchie di Paris che si offese e disse: «Visto che volete solo lezioni ortodosse...» e raddoppiò la torchiatura in matematica e fisica.

Quanto alla zoccola artistica, si sedeva, accavallava le belle gambe, commentava la nostra abissale ignoranza, e ci affibbiava qualche compito inverosimile, sottolineando il fatto che lo faceva esclusivamente per il nostro bene. Oppure faceva di peggio.

Una volta durante la lezione di storia dell'arte, Miriam, in un tentativo di dimostrare interesse per la materia, disse che gli era piaciuta di più la Venere di Botticelli rispetto a quelle di Tiziano che stavamo studiando allora. Non aveva ancora capito che la tecnica di quella donna era invitarci ad esternare le nostre opinioni e conoscenze solo per dimostrare che non valevano niente.

«Non sarà solo perché assomiglia di più a una modella?» chiese la Colombo nel suo classico tono di disprezzo. «Al solito non fate il minimo sforzo per comprendere lo spirito dell'epoca. Allora c'era un concetto di bellezza molto diverso. Mi pare che almeno qualcuno dovrebbe apprezzarlo.» E guardò direttamente Elisa, che in tutta la classe era quella meno botticelliana e più tizianesca. Lei si alzò e uscì dall'aula sbattendo la porta. Correrle dietro per consolarla sarebbe stato come dare della stronza alla prof, così in classe ci fu un momento di imbarazzo. Aspettai pochi minuti quindi chiesi se potevo andare in bagno.

Individuai il bagno dove si era chiusa Elisa e bussai. «Eli apri, non vorrai dare soddisfazione a quella stronza? Non ha niente da fare nella vita, quando riesce a offenderci ci fa la giornata!»

«Avrà senz'altro da fare quella troia, almeno è bella» rispose lei tra i singhiozzi, da dietro la porta.

«Se fossi un uomo mi si congelerebbe solo a guardarla» dissi, in tutta sincerità. «Mia mamma si è preoccupata moltissimo per la droga; l'anno prossimo mi voglio trasferire. Ci trasferiamo insieme, eh? Cerchiamo una scuola decente. Però adesso torna in classe, falle vedere che non te ne frega niente.»

Elisa spalancò la porta così di scatto che mi colpì sul naso. Avevo portato dei fazzolettini e glieli offrii, perché stava cercando di asciugarsi gli occhi con uno dei rotoli di carta igienica di riserva.

«Per oggi l'ho vista abbastanza quella faccia di cazzo!» gridò.

Paris si affacciò appena alla porta del bagno: «Che succede qua dentro?» chiese con la sua voce affettata. Chiaramente aveva capito che stavamo parlando di un insegnante. Quel tono che trasudava ipocrisia e gioia maligna per una prevedibile punizione era giusto quello che ci voleva per Elisa.

«Uh, professore, questo è il bagno delle ragazze» dissi in tutta fretta prima che Elisa snocciolasse altri insulti.

«Lo so bene, Barbier, infatti come vedi non sono entra...» non riuscì a finire la frase perché gli arrivò il rotolo di carta igienica in faccia.

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Generale / Vai alla pagina dell'autore: BluCamelia