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Autore: Shainareth    25/08/2023    1 recensioni
[Gundam SEED Destiny] Quel pensiero la incupì ulteriormente: Athrun era un mago nel colpevolizzarsi per errori che magari neanche aveva commesso. Era riuscita a salvarlo per il rotto della cuffia quando aveva deciso di farsi saltare in aria con il Justice nel tentativo di distruggere il Genesis voluto da suo padre; e si era ritrovato coinvolto in buona fede nelle meschine manipolazioni di Gilbert Dullindal sempre per via di quel dannato senso di responsabilità che si era cucito addosso.
Le venne da ridere, rendendosi conto di quanto lei stessa fosse ipocrita: non si trovava forse lì, a capo degli Emiri, perché stava facendo le veci dell’uomo che l’aveva cresciuta? Nel bene e nel male, le eredità paterne di entrambi pesavano come macigni.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO SECONDO
 


Nelle orecchie gli riecheggiò l’urlo lontano di Cagalli e lui sussultò, spalancando di colpo gli occhi. Ci mise un attimo per riacquistare la lucidità necessaria per accorgersi che lei era lì, intenta ad accarezzargli il capo. Cercò di metterla a fuoco: aveva pianto. Parecchio, anche, a giudicare dalla sua espressione devastata. Eppure, nonostante lei avesse i capelli scarmigliati, il trucco sbavato e gli occhi rossi, Athrun abbozzò un sorriso. «Sei… bellissima.»
   Lo disse con una sicurezza tale che Cagalli fu costretta a mordersi il labbro inferiore per impedirsi di sciogliersi di nuovo in lacrime. «E tu uno stupido», trovò la forza di dire, pur con voce malferma e qualche secondo di ritardo. Athrun rise e quello sforzo gli costò una fitta alla spalla. Lei si fece più vicina, inginocchiandosi al suo capezzale. «Non muoverti troppo», gli raccomandò in tono dolce e apprensivo a un tempo, tornando ad accarezzarlo.
   «Non sto male come sembra», la rassicurò lui, sebbene il dolore sordo e la spossatezza generale lo smentissero appieno. «Tu stai bene?» La vide annuire e chinarsi per baciargli la fronte. Il contatto delle sue labbra sulla pelle fu più efficace degli antidolorifici che i medici gli avevano somministrato fino a quel momento. «Lo hanno preso?»
   «No», sospirò Cagalli, tornando a sedere sul bordo del letto. Tirò poco elegantemente su col naso e si stropicciò un occhio, impiastricciandosi il viso più di prima. «Ma confido riescano a farlo il prima possibile. Ho bisogno di cavargli i denti di bocca. Uno a uno. Personalmente.»
   Athrun le resse il gioco. «Magari sarebbe il caso di fargli sputare prima le sue motivazioni e un eventuale mandante. Poi anche i denti.» Lei si lasciò scappare una risatina isterica e il giovane provò un miscuglio di tenerezza e sensi di colpa: sebbene avesse giurato a se stesso che non sarebbe più capitato, l’aveva fatta piangere di nuovo. Sapeva di non essere il vero responsabile di quelle lacrime, non stavolta, ma c’era anche possibilità che il proiettile che aveva intercettato facendole da scudo con il proprio corpo fosse indirizzato a lui e non a lei.
   Non era una ferita mortale, ma aveva comunque destato qualche preoccupazione perché la pallottola era rimasta all’interno e pertanto avevano dovuto operarlo d’urgenza, anche e soprattutto per via della grande quantità di sangue che aveva inaspettatamente perso. Osservò l’accesso venoso che aveva al braccio e dal quale scendeva la flebo che gli era stata cambiata non molto tempo prima. Ricordava vagamente anche una sacca di plasma, ammesso che non l’avesse sognata nei fumi dell’anestesia. Si sentiva ancora stordito, ciò nonostante provò ad alzarsi a sedere.
   Sapendo di combattere contro un mulino a vento, Cagalli lo assecondò, spingendolo contro il materasso e armandosi di telecomando per alzare lo schienale del letto. «Eppure ormai dovresti essere pratico di questi affari, dopo tutte le volte che ci sei finito sopra», borbottò infastidita.
   «Tendo a rimuovere i ricordi spiacevoli.»
   «Davvero?» ribatté sarcastica, mentre gli sistemava i cuscini dietro la testa.
   Athrun dovette fare mea culpa, ammettendo che Cagalli lo conosceva come le sue tasche. La prima cosa a cui aveva pensato, al momento dell’attentato, era che fosse opera dei seguaci di suo padre. Solo dopo si era reso conto che, almeno su Orb, era assai improbabile incontrarne. Era invece più attendibile la pista dei Blue Cosmos.
   «Dovresti andare a casa a riposare, io ormai sto bene», disse. Che ore erano? Dalle tende socchiuse filtrava la luce del giorno, quindi dovevano essere ormai passate diverse ore da quando si erano accinti a uscire dal ristorante con uno stato d’animo più rilassato di quello con cui vi erano entrati. E l’avevano pagata cara.
   In quanto Capo di Stato, Cagalli aveva le sue responsabilità a cui far fronte, soprattutto dopo quanto accaduto. «Non ne ho il tempo», rispose infatti con un sospiro. «Devo prima incontrare gli altri Emiri, riferire quanto accaduto e fare il punto della situazione.» Esitò, stringendo le labbra. Infine parlò: «Sei pentito?»
   «Di essermi preso una pallottola al posto tuo?» domandò l'Ammiraglio, pur immaginando che non lei non si stesse riferendo a quello.
   «Athrun...»
   Le prese la mano nella propria e la strinse, fissandola dritta negli occhi lucidi. «Ho scelto consapevolmente di rimanere a Orb, di starti accanto e aiutarti a portare avanti gli ideali di tuo padre, qualsiasi cosa accada», replicò con sicurezza. «Perciò no, non sono pentito. Che questa ferita sia stata causata dai Blue Cosmos o dai folli seguaci del mio, di padre, non potrebbe importarmene di meno. Ti aiuterò a trovare i colpevoli, chiunque essi siano. E ti giuro che non avranno vita facile.»
   Commossa, Cagalli sorrise e si chinò nuovamente su di lui, questa volta baciandogli le labbra con tenerezza.
 
Quando richiuse la porta alle sue spalle, trovò le guardie sempre lì, al loro posto. Era una misura necessaria, soprattutto fino a che non fossero venuti a capo della situazione, riuscendo a scoprire quale fossero il movente e l’obiettivo di quello che sembrava essere un attentato in piena regola. Nessuna ipotesi poteva né doveva essere esclusa a priori, pertanto non erano solo i Blue Cosmos o i seguaci di Patrick Zala da tenere d’occhio. Poteva esserci una terza forza in gioco, sia a livello internazionale che interno al Paese. Magari qualcuno che remava contro l’attuale politica degli Emiri e che, dunque, aveva cercato di eliminare il Delegato in persona, simbolo del Paese e delle idee del compianto Uzumi Nara Athha.
   Qualcuno le posò gentilmente una giacca sulle spalle e Cagalli si accorse della presenza del fedele Kisaka solo in quel momento. Gli rivolse un sorriso grato ma stanco e insieme si incamminarono verso gli ascensori dell’ospedale.
   «Credi che sia stata un’imprudenza?» gli domandò lei, quando furono lontani da orecchie indiscrete.
   «Sei cresciuta molto, negli ultimi anni, e hai messo da parte i colpi di testa già da un po’», volle farle sapere l’altro in tono paterno. «Siete stati bravi a tenere la cosa nascosta per tutto questo tempo e, almeno in teoria, nessuno avrebbe potuto sospettare nulla. A parte le persone che vi sono più vicine.»
   Cagalli sorrise amaramente. «Eppure proprio oggi pomeriggio ho scoperto che esistono delle foto risalenti al periodo in cui Athrun era qui sotto copertura. Non so di che genere, ma suppongo nulla di compromettente; abbiamo fatto di tutto per nascondere la verità al di fuori delle mura domestiche.»
   «Indagherò», promise Kisaka, facendosi scuro in viso. Benché proteggere la principessa di Orb fosse il primo dei suoi compiti come guardia del corpo, Ledonir non lo faceva soltanto per senso del dovere o per una promessa fatta al padre di lei. La conosceva da quando era bambina e non aveva potuto far altro che affezionarsi a lei, seguendola come un’ombra lungo tutti i suoi spostamenti durante la prima guerra. Sulle prime aveva persino tenuto d’occhio il giovane disertore di ZAFT che aveva avuto l’ardire di farla innamorare di sé; lo stesso che, inconsapevole, l’aveva fatta piangere più volte e che però la amava sinceramente con tutto se stesso - su questo Kisaka poteva mettere la mano sul fuoco. Con l’enorme peso del nome che portava, Athrun non era altro che una vittima della guerra, come tutti loro. Forse lo era adesso più che mai.
   Quando raggiunsero il corridoio che portava all’uscita dell’edificio, Cagalli scorse una persona che si alzava da una delle panche d’attesa e si voltava verso di lei. I suoi occhi stanchi ci misero qualche istante prima di riconoscere la figura di Miriallia. «Le ho accordato il permesso di entrare», le spiegò Kisaka, poiché fuori dal nosocomio erano presenti decine di giornalisti, radunatisi non appena si era diffusa la notizia che il Delegato Athha e il suo accompagnatore erano stati portati d’urgenza lì in seguito a un attentato.
   Cagalli allungò il passo e si tuffò letteralmente tra le braccia dell’amica, che la strinse a sé senza esitazioni. Non ci fu bisogno di parole, ma Cagalli sapeva quanto fosse stato grande il gesto della reporter: anche lei indossava ancora i vestiti della sera precedente, quando si erano incrociati per caso al ristorante, e ciò significava soltanto che era subito accorsa in loro sostegno e non si era mossa da lì fino a quel momento. Per starle accanto, per accertarsi che Athrun stesse bene. Lui, che anni prima le aveva inconsapevolmente strappato il cuore dal petto uccidendo Tolle in battaglia.
   Maledetta guerra, pensò Cagalli con rabbia, ritrovandosi di nuovo a trattenere le lacrime. «Diamine...» mormorò scostandosi dall’amica. «Non faccio altro che piangere, oggi. Sembro Kira.»
   Miriallia rise, passandole un fazzoletto. «Anche se nati in circostanze particolari, non si sfugge mai del tutto alla genetica», la prese affettuosamente in giro, riuscendo a strapparle un sorriso. «Ad ogni modo, direi che hai tutto il diritto di piangere quanto vuoi, ora come ora.»
   Il Delegato si strinse mestamente nelle spalle. «Cosa si dice là fuori?» chiese poi, gettando un’occhiata incerta in direzione dell’ingresso. Già lì, in mezzo al corridoio, in quel viavai di medici, pazienti e infermieri, la gente tendeva a voltarsi a guardarla con occhi stralunati e lei, che doveva essere un vero disastro in quelle condizioni, non poteva fare niente per impedirlo.
   Stringendo le labbra in un’espressione preoccupata, Miriallia fu onesta. «La notizia dell’attentato si è sparsa a macchia d’olio non appena qualche idiota ha diffuso online delle foto che vi aveva scattato ieri sera. Deve avervi seguiti anche fuori dal ristorante, perché è riuscito a filmare tutto, sia pure da un’angolazione non proprio privilegiata.»
   «Abbiamo già rintracciato l’idiota in questione», intervenne Kisaka, sempre sull’attenti, «e abbiamo momentaneamente oscurato i suoi profili social. Si trova in stato di fermo, non perché accusato di qualcosa.»
   «Per proteggerlo, è chiaro», completò Cagalli per lui. Allo stato attuale delle cose, non riusciva neanche più ad avere la forza di arrabbiarsi. Non sarebbe servito a nulla. «Si può ricavare qualcosa, da quelle immagini?»
   «Sono al vaglio degli inquirenti, ma non sono delle migliori. È un comune cittadino, non un professionista.»
   Annuì e si portò una mano alla fronte per l’emicrania dovuta alla notte insonne e alle copiose lacrime versate fino a pochi minuti prima che Athrun riprendesse conoscenza. «Posso chiederti un favore?» domandò all’amica, che subito si rese disponibile. «Dal momento che sei nel campo, potresti indagare a proposito di alcune vecchie foto in cui compare Athrun ai tempi in cui si faceva chiamare Alex Dino?»
   «Lo farò», promise lei, stringendole un braccio con affetto. «Se non hai bisogno d’altro, inizio subito le ricerche.»
   Cagalli le sorrise, riconoscente. «In realtà vorrei che prima tornassi a casa a riposare», disse, invitandola nell’automobile che li aspettava all’esterno.
   «Passiamo dal retro», suggerì Kisaka, prendendo subito a comunicare con l’autista e la scorta, onde evitare di farsi strada fra un nugolo impressionante di giornalisti e fotografi.
   Mentre si accingevano a seguirlo, Miriallia passò un paio di occhiali da sole all’altra ragazza, che prontamente li inforcò, ringraziandola. «Inutile che ti dica la quantità di pettegolezzi che stanno venendo a galla riguardo voi due.»
   «Non possiamo farci niente», si arrese lei, passando per la stretta porta che li condusse fuori di lì. «Benché la nostra fosse un’uscita innocente, eravamo disposti a correre il rischio.»
   «Per testare l’opinione comune?»
   «Per provare, almeno per una sera, ad essere due persone comuni», fu la risposta che spiazzò e intenerì Miriallia. Cagalli scosse il capo, accoccolandosi sul sedile posteriore dell’auto. «Adesso però sappiamo come potrebbe pensarla qualcuno, al riguardo.»
   «O forse questo non c’entra nulla», intervenne di nuovo Kisaka, dando ordine all’autista di partire spedito verso la residenza degli Athha. «Conviene che tu rimanga da noi almeno per questi primi giorni», disse alla reporter che, pur presa alla sprovvista, accettò senza esitazioni. Avrebbero potuto seguirla e incalzarla per ottenere informazioni personali riguardanti il Delegato e quello che ormai l’opinione comune aveva deciso essere il suo amante. Poco importava che ciò si discostasse poco dalla realtà dei fatti, lei avrebbe continuato a proteggere la loro privacy.
   «C'è una persona che potrebbe aiutarmi a scoprire qualcosa», disse allora, ripensando all’inatteso risvolto piacevole che aveva preso la serata precedente – almeno fino a che non era venuta a conoscenza di quanto accaduto. «Temo che dovrò coinvolgerlo, se voglio mettermi subito al lavoro, pur rimanendo da voi.»
   «Di chi si tratta?»
   «Un giornalista d’inchiesta, Theodore Seville.»
   Kisaka annuì. «Se non ricordo male è uno dei più seri in circolazione.»
   Miriallia evitò di fargli sapere che, a quella scrupolosità che mostrava nel lavoro, faceva da contraltare un carattere da vero bontempone. «Mi fido della sua riservatezza.»
   «Va bene», le diede il permesso Cagalli, che stava via via cedendo il passo alla stanchezza. Serrò le palpebre e si diede una spinta per raddrizzare la schiena: sarebbe stata una lunga giornata, non aveva tempo per riposare.
 
Rimasto solo, nonostante si fosse abbandonato contro i cuscini per via della spossatezza, Athrun ancora una volta impiegò il suo tempo in ciò che gli riusciva meglio: perdersi in mille elucubrazioni. Cagalli glielo diceva sempre che doveva smetterla di rimuginare troppo sulle cose, ma questa volta probabilmente neanche lei avrebbe potuto rimproverarlo. Anche se poco prima avevano tirato in ballo le due organizzazioni terroristiche internazionali più estremiste, nulla escludeva che l’attentato a cui erano sfuggiti poche ore prima potesse essere opera di qualcun altro. Una sola cosa era certa: a sparare era stato un cecchino ben addestrato, altrimenti non sarebbero bastati pochi colpi per centrare il bersaglio. Nessun altro era rimasto coinvolto, neanche un passante. L’obiettivo era uno di loro due o addirittura entrambi, nel caso quello volesse essere un semplice atto intimidatorio.
   C’era un altro dettaglio di cui tenere conto: se davvero a sparare era stato un cecchino, significava che quell’attacco era stato pianificato. Materialmente non ce ne sarebbe stato il tempo, se davvero si era trattato di una forma di protesta contro la relazione fra una natural e un coordinator. In teoria nessuno avrebbe potuto sospettare una cosa del genere, sia perché avevano affidato quel segreto a una ristretta cerchia di persone, sia perché, prima di quella sera, era passato più di un anno da che lui e Cagalli avevano smesso di essere amanti. Potevano stare tranquilli, almeno da quel punto di vista, e indagare una pista differente? Oppure c’era dell’altro?
   Il nome di suo padre tornò pesantemente a rimbombargli nella testa e Athrun serrò le coperte nei pugni. L’ultima volta che si era lasciato condizionare da quella maledetta eredità aveva commesso un errore madornale, lasciando Orb per riarruolarsi in ZAFT, convinto così di riabilitare il suo nome, prendendo le distanze da Patrick Zala, e ritrovare se stesso. Si era invece scoperto a servire inconsapevolmente la causa di un altro pazzo, combattendo persino contro i suoi stessi amici e allontanandosi da colei che amava. Aveva rischiato di perderla per sempre.
   Quel ricordo gli faceva forse più male di ogni altro. Ancora adesso non riusciva a perdonarsi del tutto, ma aveva almeno fatto chiarezza con se stesso, decidendo di sposare appieno gli ideali di Uzumi Nara Athha e di proteggere quel posto di pace, in cui la convivenza fra natural e coordinator era qualcosa di ordinario, spontaneo, giusto. Suo padre con tutta probabilità si stava ancora rivoltando nella tomba, tuttavia Athrun era più che certo che sua madre lo avrebbe appoggiato. Cagalli era molto diversa, per temperamento, ma la dolcezza del suo cuore e la capacità di amare che aveva dimostrato negli anni erano identiche a quelle di lei.
   Qualcuno bussò alla porta, interrompendo di colpo i suoi pensieri, e sulla soglia comparve Mwu La Fllaga in tutto il suo splendore. «Come sta il nostro eroe?»
   «Maggiore...»
   Lui fece una smorfia seccata. «Colonnello. Lo preferisco.» Si accorse che lo sguardo di Athrun esitava sui gradi militari della sua divisa e sbuffò. «Non tutti riescono a infilarsi fra le sottane del Capo dello Stato per ottenere una promozione.»
   Pur arrossendo per quella bieca insinuazione, il giovane non si lasciò intimidire. «Vorrei ricordarle che sta parlando con un suo superiore.»
   Mwu strinse le labbra, le mani sulle anche. «Orb avrà tanti bei pregi, ma difetta per meritocrazia.»
   «Lo faccia presente al Delegato durante la prossima riunione.»
   «A che servirebbe, se è proprio lei che ti sei lavorato con quel tuo bel faccino?»
   «Potrebbe almeno chiudere la porta, prima di lasciarsi andare a questo genere di discorsi?» lo scongiurò Athrun, sentendo sghignazzare le guardie fuori dalla stanza. «C’è il rischio che qualcun altro la senta e la prenda sul serio.»
   «Io sono serio», puntualizzò l’uomo, sfoggiando uno di quei sorrisi da schiaffi che gli riuscivano talmente naturali che era impossibile non simpatizzare con lui. Alla fine lo accontentò, avvicinandosi poi al letto e assumendo un’espressione più composta. «Mi hanno detto che Cagalli è andata via non più di un’ora fa. Deve essersi presa un bello spavento.»
   «Sembra che io abbia l’innata capacità di farla piangere», mormorò Athrun, abbassando lo sguardo. «So che non è colpa mia, ma...»
   Mwu sorrise di nuovo, questa volta con affetto. «Se piange è perché ti vuole bene», disse. «Ormai credo che tutto il mondo ne sia al corrente.» L’Ammiraglio alzò su di lui due occhi allarmati. «Dalla tua espressione deduco che non sei aggiornato sul gossip del momento», concluse l’altro accendendo il televisore presente nella camera.
   Subito sullo schermo comparve il notiziario, ma anche cambiando canale la solfa non cambiava: la notizia dell’attentato era ovunque, come era naturale che fosse. Pur tuttavia molti, anziché focalizzarsi sul vero problema, si stavano lasciando andare ai pettegolezzi più svariati riguardo il tipo di relazione che legava l’Emiro Delegato di Orb al giovane che quella sera era in sua compagnia. Il suo nome ormai era divenuto di pubblico dominio, creando grande scalpore; ma la cosa più grave era che qualcuno aveva diffuso delle fotografie che lo ritraevano insieme a Cagalli nel periodo trascorso fra le due guerre, quando aveva cercato rifugio sull’arcipelago, vergognandosi delle azioni di suo padre.
   «L’unica nota positiva», cercò di scuoterlo Mwu, notando il suo forte turbamento, «è che almeno l’opinione pubblica sembra aver accolto la notizia della vostra liaison in modo positivo.»
   Bella consolazione, pensò Athrun con rabbia. Poteva solo immaginare lo scandalo internazionale che avrebbe travolto Cagalli e tutte le altre complicazioni che ne sarebbero derivate. Era, questo, uno dei motivi principali per cui si era fatto silenziosamente da parte, per cui non le aveva messo fretta, in attesa di tempi migliori. Ma forse non arriveranno mai, si ritrovò a riflettere con amarezza.
   «Hanno già fermato alcune persone, sospettate quanto meno di aver alimentato il pettegolezzo», disse il Maggiore La Fllaga. «Stanno cercando di capire chi possa aver rubato e reso pubblici quegli scatti. Almeno non c’è nulla che possa compromettervi, siete ancora in tempo per smentire tutto, se è quello che volete.»
   «Bisognerà farlo assolutamente», affermò il giovane, continuando a tenere gli occhi puntati sulle immagini che scorrevano sullo schermo benché la sua mente stesse ormai viaggiando a gran velocità in cerca di ogni possibile soluzione.
   Pur non essendo coinvolto personalmente, Mwu si sentiva quasi male per loro. Sapeva bene cosa avessero passato quei due sin da giovanissimi, e ancora adesso, dopo tutto quel tempo, era assurdo che non potessero pensare alla propria felicità come ogni altro ragazzo.
   Si passò nervosamente una mano fra i capelli biondi e sospirò. «Non appena ti sentirai meglio e sarai in grado di farlo, ti scorterò io stesso fuori dall’ospedale.»
   «La ringrazio», rispose Athrun, scostando le coperte e iniziando ad armeggiare con l’ago della flebo. «Mi dia solo due minuti.»
   Preso in contropiede, Mwu si voltò nella sua direzione. «Che diavolo stai facendo?!» proruppe, raggiungendolo per tenergli ferme le mani. «Non intendevo certo adesso!»
   «Non me ne starò qui a girarmi i pollici mentre Cagalli si trova in difficoltà», dichiarò l’altro, cercando di liberarsi.
   «Appena ti vedrà, ti prenderà schiaffi per non essere rimasto a riposo», tentò di farlo ragionare l’altro.
   «Correrò il rischio», fu irremovibile Athrun, fissandolo dritto negli occhi con una determinazione che lo disarmò. «Inoltre nessuno si aspetta che io venga dimesso così in fretta. In questo modo sarà più facile sfuggire alla massa.»
   Sbuffando rumorosamente e non facendo molto per trattenere un’imprecazione fra i denti, Mwu fu costretto alla resa. «Prenderà a schiaffi anche me...»
   L'Ammiraglio sorrise con gratitudine. «Metterò una buona parola per lei. Magari riuscirà davvero ad avanzare di grado.»
   «Sei una bella carogna», ci tenne a fargli sapere l’uomo, senza nascondere un lieve divertimento nel tono della voce.
 
Shinn fissò il vuoto per qualche istante, la mente sgombra. «Kira-san ha deciso di partire immediatamente per Orb», stava continuando frattanto Lunamaria, mordicchiandosi l’unghia ben curata del pollice. Anche lei era preoccupata per la notizia che aveva raggiunto i PLANT in tempo reale, soprattutto perché temeva che Athrun potesse essere rimasto ferito in modo grave.
   Si voltò verso il ragazzo alle sue spalle e lo trovò ancora lì, fermo in piedi all’ingresso del salotto del piccolo appartamento che avevano preso in affitto insieme a Meyrin da pochi mesi. «Shinn...» mormorò, alzandosi dal divano e raggiungendolo per dargli un abbraccio di conforto. Conosceva bene il rapporto complicato che il giovane aveva con quello che fino a qualche tempo prima era stato un loro superiore, ma sapeva anche che nonostante gli scontri e i dissapori, in realtà lui e Athrun si volevano un gran bene.
   «Sono certa che sta bene», mentì nel tentativo di rassicurarlo. Lui scattò all’istante, poggiando le mani sulle sue spalle e allontanandola da sé con malagrazia.
  «Per quel che ne sappiamo, potrebbe essere morto!»
   «Shinn...»
   Il ragazzo tuttavia sembrava fuori di sé e iniziò marciare in circolo per la stanza, incurante di trovarsi ancora in mutande davanti alla portafinestra priva di tende. «Cosa cavolo è rimasto a fare, laggiù?!» ruggì in preda a una rabbia che, Lunamaria lo sapeva bene, era dovuta alla preoccupazione per la salute del loro ex mentore. «Ah, già», rise con sprezzo un momento dopo, fermandosi e facendo cenno verso lo schermo al plasma che mostrava più o meno le medesime immagini che venivano trasmesse un po’ dappertutto. «La bella principessa.»
   Lunamaria si accigliò, stizzita da quel comportamento. «La bella principessa, come la chiami tu, è la donna che ama. Nonché una personalità di spicco del posto in cui lui ha deciso di rimanere a vivere.»
   L’altro serrò le mascelle, continuando a fissare i lucenti occhi scuri su quelle dannate riprese in cui si poteva ancora notare il sangue di Athrun sul luogo dell’agguato. Razionalmente si rendeva conto che, al posto dell’Ammiraglio di Orb, lui avrebbe fatto la medesima cosa: se Lunamaria avesse deciso di trasferirsi altrove, lui l’avrebbe seguita e avrebbe rischiato il tutto e per tutto pur di proteggerla. Era tutto ciò che aveva, l’unico suo vero punto di riferimento, la sua famiglia.
   «Chi te l’ha detto, che Kira-san andrà a Orb?» domandò in modo più calmo, benché la sua voce apparisse quasi come quella di un bambino offeso.
   «Meyrin mi ha chiamata poco fa dall’ufficio», lo informò la ragazza, ricordando ancora bene i singhiozzi con cui sua sorella aveva iniziato quella telefonata. Fra le due, Meyrin era senza dubbio la più affezionata ad Athrun perché durante gli ultimi eventi dell’ultima guerra aveva condiviso con lui, sia pure perché costretta dalle circostanze, la fuga da ZAFT. Lunamaria sapeva anche che, sebbene entrambe in principio avessero sviluppato una naturale attrazione nei confronti dell’affascinante figlio di Patrick Zala, per sua sorella la faccenda aveva finito per diventare un po’ più seria. «Non sai quanto tu sia fortunata ad avere Shinn», soleva ripeterle quando la sentiva lamentarsi del carattere bizzoso del suo innamorato.
   «Vado anch’io», decise quest’ultimo, uscendo dal salotto per dirigersi in camera sua.
   «Sei matto?!» esclamò Lunamaria, tallonandolo con fare energico. «Persino Lacus Clyne e gli altri amici di Athrun rimarranno qui, perché mai invece tu...»
   «Si tratta di Orb», fu la lapidaria risposta che anticipò la sua domanda. La ragazza arrestò il passo, seguendo l’amato con lo sguardo mentre lui iniziava ad aprire i cassetti del proprio armadio con l’intento di preparare una borsa da viaggio.
   Originaria di Orb, la famiglia di Shinn era rimasta uccisa durante la prima guerra dalle forze dell’Alleanza Terrestre. Troppo sconvolto per quanto accaduto, a lui non era rimasto altro che emigrare sui PLANT, dove aveva poi deciso di unirsi all’esercito di ZAFT per mera vendetta, diventando persino uno dei migliori piloti di Mobile Suit attualmente in circolazione nonostante la giovanissima età. Con la sua terra natia, Shinn aveva continuato ad avere un rapporto conflittuale e alla luce degli ultimi avvenimenti Lunamaria non era sicura che lui avesse superato la cosa. Conosceva l’entità di quel dolore, soprattutto per la scomparsa dell’adorata sorella minore, Mayu, perché anche lei aveva provato l’atroce trauma di aver creduto persa la vita di Meyrin – per altro proprio per mano dello stesso Shinn, che le era crollato fra le braccia in preda ai singhiozzi, implorando il suo perdono per l’essere stato costretto a obbedire agli ordini dei loro superiori.
   Si sentiva ancora una volta tradito da quella nazione che un tempo gli aveva tolto tutto?
   «Vuoi che venga con te?»
   Sorpreso da quell’inaspettato cambio di idea da parte di lei, Shinn si volse a guardare la ragazza. Esitò qualche attimo appena, poi annuì con occhi lucidi, commosso dalla sua comprensione. «Vado a prepararmi», la sentì dire ancora, prima di vederla sparire oltre la porta della camera.
   «Luna!» chiamò poi, quasi rincorrendola. Lei si affacciò dall’uscio del bagno, già intenta a legarsi i capelli prima di tuffarsi sotto la doccia. «Perché Kira-san ha tutta questa fretta di raggiungere Athrun?»
   «Immagino sia perché sono grandi amici», rispose lei. «Senza contare che, a quanto ho capito, anche lui è originario di Orb.»
   Preso atto di quella informazione, Shinn fece allora per tornare nella sua stanza, provando però ancora la sensazione che in tutta quella storia mancasse un tassello. Si voltò di nuovo per dire qualcos’altro, ma lo scroscio dell’acqua proveniente dal bagno lo fece desistere.
 









Inutile dire che questo non è affatto il delirio di una fangirl disperata, che cerca di dare un senso a tutto quanto. Per nulla.
Ringrazio chi mi sostiene sempre e mi sopporta durante i miei scleri riguardo la serie: è bellissimo come un semplice trailer (sul quale preferisco non pronunciarmi) possa riaccendere di colpo una passione che in realtà non si era mai sopita.
Ah, a proposito del film: lo avrete notato anche voi, ma preciso che questa long non ha nulla a che vedere con quanto mostrato finora al riguardo (e ribadisco che preferisco non pronunciarmi).
Detto ciò, mi dileguo e torno a scrivere.
Alla prossima!
Shainareth





 
  
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