Anime & Manga > Pandora Hearts
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Autore: moni93    27/08/2023    0 recensioni
"È strano guardarsi indietro.
Tutto ciò che è stato appare come cosparso da una fumosa nebbia, che ne ottenebra i contorni, alterando i suoni e cancellando i volti. [...] Per questo motivo ho deciso di farmi memoria: parlando con le persone che c'erano e cercando di ritrovare il filo di quegli accadimenti, ormai aggrovigliati in una matassa intricata, e ritrovando così il principio di tutto. Se in tal modo abbiamo trovato delle risposte oppure ci siamo soltanto posti nuovi interrogativi questo non saprei dirlo. È difficile distinguere le due cose, alle volte."
La storia alternativa e segreta di Pandora Hearts.
Cosa sarebbe successo se, a seguito degli eventi svoltisi a teatro, il duca Barma avesse inviato un informatore al gruppo di Oz per aiutarlo nelle ricerche riguardanti gli eventi di cento anni prima?
Tra nuovi personaggi ed approfondimenti di vicende accennate sia nel manga che nelle Caucus Race (i romanzi scritti con l'approvazione di Jun Mochizuki) scoprirete la verità legata agli Dei Scarlatti.
Dove condurranno gli inarrestabili ingranaggi del destino?
[Storia Revisionata ed Ampliata]
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Gilbert Nightray, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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RETRACE: VIII Caucus Race1

- DOVE LE STORIE DI OGNUNO SI INCONTRANO -



«Tanaceto, proteggila sempre.»

Rufus Barma detestava quel ricordo. Gli era rimasto incastonato nella mente come un seme maligno, che silenziosamente aveva cominciato a crescere dal momento in cui la sua peggior paura si era avverata. Non era stato sufficientemente attento e in tal modo aveva perduto la persona a lui più cara. Mary l’aveva predetto quel giorno; non poteva pensare altrimenti Rufus, a distanza di anni. Forse una parte di lei già sapeva e, accoratamente, aveva tentato di prepararlo. Si domandò se anche lei avesse provato il medesimo terrore nel pronunciare quelle parole, che la escludevano da un futuro che avrebbero dovuto condividere.

Non aveva mai parlato a sproposito sua moglie, ogni sua parola era soppesata con cura e colpiva dritto al cuore. Erano poche le donne che potevano permettersi di esprimersi con una simile franchezza con un uomo, sebbene questi fosse loro marito. Solitamente si trattava di dame di elevato ceto, come Cheryl. Mary, invece, pareva non curarsene, come se la sua libertà di espressione dipendesse da lei stessa e da nessun altro. Una donna arguta, di intelletto vasto e segnata da una curiosità insaziabile. Avrebbe fatto impazzire molti uomini, nelle maniere più disparate. Rufus ne sapeva qualcosa, essendo una delle sue vittime.

La sfrontatezza di Mary era la caratteristica che Rufus aveva stimato più di ogni altra e che, con ogni probabilità, lo aveva fatto cadere prigioniero di quella trappola mortale chiamata amore. Un tranello dal quale pensava di non potervisi più cascare. Una volta era stata più che sufficiente per raccogliere dati a riguardo ed evitare così qualsivoglia ricaduta. Il duca Barma non reputava infatti possibile innamorarsi per ben due volte. Era un sentimento troppo unico nel suo genere perché potesse ripetersi con la medesima intensità. Si era sbagliato.

Lo stordimento che aveva provato nello scoprirsi innamorato di quella che sarebbe divenuta sua moglie fu uguale al passato, ma condito di un nuovo sapore.

Non era stato un cambiamento evidente. Dall’esterno aveva avuto aspramente da ridire con ambo le donne e col tempo le loro discussioni non avevano fatto altro che aumentare. Ma se per Cheryl la realizzazione dei suoi sentimenti era stata fragorosa, un’esplosione in piena regola seguita da enormi lacrime cariche di rammarico, con Mary era stato più accorto. Cauto come in guerra, quasi temesse di scoprire ciò che il suo avversario avrebbe fatto con un’informazione del genere. In virtù di questo, aveva altresì compreso che non avrebbe mai amato nessun’altra all’infuori di lei. Poco gli era importato a quel punto di essere esposto alla derisione del nemico: sarebbe rimasto al fianco di quella donna per sempre.

Era nuovamente caduto in errore. Sia perché non era rimasto al suo fianco sino alla fine, sia perché aveva amato un’altra donna… nell’esatto istante in cui aveva stretto tra le braccia Sophie appena nata, aveva compreso quanto il suo cuore non possedesse più confini. Era impossibile contenere in un luogo tanto piccolo tutto l’affetto che, istintivamente, aveva provato per quella creaturina indifesa. La sua bambina, la figlia che aveva avuto con la donna più incredibile che avesse mai conosciuto.

Ciò che tuttavia detestava di Mary era proprio la sua spontaneità. L’aveva odiava ed ammirata, esattamente nella stessa misura. Le conferiva la capacità di trattare anche gli argomenti che più lo spaventavano e lui, in quanto duca che tutto conosce, non poteva permettersi di temere alcun ché. Persino l’informazione più insignificante poteva dimostrarsi col tempo decisiva e perciò la loro raccolta le trasformava in pedine che un giorno lo avrebbero aiutato a vincere qualunque partita, fosse essa contro una famiglia avversaria o un destino avverso. Non esisteva dunque argomento che non potesse interessarlo.

Tutto questo perse di valore quando Sophie nacque. Lentamente, durante quei nove mesi di attesa, Rufus aveva accumulato una serie di dati che non voleva conoscere. Il numero di donne che perivano prematuramente a seguito del parto. O la percentuale di gravidanze terminate prima del tempo. Quando tali paure vennero scongiurate dal grido disperato di Sophie, altre presero presto il loro posto. Non era scontato per il primogenito sopravvivere sino all’età adulta, benché appartenesse ad una famiglia altolocata. Né era certo di possedere le caratteristiche che lo avrebbero reso un buon padre per quella persona in divenire. Come poteva pretendere di insegnarle a vivere nel giusto, quando lui per primo non l’aveva fatto per molto tempo? Il futuro gli appariva come qualcosa di terribilmente fragile e pericoloso, sebbene non volesse ammetterlo. Farlo avrebbe significato dare forma tangibile a quelle chimere.

Mary fu la prima a mettere in mostra le proprie carte, scoprendo le loro paure più recondite. Forse perché indissolubilmente legata a tante tragedie, sapeva che non bisognava tacersi nulla. Non quando una minaccia aleggiava sopra le loro teste come un burattinaio scellerato che giocava con i fili delle loro vite.

«Se mai mi dovesse accadere qualcosa...»

«Che maniera sconveniente per aprire un discorso di poco gusto come questo.» l’aveva subito interrotta Rufus, allarmato da un campanello invisibile.

Non gli era piaciuto il tono che aveva utilizzato sua moglie. Era troppo reale per apparire come una mera supposizione, intanto che cullava la bambina, ignara del mondo spaventoso che la circondava. Aveva soltanto pochi giorni e già le toccava essere partecipe di simili disquisizioni. Rufus non era per niente d’accordo, non voleva in alcun modo intaccare la sacralità di quel momento. Si guardò bene dal riferirlo a sua moglie, come celò il tremore che aveva cominciato a scuotergli il cuore. Lei lo aveva ignorato, come sempre quando lui tentava di deviare un dialogo.

«Tanaceto, proteggila sempre.»

Rufus Barma si portò una mano al volto, provato da quel ricordo lontano. Erano ormai trascorsi tre giorni dai fatti di Sablier: Sophie era riuscita a sfuggire alla sua ira unicamente perché coperta da Gideon e dal suo nome fittizio, che gli imponevano di fare rapporto in qualità di membri di Pandora. La ragazza si era dunque fermata insieme agli altri compagni alla sede principale dell’organizzazione, mentre Elliot Nightray ed il suo servitore avevano fatto ritorno alla casa di Fianna, dove si trovava il duca Nightray.

Fortunatamente la giovane non pareva ferita, ma da un semplice sguardo Rufus aveva compreso come i suoi occhi lo interrogassero con silenziosa insistenza. Non aveva potuto confrontarsi con lei, nemmeno per sfogare il suo sollievo nel vederla sana e salva. Aveva però ragionato su ciò che avrebbe potuto chiedergli e, preparato a mentirle, era stato in grado di sedare i suoi dubbi con un logica distaccata e fredda. Sophie lo aveva lasciato, non potendo fare altro che credergli.

Ora che si trovava solo nel suo alloggio al quartier generale Pandora, Rufus non poté fare a meno di ripensare a quel frammento della sua vita passata e a come avrebbe potuto mantenere quel giuramento che lo assillava. Non sapeva come fare e una parte di lui che credeva sopita riprese a tremare. Si sentì incapace di difendere sua figlia, esattamente come la prima volta che l’aveva stretta tra le sue braccia.

Vi era un’unica certezza che lo guidava: Sophie non doveva sapere, non avrebbe mai dovuto conoscere la verità su sua madre.

Questo.” pensava il Duca Sarà un peso che mi porterò nella tomba.”

Mary gli aveva chiesto una sola cosa da quando si erano sposati e, una volta nata Sophie, le richieste erano salite a due. Erano di una banalità sconcertante, al punto da non meritare nemmeno di essere pronunciate. Sua moglie le aveva invece fatte risuonare come l’ultima preghiera di un peccatore. Un fardello di cui Rufus aveva accettato il peso che, nondimeno, ora non riusciva più a sostenere.

Perché ti sei portata via tutto quello che ti ho dato, facendolo rotolare come un sasso lungo la scarpata?” si domandò sconfitto, per poi porgere lo sguardo al sole calante lungo il palcoscenico del mondo “Eppure pensavo che avessimo creato una dinastia che non potesse essere scossa da alcuno.”2

Nessuna risposta giunse alle sue orecchie.

Soltanto lo scorrere incessabile del tempo gli avrebbe mostrato quale sarebbe stato il finale di quella lunga battaglia che andava combattendo solitario. Riflettendo sul da farsi, osservò il diario del suo antenato Arthur Barma, in tacita attesa sul mobile accanto a lui. Il passato rivendicava di essere riesumato, che lui lo volesse o no. Ma, forse, Rufus poteva ancora giocare le carte del fato a suo vantaggio.

 



Sophie Barma si interrogava sulla sorte del suo futuro. Non era da lei porsi domande esistenziali che andassero al di là del banale, seppur costante, incedere della sua vita. Cosa inventarsi per giustificare la sua assenza da Lutwidge, come ingannare Cassidy ed il padre affinché non si preoccupassero troppo delle missioni che accettava; ed i numerosi compiti da svolgere in qualità di tutore, le interminabili lezioni da seguire, le lunghe lettere che si scambiava con Reim. In ultimo, il diario in cui scioccamente riversava poesie riguardanti un domani lontano ed impossibile. Divenire la degna compagna di Gilbert Nightray pareva quantomeno improbabile, essendo obbligata a vestire i panni di Caleb Bauer, ciononostante quelle pagine bianche le permettevano di sospirare un po’ meno la notte. Era un modo come un altro per sentirsi vicina a lui, pur non potendo vederlo.

Da quando era rientrata a Pandora, invece, avvertiva sulle proprie spalle un onere diverso, che non avrebbe più potuto ignorare.

Pensò a cosa l’avrebbe attesa al suo ritorno alla Lutwidge e, per la prima volta, avvertì le lezioni come un minuscolo granello di sabbia disseminato lungo la spiaggia che doveva percorrere, prima di arrivare alla sua meta. Non aveva mai perso così tante ore di insegnamento ed essendo il suo l’ultimo anno di corso avrebbe dovuto provare una feroce paura all’idea di non riuscire a presentare i prerequisiti necessari per accedere ai test finali. Le pareva tutto ridicolmente irrilevante, considerando ciò che aveva vissuto soltanto pochi giorni addietro, nel dì in cui ogni scherzo vale.

Si rese conto della coincidenza solo allora, provando una strana sensazione, come di voler ridere, senza però riuscirci. Era simile ad una burla finita male: il mondo rideva di lei, mentre Sophie non poteva fare altro che guardarsi intorno con aria smarrita.

 



Da quando Zai Vessalius aveva fatto la sua comparsa nella voragine, il tempo si era come dilatato. Tutto era avvenuto in maniera estremamente circospetta, eppure febbrile. Il nobile si era rivolto direttamente ad Elliot, dichiarando di trovarsi lì unicamente per salvarlo, senza nemmeno considerare il figlio che lo osservava sbigottito. In una circostanza diversa, Sophie sarebbe scattata per un affronto simile, ma era troppo confusa dalle visione che l’Abisso le aveva mostrato per proferire parola. Chi invece non si era trattenuto dal ribattere era stato il giovane Nightray: aveva tentato di redarguire l’uomo per il suo comportamento infido, ma Leo lo aveva bloccato. In fondo, loro erano soltanto dei ragazzini che tentavano di fare la predica ad uno dei quattro grandi duchi, benché il titolo ora appartenesse di diritto al fratello di questi. Era nondimeno evidente come la sua figura li schiacciasse, rendendo impossibile qualunque rivalsa. Persino Gideon, sbruffone di natura, si era quietato, preferendo un cauto silenzio.

Intromettendosi nel discorso, Leo era riuscito a mitigare la sollecitudine dell’uomo, dichiarando la loro intenzione di rientrare quanto prima, non appena Elliot avesse avuto modo di riposarsi per qualche minuto. Dapprincipio Zai non aveva fiatato, limitandosi ad osservarli come bestiole da poco conto, per quanto fastidiose. L’unica parvenza di emozione era stata la risata, fredda e priva di ilarità, all’idea di soccorrere il figlio, a pochi passi da lui. Un gelo pungente, da quel momento in poi, si era conficcato nel petto di tutti.

«E va bene.» aveva al fine concesso, avviandosi verso l’uscita e scansando i presenti, senza nemmeno voltarsi a guardarli, quasi fossero aria «Informata dalle persone che avete inviato.» proseguì, riferendosi alle suore dell’orfanotrofio che Elliot e Leo avevano prontamente avvisato prima di recarsi nella voragine «Anche Pandora si è mobilitata per la vostra protezione, quindi ormai anche il rischio dovrebbe essere minimo.»

Sarebbe potuta finire in tal modo, invece il Vessalius aveva deciso di dare una sonora stoccata alla dignità del ragazzo che, nonostante fosse avverso al suo casato, si era dato pena per difendere quell’essere che riportava il nome di Oz Vessalius.

«Sembra che tu abbia un buon servitore. Sa bene come ci si deve comportare.»

Elliot digrignò i denti, impossibilitato a ribattere. Gilbert invece si mosse, andando dietro all’ex Duca. Sophie pensò che avrebbe dovuto seguirlo, ma le gambe non le ubbidirono. Era rimasta bloccata, non potendo comprendere ciò che era giusto fare.

«Caleb, va davvero tutto bene?» la chiamò Gideon, ora che la tempesta era passata.

La ragazza mantenne lo sguardo incerto, non sapendo come replicare. Come avrebbe potuto spiegargli il suo turbamento? Jack Vessalius aveva detto che c’era qualcosa di misterioso nel suo sangue: aveva insinuato che fosse una Baskerville. Se dapprincipio non aveva dato peso a quei vaneggiamenti, in seguito si era dovuta ricredere. La visione che le aveva mostrato l’Abisso, riguardante sua madre, sembrava mostrarle un’altra verità di cui lei era ignara.

Cominciava a dubitare di se stessa, della sua stessa identità. E se davvero fosse stata una Baskerville? Che cosa avrebbe fatto? Quale sarebbe stato il suo destino da lì in avanti e dove avrebbe potuto trovare quelle risposte che tanto la intimorivano?

Scosse il capo, negando con voce incerta.

«Niente… sono solo un po’ provato. Questo posto ti conduce inesorabilmente alla pazzia.»

Gideon annuì, per nulla convinto della sua reazione.

«E Gilbert?»

«Come?»

«Il tizio che è corso dietro a Zai: non è lo stesso che era venuto a trovarti a scuola?»

«Ah… sì. È lui.»

«Lo lasci andare così?»

La domanda venne posta schiettamente, senza l’ombra di divertimento che solitamente accompagnava il ragazzo. Parlava con voce talmente seria e composta da aver fatto dubitare Sophie della sua identità. Indugio sulla sua figura, confusa. L’altro si limitò a fare spallucce, senza mutare il suo atteggiamento da uomo vissuto.

«È solo che mi sembravi parecchio preoccupato per lui quando si è allontanato, sebbene tu non abbia mosso un dito. Persino adesso osservi disorientato il mondo, quasi dovessi chiedere il permesso per muoverti. Per questo ti chiedo: ti sta davvero bene?»

Sophie esitò, non conoscendo la soluzione di quell’enigma.

In quel momento, non si sentiva in grado di aiutare nessuno.

«EHI!»

Un grido sprezzante, seguito da un colpo magistralmente diretto, centrò in pieno la testa di Oz, facendolo crollare a terra. Tutti si voltarono in direzione della traiettoria di quel proiettile, che si rivelò essere un sasso, ed il colpevole si palesò trionfale da un’altura poco distante.

«Perché fai quella faccia strana, Oz?»

Alice lo osservava interdetta, mentre alcune gocce di pioggia cominciarono a scendere dal cielo plumbeo e sporco di nebbia, polvere e sgomento. La voragine di Sablier si era trasformata in una Babele di orrori reconditi, impossibile da superare. D’un tratto, era giunta quella Chain che, con un semplice sassolino, aveva cominciato a sbriciolare una ad una quelle pareti fantasma, come l’acqua che cadendo lieve solca la roccia. Sophie era stata la prima ad essere grata di quel brusco cambio di atmosfera, sia mentale che meteorologico: la pioggia aveva da sempre il potere di calmarla e di permetterle di riflettere, rallentando la marea di pensieri che la travolgevano. Rammentò il discorso che, soltanto un’ora prima, aveva fatto a Gilbert: «Te lo ricordi? Io voglio esserti di aiuto. Anche se sono imbranata e ci siamo appena conosciuti, voglio davvero essere un tuo punto d’appoggio».

«È vero.» mormorò, ripensando all’entusiasmo con cui Alice era corsa alla ricerca di Oz e Gilbert, nonostante palesasse insofferenza.

Quello era il suo ruolo e lei ne era perfettamente conscia e compiaciuta. Sapeva che li avrebbe ritrovati, che senza di lei erano perduti.

Sophie si concentrò su quel sentimento, sulla priorità che aveva deciso di dare a Gilbert. Da quando avevano preso a scendere nella voragine, il ragazzo le era apparso strano e, all’interno del ricordo di Jack, aveva provato terrore nel vederlo tanto perduto ed affranto. Anche lei aveva i suoi motivi per sentirsi turbata, ma sarebbe potuta tornare a concedersi tale debolezza soltanto una volta che fosse uscita da lì e si fosse assicurata che Gilbert stesse bene.

Coraggio!” si disse con forza “Troverai le risposte che cerchi più tardi, adesso Gilbert ha bisogno di te!”

Fu con tale pensiero in mente che si rivolse con risolutezza al compagno, che le sorrise soddisfatto.

«Gideon, ti affido i ragazzi: io vado da Gilbert.»

Elliot si voltò invece a fissarla con aria corrucciata.

«Aspetta, dove credi di andare? Ci manca appena che ti perdi pure… ehi! Ascoltami, almeno!»

Ma Sophie non si fermò né si voltò a rispondergli, limitandosi a correre nella direzione presa dal Nightray. Pregò l’Angelo dalle ali Bianche, il protettore delle cose perdute, affinché potesse ritrovare Gilbert prima che facesse sciocchezze di cui si sarebbe pentito. Per quanto Sophie si sforzasse, però, le sembrava di girare incessantemente in circolo. Quei muri di pietra la ostacolavano, impedendole di orientarsi. Prima di perdere ogni riferimento, si fermò e decise di riorganizzare i pensieri.

«Così non sto andando da nessuna parte.» mormorò contrita, cercando di recuperare lucidità «White Swan, per favore, aiutami. Vola al di sopra della voragine e trova Gilbert.»

Come proiettandosi dalla sua ombra, il Chain emerse scuotendosi di dosso l’oscurità dell’Abisso, mettendo in mostra il suo candido piumaggio. Nonostante fosse una creatura occulta, che gli umani avrebbero dovuto temere, Sophie lo reputava un compagno insostituibile. Era sempre al suo fianco durante le missioni e, benché non potesse avere la certezza di essere ricambiata nei suoi sentimenti, da quando aveva conosciuto Alice una parte di sé aveva come trovato conferma. Non era solo da umani provare emozioni.

Il Chain spiccò rapidamente il volo, dopo aver ascoltato la richiesta della propria contraente e, senza alcuna esitazione, la guidò verso la sua destinazione. Dopo interminabili minuti, finalmente il ragazzo comparve da dietro una curva ad angolo.

«Gilbert!» lo chiamò sollevata Sophie, mentre questi la fissava sbalordito.

«Sophie? Che ci fai qua, non dovresti essere con gli altri?»

Quasi gli si buttò al collo, da tanto era felice, ma la giovane Barma si trattenne. Si accontentò di poggiargli una mano al petto, come a volersi premurare che quella non fosse l’ennesima illusione creata dall’Abisso.

«Ero preoccupata per te!» esclamò, quasi incollerita con lui per averla fatta preoccupare.

«Ma non dovevi, è pericoloso!»

«Ehi, piccioncini.» mormorò una voce da oltre la spalla di Gilbert, che si rivelò essere Break «Se non la piantate, io qui vomito.»

«Break?!» urlò sorpresa Sophie, che non si era minimamente accorta della sua presenza.

L’albino, per quanto sprezzante come suo solito, appariva decisamente deperito. Il colorito era se possibile più pallido ed un rivolo di sangue rappreso contornava le sue labbra, scendendo sino al mento. Si stringeva a Gilbert, che lo portava con evidente fatica: per quanto mingherlino, aveva il peso di un uomo adulto.

«Spiacente di rovinarle il momento toccante, signorina, ma saremmo di fretta.»

«Oh, giusto ehm...» la giovane parve come ricordarsi di qualcosa di enorme importanza; tornò a fissare il Nightray, con aria preoccupata «Tutto bene? Come ti senti? Non ti sei ferito, vero?»

Gilbert inclinò il capo interdetto, non aspettandosi quell’ennesima raffica di domande. Non era abituato ad essere al centro delle attenzioni altrui. Di norma era lui a porre quel genere di interrogativi, ciononostante, da quando si erano incontrati la prima volta, Sophie pareva essere in grado di prestare attenzione solo ed esclusivamente alla sua salute, a prescindere da come stesse lei. Ricordò l’immagine del passato a cui avevano assistito assieme e, prima ancora, alla ferita al braccio che per giorni aveva limitato i suoi movimenti. Fu grato per quella premura ma, al tempo stesso, provò un senso di fastidio: non voleva essere considerato sino a quel punto. Non gli sembrava giusto rivestire un simile ruolo… in fondo, esisteva unicamente per servire il suo padrone. Malgrado ciò, non poté trattenersi dal provare un senso di gioia.

«Io sto...»

«Io sto una meraviglia, grazie per la premura, dolce paperella.»

Sophie spalancò la bocca oltraggiata, mentre Gilbert si voltò spaesato ad osservare il compagno, che continuava a borbottare improperi alla volta dei “giovani ingrati e con la testa vuota”. L’utilizzo di quel termine tanto familiare, che la ragazza era solita sentirsi rivolgere dal padre, la rese paonazza per la vergogna.

«Io non sono una papera!»

«Allora la smetta di starnazzare e dia una mano, piuttosto.»

«Io, ecco... posso, ehm...»

«Che umiliazione.» continuò imperterrito Break, che oramai poggiava la testa appesantita dalla stanchezza sul dorso del ragazzo «Non credevo sarebbe giunto il giorno in cui mi sarei fatto portare in spalle da Gilbert… uh, uh,uh… e per di più c’è pure la mocciosa del duca pazzo.»

«Non abbatterti!» lo redarguì Gilbert «Sono molto più triste io.»

«E comunque non sono una mocciosa: posso aiutare!»

«Orbene, perché non mi porta lei sulle sue graziose spalle, mh?.» la derise Break, che tuttavia venne preso immediatamente sul serio dalla giovane Barma.

«Okay, nessun problema! Gil, liberati di quel peso morto e dallo a me!»

«Ma non dire sciocchezze!» la sgridò lui, sistemandosi alla bell’e meglio Break, mentre questi osservava schifato, eppure con un debole cenno di ammirazione, quella ragazzina impertinente come poche «Piuttosto vediamo di muoverci a ritrovare gli altri, prima che faccia buio.»

«Ah, per questo potete fare affidamento su di me.» indicò un punto in alto, una candida macchia celata dalle nubi di pioggia «White Swan mi ha permesso di trovarvi e ora può indicarci la via del ritorno.»

«Toh guarda, Gilbert: la mocciosa pare più organizzata di te. Almeno non si getta a capofitto nelle proprie emozioni.»

«Taci.» gli intimò Gilbert, non volendo aprire nuovamente quell’argomento che sapeva essere l’attuale chiodo fisso di Sophie; temeva infatti che sarebbero piovute una miriade di altre domande a riguardo.

A dispetto di ciò che pensava, la Barma non disse nulla. Si limitò a fissarlo con intensità, prima di chinare il capo, imbarazzata e quasi colpevole. Anzitutto per quanto detto dal Cappellaio, che reputava erroneo. Lei si faceva trascinare sin troppo dalle sue emozioni, al punto da venirne spesso travolta. Grazie all’intervento di Gideon, ed indirettamente di Alice, aveva trovato la forza per mettere un piede davanti all’altro e fare ciò che era giusto, ma non sapeva se da sola ne sarebbe stata altrettanto capace. Si rendeva infine conto che, per quanto volesse sinceramente bene a Gilbert, lui non provava il medesimo sentimento. Era perciò pretenzioso da parte sua attendersi delle risposte per una questione che non la riguardava. Fu dunque con un piccolo groppo in gola che parlò, abbassando il tono con fare pentito.

«Non sei obbligato a parlarmi di ciò che è accaduto prima, se non lo desideri. Non intendo più essere un fastidio, rendendomi indiscreta.»

Gilbert non rispose, soppesando quelle parole pronunciate con estrema onestà. Break nel frattempo si scusò distrattamente per essere di troppo, ma nonostante i suoi modi giocosi, voltò il capo in direzione opposta, in un gesto che voleva essere discreto per quanto appena percettibile. Il Nightray comprese di dovere quantomeno una parvenza di spiegazione a quella ragazza che era tornata in quel luogo da incubo soltanto per assicurarsi che stesse bene. Non sapeva da dove incominciare, provando un opprimente senso di vergogna per le sue ultime azioni, tanto sconsiderate quanto melodrammatiche.

«Non è successo nulla di grave, perciò non hai di che preoccuparti.»

«Il qui presente pulcino non è stato capace di sparare, alla fine, se è questo ciò che temevi.» puntualizzò Break, volendo venirgli in aiuto ma contemporaneamente metterlo in maggiore difficoltà «Perciò tutto è bene quel che finisce bene.»

«… mi dispiace.» mormorò Gilbert, lasciando di stucco i presenti.

«Buon dio, Gilbert, mi fai venire la nausea se parli a quel modo.»

«Come ti permetti?! Io esprimo il mio rammarico nell’averti costretto a richiamare il tuo Chain e tu… !»

«Io faccio quello che mi pare, come sempre. Non reputarti così importante, moccioso, e smettila di montarti la testa. Non sei al centro del mondo.»

«Volevi sparare a Zai Vessalius?!» esclamò Sophie, quando la sorpresa le consentì di formulare una frase di senso compiuto.

Conosceva l’astio che legava quei due, ciononostante non credeva Gilbert capace di un atto simile. Conosceva tutte le missioni, ufficiali o ufficiose, che egli aveva svolto per Pandora e poteva soltanto immaginare le volte in cui era stato costretto a sporcarsi le mani, a causa della sua famiglia d’adozione. Lei stessa aveva dovuto compiere azioni per le quali provava rimorso, ma sapeva che non potevano essere paragonabili agli anni di oscurità nei quali il giovane aveva vissuto.

«Ne sei rimasta delusa?» domandò lui, evitando il suo sguardo, quasi temendone un giudizio troppo severo.

«Perché dovrei?» rispose spaesata Sophie, per poi farsi coraggio ed esprimere ciò che realmente provava, senza più omettere nulla «Tu sei una persona estremamente buona, Gilbert. Forse anche troppo. Ciò che devi imparare ad accettare, è che ci sono ombre proprio dove vi è più luce. Se fossi stata al posto tuo, avrei fatto qualsiasi cosa pur di aiutare le persone che amo. Nondimeno, se mi sentissi minacciata, non posso assicurare di potermi comportare in maniera inoppugnabile.» sollevò finalmente lo sguardo, tremante ma limpido «In tutti noi albergano le tenebre. Ciò che possiamo fare, nonostante la paura, è fare in modo di sprigionare una luce abbastanza fulgida affinché non regnino sovrane.»

«Gilbert! Caleb!»

La voce di Elliot li riscosse dai loro discorsi. Sophie fece un cenno al gruppetto ritrovato, precedendo i due uomini per ricongiungendosi agli altri. Break, rimasto in silenzio, ridacchiò divertito della performance tenuta dalla figlioletta del duca pazzo.

«Ma tu guarda, questa mocciosa impertinente… parla come un poeta di cose che nemmeno conosce...» si bloccò, notando solo in quel momento lo sguardo con cui Gilbert seguiva quella figura incappucciata, con un lieve sorriso sulle labbra ed un’espressione confortata.

Break comprese prima di chiunque altro la gravità di quell’atto. Lasciò che il giovane Nightray lo poggiasse a terra per poi dedicare le sue attenzioni all’amato padroncino. Intanto che le loro chiacchiere si animavano, l’albino ebbe appena il tempo di mormorare una frase, prima che le tenebre lo inghiottissero.

«Attento, Gilbert caro: la cosa più pericolosa al mondo è amare.»



 

«Sophie?»

Il ricordo si spense, mentre la ragazza tornava alla realtà. Si era appisolata su di un divanetto, nella stanza che le era stata assegnata a Pandora. Con sua sorpresa, a destarla era stato proprio Gilbert. Si sfregò il volto con le mani, cercando di ricomporsi e, al tempo stesso, di riorganizzare le idee: che cosa ci faceva lì?

A risponderle fu il Nightray.

«Scusami, ho visto la porta socchiusa e, dato che non rispondevi, mi sono permesso di entrare. Ti cercavo per avere notizie di Cassidy: non è ancora arrivata?»

Ah, giusto… mio padre ha proposto a Cass di occuparsi delle ferite del Cappellaio, dato che nessun medico pareva capace di raccapezzarcisi.” cominciò a ricordare, sebbene a fatica.

Non aveva dormito molto nemmeno quella notte. Seguitava a fare lo stesso incubo, in cui incontrava sua madre, esattamente come a Sablier. La donna era di spalle e la chiamava in continuazione. Lei cercava di parlare, ma non emetteva alcun suono. Quando finalmente la raggiungeva e Mary si voltava, un teschio raccapricciante le gridava con voce stridula: «Tu nOn sEi lA mIa SopHiE». Il sogno proseguiva, benché lei non ne serbasse alcun ricordo: il terrore le permetteva di ricordare unicamente quel dettaglio mostruoso, unito ad un botto tremendo che la faceva svegliare in un bagno di sudore.

Provò un brivido a quel ricordo, ma lo relegò in un angolo oscuro della sua mente.

«Che ore sono?» chiese senza trovare la forza di muoversi.

Non si sentiva nelle condizioni di guardare in faccia nessuno, men che meno Gilbert. Lui si prese una pausa per osservare il proprio orologio da taschino.

«Le quattro e venti.»

«Capisco. Probabilmente Cass avrà avuto un’emergenza e si sarà attardata più del solito. Sta seguendo una bambina con i postumi di una brutta polmonite, forse ha avuto una ricaduta o… non lo so.»

«Stai bene?»

Sophie si concesse finalmente di guardarlo. Nemmeno lui aveva una bella cera, ma sicuramente aveva dormito più di lei. Si sentì piuttosto patetica per questo, ciononostante mandò giù anche quell’emozione negativa. C’era troppo da fare perché si perdesse nel suo mondo fatto di autocommiserazione.

«Sì.» mentì, infondendo sicurezza nelle sue parole «Sì, tutto a posto.»

«Hai avuto modo di parlare con tuo padre di ciò che abbiamo visto a Sablier?»

Una fitta le attraversò il cuore. Non voleva parlare di quell’argomento, men che meno con Gilbert. Era la prima volta che sperava di non incontrare il giovane. Non sopportava di leggere nei suoi occhi il sospetto, specialmente quando lei stessa non aveva modo di rimuovere quel velo di mistero che l’aveva improvvisamente accecata.

Appena tornata a Pandora aveva cercato il padre, ma com’era prevedibile non aveva potuto incontrarlo subito, non in privato quanto meno. Soltanto dopo tre giorni, a seguito di un lungo torchiarlo, era finalmente riuscita a chiedergli delucidazioni su ciò a cui aveva assistito. Non aveva ricevuto le risposte sperate e, per quanto non volesse, sospettava che il genitore le stesse nascondendo qualcosa.

«Sì. Mi ha detto che probabilmente ho visto male: quella non poteva essere mia madre. Mi sarò fatta ingannare dai trucchetti della Volontà dell’Abisso. Quel luogo era piuttosto suggestionabile: poteva trattarsi di chiunque o di un falso. Non credi anche tu?»

Non le piacque ciò che lesse nello sguardo di Gilbert. Nemmeno lui credeva a quella versione, ma un sentimento molto simile alla compassione lo fece desistere dal palesare ciò che entrambi pensavano realmente.

«Sì, potrebbe essere.» dichiarò, annuendo poco convinto.

Nessuno dei due disse nulla per diverso tempo.

Sophie si convinse ancor più di aver perso per sempre l’occasione di creare un legame, di qualsiasi tipo, con quel ragazzo. Ora che sospettava di lei, non più come semplice Barma, ma addirittura come potenziale Baskerville e nemica del Paese, come poteva pretendere di ricevere la benché minima fiducia?

Si portò le mani al volto, puntando i gomiti sulle cosce. Aveva sbagliato tutto, per l’ennesima volta. Non sarebbe mai dovuta andare a Sablier. Non avrebbe dovuto chiedere di aiutare direttamente Gilbert ed i suoi compagni, né si sarebbe dovuta impuntare su quel suo stupido sentimento che non l’avrebbe condotta da nessuna parte. Le venne da piangere, per la stanchezza e la frustrazione, ma non le andava di essere di nuovo vista da Gilbert, perciò si sforzò di suonare unicamente esausta, il che le risultò piuttosto facile in quel frangente.

«Vorrei riposare un poco. Ho il principio di un’emicrania... potresti andartene?»

Non voleva usare quella parola, sottintendendo che lo volesse cacciare. Tuttavia, non riusciva a dire che voleva rimanere sola, perché non era vero. Voleva disperatamente della compagnia. Da quando era tornata dalla missione, Reim e Cassidy erano stati impegnati a vegliare su Break, sebbene in maniera diversa, mentre Gideon era sommerso dalle scartoffie e dagli interrogatori che Pandora gli aveva affibbiato. Persino il padre era oberato da riunioni e affari interni alla tenuta che gli occupavano gran parte delle ore della giornata.

Non poteva farci nulla, lo sapeva, non era più una bambina. Però egoisticamente li incolpava di quella loro mancanza. Pregò intensamente che Gilbert se ne andasse senza fare troppe domande e, al tempo stesso, che decidesse di restare.

«… d’accordo, ti lascio tranquilla.»

Sophie annuì, senza alzare il capo.

Una lacrima le scappò, ben celata dalle mani che teneva ostinatamente sul viso.

Gilbert raggiunse la porta, ma si fermò. Sophie lo guardò con la coda dell’occhio, per comprenderne il motivo. Sembrava intento in una profonda riflessione, dalla quale si discostò con risolutezza. Si voltò e le disse, quasi urlando: «Torno subito, tu resta qua!».

«Eh?» Sophie rimase interdetta, a tal punto da scostare le mani, rivelando gli occhi già colmi di lacrime.

Ciò fece scattare Gilbert ancor più sull’attenti, tanto da puntarle un dito contro.

«Ho detto che torno subito: non t’azzardare a muoverti!»

«Io… va bene.» si limitò a rispondere lei.

Trascorsero una decina di minuti e, proprio quando la ragazza credette di essersi sognata quella scenetta, Gilbert tornò trafelato con un vassoio in mano. Chiuse la porta alle sue spalle e, marciando a passo marziale, piazzò l’oggetto su di un tavolino, che prontamente le fu avvicinato. Sollevò il coperchio, svelandone il contenuto: cinque piccole torte, finemente decorate, erano impeccabilmente disposte a formare una specie di fiore.

«Ma… queste?» domandò al culmine dello smarrimento la giovane.

Si convinse che doveva per forza stare sognando, data l’assurdità a cui stava assistendo. Gilbert, leggermente rosso in viso, non per mero imbarazzo bensì per la foga con la quale si accinse a spiegare la situazione, prese a indicarle uno ad uno i dolcetti.

«Sono cinque mini-torte: cheescake ai frutti rossi, torta di mele, dolce al miele e noci, millefoglie alle fragole e torta ripiena al pistacchio con glassa al cioccolato.»

«Sì...» mormorò poco convinta Sophie, che oramai si era asciugata le lacrime e poteva dunque guardarlo negli occhi, nonostante apparissero gonfi per la stanchezza «Ma io che ci dovrei fare?»

«Che domande: scegline una e mangiala.»

«Cosa?»

Gilbert sospirò, facendosi serio.

«Non mi piace vederti in questo stato. Tu mi hai aiutato moltissimo a Sablier, anche quando non avevi motivo per farlo, perciò il minimo che possa fare è offrirti un dolce.» arrossì fino alla punta dei ricci, rendendosi conto dell’ingenuità del suo discorso «Insomma, non voglio dire che mangiare dolci risolva il tuo problema, ma solitamente aiuta a risollevare il morale. Break lo fa sempre, infatti sorride come un ebete tutto il giorno. Inoltre i mal di testa possono venire per un calo di zuccheri, perciò se mangi starai sicuramente meglio.»

«Capisco, ma perché cinque torte?» domandò, persa in quel mare di parole per formulare qualsiasi altro pensiero.

«Ah, quello.» il ragazzo chinò il capo, mortificato «Non… non sapevo quale gusto ti sarebbe piaciuto.»

Dapprima fu come se le mancasse l’aria, ma in modo piacevole. Lentamente, qualcosa dentro di lei si allentò e, istintivamente, si portò una mano a coprire le labbra. Prima che potesse rendersene conto, Sophie cominciò a ridere, sempre più forte, sino a poggiarsi con la schiena lungo il dorso del divanetto che condivideva col Nightray. Non riusciva a smettere, era troppo, troppo felice.

«Ho sbagliato?! Non ti piace nessuna di queste?» domandò preoccupato, non capendo la sua reazione.

«Oddio, no, no, scusami.» disse lei, asciugandosi una piccola lacrima di gioia «Sono solo… Gilbert, sei troppo carino, giuro.»

«Carino?! Ehi, guarda che non è bello dire a un uomo che è carino!»

«E perché? Tu lo sei, tantissimo.»

Incapace di ribattere, il Nightray si pentì del suo gesto. Non si spiegava perché diavolo avesse fatto tutto questo per una sconosciuta. Non erano amici, men che meno legati da qualsivoglia vincolo di affetto. Erano semplici colleghi, per giunta collaboranti in sole due missioni. Eppure, quando aveva visto Sophie mentire apertamente e chiudersi in se stessa, si era sentito impotente. Non conosceva quella ragazza abbastanza per poterla consolare, ma almeno un buon dolce poteva offrirglielo… anche se non cucinato da lui, poteva portarle qualcosa che, sperava, le avrebbe fatto tornare il sorriso.

Beh… almeno adesso non sta più piangendo.” constatò con sollievo, osservando la giovane intenta a decidere quale torta assaporare.

«Scelgo questa allora, se posso.» disse, afferrando il piattino contenente la torta ricoperta di cioccolato.

«Ti piace il pistacchio?» domandò incuriosito il Nightray.

Lei annuì, ammirando la scorza semisferica che avvolgeva un ripieno che, già solo a immaginarlo, pareva squisito.

«Trovo che sia una delle cose più buone al mondo. E pensa che l’ho scoperto soltanto un paio di anni fa: Reim mi aveva regalato una confezione di macarons e quelli verdi erano semplicemente divini.»

«Sei patita di dolci, ergo.»

«Non potrei vivere senza. A te invece non fanno impazzire, vero?» domandò, già conoscendo la risposta, mentre assaporava con un morso quella prelibatezza.

Il sapore intenso del pistacchio mescolato all’amarognolo del fondente la fece distendere. Gilbert increspò le labbra, trovando estremamente facile leggere le emozioni di quella ragazza, se soltanto la si osservava in volto.

«No, in effetti preferisco cucinarli. Però i macarons non mi dispiacciono.»

«Allora devo farti assaggiare quelli della pasticceria accanto alla Lutwidge: sono i migliori di Reveille, garantito!»

«Non è necessario.»

«Massì, invece, lo faccio volentieri. Potrei portarne un poco anche per Oz e gli altri, che dici? A Break piaceranno di sicuro, basta che non se li mangi tutti.»

«Non posso garantirne l’incolumità.»

«Che impiastro. Vorrà dire che prenderò un vassoio per lui ed uno per gli altri.»

«Continuo a non poterti assicurare nulla.»

«Ma quello non è un uomo, è un pozzo senza fondo!»

Continuarono a conversare per diverso tempo, fino a quando Sophie non terminò, con estrema calma, il suo dolce. Una volta fatto, Gilbert fu costretto ad andarsene per controllare se Cassidy fosse arrivata, così da accompagnarla nella camera di Break. La Barma si offrì di riportare il piatto alle cucine, ma Gilbert non glielo permise, volendo lasciarla tranquilla a riposare, dato che ne aveva l’opportunità.

«Tienimi aggiornata sulle condizioni di Break, per cortesia.» lo avvisò, mentre si salutavano sull’uscio.

«Certamente. Tu cerca di riguardarti.»

«Sì, e... Gilbert?» lo chiamò ancora, quando questi già si stava allontanando.

Esitò un istante, prima di sorridergli, lasciando il Nightray colpito da un vago senso di calore a lui sconosciuto.

«Grazie di cuore.»

Non appena la porta si richiuse, Gilbert affidò ad una domestica che passava per caso di lì il contenitore con i dolcetti. Si diresse a passo sicuro verso l’ala in cui si trovavano gli alloggi dei membri di rango più elevato a Pandora, tra cui il suo e quello di Break; pur non essendo questi un nobile, si era distinto insieme a Reim per le sue indubbie doti, guadagnandosi le effigi argentee che spiccavano sulle spalle delle loro uniformi. Sophie, invece, faceva parte per suo stesso volere di una categoria inferiore, i collaboratori3. Come gli aveva rivelato poc’anzi, non le andava di sfruttare l’influenza del padre e voleva altresì mettersi alla prova. Era decisa a dimostrare le sue capacità e guadagnarsi una posizione di prestigio con le sue sole forze.

In breve tempo raggiunse la stanza di Gideon, situata al limite delle scale che conducevano ai piani superiori. Non appena il Nightray superò la soglia sovrappensiero, l’uscio si spalancò, rivelando Cassidy. La sua mente ci mise qualche secondo ad elaborare quel dato, essendo ancora fissa sul sorriso di Sophie che, per qualche motivo che non comprese, gli scaldava l’animo. Lo sguardo seccato che la bionda gli donò lo fece immediatamente distrarre da tali fantasticherie.

«Oh, ti stavo giusto cercando.» le disse d’impulso Gilbert, interessato ad interrogarla sulle condizioni di Break.

In un certo senso, si sentì come Reim quando ignorava bellamente i comportamenti irriverenti e spregiudicati del servitore di Villa Rainsworth, con la differenza che Break lo faceva impazzire, laddove la ragazza, con molta probabilità, avrebbe potuto spedirlo direttamente all’obitorio.

«Non mi dire.» ribatté seccata, sbattendo la porta in faccia ad un innocente Gideon che, mestamente, tentava di emergere alle sue spalle «Io invece mi stavo interrogando sul diritto all’omicidio in questo Paese.»

«È illegale.» le fece notare con angoscia crescente il Nightray, rimasto colpito dal fatto che Cassidy non si fosse nemmeno voltata per chiudere con tutta la sua forza i battenti d’ingresso «Come in tutti i Paesi civili.» ci tenne a precisare.

«Questo perché non ci sono donne al governo.»

Gilbert si trattenne dall’esternare il suo sollievo, specialmente dopo aver immaginato un mondo in cui lei era al potere. Fece una tacita preghiera di ringraziamento agli Angeli del cielo, per questa concessione divina. Era in momenti simili che ritrovava tutt’a un tratto la fede.

«Che volevi sapere? Notizie sul Cappellaio?» cambiò bruscamente argomento Cassidy, prendendolo piacevolmente in contropiede.

«Sì, lo hai già visitato?»

«Stavo recandomi da lui proprio ora. Se vuoi accompagnarmi.»

Acconsentì, seguendola in silenzio a pochi passi di distanza. In verità, la sua lingua premeva per chiederle delucidazioni sulla scena a cui aveva appena assistito, ma siccome desiderava vivere per almeno un’altra decina di anni, si guardò dal palesare oltre i suoi pensieri.

«Se l’è meritato.» proferì atona Cassidy, quasi potesse leggergli nella mente.

Gilbert deglutì sonoramente, avvertendo del sudore freddo solcargli la fronte.

«… certo.»

 

 

 

A Pandora era scoppiato il finimondo: tra la fuga rocambolesca di Oz e compagni, la lontananza del duca Nightray recatosi a Sablier, i feriti riportati dalla voragine ed il preoccupante terremoto che aveva scosso l’intero Paese, l’organizzazione era nel caos più totale. Nel mentre in cui si tentava di raccogliere i dettagli delle testimonianze di Gilbert, Gideon e Caleb, il duca Barma aveva mandato a chiamare un medico di fiducia. Le condizioni di Break apparivano infatti critiche e, nel tentativo di sedare parte dei disordini interni, aveva deciso di sollevare i medici di Pandora dai loro doveri, dato che dalle loro indagini non emergeva nulla che potesse essere di aiuto per il paziente. Naturalmente al nobile nulla importava della salute dell’uomo, ma poiché un forte legame di amicizia lo legava ai Rainsworth si era sentito in dovere di intervenire.

Proprio quando la situazione pareva essersi calmata, i tre giovani messi sotto torchio da Pandora furono liberati. Riunitisi nel salottino di Gideon, che si era offerto di ospitarli, si erano al fine lasciati cadere, chi su di una poltrona gli altri su di un divanetto. Oz, rimasto separato sino ad allora dal gruppetto, aveva fatto il suo ingresso timidamente. Al suo fianco vi era Alice e, alle loro spalle, una figura oscura di cui però non si erano resi conto.

«Ragazzi, come sta… ?» cominciò il biondo, per essere bruscamente interrotto da un grido di guerra.

«GIDEON UOMO IDIOTA CHE CAMMINA!»

Il sopracitato giovane ebbe un brivido e scattò sull’attenti, nel vano tentativo di placare la furia di quella creatura mitologica che conosceva fin troppo bene.

«Non ricordavo di aver cambiato nome, ma va benissimo! Chi si lamenta? Io no di certo… tu Caleb?»

«Che c’entro io?!» domandò preoccupata la ragazza, che si fece immediatamente piccola piccola, nella speranza di passare per un pezzo di mobilia insignificante.

«Con te parlo dopo.» ringhio il demone, facendo così crollare quella flebile speranza di sopravvivenza che, per un breve ma intenso attimo, era balenata nel cuore della Barma.

Lo sguardo di Cassidy non si era mai smosso dal suo obiettivo che, pur non potendola vedere, avvertiva perfettamente il peso di quell’accusa. Poté soltanto portare le mani avanti, in un istintivo gesto di difesa che, in teoria, doveva placare l’aggressività di quella belva feroce. Forse vi era una benché minima possibilità di riuscita, ma essa si ridusse a zero nell’istante in cui Gideon diede aria alla bocca.

«Hai tutto il diritto di essere arrabbiata.»

La tempesta si scatenò.

«Ah, davvero?» fece melliflua la bionda, per tramutarsi in lama «Beh, ti ringrazio per avermi dato il tuo consenso, non ci avrei dormito la notte altrimenti.»

«Ahia.» mormorò Caleb, avvertendo dolore per l’amico «Forse dovremmo andare...»

«Non ci pensare nemmeno.» la bloccò sul posto Cassidy.

«Cass.» fece serio Gideon, aumentando se possibile la tensione nell’aria che si poteva palpare nella stanza «Non coinvolgere gente che non c’entra nulla. Evita di fare una scenata.»

«Una scenata?!» a Cassidy uscirono gli occhi dalle orbite poi, come improvvisamente spenta da ogni emozione, disse freddamente «Certo, per voi in fondo è di questo che si parla. Solo una scenata.» strinse i pugni, senza cambiare tono «Voi ve ne andate a zonzo, in luoghi che vanno oltre la definizione di pericoloso, a rischiare la vita e senza mai dirmi nulla. Mentre io servo soltanto per rattopparvi eventuali ferite. Il resto non conta, giusto?»

«Cass, non è come…» tentò di intervenire Caleb, avvilita da quelle accuse tanto dure, ma l’amica la fermò nuovamente con un cenno della mano.

Il suo viso era rimasto marmoreo, come una maschera del teatro antico. Soltanto il lieve tremito che le percorreva l’arto, come un serpente venefico, era prova della grande emozione che la stava attraversando e che, a fatica, dominava dentro di sé.

«Va bene così, Caleb. In fondo sto solo facendo una scenata. Vado a visitare il ferito, tanto qui non servo.»

Si mosse celere, eppure tutti i presenti osservarono quello spostamento come se avvenisse al rallentatore. Gideon si alzò, fece per parlare, ma tacque. Era raro per Caleb vedere l’amico tanto combattuto. Quando finalmente si decise ad emettere un suono era solenne, come un antico cavaliere dinnanzi al signore a cui aveva giurato eterna fedeltà.

«Non ho intenzione di tradire la mia promessa, né ora né mai.»

Cassidy si fermò. Poggiò stancamente una mano sullo stipite della porta, come prosciugata da ogni energia. Oz ed Alice, seppur vicini, non avrebbero saputo dire quali pensieri stessero attraversando la sua mente, distante miglia e miglia da quel luogo. Non si voltò.

«Ti ho chiesto solo una cosa, Gideon, soltanto una. Perciò non chiedermi di far finta di niente, lo sai che non posso…»

Attraversò il varco che la separava dal corridoio e, inaspettatamente, la soglia rimase aperta, facendo permeare quel vuoto della sua assenza che, come un fantasma, aleggiava tra i presenti. Oz e Gilbert non compresero il significato di quello scambio, ciononostante ne percepirono la solennità. Alice, dal canto suo, grazie al suo insaziabile sarcasmo, riuscì a rompere quel silenzio calato come un incantesimo su di loro.

«Certo che vi siete messi di impegni per farla infuriare tanto. Faceva quasi paura quanto me.»

«Non è arrabbiata.» le rispose Caleb, sospirando «Ha soltanto paura.»

«Che? Quella là? Paura di cosa?»

«Alice.» la richiamò Oz, scuotendo appena il capo per farle capire che non era il caso di proseguire oltre.

«Puoi tranquillamente aggiungere delusa.» le concesse Gideon, lasciandosi ricadere sulla poltrona con fare teatrale.

Il modo in cui si portò le mani al viso, reclinato all’indietro, mostravano tutta la sua amarezza per quella situazione che aveva creato. Ridacchiò senza alcuna gioia, fissando lo sguardo vuoto sul soffitto.

«Non faccio altro che ferirla.» mormorò appena, per poi stringere i denti.

«Ehm… scusate se mi permetto, ma lei chi era?»

«Chi è questo tizio, più che altro, Oz! È sospetto, super sospetto! Ha degli occhi strani, non mi piacciono.» aggiunse prontamente la Chain alla domanda del nobile.

«Ahahah, giusto, non mi sono ancora presentato.» così dicendo, il ragazzo si rimise in piedi.

Muovendosi con estrema grazia ed eleganza, si portò una mano chiusa al petto, all’altezza del cuore e, con un inchino profondo, si presentò davanti ad alcuni dei rappresentanti più importanti della nobiltà, oltre che al Chain più temuto da tutta Pandora.

«Perdonate la mia mancanza di buone maniere dovute alle circostanze del nostro incontro. Sono Gideon Tryghain, membro di Pandora al servizio della famiglia Barma, nonché amico fidato di questo elemento.» concluse la sua baldanzosa presentazione indicando Sophie, confusa dal suo guazzabuglio di belle parole.

«Ehi! Se continui con questo andazzo ti lascio in balia di Cassidy.»

«Quale dolce pensiero: l’idea di lasciarmi trasportare dalla sua furia incendia ancor di più il mio cuore già innamorato.»

«Un momento! In che senso innamorato?» volle sapere Oz, allarmato.

«Ebbene lo confesso, sebbene si dovrebbe già capire: Cassidy altri non è che la mia amata.»

«Sono fidanzati. Anche se Cassidy non vuole saperne di sposarsi.» specificò divertita Sophie, godendosi gli sguardi esterrefatti di Oz e Gilbert.

«Quale angelico limbo, il mio.» sospirò Gideon, con aria trasognata.

«Sei fidanzato, ma lei non si vuole sposare?!» domandò sgomento il Nightray, intromettendosi d’improvviso nel discorso.

«Cassidy è una donna che sa quello che vuole.» rispose semplicemente il biondo, con un sorriso di circostanza «E fintanto che lei è felice, io non ho nulla di che lamentarmi.»

«Ma… ma come? Io nemmeno credevo che fosse possibile conversarci civilmente, figuriamoci corteggiarla.»

«Rispetto il suo punto di vista, nobile Gilbert, ma ci tengo a ricordarle una questione fondamentale: Cassidy è la donna di cui sono innamorato, perciò le sarei oltremodo riconoscente se non si rivolgesse a lei con una tale confidenza; di fatto non avendone alcuna.»

«Ed è anche la mia migliore amica.» ci tenne a puntualizzare Sophie, anche per smorzare i toni, poiché sapeva bene quanto facilmente Gideon si infervorasse quando si trattava di Cassidy.

Si rivolse dunque ad Oz ed Alice, in attesa di ulteriori delucidazioni, parlando con non poco orgoglio.

«Oltre ad essere il medico di fiducia della famiglia Barma.»

«Così giovane? È davvero straordinaria, allora.» esclamò il Vessalius, strabiliato ed ammirato, mordendosi la lingua per non aggiungere “ed è persino una donna”; non voleva rischiare di offendere Sophie e la sua amica in una volta sola.

Gideon parve apprezzare il cambio di discorso, beandosi di quegli elogi rivolti alla sua dama.

«Posso confermarlo: non esiste persona più dedita al suo incarico di lei, oltre ad essere un’instancabile studiosa. È una persona che si è fatta da sé e che, a causa di questo, ha sofferto molto. Vi prego perciò di essere comprensivo nei suoi confronti, benché all’apparenza risulti difficoltoso approcciarla. Non merita il vostro biasimo.» ammorbidì il tono, facendosi conciliante quando si rivolse a Gilbert «Alle volte, sbaglio anch’io.»

«Non sei il solo, se questo può consolarti.» gli disse Sophie «Ed io la conosco da molto più tempo di te.»

«Purtroppo no, non mi è di alcun conforto, dato che mi trovo in una posizione nettamente diversa dalla tua, ma apprezzo ugualmente.» le concesse l’amico, prima di inchinarsi nuovamente dinnanzi ai presenti «Col vostro permesso, ho un torto da andare a riparare.»

 



Con grande sollievo di tutti, Xerxes Break aveva ripreso conoscenza.

Cassidy e Gilbert se ne accorsero per ultimi, avendo il Cappellaio già ricevuto la visita di Reim, Sharon, Oz ed Alice. I due giunsero sul finire di quel corteo giocoso e fin troppo movimentato per i gusti del medico. Questi lasciò correre per qualche minuto poi, con voce ferma, annunciò la sua volontà di visitare il paziente. Oz ebbe un istintivo moto di terrore, dato il ricordo che serbava della ragazza. Break, evidentemente ignaro del pericolo, aveva invece cortesemente chiesto alla sua “graziosa infermiera” di pazientare un poco, dovendo disquisire con i presenti di materie alquanto delicate ed impellenti. Cassidy aveva sorriso, facendo finalmente correre un brivido lunga la schiena di Break.

«Sia. Tornerò non appena Sua Maestà sarà pronto e non dubiti che la sua infermiera baderà a lei con tutto il fervore e lo zelo di cui è capace.»

A quel punto Gilbert fece un sentito quanto silenzioso addio a Xerxes. Un tempo avrebbe forse gioito di una tale punizione, date le mille angherie subite nel corso di quei dieci anni di forzata collaborazione, ma una Cassidy furibonda ed offesa non l’avrebbe augurata al suo peggior nemico, figurarsi poi in qualità di medico. Break avrebbe avuto modo di espiare le sue colpe e di questo Sharon ne fu tacitamente soddisfatta. Era la prima volta che incontrava una donna, ad eccezione dell’amata nonna, che sapesse incutere timore con un semplice gesto.

Penso che mi piacerebbe conoscerla meglio.” disse tra sé e sé, mentre si accingeva a sentire le testimonianze dei suoi amici riguardo i fatti di Sablier.

Tutti quanti avevano avuto a che fare con esperienze minacciose quanto misteriose: creature corrotte dagli influssi dell’Abisso e tramutate in orrendi mostri, città fantasma risorte dalle macerie e ricordi talmente vividi da potervisi immergere come in un sogno ad occhi aperti. Gilbert pareva il più restio a parlare e, per una volta, non soltanto riguardo se stesso. Dopo aver ammesso, in maniera palesemente menzognera, di non aver visto nulla di particolare nei suoi ricordi, ebbe un secondo tentennamento.

«E di Sophie Barma, cosa ci dici?»

La domanda del Cappellaio fece strabuzzare gli occhi del Nightray, dapprima socchiusi in una torbida meditazione. Osservò spaesato l’albino, che ricambiava il suo sguardo con severo acume.

«In che senso?»

«Nell’unico senso possibile: da quello che ho sentito, voi due siete tornati assieme da Oz ed Alice cari, dopo che l’Abisso vi aveva diviso con l’inganno. Hai per caso notato qualcosa di interessante?»

Gilbert non sentì nemmeno la replica del servo di casa Barma che, offeso da quel commento, si era intromesso affermando che non c’era assolutamente nulla di sospetto nella sua padroncina. Break aveva replicato che si era limitato a porre una semplice domanda. Per quanto si fidasse dell’amico, lo stesso non poteva dire della figlia del Duca.

«Sai bene che riponiamo piena fiducia nelle tue capacità, Reim. Il mio solo cruccio è: quanto davvero sai di quella ragazza?»

«Adesso stai davvero… !»

«Nulla.»

L’intervento di Gilbert interruppe il litigio, facendo voltare i presenti in direzione del Nightray. Manteneva il capo chino, l’espressione sorpresa, come se non si aspettasse di pronunciare ciò. Si sentiva confuso: perché aveva risposto a quel modo? In fondo, lui davvero non sapeva nulla di quella giovane, se non poche, vaghe informazioni. Era un’inguaribile ritardataria, tanto per cominciare. Era molto zelante nei propri incarichi, attenta ad ogni dettaglio, eppure molto goffa ed imbranata quando si trattava di interagire con persone che non conosceva. Parlava senza riflettere troppo, dando vita a fraintendimenti ma anche a profonde riflessioni. Amava il pistacchio ed i macarons. E voleva essergli amica.

Una serie di dati completamente irrilevanti, che non rispecchiavano l’immagine nitida che lui e Break, in qualità di servitori di due delle più importanti casate ducali del Paese, avrebbero dovuto avere nei riguardi di un possibile alleato. Non potevano ancora definire Sophie Barma con criterio e, dunque, ciò che aveva visto nella voragine, quel ricordo che riguardava la defunta duchessa Barma, sarebbe dovuto fuoriuscire dalle sue labbra con totale disinvoltura. Era soltanto un’informazione da riportare, nulla più. Niente di diverso da ciò che aveva sempre fatto nel corso di quei dieci anni.

Man mano che proseguì in questi pensieri, però, il suo sguardo si fece sempre più concentrato. Ricordò ogni frammento di quel giorno che aveva condiviso con Sophie e in nessuno di essi vi poté leggere l’ombra di un dubbio. Era di un’onestà disarmante il suo volto e, anche nel dissimulare la propria sofferenza, vi si leggeva chiaramente ogni emozione, come un libro aperto. Fu con il ricordo vivido di quella lacrima che era sfuggita al suo controllo e del sorriso che poco dopo la ragazza gli aveva donato, che ripeté fermamente la sua posizione, decisa inconsciamente già da tempo.

«Non ho visto nulla di rilevante che la riguardi.»

Break soppesò quelle parole, con cura, prima di alzare le spalle con fare apparentemente indifferente.

«Tanto meglio. Ora il caro Reim potrà tirare un sospiro di sollievo e tornare a scodinzolare dalla sua padroncina.»

Mentre il dibattito tra i due riprendeva, Cassidy si fece annunciare con delle pesanti manate alla porta: a gran voce, invocava il suo sacrosanto diritto a visitare il paziente ed a sbattere fuori chiunque le si opponesse. Per defenestrazione diretta, come ci tenne a precisare. Effettivamente, rifletté Oz ad alta voce, la giovane era stata sin troppo clemente nei loro confronti, concedendo loro ben trenta minuti di intimità. Una volta usciti, Gilbert si pose a sua volta una domanda, la stessa che, nel suo profondo sguardo cremisi, Break gli aveva rivolto.

«Sei certo di poterti fidare di Sophie Barma?»

 



«Sei veramente un cretino.»

«Porta rispetto mocciosa. Anche se non sono un nobile, resto pur sempre...»

«Lei è veramente un cretino. Il suo ego si sente meglio, adesso?»

Reim non poté far altro che pulirsi gli occhiali con fare agitato. Da quando era rimasto in stanza con Xerxes e Cassidy, quei due non avevano fatto altro che lanciarsi frecciatine durante tutta la visita. Per quanto il servitore di Villa Barma volesse apparire super partes, non poteva fare a meno di ridacchiare sotto i baffi per tutti quei macigni portentosi che, con la delicatezza di un uragano, il giovane dottore lanciava con mira micidiale alla volta di Break. Il quale, per quanto tentasse di ribattere, poteva unicamente sprofondare di colpo in colpo.

Il suo divertimento ebbe termine nel momento in cui Cassidy proferì la sua diagnosi.

«Il suo corpo ha raggiunto il limite.»

Non vi era più l’ombra di un sentimento nella sua voce; per un istante, Reim avvertì il suolo mancargli da sotto i piedi.

Sapeva che Xerxes non verteva in buone condizioni e che, a causa del prolungato uso di Mad Hatter, il suo corpo stava subendo dei danni sempre più gravi. Credeva che si trattasse soltanto di circostanze passeggere, che col tempo si sarebbero sanate. Voleva crederlo. Invece, ora la gravità dei fatti lo colpiva in tutta la sua potenza.

«Mi dispiace.» disse infine Cassidy, senza guardare il paziente negli occhi.

«Quanto?» volle sapere Break.

«Se non utilizzerà più il suo Chain...»

«Dottore, sia onesta con un povero vecchio, la prego.»

Dapprima non trovò le parole o, forse, stava soppesando il tono con cui riferirle; alla fine, la bionda scelse di mantenere la medesima cadenza: «Potrebbe non riuscire a vedere la prossima primavera».

Break chiuse gli occhi. Non una nube di turbamento oscurò il suo viso pallido.

«Capisco. Beh, in fondo ho sempre detestato quella stagione. Decisamente sopravvalutata.»

«È tutto qui?!» domandò irato Reim «Non hai davvero altro da chiederle, Xerxes?»

«Che dovrei fare, Reim? Mettermi a singhiozzare? Non ho più l’età per simili bambinate.»

«Cosa si può fare?» domandò il giovane alla ragazza, ignorando il commento dell’amico e palesandosi dinnanzi a lei, afferrandola le spalle «Tu sei l’unica che è stata capace di comprendere al volo le sue condizioni e trattarlo, allora...»

«Allora trova una cura?»

Cassidy lo osservò con i suoi occhi di ghiaccio, indifferente. Non si scostò dal suo tocco, lasciò che i suoi sentimenti fluissero prima di prendere gentilmente ma con fermezza le mani del ragazzo, togliendosele di dosso.

«Per quanto noi medici rappresentiamo l’unico avversario della morte, non siamo divinità. Non possiamo sapere tutto, né curare tutti.»

«Ma se… !»

«Signor Reim.» lo chiamò pacatamente lei, sperando di destarlo da quel suo stato di agitazione «Comprendo come si sente, ma io non ho le conoscenze per salvarlo. Posso tentare di rallentare i sintomi, trovare un rimedio che plachi il dolore...»

«Dolore?»

«Utilizzare quel Chain non è privo di conseguenze, nemmeno nel breve termine.» affermò convinta la ragazza, lanciando uno sguardo glaciale a Break «Ma di questo, ovviamente, lei non ne era a conoscenza.»

«Ah, non mi dica: era dolore quello che provavo? Sa, quando si è presi da una cosa non ci si accorge quasi del resto.» rispose il Cappellaio, mantenendo il suo distacco.

«E non c’è davvero altro che possiamo fare?» domandò ancora Reim, le braccia ormai distese lungo il corpo, prive di volontà «C’è una persona… ci sono delle persone che soffriranno nel venirlo a sapere.»

«Lo capisco, purtroppo non posso fare altro.»

«Continua a ripetere che lo capisce, ma non mi pare troppo coinvolta, signorina.» la rimbeccò Break «Potrebbe almeno fingere, sa. Lei è molto graziosa, ma quella maschera di ghiaccio che porta perennemente addosso la farà odiare, e non solo dai suoi pazienti.»

«Io sono un medico e devo curare il corpo. La mia faccia o ciò che provo non deve riguardarvi.» ringhiò lei, per poi trattenere il fiato, come scottata «E soltanto perché non lo dimostro, non significa che non provi nulla. Dovrebbe saperlo anche lei, no?» si concesse un sorriso stanco, con una nota di compassione «Mi dica, signor Break, quello che mi ha detto era rivolto a me o a lei stesso?»

Sistemò i suoi arnesi senza attendere una risposta. Chiuse la borsa e, dopo un breve inchino, si congedò dai due gentiluomini.

«Non parlerò ad alcuno dei dettagli della sua condizione, se non lo desidera, ma le consiglio di farlo lei stesso quanto prima. A cominciare da questo qui.» disse Cassidy con un cenno rivolto verso Reim «Dovete parlare di diverse cose, no? Ora che la sua vista non è più quella di un tempo, sarà il caso che metta da parte il suo stupido orgoglio e faccia spazio ad altro.»

«Ad esempio, dottore?» chiese Break, leggermente infastidito, sebbene incuriosito.

«Questo lo deve decidere lei.»

 

 

 

Nel frattempo, presso uno dei grandi balconi dell’organizzazione, Sharon, Alice, Oz e Gilbert stavano conversando riguardo a Sablier ed al suo ruolo per Pandora. Secondo quanto appreso dalla Duchessina, quel luogo era sorvegliato in quanto centro di esperimenti ed analisi riguardo l’influsso dell’Abisso sulle persone. Una pratica barbara e atroce, di cui era all’oscuro. Il Cappellaio non aveva voluto riferirle ciò per timore di metterla al corrente di una storia tanto orribile.

Sharon però era determinata a cambiare e per tale ragione decise di unirsi al gruppo che si sarebbe recato alla villa del duca Barma, di modo da ricevere informazioni riguardanti la riunione da poco svoltasi tra i quattro grandi duchi. Naturalmente, per fare ciò attesero che Reim si liberasse dalla presenza di Break, di modo che potesse far loro da guida.

La visita non fu affatto piacevole e, dopo i soliti giochetti di illusioni, le frecciatine severe e le allusioni alle loro più recondite paure, finalmente l’uomo si decise a raccontare di un piccolo dettaglio del quale nemmeno gli altri nobili erano a conoscenza: l’ubicazione di uno dei saggi e, di conseguenza, di uno dei suggelli da difendere.

«In una piccola villa ai confini della regione di Carillon. Là c’è il discendente di uno dei saggi che proteggono i suggelli. Voglio che lo raggiungiate.» disse con aria soave, osservando uno dei suoi parrocchetti variopinti in gabbia «Ecco il prezzo della mia informazione. Spero che comprenderete.»

«Duca Barma!» lo interruppe Sharon, sconvolta «Perché ha taciuto agli altri duchi un’informazione così importante?»

«Che dici?» domandò a sua volta, per nulla turbato «Chi è così stupido da mostrare tutte le sue carte? Inoltre, le altre informazioni utili a far muovere gli altri tre duchi le ho passate. Se ho taciuto è solo perché ritenevo che dirlo a voi fosse la cosa più utile: che male c’è?»

«Far muovere… gli altri tre duchi?» ripeté Sharon.

Reim, alle sue spalle, poté soltanto tacere, abbassando lo sguardo. Era fedele al duca Barma ma, nonostante i lunghi anni di servizio al suo fianco, aveva altresì trascorso molta della sua giovinezza con la duchessina Sharon ed il suo servitore. Si sentiva perciò schiacciato tra incudine e martello, incapace di inserirsi in quel dialogo tra nobili.

«Per lei noi siamo soltanto dei pratici strumenti?» le mani presero a tremarle, mentre poneva quell’ennesima domanda.

L’uomo non modificò di un minimo la propria espressione annoiata.

«Che domanda sciocca.» disse in tono pacato, mostrando uno sguardo impenetrabile «Per me le persone si dividono in utili ed inutili.» proferire quelle parole gli fece uno strano effetto, nonostante nessuno poté notarlo «“Serviti di tutti coloro che possono servire ai tuoi scopi” non è forse il medesimo pensiero del tuo amato Cappellaio?»

«Non si paragoni a Break!» l’urlo improvviso di Sharon scosse tutti i presenti «Lui non dimentica di avere a che fare con delle persone! Non usa gli altri come se fossero oggetti!»

Nel proseguire nel suo sfogo, Reim tentò di avvicinarsi per calmare la ragazza, ma fu inutile. Un ultimo grido riempì la stanza.

«NON PARLI SENZA SAPERE!»

Fu come la calma prima della tempesta. Dapprincipio non accadde nulla. Poi, lentamente, un modesto cambio nell’espressione del Duca preannunciò il rombo, una punta di fastidio che nascondeva chissà quali prorompenti sentimenti. Infine, il tuono.

«Modera i termini, ragazzina.»

Un vento si alzò dal nulla, circondando la nobile. Piume oscure, vergate di un rosso porpora, presero ad aleggiare nell’aria e, dietro il duca Barma, una figura informe prese lentamente sembianze tangibili. Il Chain del casato Barma, Dodo, comparve in tutta la sua magnificenza, osservando con un occhio enorme e vuoto la sua preda.

«Sebbene tu sia figlia di nobili, sembra che non ti abbiano insegnato ad avere rispetto di chi sta più in alto di te. Allora...» mormorò aprendo il suo temibile ventaglio in ferro «Ci penso io a farlo.»

«Sharon!»

Il primo a muoversi fu Oz. Si precipitò al fianco dell’amica, non potendo fare altro che proteggerla col proprio corpo. Davanti a loro, tuttavia, si palesò Gilbert, il braccio sinistro teso in un gesto di sfida: aveva evocato Raven per contrastare il potere di Dodo. Persino il Duca, che difficilmente rimaneva stupito, fu costretto a strabuzzare gli occhi dinnanzi a quell’atto.

«Oh?» disse infatti, quasi ammirato «Hai annullato il mio potere con Raven? Non scherzi, hai un’espressione decisa.» si concesse una breve pausa, per soppesare le prossime parole da rivolgergli «Visto che da Sablier eri tornato depresso credevo di poter approfittare della tua debolezza, invece… hai risolto il tuo dubbio?»

«Non la riguarda.» fu la laconica risposta del Nightray.

«Come vuoi.» sorrise Rufus, divertito da quell’inaspettato svolgersi di eventi, per poi congedare sbrigativamente i presenti «Andrò a caccia dei dettagli e ve li farò sapere. Andate!»

Mentre gli ospiti lasciavano la stanza, Reim si accingeva a raccogliere il gran numero di documenti e libri che erano volati alla rinfusa per la stanza a causa della forza d’urto dovuta all’evocazione del Chain. Rufus lo congedò con un cenno della mano. Rimasto solo, si lasciò cadere sulla sua seduta preferita, un’antica sedia foderata con piume d’oca che capeggiava di fronte alla sua scrivania.

«Bene… chissà se il piccolo Vessalius riuscirà a diventare una pedina utile per me?» si rivolse apparentemente al soffitto, ma in breve la sua voce fu diretta a qualcuno celato tra le ombre «Certo che è stato uno spettacolo degno di nota: l’impassibile Gilbert Nightray ha saputo tirare fuori gli artigli. Cosa ne pensi, Sophie? Hai origliato per bene tutto da là dietro?»

Nascosta da una libreria, che in realtà era un passaggio semovente, emerse la figlia. Lo sguardo era chino, rivolto al disordine che si era creato nello studio del genitore.

«Era davvero necessaria tutta questa pantomima?» domandò, osservando con rammarico alcuni pezzi di carta dispersi lungo il parquet e l’uccellino che tremava terrorizzato nella sua gabbia, ora riversa a terra.

«Suvvia, essere teatrali è un’arte e, inoltre, ciò mi ha permesso di rivelare alcuni tratti nascosti che, altrimenti, non avrei potuto scovare. Ad esempio, il fervore con il quale il giovane Nightray ha difeso la duchessina Rainsworth. L’hai notato anche tu?»

Sophie non rispose. Combatté con la vergogna per ciò a cui era stata costretta ad assistere in segreto, per non intromettersi in quelle faccende che, pur riguardandola emotivamente, di fatto le erano estranee. Nessuno di loro l’aveva infatti interpellata per quella missione e lei, di conseguenza, non aveva alcun diritto di immischiarsi. Si inginocchiò a terra, raddrizzando la gabbia in metallo e tentando invano di placare le urla di quel povero animale.

«Avrebbe difeso chiunque in quelle circostanze. Lui è fatto così.»

«Tu dici?» domandò Barma, fintamente sovrappensiero, con il ventaglio chiuso poggiato sul mento meditabondo «Eppure non sarebbe affatto scontato se quei due si unissero, un giorno. Due grandi casate ducali congiunte da un fortuito matrimonio… certamente, Sharon Rainsworth avrebbe tutte le carte in regola per farlo.»

Sophie strinse i pugni. Mandò in fondo al cuore quella visione che il padre le aveva ostinatamente gettato davanti agli occhi da diversi anni e, ignorando la fitta che provò al cuore, si limitò a rispondere a denti stretti.

«Non mi pare il momento per pensare a simili sciocchezze.»

«Vero.» concesse l’uomo, per poi squadrarla con fare severo «Ma prima o poi tutti devono crescere e comprendere qual è il ruolo che gli spetta in società. Lui, come Sharon Rainsworth, come te, figlia mia.»

La ragazza poté soltanto dirigersi verso la porta, non trovando il modo di ribattere.

«Non andrai con loro, te lo proibisco.»

Si fermò, la mano poggiata sulla maniglia.

«Che novità. Tu che mi proibisci di fare qualcosa.»

«Non è uno scherzo, Sophie. Hai già rischiato troppo recandoti a Sablier. Lascia che stavolta siano altri a farsi avanti.»

«Giusto. Meglio mandare avanti le pedine utili, vero padre?» si voltò, gli occhi socchiusi ed in procinto di colmarsi di lacrime che, però, questa volta non gli concesse di vedere «Mi domando quale sia il mio ruolo, in questo tuo gioco.»

Stavolta fu il turno di Barma di stringere i pugni.

Calò il silenzio tra padre e figlia che, silenziosamente, presero una nuova distanza l’uno dall’altra. Rimasto solo, Barma rifletté sulle parole che aveva rivolto alla nipote di colei che, da mezzo secolo ormai, reputava la sua migliore amica. Non poté fare a meno di sorridere amareggiato, ricordando l’espressione ferita che aveva letto sul suo volto, tanto simile a quella della donna che amava ed a cui, anni addietro, aveva riportato il medesimo messaggio.

Si era mostrata indifferente Mary, lasciandolo in balia del dubbio che le sue labbra gli avevano rivolto.

«Quanto deve essere triste sapere così tanto delle persone che ti circondano, eppure non conoscerle davvero.»

Si portò una mano al volto, esasperato da quei ricordi.

«Di chi credi sia la colpa se adesso mi trovo in questa situazione, eh Mary?»

 



A seguito delle indicazioni fornite dal Duca, Oz e compagni si diressero nella regione di Carillon dove, nella piccola e modesta Toll, incontrarono un uomo al servizio dei Barma che li avrebbe scortati sino alla villetta del saggio. Il servitore era un tale Gruner, dall’aspetto severo ed austero, con lineamenti quadrati ma piacevoli. Doveva avere all’incirca trentacinque anni e, dal suo accento marcato, compresero che si trattasse di un uomo proveniente dalla stessa nazione dei Barma, solo trasferitosi molto più di recente.

Intanto che sbrigavano i convenevoli prima della partenza, Gilbert si soffermò ad osservare i paraggi: non c’era molto da dire su quel paesino, era tetro e poco invitante rispetto alla ridente Reveille. Quantomeno i suoi abitanti parevano cordiali, dato il modo ossequioso con cui salutavano i nuovi venuti. Sharon si posizionò al fianco del ragazzo, approfittando del fatto che il Vessalius stesse conversando con Gruner riguardo al prossimo mezzo di spostamento.

«Sei riuscito a chiarirti col nobile Oz?»

La domanda cinguettante della fanciulla, pronunciata in modo melodioso quasi fosse una filastrocca, distrasse Gilbert dai suoi pensieri. Sharon aveva un modo tutto suo di preoccuparsi per gli altri, in particolare con lui. Sembrava sempre divertita dalle sventure che colpivano il giovane ma, se si imparava a comprenderla, negli occhi color rosa antico si poteva scorgere un accorato interesse. Il Nightray si concesse di prendere un’altra boccata dalla sua sigaretta, prima di rispondere.

«Sì… in parte.» concesse, rammentando il dialogo intercorso tra lui ed Oz durante il loro tragitto alla villa del Duca «Diciamo che, per il momento, quello che ci siamo detti mi basta. E forse basterà anche a lui.»

«Capisco.»

Sharon increspò appena le labbra, sollevata nell’udire ciò. Nonostante il carattere freddo e all’apparenza distaccato del suo interlocutore, Sharon era molto affezionata a Gilbert e sapeva che, a modo suo, anche il Nightray ricambiava quel suo tenero sentimento di amicizia e stima reciproca. Si concesse perciò una piccola frecciatina ai suoi danni.

«Mi domando da dove sia giunta tutta questa tua voglia di confrontarti.»

«Prego?» domandò spaesato Gilbert, mentre terminava la sua sigaretta, il leggero vento primaverile, pungente per via dell’inverno che non voleva saperne di abbandonare la loro terra, che faceva compiere arabeschi al fumo.

Sharon socchiuse gli occhi, portandosi una mano alla guancia con aria ingenua.

«Non vorrai dirmi che ti sei sbloccato di tua sponte col nobile Oz? Che io sappia, solitamente sono gli altri a doverti cavare di dosso le parole. E non con poca veemenza, se posso permettermi.»

«In effetti, è stato Oz a dare il la al discorso, però...» si soffermò sovrappensiero, per poi celare il viso dietro la mano che stringeva la sua sigaretta oramai consumata tra le labbra «Diciamo che mi è stato fatto riflettere su di una circostanza.»

«Sarebbe a dire?» lo incalzò dolcemente Sharon.

«Ecco...» mormorò imbarazzato il giovane, sistemandosi il cappello con movimenti bruschi ed impacciati «Non è bello quando non si conoscono i pensieri degli altri, specialmente dei propri cari. A volte, benché si abbia paura, si dovrebbe semplicemente parlare a cuore aperto, mettendo da parte i tentennamenti.»

«Cielo.» mormorò Sharon, ridacchiando divertita «E ti ci sono voluti ventiquattro anni per comprenderlo? Le mie congratulazioni, Gilbert.»

«Non… non è mica così scontato, per uno come me! E comunque sia, faccio ancora una fatica del diavolo a parlare alle persone cui tengo senza paure.»

«Lo so bene. E lo sa anche il nobile Oz.» concesse lei, per poi guardarlo con serietà «Ma proprio per questo si apprezzano i tuoi sforzi.»

Non sapendo come ribattere, Gilbert si limitò a gettare la sigaretta a terra, spegnendola definitivamente con il tacco. Proprio in quel momento Oz li chiamò per informarli che era ora di rimettersi in marcia.

«A piedi.» specificò mortificato nei confronti di Sharon «Purtroppo la villa si trova in una zona impervia, dove le carrozze ed i cavalli non possono...»

«Non c’è alcun problema.»

«Ma… Sharon...»

«Ho detto. Non c’è. Nessun. Problema.»

Quella parlata monocorde, accentuata da brevi ed intense pause, fece desistere il Vessalius dal proferire qualsiasi altra rimostranza all’idea di far camminare la giovane rampolla dei Rainsworth per un sentiero fangoso e pieno di rovi.

«Certo. Domando scusa.» mormorò terrificato il biondo, dirigersi verso Gruner per comunicargli che erano pronti per rimettersi in viaggio.

«In ogni caso.» sospirò esasperata Sharon, che non vedeva l’ora di dimostrare le proprie capacità a tutti, dato che seguitavano a sottostimarla «Sono lieta di sentire questo, Gilbert. Quella persona che ti ha portato a riflettere su un tema per te tanto spinoso, certamente, è un’ottima amica.»

Il giovane non si mosse subito. Osservò la Duchessina allontanarsi, prima di realizzare che doveva fare altrettanto. Si sentì sollevato, come se necessitasse di una giustificazione per le sue ultime azioni. Conosceva Sophie Barma da pochissimo tempo, eppure ella era già riuscita a scuoterlo nel profondo con poche, impetuose, parole.

«Un’amica, eh?» mormorò sovrappensiero, mentre raggiungeva i compagni.

Quella definizione non gli dispiaceva troppo, in fondo.

 



Incontrare il saggio non fu facile. Dopo aver superato un terreno impervio, celato da un labirinto di alberi, il gruppo riuscì infine a trovare, grazie alla guida di Gruner, la fantomatica villa che andavano cercando. Una volta entrati, furono accolti da un’atmosfera spettrale e dal silenzio che, come una bara, li avvolse. Una ragazza dai fluenti capelli castani e dallo sguardo malinconico diede loro il benvenuto. Mary, così si presentò, era un’abile combattente: munita di una sega ben affilata, li attaccò senza indugi. Con l’ausilio di specchi per confondere le sue mosse e di un cerchio magico, che impediva ai Chain di essere evocati, aveva messo alle strette il gruppo. Fortunatamente, Oz riuscì a liberare il potere del B-Rabbit sebbene, al tempo stesso, parve perdere la ragione. Stava infatti per infliggere il colpo di grazia alla ragazza, quando Alice lo fermò. A suo modo, naturalmente.

«Oz… quella è la mia preda.» aveva piagnucolato, stringendolo in un abbraccio carico di frustrazione e timore «Credi che un servitore come te possa occuparsene senza il mio permesso?!»

A quelle parole, Oz era come tornato in sé. Si era scusato e, di lì a poco, Ritus il saggio aveva fatto la sua apparizione in scena. Si era scusato per l’inopportuna e disdicevole accoglienza, spiegandone il motivo: era l’ultimo custode rimasto in vita del suggello e, non sapendo chi fossero e che intenzioni avessero, aveva dovuto agire di conseguenza. Tuttavia, aveva riconosciuto in Oz la figura di Jack, tramandatagli dagli antichi. L’ovvio potere che aveva sul B-Rabbit aveva infine spezzato ogni altro dubbio.

«Ciò che noi sappiamo.» rivelò infine «È che non possiamo dare a nessuno il suggello, se non a colui che possiede la forza del B-Rabbit.»

Aveva a quel punto mostrato loro, a fatica data la veneranda età che lo costringeva su di una sedia a rotelle, l’oggetto a cui tanto ambivano, insieme ad un altro tesoro. Porse ad Oz uno scrigno ligneo, antico eppure lucido, che dimostrava come fosse stato conservato con estrema cura. L’unico segno del tempo trascorso su di esso era un nastro logoro che lo avvolgeva, siglandone l’integrità da ormai più di un secolo.

«Non ci è permesso raccontarle tutto.» spiegò al giovane «Ma qui dentro forse c’è un’informazione che indicherà la strada da seguire.»

«Voi… cosa farete d’ora in poi?» domandò grato Oz.

Proprio nel momento in cui l’anziano stava per rispondergli, dalla porta d’ingresso alle loro spalle si udì un gran fracasso: un botto acuto, seguito da un urlo di dolore.

«Ahia! Spigoli maledetti!» protestò una voce ben nota ai presenti.

«So… volevo dire, Caleb!» la chiamò il Vessalius, sbigottito «Che ci fai qua? Reim ci aveva riferito che il duca Barma...»

«Quel rompiscatole mi ha proibito di accompagnarvi.» ammise Sophie, massaggiandosi la spalla dolorante «Ma non ha mai detto nulla sul fatto di scortarvi sino a casa.»

Un sorrisetto soddisfatto brillava fin dentro i suoi occhi, che subito si soffermarono su ognuno di loro, esaminandoli con cura.

«State tutti bene, vero?» fece preoccupata, torcendosi le mani «Mi dispiace essere arrivato soltanto adesso.»

«Tu non dovevi proprio venire!» protestò Gilbert, con grande sorpresa di tutti.

«Come?» esalò interdetta Sophie, mentre gli altri inclinavano il capo, confusi anch’essi dalla foga con cui il Nightray si era rivolto all’informatore.

«Mi hai sentito bene: se ti è stato proibito di fare una cosa, dovresti ubbidire. Era pericolosissimo, lo credo bene che il Duca ti abbia vietato di seguirci.»

«Che? Ma scherziamo? Sono cinquanta mila volte più cauta di voi tutti messi insieme! C’è persino Sharon! Ah, senza offesa, Duchessina… però, oggettivamente, a parte te e Gruner, nessuno di voi sa difendersi a mani nude!»

«Veramente io sì.» protestò Alice, che venne palesemente ignorata.

«Perché, tu sì?» la punzecchiò Gilbert, facendola fremere per l’irritazione.

«Brutto… certo che so difendermi! E non parlarmi dall’alto in basso!»

«Ti parlo dall’alto in basso, perché sei un tappo!»

A quella parola Gilbert si portò una mano alla bocca. Non pensava di poter ripetere lo stesso appellativo che utilizzava il fratello per schernire Oz ma, nel fervore del litigio, gli era sovvenuto spontaneamente.

«Ti chiedo scusa...» mormorò, intanto che Sophie annuiva tronfia «Oz.»

La soddisfazione dipinta sul volto della Barma si frantumò in mille pezzi.

«Ma fai sul serio?!»

«Smettila di gridare!»

«Ragazzi, vi prego, calmatevi.» fece il Vessalius divertito eppure imbarazzato da quel teatrino comico «Non mi pare il luogo, né il momento.»

I due, come ridestati da un sogno, si morsero le labbra e smisero di fissarsi in cagnesco. Ciò non impedì a Sophie di mormorare un sentito: «Ha cominciato lui». Prima che Gilbert potesse ribattere, Ritus prese la parola.

«Sei per caso imparentato con Mary?»

L’attenzione si puntò sull’anziano, come un riflettore del teatro. La sua assistente, che sino ad allora si era limitata a scambiare sguardi increduli con il suo maestro, si rivolse a lui con voce incerta.

«Che dice, nobile Ritus? Non ho parenti e quel giovane...»

«No, scusami Mary, non mi riferivo a te. Prima che tu giungessi qui, c’era un’altra donna che assisteva il mio predecessore. Molti, molti anni fa… ero solo un ragazzino all’epoca, ma le volevo molto bene. Per questo, quando ti trovai, non ebbi dubbi sul nome da darti. E tu.» fissò gli occhi stanchi in quelli azzurri di Sophie, rivangando antichi ricordi «Hai lo stesso viso… gli occhi, soprattutto, sono esattamente come i suoi.»

Sophie aveva improvvisamente perso colore, oltre le parole. Non riusciva a comprendere ciò che gli veniva chiesto, si sentiva come sprofondare nuovamente in un incubo.

«Tu non sei la mia Sophie.»

Quella voce orribile la fece tremare.

«No… si sbaglia. Non è possibile.»

Il saggio l’osservò a lungo, ma non insistette.

«Capisco, i miei occhi devono essersi sbagliati.»

Lasciarono la villa sotto la sorveglianza di Gruner, intanto che Sophie scortava il gruppo verso Toll. Nessuno osò chiederle nulla. D’improvviso, una nuova scossa di terremoto li fece sobbalzare. Tornarono indietro di corsa, ma fu inutile: Ritus, Mary e gli uomini del Duca erano stati brutalmente decapitati ed il suggello distrutto. Nell’aria si poteva avvertire il suono di quella filastrocca raccapricciante che, come una maledizione, si era abbattuta su di loro: la Regina di Cuori era tornata.



Si incontrarono per caso nel bel mezzo del corridoio. Sophie si stava recando nella stanza di Break per parlare con Reim, che era in visita all’amico convalescente, sebbene non per sua volontà. Sharon e Cassidy, unite dal medesimo obiettivo, riuscivano infatti a tenere l’uomo a bada, nonostante i suoi costanti tentativi di fuga. Gilbert, invece, voleva discutere col Cappellaio delle ultime vicende. Erano a malapena trascorse ventiquattr’ore dagli eventi di Carillon, ciononostante era evidente dai loro sguardi quanto tutto ciò li avesse scossi nel profondo.

Lui appariva sciupato, con gli abiti sgualciti ed ancora pregni dell’odore della rugiada della foresta e del sangue versato dai suoi commilitoni. La ragazza, benché indossasse una nuova divisa, portava solcato sul volto la preoccupazione delle rivelazioni di cui era stata spettatrice. Gli occhi apparivano cerchiati ed il lieve tocco dell’insonnia si era posato come un bacio venefico sul pallore della sua pelle. Appariva spenta, di una tonalità diversa rispetto a quella ben più brillante che l’aveva caratterizzata durante i loro primi incontri.

Conscia di questo, non seppe come mascherare il suo disagio. Per un sciocco istante maledì il fatto di non essersi mai interessata al trucco. Quasi immediatamente realizzò che non avrebbe ugualmente posseduto le forze per nascondere ciò che l’affliggeva. Né sotto strati di cosmetici, né con la propria volontà.

Si sentiva stanca come non lo era mai stata in vita sua. Non aveva nemmeno interpellato il padre al ritorno, temendo ed al contempo sperando in una sua risposta ai nuovi quesiti che l’anziano Ritus aveva fatto emergere nella sua mente. Si era invece rinchiusa nelle sue stanze, trovando una parvenza di sollievo in quell’angosciante quiete.

«Ciao.» lo salutò laconica.

«Buongiorno.» fece in maniera più consona il ragazzo, non sentendosi di commentare la questione, trovando la giovane troppo scossa per una ramanzina inutile.

Si morse un labbro, combattuto: era già sufficientemente preoccupato per il suo padrone, che dal loro rientro si era rifiutato di alzarsi dal letto. Vi era inoltre il pensiero assillante concernente la salute della sorella, della quale non aveva più avuto notizie. Come se non bastasse, c'era la questione che riguardava Sophie in prima persona: qual era la connessione tra la figlia del duca Barma ed i Baskerville? Sua madre, la defunta Duchessa, aveva davvero un legame con l’Abisso? Ed in che modo avrebbe potuto conoscere il saggio Ritus?

C’erano troppe coincidenze, troppi fatti a cui aveva assistito che non facevano altro che mescolarsi con il mistero più grande, riguardante il presunto peccato di Oz ed il motivo per cui Alice, a distanza di un secolo, si trovasse come Chain tra loro. Troppe figure pericolose ed ambigue ruotavano intorno alla persona a lui più cara, che aveva promesso di difendere con la sua stessa vita. Non poteva permettere che altre se ne aggiungessero. Sarebbe perciò stato ovvio lasciarsi guidare dalla diffidenza, ma il volto di quella ragazza non gli trasmise ostilità, bensì apprensione. Non l’aveva mai vista tanto prostrata.

«Come…» cominciò titubante, per poi concludere, per nulla convinto della sua scelta di termini «Come è andata a finire con gli uomini del vostro seguito?»

Sophie si mosse a disagio, limitandosi a guardare un punto indefinito alla sua destra.

«Siamo riusciti a trasportare i corpi a Reveille. Cassidy ha aiutato nel rendere le salme più presentabili, mentre le famiglie venivano informate. Quasi tutti sono stati presi in consegna per i funerali.»

«Quasi tutti?»

«Gruner era arrivato da poco in città. La sua famiglia si trova ancora all’estero, nel suo Paese d’origine.» tacque, recuperando il controllo della sua voce che si era pericolosamente incrinata, senza tuttavia riuscirvi con totale successo «Non l’ho nemmeno salutato quando ci siamo separati. Forse...»

«Non è stata colpa tua. Nessuno poteva sapere quello che sarebbe successo.»

«Ma se solo io non fossi venuta, come mi era stato detto, forse sarebbe stato lui a riaccompagnarvi... e adesso lui non sarebbe morto!»

«O magari non sarebbe andata così. Non puoi saperlo.»

«Smettila.»

Non aveva più urlato, eppure la sua voce spezzata interruppe qualsiasi altro suono. Singhiozzò, portandosi una mano alle labbra tremule. Non voleva piangere, non voleva rendersi ridicola e debole, ma più si sentiva ripetere che non aveva colpe, più dentro di sé udiva rimbombare una voce che gridava il contrario. La voce di Gruner. Era colpa sua. Soltanto colpa sua. E lei non voleva sentirla.

«Ti prego.» riuscì infine a gracchiare, flebile «Così non mi aiuti.»

Le lacrime presero a colare copiose, mentre la ragazza tentava, invano, di trattenere il fiato per calmarsi, ottenendo l’effetto opposto: quando prendeva aria, inalando dolorosamente, emetteva versi acuti, impossibili da dissimulare.

Gilbert non sapeva che fare.

Non aveva mai visto una donna piangere, non in quel modo e non a causa sua. Generalmente, un gentiluomo l’avrebbe consolata, ma aveva appena appurato che aprire bocca procurava soltanto danni. Un segno d’affetto, oltre che fuori luogo, gli sarebbe risultato impossibile da attuarsi. Non era abituato a toccare altre persone che non fossero Oz o Ada e, quando ciò accadeva, lo faceva con la massima attenzione e premura. Non avrebbe potuto convertire quei sentimenti di profondo affetto per una giovane che a malapena conosceva.

Affranto e sempre più intimorito dal fatto che chiunque, nel bel mezzo del corridoio, avrebbe potuto vederli da un momento all’altro, aveva istintivamente portato la mano al cappello, che aveva chinato per celarsi il volto, in un abituale gesto di disagio. D’improvviso se l’era tolto e lo aveva calato sulla testa della Barma. Sophie toccò la tesa in tessuto nero, confusa.

«Scusami.» mormorò Gilbert, per poi giustificarsi a voce un po’ più alta «Sono un inetto in simili circostanze, ma… ecco… ho pensato che, in questo modo, nessuno ti avrebbe visto piangere.»

Sophie non seppe che dire. Si chinò la falda il più possibile, mentre la stringeva con le mani tremanti. Il Nightray le rimase accanto, sorvegliando la zona ed indirizzando l’attenzione su di sé non appena scorgeva qualche membro dell’organizzazione passare celere per il corridoio. Fortunatamente, era orario di lavoro e pochi associati erano tornati nei piani alti per recuperare qualche documento dimenticato o concedersi un momento di svago. Una volta che la ragazza ebbe tirato fuori tutte quelle emozioni negative che si portava dentro, tentò di darsi una sistemata. Prese silenziosamente un fazzoletto e, celermente ma accuratamente, si ripulì il volto. Quando si sentì sicura del suo respiro, nuovamente calmo, porse il cappello a Gilbert.

«Grazie.» disse con sincerità, già pronta a scusarsi.

«Tienilo.» fu invece l’inaspettata risposta, che la fece quasi saltare sul posto.

«Come?» esclamò «Ma… questo è il tuo prezioso cappello. Non te ne separi mai.»

«Certo che lo è. Non è un regalo, infatti.» fu la risoluta risposta, che si attenuò nel momento in cui borbottò imbarazzato «Però, ecco, adesso ne hai maggiore bisogno tu. Quando potrai di nuovo mostrare il tuo solito viso, potrai ridarmelo.»

«D’accordo.»

Non riuscì a dire altro. Si sentiva attraversata dall’adrenalina data dall’agitazione di poc’anzi e ad essa si aggiungeva l’emozione di essere stata oggetto di una tale premura da parte di Gilbert. Fu come una piccola fiammella in mezzo al buio che, in quei giorni, l’aveva inghiottita. Per un istante poté concentrarsi sul fatto che fosse una ragazza innamorata come tante. Una giovane a cui era appena accaduto qualcosa di bello.

«Perché ti trovavi qui?» domandò a un tratto, non sapendo come riempire quell’ennesima pausa creatasi tra loro.

Gilbert parve ricordarsi d’improvviso del luogo in cui si trovava e di tutte le faccende che lo avrebbero impegnato di lì a poco. Abbassò appena il tono di voce, tornando serio.

«Devo parlare con Break riguardo a ciò che abbiamo scoperto.»

Lei annuì, sapendo bene quanto il Nightray fosse legato al servitore di casa Rainsworth da un vincolo di reciproco aiuto e segretezza. Non ne conosceva i dettagli, ma Reim, essendo molto vicino a entrambi, gliene aveva parlato al tempo.

«Giusto, avrà una bella sorpresa, non appena saprà tutto quello che avete scoperto. E lui come sta? Si è ripreso?»

«Quello non muore nemmeno se lo ammazzi. Pare più preoccupato delle sue guardie carcerarie, piuttosto.»

«Cassidy e lady Sharon fanno veramente paura insieme. Non vorrei essere in lui.»

«Non voglio nemmeno immaginare quello che abita la sua mente. Mi disturba già abbastanza così com’è.»

Sophie ridacchiò, divertita dal modo in cui Gilbert parlava senza alcun pelo sulla lingua del suo amico. Aveva letto la sua preoccupazione nel momento in cui il Cappellaio aveva perso i sensi a Sablier ed anche durante la sua convalescenza Gilbert vagava per i corridoi come un’anima in pena. Non aveva quasi avuto il coraggio di entrare nella sua stanza, quando Break aveva ripreso i sensi, da quello che le aveva narrato Cassidy. Pensando a ciò, la giovane si ricordò di un’altra persona.

«E tua sorella? Si è finalmente ristabilita?»

Gilbert fu percorso dal senso di colpa, che lo costrinse a spostare lo sguardo in basso.

«Non ne ho idea, purtroppo.»

«Prego?» domandò confusa Sophie.

«Non la vedo da allora… da Sablier.» ammise con crescente imbarazzo il giovane, pregando che quel discorso si interrompesse lì.

Sophie Barma era di tutt’altro avviso.

«Come sarebbe a dire che non la vedi da allora? Per quale arcano motivo non le hai fatto visita?»

La sua voce era mutata, trasformandosi lentamente in un rimprovero ben poco velato. Gilbert, colto di sorpresa da quel cambiamento repentino, si mise sulla difensiva. Per qualche ragione a lui ignota, provò un lieve sentore di pericolo, come quando Sharon si avvicinava minacciosa a Break per punirlo di una sua qualche marachella. Disorientato da ciò, cominciò a balbettare.

«Beh, perché… i-insomma, dopo quello che mi ha detto Elliot non so se io...»

«Non sai cosa? Mettere un piede davanti all’altro e andare a casa tua a vedere TUA sorella?!» urlò inferocita Sophie, mostrando un volto ridicolmente incollerito, essendo paonazza per il lungo pianto «Elliot è una testa calda e quando si comporta a quel modo dovresti riprenderlo: sei o no il fratello maggiore?»

«Sì, ma...» tentò di difendersi Gilbert, che istintivamente fece mezzo passo indietro, portando avanti le mani in segno di resa.

«Niente se e niente ma! Che ci fai ancora qua?»

«Eh? Che cosa?»

«Muoviti, tornatene a casa e parla coi tuoi fratelli. Assicurati che stiano bene e fai la pace con Elliot e… santo cielo, devo veramente dirti quello che devi fare?!»

Mentre il ragazzo borbottava parole sconnesse, Sophie lo afferrò per un braccio e prese a trascinarlo verso l’uscita, per poi spingerlo per la schiena, facendolo quasi inciampare.

«Ma si può sapere che hai da tentennare? Preparati un discorso e vedi di mettere tutto a posto una buona volta, disgraziato!»

«Disgraziato?!» esclamò offeso Gilbert, senza però sentirsi troppo convinto di poter recriminare «Io?»

«Ancora qui stai? Se hai voglia di discutere, fallo con tuo fratello!»

«Ma se sei tu che hai… e smettila di spingermi, ho capito! Vado, vado!»

Senza ulteriori proteste, Gilbert prese le scale, dirigendosi a passo spedito verso l’uscita. Nel frattempo, Sophie lo tenne attentamente d’occhio, spostandosi ad una delle grandi finestre che davano sul cortile interno, per assicurarsi che egli prendesse effettivamente una carrozza. Una volta rimasta soddisfatta di ciò che aveva fatto, lo sconforto si fece presto strada in lei: aveva appena realizzato di aver urlato alla persona che amava e che, pochi minuti prima, era stata tanto premurosa con lei. Si sentì la più idiota del reame.

Io… perché l’ho fatto? Una signorina non dovrebbe gridare, men che meno spingere la gente e… gli ho persino dato del disgraziato!” pensò con orrore la ragazza, portandosi le mani al viso “Perché sono tanto idiota?!”

Poco distante da lei, due figure osservavano incuriosite quell’avvincente spettacolo che si era svolto per il loro intrattenimento. Break e Reim, accorsi a causa dei toni crescenti che si udivano al di là della stanza del Cappellaio, avevano aperto uno spiraglio per capire cosa stesse accadendo. Le loro reazioni si leggevano palesi nei loro volti, in completo contrasto tra loro.

«Ma quei due… da quando sono tanto in confidenza?» domandò schifato Xerxes, che non avrebbe mai potuto nemmeno sognare di vedere il piccolo Gilbert redarguito da un soldo di cacio alto almeno dieci centimetri meno di lui. Reim, invece, aveva gli occhi che luccicavano per l’emozione.

«Non ne ho idea, ma mi sento incredibilmente orgoglioso della mia padroncina!»

«Buon Dio, ti prego, risparmiami questo orrore da romanzo rosa. Piuttosto, vedi di prestare soccorso alla tua padrona: sembra sul punto di gettarsi dalla finestra.»

Effettivamente, Sophie poggiava il capo con fare disperato contro il vetro, battendoci ritmicamente sopra. Avvertiva appena il male ed il freddo della lastra trasparente, ma non le importava. Nella sua mente risuonavano inesorabili i rimproveri del padre che, da anni, le rinfacciava di aver perso ogni barlume di femminilità, essendosi voluta cocciutamente dare ad altri studi. La ragazza non credeva che un giorno avrebbe finito per rimpiangere quella sua scelta. Non sul campo amoroso. Una voce amica parve risollevarla da quel limbo di autocommiserazione.

«Ehm… Sophie?» mormorò Reim, avvicinatosi a lei.

Questa voltò il capo, felice di vedere un volto amico.

«Reim.» mormorò affranta «Perché sono tanto imbranata in amore?»

«Perché sei figlia di tuo padre.»

«Come?»

«Niente. Lasciamo perdere.»

«Quanto chiasso inutile.» si intromise Break, guardando con sadico divertimento la giovane «Chi ti sposa è condannato.»

«Break! Un po’ di delicatezza!» urlò indignato il servitore di Villa Barma.

«Mi perdoni.» si scusò prontamente l’albino, senza nemmeno cambiare di un millimetro l’espressione del proprio viso «Volevo dire: lady Sophie, di certo il suo consorte avrà vita assai breve e turbolenta, in sua diletta compagnia.»

Sophie, colpita nel profondo, non poté ribattere: sentiva che quella calunnia era più che fondata. Nonostante tutto, trovò un minimo di conforto in essa.

«Almeno...» bisbigliò rassegnata, intanto che Reim rimbeccava a suon di improperi l’amico «Qualcuno crede che mi sposerò, un giorno.»

 



Tutto il suo corpo gli urlava di andarsene, di tornare sulla carrozza e lasciare perdere. La sua mente, tuttavia, obbligò non solo le gambe a muoversi verso l’ingresso ed i corridoi che ben conosceva, ma si era persino presa la libertà di parlare con i domestici, salutandoli con un cenno mano a mano che li incontrava. Quello che Gilbert non sapeva era cosa avrebbe fatto una volta incontrato uno dei suoi fratelli.

Se già con Vincent aveva una discreta difficoltà nel rapportarsi, con Elliot e Vanessa le cose erano drasticamente precipitate nel corso del tempo. Soltanto Christine aveva un carattere sufficientemente pacato da metterlo sempre a suo agio ma, considerando la sua solita fortuna, non credeva di avere il piacere di quel primo incontro. Il ricordo della sorella minore diede l’ulteriore spinta di volontà di cui aveva bisogno. Sebbene nel tragitto in carrozza non fosse riuscito ad elaborare alcun discorso, sapeva che non poteva tergiversare oltre. Per quanto esagerata nei modi di fare, Sophie aveva ragione. Non poteva scappare in eterno dalle persone che amava, fingendo che non gli importasse. Non si meritavano una considerazione simile, non dopo tutto quello che avevano passato insieme, nel bene e nel male.

Osservò l’austera mobilia che, inalterata negli anni, riusciva ancora a farlo sentire piccolo. Dieci anni prima era stato schiacciato da quelle mura, costruite da coloro che considerava il nemico. La paura di quei luoghi a lui sconosciuti, la confusione nel ritrovare un fratello di cui non aveva memoria e che, in qualche modo, lo turbava profondamente, tutte quelle emozioni tornarono a mescolarsi in lui come un vortice che inghiottiva ogni cosa. Ciononostante, a sua insaputa, si erano accese delle luci.

I maggiori del casato Nightray lo maltrattavano a gesti e parole, senza preoccuparsi minimamente di celare il loro comportamento. La Duchessa era anch’essa insofferente nei suoi confronti, esattamente come per Vincent, ed anzi si adornava di un sadico riso ogni qualvolta scorgeva piccole ecchimosi sulle loro pelli. Suo marito pareva invece indifferente ed al tempo stesso molto attento ad ogni dettaglio. Non gli rivolgeva quasi mai la parola, né si era mai spinto a compiere alcun gesto che potesse anche solo lontanamente ricordare quello di un padre. Persino con i suoi stessi figli si mostrava premuroso eppure distaccato, una persona totalmente differente dalla genuinità a cui Gilbert si era abituato con lo zio Oscar. Ma i figli minori del Duca erano speciali. Tutta la casa li trattava con una cura particolare e Gilbert, incuriosito, aveva finito per osservarli divertito: erano l’unico bagliore in quella tetra esistenza che si era creato.

Non ricordava bene quando, ma ad un certo punto i suoi ricordi si erano riempiti dei volti di Elliot e Christine. C’erano nei pomeriggi assolati, in cui uscivano a godersi il bel tempo e l’aria frizzante dell’estate, oppure nelle fredde notti vicino al caminetto, mentre Elliot imparava a leggere con Christine al fianco, che gli faceva i dispetti pronunciando apposta le parole in modo strano, in modo da confonderlo. Vincent era con loro, un po’ in disparte, un po’ imbronciato da quella che definiva una continua tortura, dalla quale non si sottraeva mai. Ad Ernest e Vanessa non andava a genio questa loro unione, malgrado ciò era bastata una lacrima di Christine a farli desistere dal tentativo di separarli. E Gilbert in cuor suo sapeva di essere stato felice tra quelle mura. Anche se non avrebbe mai voluto ammetterlo, all’epoca.

Ripensare a quei momenti gli aveva provocato un groppo alla gola, che lo aveva costretto a fermarsi in mezzo alle scale. Aveva vissuto così tante avventure, sciocchezze quotidiane di alcun valore, che però rappresentavano il mondo per lui. Aveva visto quei piccoli crescere e con essi il legame che li univa. Era grazie a loro se era riuscito a stare al fianco di Vincent, conoscendolo ed imparando a volergli bene come al fratello che era stato nel suo passato misterioso. Doveva talmente tanto a quei bambini, eppure lui li aveva abbandonati.

Per difenderli, certo, per tentare di proteggerli da quel male che pareva volerlo inseguire ovunque, per evitare di coinvolgerli nei suoi intrighi con Pandora ed i Rainsworth. La verità scomoda era che l’aveva fatto nel modo sbagliato. Sparendo, allontanandosi senza spiegazione, divenendo un’ombra del passato. Ed anche se Christine lo aveva perdonato, non poteva biasimare Elliot per non averlo fatto. Era stato un egoista ed un codardo.

«Anche senza il potere di Raven, io sosterrò la famiglia a modo mio. Perciò anche tu, in quanto membro dei Nightray, in quanto erede di Raven, in quanto mio fratello, assolvi i tuoi doveri fino in fondo.»

Quel ricordo bruciò nella sua memoria come uno schiaffo. Se non avesse affrontato il suo passato a Sablier, se non avesse incontrato Oz ed Alice, se non avesse parlato con Sophie, probabilmente sarebbe tornato indietro, anzi, nemmeno si sarebbe trovato in quel punto. Invece, c’era. E non intendeva più retrocedere nemmeno di un passo.

Riprese a camminare deciso, raggiungendo il corridoio in cui si trovavano le stanze di Vanessa e Christine. Fu allora che incrociò Elliot, da poco uscito dagli alloggi della gemella. Rimase dapprima sorpreso poi, drasticamente, un’espressione di collera e rancore ne prese il posto. Se non urlò, fu soltanto per non farsi sentire dagli altri membri della famiglia che si trovavano in casa.

«E tu perché diavolo sei qui? Vattene, la tua presenza non è richiesta.»

Gilbert affrontò quella pioggia di ostilità con fermezza.

«Sono qui perché sono preoccupato per Christine… ed anche per te.» parlò in tono calmo, sebbene severo, lasciando per un istante il fratello interdetto «Lei come sta? È ancora a letto?»

La domanda, pronunciata in maniera più morbida e sentita, consentì ad Elliot di riacquisire il suo spirito battagliero.

«Non porre domande di cui non ti è mai importato.»

«Non è vero.»

«Beh, non mi pare che tu ne abbia mai dato grande prova, da quando te ne sei andato con la coda tra le gambe, lasciandoci soli.»

Per la seconda volta, Gilbert avvertì tutto il dolore che il fratello si era portato dentro sino a quel momento. Non era semplicemente arrabbiato con lui, né lo odiava. Si sentiva tradito e ferito da una persona che credeva non gli avrebbe mai fatto alcun male. Era stato uno stupido a non vederlo prima.

No.” si corresse dentro di sé Gilbert, senza concedersi più alcuna indulgenza “Non è che non vedessi. Non volevo vedere. Perché ammettere che volessi bene ai miei fratelli adottivi avrebbe significato tradire per l’ennesima volta la famiglia che mi aveva amato ed accolto quando non avevo nulla. L’ennesimo tradimento ai danni dei Vessalius.”

«Hai ragione.» disse guardandolo dritto negli occhi prima di chinare il capo in segno di pentimento «E ti domando scusa per questo. Cionondimeno, adesso sono qui e non intendo andarmene.»

Lasciò che quanto detto prendesse forma nello spazio che li separava, sino a prendere posto nel cuore dell’altro. Non sapeva se le avrebbe accettate, avrebbe compreso se non gli fosse più possibile accedere a quel luogo. Certe azioni, purtroppo, avevano delle conseguenze fatali.

Elliot non si mosse, come paralizzato. Provò una serie di emozioni contrastanti, ma prima di parlare si morse la lingua. Aveva da poco fatto pace con la sorella ed ricordava bene le sue parole.

«Ti perdono, Elly, non ti preoccupare.» gli aveva detto, dopo gli eventi della voragine di Sablier.

Lei lo aveva abbracciato, aveva pianto e per poco non si era soffocata nelle sue stesse lacrime tanto era preoccupata. Si era scusata un’infinità di volte ed altrettante lo aveva redarguito con rabbia.

«Mai più.» gli aveva detto, per poi spiegarsi una volta calmata «Non devi mai più andartene senza che prima ci siamo chiariti. Se ti fosse successo qualcosa quando eravamo in collera l’uno con l’altra, non me lo sarei mai perdonata.»

Avevano parlato molto, in seguito. Di loro, di Gilbert, del Cacciatore di Teste e persino di Oz e Caleb. Era stato allora che Christine lo aveva perdonato, in un momento inatteso, che gli aveva donato un immediato senso di sollievo.

«Però vorrei che mi capissi.» lo aveva guardato negli occhi, con uno sguardo da adulta, non più da ragazzina «Tu puoi decidere di vedere Gilbert come di non farlo, mentre io non ho questo potere. Perciò, se dovessi incontrarlo, non mandarlo via senza che io prima possa salutarlo come vorrei. Ti chiedo soltanto questo. E poi, se vorrai, ti prego… cerca di perdonarlo.»

Elliot sospirò, stringendo i pugni fino a farli tremare. Era troppo orgoglioso ed ancora scottato dalla rabbia per potersi concedere di perdonare il fratello. Non poteva farlo, non in quel momento. Ciononostante, pensò, poteva almeno riconoscere la sincerità delle sue parole e la sensazione di profondo sollievo che, pur non volendo, aveva provato dentro di sé. Gilbert gli voleva bene. Gilbert era preoccupato per lui. Voleva tanto sentirselo dire, ma non da qualcun altro, bensì da egli stesso.

«Non ti caccio soltanto perché Christine si infurierebbe di nuovo con me.» concesse infine, voltando le spalle al fratello per non mostrargli l’emozione che aveva preso ad agitarsi nei suoi occhi.

«Di nuovo? Che le hai fatto stavolta?»

«Non sono affaracci tuoi! E non parlarmi come se sapessi che solitamente è colpa mia!»

«È sicuramente colpa tua.» disse serio Gilbert, per poi concedersi un sorriso affettuoso «Le hai già chiesto scusa?»

«Certo che le ho chiesto scusa… ma non era assolutamente colpa mia! Anzi, sei tu che… !»

«Elliot, per carità, abbassa la voce, razza di cretino! Christine sta cercando di riposare… oh. Il nobile Gilbert?»

Leo, balzato fuori dalla porta, aveva preso a manate il suo padrone, nel morigerato tentativo di rammentargli il luogo e le circostanze in cui si trovava. Nel vedere Gilbert si era come spento, interrompendo bruscamente quello che avrebbe definito “un pestaggio istruttivo”. Intanto che Gilbert e Leo facevano le dovute presentazioni, non avendone mai avuta l’occasione da quando Gilbert aveva lasciato la villa, Elliot ebbe modo di riprendersi.

«Che razza di servitore picchia il proprio padrone?»

«Uno molto ligio al dovere. Piuttosto, che ci fai ancora a mani vuote? Non eri uscito per prendere il volume nono di Holy Knight?»

«Stavo andando, ma poi Gilbert si è messo in mezzo come al solito.»

«Ehi, parlami in modo più rispettoso, resto comunque tuo fratello maggiore.» lo riprese Gilbert, notando per un istante un sorriso ed un rossore che non vedeva in viso al fratello da molto, troppo tempo. L’espressione di quando era felice ed imbarazzato al medesimo tempo.

«Non… non rompere e vai da Christine, intanto che cerco il libro: oggi vuole rileggere a tutti i costi l’episodio del ballo in maschera. Una tale rottura, è quello più noioso di tutti… perciò, vedi di farle compagnia, intanto che io e Leo andiamo a recuperarlo.»

«Perché improvvisamente sono stato investito da tale onere?»

«Zitto e seguimi!»

«E tu smettila di sbraitare. Uffa, che pazienza.» frattanto che Leo si accingeva a seguire la propria croce, si concesse una confidenza con Gilbert «Entri pure, sono certo che anche Christine sarà felice di rivederla.»

Il ragazzo annuì, osservando divertito i due allontanarsi. Si sentì incredibilmente bene, come non lo era da tempo. Fece per togliersi il cappello, ma rammentò soltanto allora di non averlo. Sorrise ripensando a Sophie, vacando la soglia di quella nuova risolutezza che lo aveva investito.

Sarebbe stato grato a quella ragazza per sempre.

 



Si lasciò andare sulla porta, stanco ma estremamente appagato. Era trascorso decisamente troppo tempo dall’ultima volta che era stato in compagnia dei suoi fratelli minori ma, con sua diletta sorpresa, nulla era cambiato. Christine si era quasi messa a saltare sul letto per l’eccitazione, con il risultato di aver pericolosamente rischiato di cascare a terra e farsi male. Per sua fortuna il corpo di Gilbert era ben allenato e, con uno slancio celere, aveva evitato il peggio.

Quando Elliot era tornato, anziché calmarla, era unicamente riuscito ad agitarla ulteriormente: vedendola fuori dal letto ed intenta a scorrazzare per la stanza, raccimolando come un uccellino oggetti vari che lasciava in grembo a Gilbert da esaminare, essendo frutto dei suoi ultimi acquisti o di regali ricevuti, il gemello aveva pensato bene di sbraitare e cominciare a strattonarla per ricondurla sotto le coperte. L’intervento provvidenziale del servitore aveva sedato ogni ulteriore ribellione da parte di entrambi, con una rapidità e precisione da rasentare la tirannia. Da lì in poi, la situazione si era placata ed i tre erano riusciti a conversare normalmente, mentre Leo prendeva posto nel salottino adiacente. Nonostante l’invito di Gilbert a rimanere, questi aveva apprezzato la sua maturità nel rifiutare: il servitore conosceva l’importanza e la rarità di quella circostanza per i fratelli Nightray e, benché conscio di essere benvoluto da tutti, sapeva anche di non appartenere a quel momento.

Gilbert aveva così creato un ricordo meraviglioso, soltanto suo, di Elliot e di Christine. Un frammento preziosissimo della sua esistenza che avrebbe gelosamente custodito e fatto sì che potesse ricrearsi, in un futuro non troppo lontano.

«Non ti preoccupare.» aveva assicurato pochi minuti prima alla sorella, già pronta a fermarlo con la dolcezza della sua mano, stretta intorno alla sua giacca «Tornerò presto.»

«Presto quando?» l’aveva anticipata Elliot, con aria poco convinta.

Il tono era stato aspro, ma lo sguardo basso che tenne sul libro appena richiuso mostrava sentimenti diversi. Volendo cancellare quell’atmosfera greve che andava formandosi nell’aria, Gilbert disse qualcosa che lo lasciò stupito per primo.

«Fra poco sarà Pasqua, no? Potremmo approfittare delle vacanze per trascorrere qualche giorno insieme.»

Udendo ciò, Elliot alzò il capo e persino Christine spalancò la bocca come una bambina. Gli occhi già le brillavano, mentre contava e ricontava mentalmente i giorni in cui la Lutwidge sarebbe stata chiusa. Non si sbagliava: sarebbero stati ben otto.

«Davvero?» domandò incredula, tirando la manica del fratello per attirare la sua attenzione come quando era piccina «Davvero, Gil? Non mi prendi in giro?»

«Sarebbe uno scherzo davvero crudele...»

«Non è uno scherzo.» fece deciso il moro, per poi carezzare il capo di Christine «Perciò vedi di riprenderti presto, altrimenti saremo costretti a perderci il bel tempo.»

«Oh, no! Sia mai!» esclamò preoccupata lei, per poi portarsi una mano alle labbra con fare meditabondo «Se il clima sarà clemente, si potrebbe organizzare un bel picnic lungo il fiume che scorre nella nostra tenuta, oppure potremmo fare una gita in barca… oh, mi piacerebbe molto anche giocare a volano!»

«Chris, per l’amor del cielo, non convincerai mai Gilbert a fare tutte queste cose.»

«Ha ragione.» convenne Gilbert, mortalmente serio.

Christine si zittì, mortificata dall’essersi fatta prendere dal troppo entusiasmo. Anche Elliot assunse un’aria imbronciata, quasi sperasse di essere smentito dal fratello. Gilbert non disse nulla, si godette quel lungo silenzio che egli stesso aveva creato.

«Insomma.» disse infine, facendo l’occhiolino a Christine «Se umiliassi Elliot a volano, poi non mi parlerebbe più per almeno una settimana.»

A quella battuta inattesa erano seguite risate femminili e urla sconnesse da parte di Elliot che, furente, aveva gridato a pieni polmoni la sua innata abilità nello sport tanto decantato dalla sorella. Leo, nell’altra stanza, si concesse di chiudere il libro e sorridere, pervaso da un senso di gioia che tuttavia non gli apparteneva: era felice per Elliot e Christine che, dopo quasi un anno, potevano finalmente riavere il loro fratello maggiore e la prospettiva di giornate serene e spensierate all’orizzonte.

Ripensando a ciò, Gilbert non poté far altro che ridacchiare, staccandosi dalla porta e dirigendosi verso l’uscita. Nel suo passaggio incrociò Vanessa, che decise di non rivolgergli la parola. Storse appena il naso, arricciandolo come faceva sempre quando qualcuno di poco gradito le si parava davanti. Gilbert decise di assecondarla. Avrebbe voluto parlare anche con lei, ma non se la sentiva di rovinare il suo buonumore. Aveva già compiuto una fatica non da poco confrontandosi con Elliot, e Vanessa rappresentava un avversario ben peggiore. Non ne avrebbe avuto le forze. Chi invece frenò il suo percorso fu Vincent.

«Fratellone, che sorpresa, non ti aspettavo qua.» disse allegro dalla cima delle scale, intanto che Vanessa lo sorpassava con sguardo iracondo «Vedo che hai avuto il piacere di salutare la nostra cara sorella, sebbene sia di poche parole. Qual buon vento?»

«Vince, scusami, non sapevo fossi in casa.» si affrettò a scusarsi l’altro, sentendosi in colpa per non aver minimamente pensato a lui.

«Oh, non fa nulla. So bene quanto tu sia oberato da pensieri e azioni da compiersi. A Pandora tira una brutta aria, da quel che ho potuto sentire...»

«Vincent!» lo chiamò allarmato, guardandosi attorno con fare inquieto, raggiungendolo «Non qui, non adesso! Sai quanto questo caso sia delicato per noi Nightray.»

«Che dolce il mio fratellone: sempre a preoccuparsi per gli altri.»

Facendogli cenno di seguirlo, Gilbert non poté far altro che accontentarlo e raggiungerlo nei suoi alloggi. Come in passato, quei luoghi erano resi cupi e tenebrosi dalle tende ostinatamente tirate e dalla confusione volutamente creata dal fratello, che lasciava a terra pezzi di stoffa e bambole rotte quasi fossero dei piccoli naufraghi approdati sul parquet. Gilbert prese posto su una delle poltroncine, mentre Vincent si sedeva aggraziatamente sul bracciolo di un’altra.

«Questo luogo è più congeniale per le notizie che porti?»

«Avremmo potuto parlarne direttamente a Pandora.» lo rimbeccò Gilbert, senza però riuscire a scalfire minimamente l’aura spensierata che avvolgeva il fratello.

«Ma sei sempre di corsa, inoltre Pandora è piena zeppa di orecchie pronte a origliare. Beh.» ridacchiò per nulla divertito «Non che qui la situazione sia molto diversa.»

«Che intendi dire?»

La domanda impiegò qualche secondo per giungere alla coscienza di Vincent. Nei suoi piani vi era l’intenzione di rapire momentaneamente Gilbert per poter godere della sua compagnia e avere novità riguardo il suo viaggio alla regione di Carillon. Tuttavia, il discorso era virato su di un argomento che da diverso tempo premeva nella sua mente, come un tarlo particolarmente persistente. Tentò di dargli poca importanza, ma il suo sguardo severo tradì la leggerezza del suo tono.

«Diciamo che ho avuto modo di osservare da vicino alcune questioni che mi lasciano alquanto perplesso.»

«Riguardo cosa?»

«… come ti è sembrata Christine?»

Gilbert lo guardò sorpreso, ma un semplice scambio di sguardi gli fece capire: a Vincent non sfuggiva nulla, specialmente gli affari che lo riguardavano. Inoltre, doveva averlo visto uscire dall’ala in cui si trovava la stanza della sorella, esattamente agli antipodi dalla sua e da quella del padre. Gilbert sospirò, esasperato da quel suo modo di fare artefatto e misterioso, rispondendo con onestà.

«L’ho trovata meglio, benché ancora provata. Solitamente le sue riprese sono di minore durata, ma immagino che questa sua crisi sia stata particolarmente brutta.»

«In effetti, è stata a Sablier sino a ieri.»

«Addirittura?» esclamò Gilbert «E per quale… ?»

«Il motivo, fratellone, è che probabilmente in quel luogo accadono molte più cose di quanto noi sospettiamo.»

«Che intendi?»

«Tu sei stato nel luogo in cui l’hanno ricoverata, dico bene? Me ne ha parlato Christine, al suo ritorno. La tua visita è stato l’unico evento gioioso di quei giorni.»

«Sì, è vero: si chiama Casa di Fianna, è un orfanotrofio gestito dalla nostra famiglia.»

«Un orfanotrofio?» ripeté stupito Vincent «Perché nostra sorella viene portata in un luogo simile?»

«Da quello che mi ha riferito Elliot, è lì che si trova il suo medico, da un anno a questa parte. Non ne eri a conoscenza nemmeno tu?»

«No.» ammise laconico, per poi tacere.

«Che succede, Vincent?» lo incalzò il fratello.

«Non ne ho idea. Ed è proprio questo che non mi piace. Detesto non sapere ciò che accade intorno a me.» tornò ad osservare Gilbert, scavandogli dentro con il suo occhio cremisi «Non ti sembra strano?»

«Che cosa?»

«Tsk, fratellone, andiamo. Sei ingenuo, ma non sciocco. Ti sembra normale che la figlia di uno dei quattro grandi duchi venga visitata in un orfanotrofio? A Sablier, per giunta.»

A queste affermazioni Gilbert non seppe come rispondere. Era stato talmente trascinato dagli ultimi eventi, da non essersi soffermato sulle domande più ovvie. No, certo che non era normale. Eppure, era del duca Nightray che si parlava, l’uomo che aveva adottato lui e Vincent. Non era mai stato un vero padre per loro, ma nemmeno un uomo che meritasse il loro disprezzo, non per quanto concernesse la sua famiglia. La situazione era strana, ma non inspiegabile. Doveva esserci una spiegazione logica, era della salute della sua stessa figlia che si parlava.

«Forse ci sbagliamo entrambi.» gli venne in soccorso Vincent, con aria tuttavia greve «Forse la vera domanda che dovremmo porci è un’altra. Che cos’ha Christine?»

«Aspetta… cosa?» Gilbert non riusciva più a stare al passo dei suoi pensieri «Che vorresti dire?»

«Qual è la malattia di Christine? È strano che né io, né tu, né nessun altro qui in famiglia ne conosca l’esatta origine.»

«Si tratta di una condizione particolare: è debole di costituzione e probabilmente anche anemica.»

«Da due anni a questa parte? Che strana patologia, invero.»

«Esistono condizioni cliniche che non sono attualmente ben note alla medicina.»

«Può darsi, ma può anche darsi che ci sia qualcos’altro dietro al malessere di Christine. Non ha mai avuto nulla di particolare, prima dei quattordici anni, ed ora tutt’a un tratto sta costantemente male. E pare peggiorare, anziché migliorare, ogni volta che fa ritorno da quel posto.»

«Perché me ne parli?» domandò Gilbert, prendendo in contropiede il fratello «Perché adesso, Vince? È successo qualcosa?»

Vincent si fece titubante, ma poi riacquisì la sua maschera di indifferenza. Sorrise, persino.

«Immaginavo che questi fatti avrebbero potuto interessarti, fratellone. Mi pareva giusto informarti, tutto qui.»

Si alzò, ponendo così fine alla loro conversazione.

«Mi spiace averti impensierito, non era mia intenzione. Ti auguro un buon ritorno a Pandora, dal tuo amato padroncino.»

Gilbert soppesò a lungo quanto detto da Vincent, prima di alzarsi a sua volta e dirigersi verso l’uscita. Non comprendeva davvero il fratello, ma un senso di inquietudine ed orribile dubbio prese forma nella sua mente. Prima di congedarsi, Vincent gli rivolse un ultimo avviso.

«Ah, ancora una cosa, fratellone.»

Gli diede le spalle, nel momento in cui afferrava una bambola di pezza, un’adorabile bimba dalle trecce nere e gli occhi come pozzi senza fondo, e la stringeva, bramando di squartarla con le sue stesse forbici non appena Gil se ne fosse andato: non voleva offrirgli quello spettacolo che tanto lo inquietava. Aveva già fatto abbastanza quel giorno.

«Fossi in te, non mi fiderei troppo delle lettere: occhi indiscreti potrebbero finire per macchiarle.»

 



Reim stava recandosi alla sua stanza. Era esausto, sia per i mille impegni che lo avevano coinvolto, sia per le vicissitudine di quella giornata. Come se correre costantemente dietro a Break non fosse abbastanza, doveva svolgere anche la sua mole di lavoro intanto che questi si allenava di nascosto per trarre in inganno il resto di Pandora. Persino Sophie si era accodata. C’era voluta tutta la sua pazienza ed il suo buon cuore per spiegare alla ragazza che Gilbert non l’avrebbe giudicata negativamente per le sue azioni. Certo, non le aveva nemmeno detto che l’avrebbe apprezzata, essendo una persona schiva e desiderosa di una compagna tranquilla, qualità che purtroppo mancava totalmente alla sua padrona.

L’ora si era fatta tarda in un battibaleno ed il servitore di Villa Barma non bramava altro che il suo caldo giaciglio e la morbidezza delle coperte intorno a sé. Solo a quel pensiero poteva sentirsi avvolgere da una piacevole sensazione di quiete. Ai problemi irrisolti della giornata avrebbe pensato l’indomani. Ora voleva soltanto chiudere gli occhi e… sbattere contro qualcuno.

Sovrappensiero e reso incauto dal sonno crescente, Reim non si era accorto di aver effettivamente chiuso gli occhi intanto che camminava, entrando in collisione con Gilbert.

«Santo cielo, mi perdoni!» esclamò inorridito dai suoi modi, per poi farsi attento «Va tutto bene? È riuscito a vedere sua sorella?»

«Oh, Reim, non ti preoccupare.» fece sovrappensiero l’altro, per poi stupirsi «Come fai a sapere che sono andato a trovare mia sorella?»

«Come dire… era molto più difficile non saperlo, dopo il suo incontro con Sophie.»

«Ah. Giusto.» rammentò allora, facendosi rosso in viso «Domando scusa per la confusione.»

«Non si preoccupi. Piuttosto, come è andata?»

Il volto di Gilbert si rasserenò d’un tratto, ripensando al pomeriggio appena trascorso.

«Mi sembra… bene. Molto bene.» ammise con un timido sorriso, per poi fissare serio Reim «Piuttosto, avrei una domanda da porti.»

«Sì?» domandò cortese Reim, che tuttavia non poté fare a meno di pensare “Devo forse preoccuparmi?” data l’aria tutt’a un tratto seria assunta dal suo interlocutore.

«Perché diavolo la tua padrona è così… così… perché fa così?» si decise infine a dire Gilbert, non trovando le parole adatte per esprimersi «Sembra tanto pacata e gentile e poi, d’improvviso, scoppia a piangere oppure si infuria come una Gorgone.»

Questo elogio sarà meglio tenermelo per me.” rifletté dentro sé il servitore, impallidendo dinnanzi alla reazione disperata che avrebbe avuto Sophie se anche solo avesse sospettato un simile paragone.

Tossicchiò un paio di volte, per poi afferrare i suoi occhiali e cominciare a lucidarli. Il suo tic, che si palesava ad ogni confronto disagiato con cui aveva a che fare, non mancò di presentarsi puntuale come un orologio svizzero.

«Dunque, come dire… Sophie è…» sospirò, rimettendosi le lenti dinnanzi agli occhi ed osservando con fare deciso Gilbert «Sophie è estremamente coinvolta dai suoi sentimenti, al punto da risultarne sommersa, spesso e volentieri. A maggior ragione quando si tratta delle persone a cui lei è profondamente legata.» sollevò una mano, mostrando dapprima l’indice e poi sollevando anche il medio «Anzitutto, ha avuto modo di creare un legame di affetto e fiducia con suo fratello minore Elliot, alla Lutwidge, essendo anche da un anno a capo del dormitorio in cui egli alloggia. Perciò è più che naturale che l’idea della vostra lite irrisolta la faccia soffrire. Inoltre, proprio in virtù di ciò che sta accadendo con il Cacciatore di teste e di ciò che ha vissuto sulla propria pelle, non sopporta che le liti tra due persone restino in sospeso. Per Sophie è fondamentale, no, è vitale che si faccia la pace prima di accomiatarsi, foss’anche per una breve uscita.»

«E per quale motivo?»

«Perché non si può mai sapere quando il destino deciderà di separarci dai nostri cari.»

Gilbert tacque, colpito dal significato di quella banale constatazione. Ne comprendeva sin troppo bene la veridicità. Ripensò ad Oz ed improvvisamente, come un lampo, ricordò la conversazione avuta con la duchessa Cheryl, in merito alla morte della madre di Sophie.

«Mary aveva perso la vita durante una rapina, mentre era in compagnia di Sophie.»

Chinò lo sguardo, sentendosi uno sciocco per non averci pensato prima.

«Riguarda ciò che le è accaduto con sua madre?»

«Credo che di questo dovrebbe essere lei stessa a parlargliene. Ciò che posso dirle, è che sicuramente quell’evento è stato uno shock che non ha mai superato del tutto e che, probabilmente, si porterà sempre dentro. Consideri infine una cosa: Sophie è una persona ricca di qualità, ma se c’è una cosa che non sopporta è ripetersi. Per caso le aveva già detto di essere chiaro con le persone a cui vuole bene?»

«… potrebbe avermelo accennato.» ammise con vergogna Gilbert, grattandosi una guancia con aria agitata «Effettivamente, ora le sue parole acquistano un senso.»

«Sono lieto di averle chiarito il suo dubbio. Ora, se volesse scusarmi...»

«Certo. Ah, Reim, aspetta!» lo bloccò d’improvviso il Nightray, colto da un’illuminazione «Ho un favore da chiederti.»

«A me?»

«Non esattamente. A Sophie, ma ormai è tardi e non vorrei disturbarla. Potresti riferirle un messaggio importante, come prima cosa domattina?»

«Certamente, di che si tratta?»

Si trovò a un tratto a corto di parole: era davvero la scelta giusta da fare?

Ripensò a sua sorella, al modo in cui a fatica si reggeva in piedi a Fianna, a quell’edificio misterioso e così poco adatto ad una malata, alle sue continue ricadute, al fatto che non ci fosse né una medicina precisa né tanto meno una diagnosi certa. E poi lo sguardo di Vincent, solitamente distaccato, che appariva per un breve istante ansioso. Stavano accadendo fatti strani in quella casa e persino Vincent ne era allarmato.

«Voglio che interceda per me con Cassidy: ho bisogno di un parere medico che sia all’infuori di qualsiasi corruzione.»

«E per quale motivo?»

«Perché non voglio più distogliere lo sguardo da ciò che per me è prezioso: ho bisogno di risposte. Devo conoscere la verità, a qualsiasi costo.»







MEANDRO DELL’AUTRICE:



Ben ritrovati in questo nuovo capitolo, cari lettori.

Come mio solito ho fatto una figura barbina, ma inconsapevolmente a ‘sto giro: avevo infatti scritto che avrei pubblicato sabato 27 agosto… quando in realtà il mio onomastico quest’anno cadeva di domenica. Upsy.

La cosa è comunque tornata a mio vantaggio, dato che il capitolo era bello corposo e la revisione è stata molto lunga. Mi auguro che possiate apprezzare questi primi cenni di interesse di Gilbert nei confronti di Sophie. Sperando che prima o poi il ragazzo si svegli e faccia succedere qualcosa... anche se la vedo dura, talmente è lento. Fortunatamente ci sono tanti bei personaggi pimpanti che aiutano e supportano la protagonista: dai Sophie, non mollare!

Oltre ai fatti romantici, si infittisce anche il mistero delle due OC. Vincent e Gilbert pare si siano messi in moto per svelare il mistero dietro la strana malattia della sorella ed anche Barma sembra nascondere dei segreti. È stato bello vedere nuovamente in azione Cassidy come medico, quando entra in scena lei tutto si fa più elettrizzante. E sono persino riuscita a introdurre meglio Gideon, che gioia!

La mia parte preferita è quella dei fratelli Nightray riuniti. Mi fanno una tenerezza infinita e sono lieta di aver potuto colmare il vuoto lasciato dalla Mochizuki, che ci fa soltanto intravedere il rapporto tra Gilbert ed Elliot. Con Christine poi tutto si fa più dolce, è davvero una cara ragazza.

Il prossimo capitolo si intitolerà: Unbirthday - UN TÈ DI MATTI IN UN POMERIGGIO DORATO – e verrà pubblicato sabato 9 settembre. Non perdetevelo!

Augurandovi di tornare su questi lidi, vi saluto con affetto



Moni =)

 

1Il Caucus è generalmente un incontro che si svolge tra sostenitori politici di partiti diversi, ma ha anche il significato di mediazione, una soluzione delle dispute in cui i partecipanti, anziché confrontarsi tra loro, scelgono di ritirarsi e riflettere in un ambiente privato. In “Alice in Wonderland” è tradotta come “Corsa Scompigliata” ed è anche il titolo scelto da Jun Mochizuki per tre raccolte di novelle basate su questo manga.

2Tratto dal brano “Dynasty” di MIIA.

3Per distinguere i ranghi dell’organizzazione, da qui in avanti gli “associati” rappresenteranno i membri di grado superiore (come Break, Gilbert e Reim), mentre i “collaboratori” saranno i ranghi più bassi (Sophie, Gideon e Vincent).

   
 
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