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Autore: BluCamelia    28/08/2023    1 recensioni
Anno 1994. Costretta a cambiare scuola per via della separazione dei genitori, Milly affronta il trasferimento con ironia, una certa ansia sociale e un pizzico di presunzione dovuta al suo passato di studentessa modello. Non sa che dovrà affrontare sfide che hanno ben poco a che fare con la media dell'otto.
Una delle sfide in particolare potrebbe rivelarsi troppo difficile per una liceale: il professor Vanini.
Non è una storia d'amore.
Genere: Drammatico, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Finalmente al maneggio!

Ero in ritardo per la prima lezione perché la nuova scuola era lontanissima e non avevo calcolato bene i tempi, così appena arrivai mi cambiai in fretta e furia. Claudia ed Eliana vennero subito a salutarmi, ma appena mi girai di spalle per prendere dalla borsa un elastico per i capelli scoppiarono a ridere all’unisono.

«Che succede?» chiesi.

«Il tuo sedere!»

 Pensai subito a uno scherzo di Penny e company. Contorcendomi vidi che avevano scritto qualcosa sul retro dei pantaloni da cavallerizza con un pennarello nero a punta larga. Me li tolsi. C’era scritto “Barby equitazione” nella scrittura svolazzante associata alla bambola.

Stavo ribollendo di furia omicida. Rovinarmi il ritorno al maneggio era un bel modo per colpirmi dove fa più male, e mia madre non avrebbe gradito affatto di dovermi ricomprare i pantaloni. «Che fantasia» ringhiai. «E poi 'Barbie' non si scrive così.»

«Milly, giuro che sei l’unica capace di lamentarsi perché lo spelling dell’insulto era sbagliato!» disse Claudia, ancora ridendo.

Visto che non avevo alternative tornai a infilarmi i jeans.

Dopo la lezione mi chiesi come avessero fatto. Non ero così scema da portarmi il borsone con l’attrezzatura da equitazione in palestra, alla portata della magica V D, e, anche se la loro classe era a fianco alla nostra, mi sembrava strano che avessero agito durante la ricreazione. La maggior parte di noi usciva nel cortile interno per fumare o chiacchierare, ma in aula restava sempre qualcuno; per esempio Miriam usciva poco perché usava la ricreazione per ripassare. Per un attimo sospettai di lei, ma per quanto io le fossi antipatica era troppo conformista per aiutare una come Penny. Decisi di chiederle di tenere d’occhio la mia roba.

*

«Consegnate i disegni che vi ho assegnato per casa, li correggerò mentre fate il compito» disse la Colombo.

Aprii la cartellina e diventai rossa. «Oh, cavolo.»

«Che c'è, Barbier?»

«Me li hanno rovinati!» lanciai uno sguardo di rimprovero a Miriam, che mi ignorò così ostentatamente da farmi sospettare di nuovo.

«Baaarbier» belò la stronza in cattedra. Sembrava dire “e io dovrei credere a questa patetica scusa?”

Tirai fuori i disegni e li alzai per farli vedere bene: «Non penserà che questo l'abbia fatto io, vero?» con alcune sapienti aggiunte il cilindro in assonometria era stato trasformato in un organo maschile. La classe scoppiò a ridere.

«Non c'era proprio bisogno di farli vedere a tutti. Avete questa mania infantile delle provocazioni... Va bene, ti hanno fatto uno scherzo, ma io purtroppo se non ho i disegni non te li posso valutare. Che ne dici di provare a farli tutti e tre insieme mentre la classe fa la nuova assonometria? A un altro non lo chiederei ma visto che sei una delle migliori...»

Chiaro, è impossibile dare un voto a una persona se in quel quadrimestre ha fatto diciotto disegni invece che venti! Vaffanculo. Senza perdere tempo a obiettare attaccai direttamente il foglio sul banco e cominciai. Quaranta minuti ad assonometria, forse ce l'avrei fatta.

Tornai a casa di pessimo umore. Mia madre volle sapere cosa fosse successo e glielo raccontai. Mi disse: «Non preoccuparti, sono ancora pochi mesi. A proposito, mi sto informando sugli altri licei...»

Sul momento non capii di cosa stesse parlando: «Eh?»

«Dobbiamo decidere in che scuola ti trasferirai l'anno prossimo, no?»

«Forse trasferirmi non è una buona idea, dopotutto.»

Mia madre mi guardò basita. Avevo appena finito di parlarle per l'ennesima volta di teppistelli che mi prendevano di mira e professori stronzi!

«Non avrai paura perché è l'anno della maturità, vero? Sei brava, te la caverai.»

Me n'ero completamente dimenticata della maturità.

Non potevo spiegare a mia madre che mi servivano le lezioni di Vanini perché ero a caccia della quarta dimensione. Mi arrangiai alla meglio dicendole che le sue lezioni erano così interessanti che quasi quasi valeva la pena di sopportare tutto.

Mia madre non fu per niente contenta. Era chiaro che in quella scuola rischiavo. Soprattutto era rimasta sconvolta dalla faccenda della droga. E mio padre non migliorava la situazione, rinfacciandole all’infinito di avermi trascinato in quel posto.

In effetti neanch'io ero entusiasta di sorbirmi un altro anno di Paris e Colombo, e anche di Penny, visto che rischiava di farsi bocciare. Dovevo trovare una soluzione, ma come al solito non avevo tempo né di pensare né di fare nient'altro, avrei dovuto passare tutta la serata a fare i compiti.

Fissai con odio gli appunti di fisica.

Be’, che l’avevo imparato a fare il metodo di Vanini se poi non ne approfittavo?

Cercai di ricreare quello stato mentale. La teoria si articolò in una serie di passaggi logici e in venti minuti l'avevo memorizzata.

*

«Muori, zoccola!» Salto. «Vai, tesoro, adesso li stendiamo tutti! Fottiti, Paris!» Grendel saltò, impeccabile. Il ritorno al maneggio era stato liberatorio e lo stavo festeggiando come si conviene ad una raffinata amazzone di buona famiglia. Avevo rinominato ogni ostacolo come uno dei miei prof, e ad ogni salto avevo davvero la sensazione di rimetterli al loro posto. «Vaffanculo, Vanini!» A lui un insulto più leggero perché era bravo, ma fondamentalmente ero incazzata pure con lui, perché mi metteva davanti al dilemma di passare un altro anno di merda oppure rinunciare a trovare la via per la quarta dimensione.

*

Vanini quando vide mia madre all'ora di ricevimento mi parve leggermente seccato. Forse pensava che fosse venuta per crogiolarsi nei complimenti per la mia bravura, ma non era così.

Lei cominciò a parlare di tutti i problemi che avevo avuto a scuola, cosa del tutto inutile perché Vanini ne era già al corrente.

«La questione della droga è stata del tutto chiarita, se in futuro Milena starà alla larga da quei ragazzi sono sicuro che andrà tutto bene.»

«Certo che è strano» me ne uscii «prediche infinite per insegnarci a non emarginare chi ha qualche problema, poi alla prima prova pratica salta fuori che se solo ti avvicini sei diventato un lebbroso pure tu...»

«Brava, Barbier, mettiti in testa di salvare i drogati e sei a posto» disse Vanini, non con il suo solito tono sarcastico ma con una punta di affettuosa commiserazione. «Purché non sia Zanetti, ti assicuro che è irredimibile.» Sorrise. Il suo sorriso era un po' inquietante. Scopriva di più i canini che gli incisivi, faceva pensare a un lupo.

Arrossii. «Non voglio salvare nessuno, ma il professor Paris mi ha accusato solo perché ci ho scambiato due frasi in tutto!»

«Il mio collega era seccato e gli è sfuggita una battuta infelice, sono sicuro che non parlava seriamente.»

Lo guardai incredula. Capivo che non poteva dire quello che pensava del suo collega di fronte a un genitore, ma quella ipocrisia non mi piacque molto.

«Comunque ci siamo allontanati un po' dall'argomento» riprese mia madre. «A parte i problemi con la scuola in sé, Milena non si trova bene con gli altri pro... insomma, in questa sezione. Però a quanto pare apprezza molto le sue lezioni e non vorrebbe rinunciarci. Ci chiedevamo se si potesse fare qualcosa in questo senso, magari l'anno prossimo spostarla in un'altra sezione dove insegna lei?»

«Mmm... nelle altre sezioni le classi sono molto più numerose, temo che la preside non sarebbe d'accordo.»

«Capisco che sia difficile, ma si può almeno tentare?» chiesi. La preside era membro del club “Vanini è Dio”. Impensabile che gli rifiutasse un favore così ridicolo.

«Be’, sì, si potrebbe tentare.»

Da quel giorno cominciai a rompergli le scatole dopo le lezioni chiedendogli cosa avesse detto la preside. Lui non mi rispondeva in modo chiaro “Le ho parlato e ha detto di sì (o di no)”. Diceva: “E' difficile”, “E' un casino” e cose del genere.

Nel frattempo mi applicavo come una pazza alle sue lezioni alla ricerca della via della quarta dimensione, ma niente. Il libro di D’Auria si era rivelato inutile, però pensai che ci dovessero essere dei libri che trattassero quell’argomento. Provai in biblioteca ma non sapevo bene cosa cercare. Tutti i libri di psicologia mi lasciarono delusa. Provai con quelli sull'apprendimento e sulle tecniche didattiche, peggio ancora.

Una volta stavamo chiacchierando in classe e qualcuno disse: «Vanini dice che nell'altra scuola dove insegna...»

Saltai quasi dalla sedia. Senza neanche aspettare la lezione seguente lo bloccai  in corridoio all'ora di ricreazione: «Se la preside non accetta di trasferirmi potrei trasferirmi direttamente nell'altra scuola dove insegna... mi faccio mettere nella sua sezione!»

Mi guardò leggermente incuriosito: «Barbier, il tuo zelo mi commuove. E' lontano...»

«Ma chi se ne...» mi fermai, rendendomi conto che non era il modo di parlare a un professore.

«Ma il problema non è la distanza. E' un liceo classico, anche se sei intelligente non puoi recuperare anni di greco in un'estate.»

Me ne andai, delusa. Mi era sembrata la soluzione perfetta.

*

«Professoressa, oggi non sto bene» dissi alla Gigli. Lei fece un cenno di approvazione e io mi sedetti su una panchina a guardare le altre. Era il giorno peggiore delle mestruazioni.

Vidi che Penny e le sue amiche si sedevano su un'altra panchina, poco distanti da me. Forse a furia di fare le stronze insieme avevano le mestruazioni sincronizzate. Però invece di fissarmi con disprezzo come al solito sembravano quasi spaventate. Non prometteva niente di buono.

Dopo un po' di corsa e riscaldamento la prof cominciò a chiamare per il salto alla cavallina.

«Barbier sta male, allora... Bartez...» cominciò la Gigli, ma si interruppe. Il nome di Elisa era ancora sul registro. «Caccialupi!»

«Assente!»

«Insomma, chi fa ginnastica oggi? Costa!»

Carla prese la rincorsa e saltò sulla pedana. Le mani scivolarono sulla cavallina e cadde a testa in giù. C’era il materassino, ma perdendo l’appoggio aveva fatto una mezza giravolta e aveva sbattuto la faccia contro la gamba di metallo dell’attrezzo. Quando si rialzò si stava tenendo il naso sanguinante.

Le altre si affollarono intorno a lei offrendo fazzolettini. Stavo per raggiungerle ma un vago sospetto mi fece restare sulla panchina.

«Costa, stai bene? Che diavolo è successo?» chiese la prof.

«È unta» disse Carla, con voce nasale.

La prof si avvicinò alla cavallina, ci passò una mano sopra e si guardò il dito con un gesto significativo.

Mi alzai e mi avventai su Penny. «Adesso basta!» Non era abituata a vedermi reagire in modo aggressivo e rimase sbigottita per un attimo, ma quando provai a girarle i polsi per guardare se aveva le mani sporche oppose resistenza. Le sue amiche cercarono di staccarmi da lei.

«Voi, smettetela immediatamente!» gridò la prof.

«Sono state loro!» gridai. «Sanno che di solito sono la prima!»

Presi la sua borsa e le rovesciai senza tanti complimenti. Insieme a quaderni, astuccio, beauty, merendina e una rivista per tredicenni uscì anche una boccetta di lubrificante. Sceme a portarselo dietro. Ma del resto avevano calcolato che sul materassino a tenermi il naso sanguinante si sarei stata io.

«E così abbiamo risolto il problema con quelle tipe, sicuramente prenderanno una bella sospensione.» disse mia madre quando le raccontai tutto.

«Già, risolto il problema! Con una sospensione lunga proprio prima della maturità c'è una buona probabilità che le boccino, e me le ritroverò qui un altro anno! E poi, ricordati di Zanetti. Anche se se ne vanno ci sarà tutta la loro classe che giura vendetta!» Scoppiai a piangere. Aggredire gli altri mi sconvolgeva quasi più che essere aggredita, e poi ero in piena tempesta ormonale.

Mia madre mi abbracciò. «Non puoi continuare così. Devi trasferirti, non in un'altra sezione ma proprio in un'altra scuola.» Aveva un tono stranamente comprensivo. Forse pensava che avessi una cotta per Vanini.

«Sai che ti dico? Mi sa che hai ragione.» Tirai su col naso. Quel Vanini comunque non aveva intenzione di aiutarmi, mi stava prendendo in giro.


   
 
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