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Autore: BluCamelia    24/08/2023    1 recensioni
Anno 1994. Costretta a cambiare scuola per via della separazione dei genitori, Milly affronta il trasferimento con ironia, una certa ansia sociale e un pizzico di presunzione dovuta al suo passato di studentessa modello. Non sa che dovrà affrontare sfide che hanno ben poco a che fare con la media dell'otto.
Una delle sfide in particolare potrebbe rivelarsi troppo difficile per una liceale: il professor Vanini.
Non è una storia d'amore.
Genere: Drammatico, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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«Milly!» sussurrò Carla, alla mia destra.

Ancora in posizione di ricezione, con le mani unite per il bagher, mi girai verso di lei: «Co...?»

Mi sembrò di essere investita da un treno in faccia. Ma era solo il maledetto pallone.

Quel giorno la Gigli si era svegliata di buon umore, così, invece di farci correre in tondo scandendo il ritmo dei marines, ci aveva concesso l'agognata partita di pallavolo. Agognata, ma non certo da me. Ero una nemica giurata di qualunque oggetto rotondo e rimbalzante. E poi dividevamo la palestra con la V D, ovvero la classe del compianto Zanetti, e mi sentivo sempre a disagio con Penny e le sue scherane che mi guardavano come se volessero ridurmi in polpette. E, vista la mia inettitudine, con la partita avevano finalmente avuto la loro occasione. Per fortuna la schiacciata di Penny mi aveva colpito di sbieco e gli occhiali erano saltati via, invece di frantumarsi sulla mia faccia.

Lanciai uno sguardo alla prof, ma stava parlando col collega che faceva lezione ai ragazzi. Come sempre quando ci permetteva di giocare a pallavolo, se ne fregava di quello che succedeva in campo.

Raccolsi gli occhiali e chiesi a Carla: «Cosa volevi dirmi?»

«Di stare più attenta, stanno tirando su di te perché non sei forte in difesa» rispose lei. La totale mancanza di umorismo con cui lo disse suscitò varie risate tra le nostre compagne.

 «Stronzate» risposi.

Carla mi guardò scettica.

«Voglio dire, certo che non sono brava in difesa. Se è per quello faccio schifo anche in attacco. Ma mi stanno bersagliando perché sono ancora incazzate per Zanetti.»

«E meno male che qualcuno se ne è accorto» disse Noemi, riuscendo a imitare non solo le parole, ma anche il tono di disprezzo di Vanini.

«Oh.» Carla sembrava cadere dalle nuvole. «Adesso le sistemo io!» Attaccare il punto debole del nemico era strategia, ma le motivazioni personali in campo le risultavano inaccettabili. Riprendemmo la partita e cominciò a buttarmisi davanti parando tutti i tiri. Combinò un po’ di casino ed era umiliante, ma meglio delle pallonate. In attacco era già aggressiva da prima; segnò diversi punti ma quanto a dolore fisico mise a segno un solo colpo, con mia grande gioia sulla faccia di Penny. Alla fine il suo labbro superiore era ancora più gigantesco.

*

Mentre l’ambiente generale di quella scuola mi piaceva sempre di meno, le lezioni di Vanini mi piacevano sempre di più. Ormai avevo preso gusto al suo metodo e cercavo di applicarlo anche alle altre materie. Man mano che lo facevo mi accorgevo che molti fatti che prima mi sembravano non correlati o addirittura contraddittori non erano altro che due facce della stessa medaglia, finché tutte le nozioni che avevo in testa si ricomposero in una specie di quadro globale. La “logica misteriosa” di Vanini era diventata chiarissima, anzi, era diventata la mia, come se mi avesse prestato i suoi occhi. Mi sentivo come se un rituale misterioso mi avesse reso sua figlia in età adulta. Succede così quando ti vampirizzano avevo pensato, ricordando il mio paragone, e mi ero messa a ridacchiare. In realtà non c'era niente da ridere, ma ancora non lo sapevo.

La mia applicazione del suo metodo non cambiò più di tanto il mio rapporto con le altre materie, dove i professori non richiedevano tanti sforzi di immaginazione ma ci interrogavano in modo meccanico. Invece in storia e filosofia ero passata da "una scema come gli altri ma che almeno dimostra interesse" alla prima della classe. Ormai ragionavo quasi come il professore. Non solo sapevo rispondere alle sue domande, ma avrei potuto direttamente fare lezione al resto della classe con il suo stesso stile.

«Quando Alberto ha detto che gli piacevano le lezioni di Paris credevo che fosse il massimo, ma una cocca di Vanini... secondo me non fai parte della specie umana!» fu il commento di Gabriele.

Un giorno Vanini disse: «Se si potessero fondere Barbier e Di Matteo si avrebbe l'alunno che ogni professore sogna. Solo che, mentre Barbier nelle materie scientifiche è almeno dignitosa, Di Matteo in quelle umanistiche lascia a desiderare.»

«Professore, non è colpa mia se non mi piacciono. E poi all'università farò matematica, chi se ne frega se le mie ricerche saranno carenti dal punto di vista letterario.»

«Ti sbagli di grosso se pensi che il mio cruccio sia che non ti piacciono le mie materie e preferisci matematica, come se fosse una gara tra me e Paris a chi ottiene più applausi. Quello che cerco di fare è insegnarvi a ragionare, una cosa che serve in tutti i campi, comprese le scienze esatte, spero. Scommettiamo che ti faccio una domanda di matematica che richiede conoscenze di quinta elementare e che non riuscirai a rispondere?»

«Be' professore, penso proprio di riuscirci.»

«Bene, allora, se accetti la sfida...» Vanini andò alla lavagna e disegnò varie figure di dimensioni diverse, regolari, irregolari, piene, vuote, poligoni aperti e chiusi.

«Dal punto di vista geometrico, trova l'elemento comune tra tutte queste forme. Provateci tutti.»

Calò il silenzio. La mia mano era già scattata verso l'alto.

«Giù quella mano, Barbier, lo so che lo sai, ma mi sono un po' rotto le palle di sentire sempre la tua voce.» Mi scappò una risatina da oca, come se un bel ragazzo mi avesse fatto un complimento.  «Qualcun altro l'ha capito?»

Devo dire che da quando era risultato chiaro che le domande di Vanini in realtà avevano un senso, visto che di solito io riuscivo a rispondere, i miei compagni ci provavano un po' di più.

«Hanno tutte la stessa area» disse Emanuele.

Vanini si girò a guardarlo da sopra la spalla. Quando non capivamo la sua logica era abbastanza sgradevole, ma le stronzate che si sarebbero potute evitare con un po' di buonsenso lo mandavano addirittura in bestia. «E secondo te come farei a disegnare a mano libera tante figure diverse che hanno esattamente la stessa area?» chiese in tono feroce. «Comunque no, non è questo. Guarda, adesso disegno una linea retta. Area zero.» Disegnò una linea, quindi indietreggiò di un passo, ammirando il suo capolavoro, e inclinò all'indietro la lavagna, come per metterlo in piena luce.

Suonò la campanella. «Provate a pensarci e domani ne parliamo. Barbier, aspetta il più possibile prima di spifferare la soluzione... ci vediamo, ragazzi.»

Come se la classe si stesse suicidando dalla curiosità di capire i suoi ragionamenti. L’unica eccezione era naturalmente Alberto, che appena Vanini era uscito si era alzato e incombeva su di me a braccia conserte, scuro come un nuvolone. Non poteva sopportare che l'avessi battuto in matematica.

Decisi di torturarlo un po'. «Scordatelo. Proprio tu che mi prendi sempre per il culo perché mi piace Vanini... te lo puoi immaginare che farò tutto quello che dice lui!»

«Siamo amici o no?» Questa frase drammatica mi fece scoppiare a ridere, ma aveva un'espressione talmente angosciata che mi arresi.

«Oh... va bene. Le figure fanno tutte parte dello stesso piano geometrico.

Alberto rimase di stucco. «Che stronzata. Certo che fanno parte dello stesso piano, erano sulla lavagna. Dove dovrebbe disegnare, sul pavimento?»

«Sarà ovvio ma non ci hai pensato. Ti ha anche aiutato, hai visto, ha inclinato la lavagna per far vedere che ruotando il piano ruotavano tutte le figure insieme...»

«Ma vaff... » Alberto si allontanò alzando le mani in segno di disperazione e io risi di nuovo salutandolo con la mano.

Quella lezione mi fece venire in mente il libro Flatlandia e decisi di rileggerlo. Trovai che la descrizione del Quadrato trascinato nella terza dimensione dalla Sfera fosse un’ottima analogia per quello che mi era successo, e cominciati a riferirmi al metodo di Vanini come “la terza dimensione”.

Un giorno mi venne un’idea pazzesca. Vanini aveva nominato un certo Metodo del quarto ordine. Forse quarto ordine era inteso come quarta dimensione, cioè voleva dire che esisteva un metodo per salire di un altro livello e avere una visione ancora più globale? Era un’intuizione tirata per i capelli, ma non riuscii a togliermela dalla testa. Di chiederlo a Vanini non se ne parlava, aveva reagito male solo perché mi ero annotata il titolo. Alla prima occasione mi precipitai in biblioteca, ma non avevano il libro, un’edizione universitaria fuori stampa di un certo Guglielmo D’Auria. Dovetti farlo arrivare col prestito interbibliotecario e passarono altri giorni, mentre mi mangiavo le unghie dalla curiosità.


*


In questo mio nuovo stato mentale alcuni avvenimenti passarono in sordina.

Si avvicinava il mio diciottesimo compleanno. Non avevamo abbastanza soldi da affittare un locale, così decisi di invitare a una semplice cena in pizzeria la mia classe e Claudia, Eliana e Monica, le mie amiche del maneggio. Avevo invitato anche Elisa, ma era troppo incasinata. I genitori avevano accettato di malavoglia di farle finire l’anno privatamente, ma l’avevano messa in punizione per la sospensione.

I miei non accennavano a riconciliarsi. Non vedevo mio padre in faccia da mesi e, anche se a pensarci mi sembrava incredibile, mi stavo abituando. Quando al telefono mi chiedeva ironicamente se mi mancava il cavallo gli rispondevo tutta dolce che il pomeriggio facevo la baby sitter per pagarmi le lezioni.

In realtà ci avevo pensato ma non avevo trovato niente, e poi non avevo tempo. Il pochissimo tempo libero che mi restava dopo la maledetta scuola e i maledetti compiti era occupato dalla mia nuova ossessione. In realtà il libro di D’Auria era stato una delusione totale; era scritto in un linguaggio molto specialistico e anche dopo aver cercato i termini nuovi sul dizionario filosofico non afferravo il senso complessivo. Comunque non volevo arrendermi e mi fotocopiai tutte le ottocento maledette pagine.

*


«Il regalo più egoista che si sia mai visto» disse Claudia porgendomi una busta da lettera con un fiocco dorato. Lei, Eliana e Monica si guardavano l'un l'altra un po' incerte, come se non fossero affatto sicure che il regalo mi sarebbe piaciuto. I miei compagni di classe guardavano la busta con curiosità.

La aprii. Erano dieci lezioni al maneggio. Capii che avevano paura che mi offendessi. Invece mi vennero le lacrime agli occhi dalla felicità e le abbracciai. «Ma perché avete detto che è un regalo egoista?»

«Perché te l'abbiamo fatto per vederti un po' più spesso!»

La festa stava andando bene. Dopo molto tempo mi sentivo di nuovo un essere umano; ero andata dalla parrucchiera e i miei capelli erano di nuovo di un biondo uniforme e perfettamente lisci. Non avevo voluto vestirmi in modo troppo elegante per una pizzeria e portavo un vestito corto in diverse sfumature di azzurro su fuseaux e scarpe col tacco basso. Noemi non si metteva di questi problemi: indossava un vestito rosso scollato con uno di quei nuovi Wonderbra che era l'ultima cosa di cui avesse bisogno. Ma la vera sorpresa era stata Carla, con una gonna, un po’ di trucco e i capelli finalmente a posto. Era buffo accorgersi che in realtà con un minimo sforzo Carla e Miriam (sì, era venuta anche lei) erano più carine di Noemi, che al netto di quei tacchi vertiginosi era bassottina con un fisico tarchiato.

«Sei bellissima!» dissi a Carla. «Peccato, avevo invitato anche Andrea Giani ma era occupato!»

Lei mi diede una delle sue pacche amichevoli che rischiavano di rovesciarmi a terra.

All'inizio ero un po' nervosa perché la mia classe e le mie vecchie amiche non mi sembravano molto compatibili, ma alla fine i miei compagni erano a posto e Claudia, Eliana e Monica non erano affatto snob. Al maneggio c'erano un sacco di oche montate ma con loro non avevo certo fatto amicizia.

Anzi, da quell’incontro rischiava di nascere qualcosa di buono.

Carla si sporse verso di me e sussurrò: «Gabriele ci sta provando con Eliana.»

«Lo vedo. Poveraccia, è un’ora che la bombarda con nomi di gruppi ma lei non ne conosce neanche uno.»

«E certo, sono gruppi che suonano nei centri sociali... Eliana non mi sembra il tipo.» Ridemmo.

Carla avvicinò ancora di più il viso al mio e capii che era arrivato il momento che odiavo in ogni nuova amicizia: «Ma hai gli occhi azzurri? Non l’avevo notato!»

Ho gli occhi azzurro scuro, ma avendoli da brava miope un po’ infossati e sempre nascosti dagli occhiali non risaltano per niente. Per quella serata mi ero concessa le lenti a contatto; mi davano un po’ fastidio, quindi le riservavo al maneggio e alle uscite con gli amici. Ma sentir ripetere continuamente che uno dei miei pochi pregi fisici era destinato a restare nascosto mi dava sui nervi.

E c'era qualcos'altro che stava peggiorando il mio umore.

Guardai l'orologio. Mezzanotte e dieci. Il giorno del mio compleanno era ufficialmente finito. Presi la borsetta e mi diressi al telefono a gettoni del locale.

Dovetti contare un sacco di squilli, ma alla fine mio padre rispose, un po' irritato e un po' spaventato per una telefonata a quell'ora. «Ma chi è?»

«Grazie degli auguri per il mio diciottesimo compleanno» dissi, acida.

«Lilly? Tesoro, scusa, me ne sono dimentica...» sbattei giù la cornetta.



   
 
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