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Autore: _Black or White_    29/08/2023    0 recensioni
Germania, 2003
Accadono cose strane sulla piccola isola di Hiddensee, e ormai sono in tanti ad affermare di averne vista una.
Esistono veramente? E che aspetto hanno? Parlano, capiscono, amano?
Le sirene sono un mistero per la razza umana fin dall'alba dei tempi: nemiciamici da sempre, non possono fare a meno di cercarsi l'un l'altro.
Sarà proprio quell'attrazione irresistibile a portare il giovane Ludwig a conoscere una vera sirena.
Riusciranno i rappresentanti di due mondi tanto diversi a gettare un ponte per la conoscenza pacifica?
Riuscirà un'amicizia tanto impossibile, un amore tanto proibito, a trovare un lieto fine?
[Gerita | Spamano | accenni Pruhun]
[Merman AU]
[Lime HumanxMerman]
Genere: Angst, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Altri, Germania/Ludwig, Nord Italia/Feliciano Vargas, Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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SING FÜR MICH

7
“AL DI LÀ DEL VETRO”




15 ottobre 2014




NONNO!!!
Luvìs si catapultò nella grotta e cadde tra le braccia dell’anziano tritone.
Luvi, che è successo? gorgogliò Anteromiàs, sollevando il viso sconvolto del nipote.
Il giovane tentò di rispondere, ma dalla gola non gli uscì altro che un fischio strozzato.
Troppi pensieri in testa, non sapeva da dove cominciare, Efelién poteva già essere stato fatto a pezzi e Luvìs stava per impazzire dalla paura.
Efé… Efé è stato… oh nonno, cosa possiamo fare?! Io glielo avevo detto, glielo avevo detto di non fidarsi! E adesso cosa gli faranno? Oh no, no no no no…
Anteromiàs drizzò le orecchie cartilaginose, allarmato.
Ehi, giovanotto, aspetta un momento! Efé? Cos’è successo a Efelién?
Lui… lui… la balena bianca… e quella trappola enorme… lo hanno tirato fuori dall’acqua e io… io…
Luvìs era bianco come la spuma di mare, sembrava sul punto di svenire.
Il nonno lo afferrò per le spalle e lo scrollò una sola volta, duramente.
Luvìs, cos’è successo?
Il nipote sbarrò gli occhioni verdi.
Se gli avesse raccontato tutto, cosa sarebbe successo?
Il nonno odiava i Nuota nel Sopra, li odiava più di ogni altra cosa al mondo; più degli squali affamati, più dell’aria secca nelle branchie inaridite, più della fame nella pancia e più della solitudine.
Se Luvìs gli avesse raccontato tutto, il nonno non ci avrebbe pensato un solo istante: sarebbe emerso dalle acque e li avrebbe divorati vivi, ma cosa mai poteva fare un tritone anziano, da solo contro centinaia di mostri simili?
Lo avrebbero ucciso.
Niente più nonno, niente più Efé: Luvìs sarebbe rimasto completamente solo.
Così il giovane scrollò il capo e si lasciò scivolare sul fondale, stringendosi la testa tra le mani palmate che tremavano.
Il gorgoglio del nonno fu così potente da scuotere le pareti rocciose della caverna.
Non te lo chiederò un’altra volta, Luvìs. Cos’è successo a Efelién?
L’istinto primordiale della paura pizzicò nel cuore di Luvìs, perché conosceva bene il suo posto nel branco, e sapeva che osare disobbedire al nonno, al capo-famiglia, all’alfa, sarebbe stato un disonore peggiore della morte.
Abbassò le orecchie e le pinne gli si afflosciarono per l’angoscia.
Quei mostri orribili… oh nonno, ho cercato di fermarlo, te lo giuro! Ma Efé si è innamorato… innamorato, capisci? Glielo avevo detto che non c’era da fidarsi di loro… ma lui si è avvicinato troppo alla balena bianca, e allora… con quella trappola…
Luvìs si tappò le orecchie e sbatté furiosamente la coda contro la roccia.
Urlavano forte, e poi lo hanno tirato fuori. Non riuscivo a capire niente, ma gli stavano facendo male, e allora ho sentito male anch’io. Non sapevo che cosa fare. Avevo paura, volevo fuggire via, venirti a chiamare… ma non potevo lasciarlo lì! Ha urlato così forte che ho sentito qualcosa scoppiare nella mia testa, ma non me ne importava niente del sangue e della luce e dell’aria… così ho seguito la loro balena bianca. Mi hanno lanciato qualcosa di rosso e caldo, mi sono ferito, ma sono tornato su di nuovo. Uno di loro mi ha quasi colpito alla testa, erano nel Fuori e ho capito che non avrei potuto più fare niente per Efelién.
S’interruppe soltanto quando la voce gli mancò per il pianto.
Buttò la testa all’indietro e cantò, e allora Anteromiàs poté vedere il timpano sinistro spappolato che gli colava fuori dall’orecchio, la bruciatura d’un rosa accesissimo sul collo e la striatura rossastra sulla tempia, dove i bengala di Arthur e Von Bock lo avevano colpito.
Serrò i pugni così forte che le dita scrocchiarono sonoramente, le unghie piantate nei palmi sprigionarono un sottile filo di sangue azzurro nell’acqua calma della grotta.
Innamorato? Efelién… si era innamorato di un Nuota nel Sopra?
Glielo aveva detto, o no?!
Glielo aveva detto, il nonno, di stare lontano dal Fuori e da quei mostri!
Si era raccomandato, aveva raccontato ai suoi nipoti della pericolosità, crudeltà e spietatezza della loro orrida razza.
Eppure, dopo tutto quello che Anteromiàs aveva passato, uno di loro tornava per distruggere ancora una volta la sua amata famiglia.
Non gli era bastato prendersi Akanthìas… adesso anche Efelién.
Così piccolo, e fragile, e ingenuo, era caduto nella trappola di quei codardi, che avevano avuto il coraggio di strappare alla Grande Madre un esserino tanto gentile e innocente…
Mostri.
Chissà cosa diamine gli stavano facendo in quello stesso momento, chissà quanta paura doveva avere, chissà quanto forte li stava chiamando; lontano dal mare, dalla sua famiglia, da tutto ciò che amava.
“Stupido! Sei uno stupido, Efé. Ne è forse valsa la pena? Tutto questo dolore, per uno di loro” pensò rabbioso il nonno, ergendosi in tutta la sua altezza.
Luvìs, raccontami tutto dall’inizio alla fine, e mostrami il punto dove lo hanno catturato
Il maggiore dei suoi nipoti, l’ultimo frammento d’amore che gli era rimasto al mondo, sollevò il viso e boccheggiò, terrorizzato.
N-nonno, non puoi farlo! Ti u-uccideranno!
Anteromiàs calò su di lui, terrificante e minaccioso, e per un istante mozzafiato Luvìs si rannicchiò, aspettandosi un colpo.
Le mani forti del nonno lo presero da sotto le ascelle e lo rimisero dritto, gli accarezzarono il viso con una dolcezza struggente e lo afferrarono per le spalle.
Non posso vivere senza la mia famiglia, Luvìs. Ho già perso vostra nonna, non potrei sopportare di perdere anche voi, mi capisci?
Luvìs squittì come un cucciolo di foca e abbracciò il nonno con tutte le sue forze.
Ce-certo… certo che ti capisco!
Anteromiàs lo strinse disperatamente e gli accarezzò la nuca.
Allora raccontami tutto, e guidami da loro. Riporteremo indietro tuo fratello, fuggiremo da qui e non ci faremo trovare mai più
Suonava così dolce, rassicurante e impossibile.
Non ce la faremo mai da soli, nonno. singhiozzò Luvìs, Loro sono così tanti, e noi soltanto due. Non possiamo farcela
Aveva ragione: in due era impossibile.
Nell’acqua erano in vantaggio, ma Efelién era stato portato nel Fuori, dove né Anteromiàs né Luvìs sarebbero stati in grado di lottare o respirare a lungo.
Ci serve aiuto, nonno
Il vecchio tritone serrò gli occhi.
Luvìs, non dirlo
Tu non lo hai sentito, nonno! Non hai sentito come gridava Efelién!
Il maggiore dei suoi nipoti scrollò le orecchie e si premette le mani sulle tempie, gli occhi strizzati, i denti scoperti, Me lo sento ancora dentro la testa. Voglio raggiungerlo, tranquillizzarlo, portarlo al sicuro… non riesco a sopportare l’idea di saperlo qui, proprio sopra di noi, e non poterlo aiutare.
Cercò lo sguardo del nonno, che non batté ciglio nemmeno per un istante.
Ho sentito mio fratello pregarmi, l’ho visto soffrire, ho lasciato che me lo portassero via. Non sarò mai più in grado di dimenticarmelo
Anteromiàs irrigidì la schiena e gonfiò la gola, in un comportamento da tritone dominante.
Luvìs piegò le orecchie all’indietro ma non abbassò lo sguardo.
Se non facessi tutto il possibile per salvarlo, non potrei mai perdonarmelo disse al nonno.
L’anziano tritone arricciò il naso piatto in un ringhio di disgusto.
Non lo accetterò mai. Piuttosto che farmi aiutare da loro…
Lasceresti Efelién morire? ribatté aspro Luvìs, Lo abbandoneresti così?
Il nonno spinse da parte Luvìs e nuotò fuori dalla grotta.
Nonno! lo richiamò il nipote, seguendolo affannosamente, Chi altri potrebbe aiutarci?
Gli altri clan risponderanno alla chiamata…
Gli altri clan? Anche loro hanno le loro famiglie da proteggere! Non rischieranno la vita per uno solo di noi. Nessuno risponderà alla nostra chiamata, nessuno verrà ad aiutarci. Siamo soli. Luvìs ebbe un singulto e si abbracciò al coda, Efelién è solo… tutto solo, lassù, in mezzo a quei mostri
Anteromiàs si voltò e gli scoccò uno sguardo straziato, pieno solo di dolore e rabbia cieca.
Efelién è in trappola a causa di uno di loro!
È vero, l’ho detto io stesso. replicò Luvìs, E sono così arrabbiato con lui… così arrabbiato che vorrei ammazzarlo con le mie stesse zanne
Sollevò il viso e guardò il nonno dritto negli occhi.
Ma adesso la cosa più importante di tutte è salvare Efelién
Anteromiàs lo fissò in silenzio, a lungo.
Alla fine si voltò e nuotò nel Fuori.


Gilbert infilò i documenti nella carpetta di plastica verde, si buttò sulle spalle il cappotto di pelle e aprì la porta dell’ingresso.
« Eliza, io sto uscendo! » gridò, mentre gli anziani Blackie, Berlitz e Aster si trascinavano pigramente ai suoi piedi, per farsi dare una grattatina.
Elizaveta lo raggiunse dalla cucina, una padella in mano e un grembiule tutto fronzoli legato in vita, « Stai andando da Mr. Braginski? »
« Già. Ho le ultime firmette da fargli fare, ma spero di sbrigarmela prima di pranzo: quel tipo mi fa venire i brividi. » Gilbert scrollò il capo e si grattò il mento appuntito con uno degli angoli della carpetta, « “Ricerche autorizzate sulla fauna dell’isola”, eccerto… »
La fidanzata si appoggiò allo stipite della porta e aggrottò le fini sopracciglia, « Anche a te puzza il suo cosiddetto permesso? »
« Ma quale permesso e autorizzato! » sbottò cupo l’albino, afferrando una pallina da tennis e lanciandola in giardino, per convincere i tre cagnoni a lasciarlo passare, « I suoi assegni non sono riscuotibili in nessuna banca tedesca. Non credo nemmeno che abbia il permesso di sbarcare qui, figurarsi di affittare un locale. »
« Ma allora… perché gli hai lasciato quel vecchio bunker? » chiese Elizaveta.
Gilbert ebbe un ghigno gongolante, « È da una settimana che cerco d’intrufolarmi là sotto, o almeno di dare una sbirciatina. » fece spallucce, « Magari non sta facendo niente di male… ma sai, prima di correre da Klaus e fargli arrestare quel russo inquietante, vorrei capire che cosa sta combinando. »
L’ungherese annuì, ma con quella piccola smorfia che voleva dire “ti stai andando a cacciare in un mare di guai”.
« Cerca di non fare stupidaggini. » commentò alla fine, accarezzando la guancia pallida del compagno, « Non mi ispira niente di buono. »
« Eliza, mi conosci: io sono magnifico, no? » sorrise strafottente, salutandola con un bacio sulla bocca, « Augurami buona fortuna. Magari questa volta ce la faccio. »

Ivan passò il tesserino nella fessura metallica e la porta scorrevole si aprì con un acuto bip.
Avvolto da un lungo camice bianco, Alfred interruppe la sua concitata conversazione con Arthur e si voltò con un cenno secco verso il finanziatore.
« Good morning, Mr. Braginski. »
« Dobroye utro a lei, Jones. » sorrise radioso il russo, « Oh, già al lavoro? Kirkland, da quanto tempo! Sono felice di rivederla in perfetta salute. »
« Thank you, Mr. Braginski. » lo accolse educatamente Arthur, non senza scoccargli uno sguardo ostile, « Allora, come funzionano le nuove porte di sicurezza? »
« Ottimamente. » rispose Ivan con aria soddisfatta, apparentemente ignaro dell’atmosfera gelida che aveva portato con sé, « Suo fratello ha fatto un buon lavoro. La prego, si ricordi di ringraziare Allistor da parte mia. »
Arthur arricciò il naso e rispose, gelido: « Sarà molto felice di sentirlo. »
Alfred annusò l’aria di pericolo e fece segno all’inglese di farsi da parte, « Mr. Braginski, se vuole seguirmi, le mostro il laboratorio. »
Lo portò lontano da Arthur, oltre una fila di computer ancora spenti o in aggiornamento; aprì una seconda porta con il suo tesserino personale e guidò il russo in una grande camera rivestita di tristi pareti di ferro.
In fondo, incassata nella parete più spaziosa, svettava una lunga vasca di vetro temperato, riempita d’acqua chiara.
« Ooh! » esclamò affascinato il russo, fermandosi proprio davanti alla vasca e posando una mano sul vetro, « Eccoti qua! »
La creatura scattò all’indietro, terrorizzata, e andò a rintanarsi in uno degli angoli.
« Lo avete già trasferito, vedo. È andato tutto liscio? » chiese Ivan, gli occhi che brillavano per l’emozione.
Alfred lo affiancò, le mani affondate nelle tasche del camice, « Più difficile del previsto. »
« Ah sì? »
« Si è ribellato un po’. Quando lo abbiamo caricato sul sollevatore ha cominciato ad agitarsi. » rispose Alfred con un’alzata di sopracciglio, scoccando un’occhiata all’essere schiacciato nell’angolo, « Ha quasi rotto il vetro della vasca da trasporto. Non sembra così forte dall’aspetto fisico, vero? Ma abbiamo dovuto mettere un altro strato per questa. » e ammiccò verso la vasca, « Non si sa mai. »
Ivan sollevò una mano, esitò per un momento, poi bussò sul vetro con le nocche.
La sirena trasalì, allargò le orecchie cartilaginose come un collare da dilofosauro e soffiò nella loro direzione, mettendo in mostra i canini affilati.
Il russo ne rimase colpito.
« È arrabbiato? O spaventato? »
Alfred fece spallucce, « Non riusciamo ancora a interpretare il suo comportamento, ma ci stiamo lavorando. »
Ivan bussò sul vetro una seconda volta e la creatura rispose con un altro soffio agghiacciante, facendo schioccare le mascelle.
« Che c’è? Non ti piace quando faccio così? » le chiese con un dolce sorriso, bussando di nuovo.
Le orecchie della sirena presero a frullare selvaggiamente, creando una corrente di bollicine argentate nell’acqua azzurra.
« Uhm, signore… » cominciò Alfred, ma Ivan lo interruppe subito.
« Sembra particolarmente sensibile a suoni e vibrazioni. Cominceremo i test da qui. »
« Sissignore. » rispose l’americano, « Ma potremo iniziare soltanto domani mattina. Mancano ancora molte attrezzature all’appello, e i sonar sono tuttora imballati. »
Ivan sorrise alla creatura, si voltò e uscì dalla grande, triste stanza metallica, « Forse è meglio così. Tra poco devo firmare gli ultimi documenti con Beilschmidt, e preferirei chiudere tutti i conti, prima d’iniziare con lei. »
Alfred lo seguì fuori, e la porta scorrevole si chiuse con uno stridio alle sue spalle.
Efelién rimase immobile nel suo angolino, in ascolto: le voci umane si spensero in lontananza, e tutto tornò immobile.
Che bello che era quando se ne andavano!
La sirena si avvicinò a quel Fuori così strano, che semplice Fuori non poteva essere, perché era troppo duro per essere fatto di aria.
Per l’ennesima volta ci sbatté contro i palmi, arrabbiato con quella barriera d’invisibile potenza, impossibile da superare.
Si spostò con un colpo di pinna più in alto e colpì di nuovo il vetro, tentò di morderlo, di graffiarlo e di sfondarlo con la coda.
Quanto rimbombava…
Lo stordiva e disorientava, come se già non bastassero quelle luci insopportabili e quella Grande Madre microscopica e troppo dolciastra, che invece di riempirgli le branchie sembrava svuotargliele.
Efelién nuotò fino a toccare uno degli angoli di vetro, si voltò e tornò indietro, risalì verso l’alto e poi scese a toccare il fondo.
Piccolo, troppo piccolo: si sentiva soffocare e stritolare, era come girovagare nello stomaco di uno squalo.
Non poteva nemmeno sgranchirsi i muscoli della caudale, o lanciarsi alla massima velocità.
Sarebbe morto in quel pelo d’acqua insignificante, rigido e solo come una pietra.
Ebbe un attacco di panico e schizzò in avanti, sbatté la fronte contro la barriera e barcollò sul fondo della vasca.
Lovi, dove sei…? pianse in bassi gorgheggi, ma il dolore alla trachea lo costrinse ad ammutolirsi.
Aveva gridato così forte, quella terribile notte, che qualche nervetto nella gola si era lacerato con uno schiocco secco, lasciandolo senza voce per un’intera settimana.
Sarebbe stato saggio risparmiare le ultime forze, riprendere fiato e non fare cose stupide, ma quando uno di loro spalancava la grande barriera grigia e gli si avvicinava, la paura diventava così forte da cancellare qualsiasi altro istinto o pensiero razionale.
Un fischio acuto che fece vibrare il vetro.
Efelién sollevò il volto di scatto.
“Oh no, ti prego, no” pensò inorridito, quando vide due figure avvolte di bianco avvicinarsi alla barriera invincibile.
“Basta, lasciatemi in pace!”
Li fissò con gli occhi sbarrati.
Erano in due e si stavano parlando concitati, passandosi qualcosa tra le mani.
Li conosceva: uno era quel Nuota nel Sopra biondo, quello che aveva attaccato Luvìs con la Luce Rossa; l’altro era il giovane esemplare timido.
Sembrava spaventato quasi quanto lui.
Che cosa volevano fargli questa volta?

« Hai capito, Väinämöinen? Dobbiamo essere veloci. » disse Arthur, digitando su un tastierino installato accanto alla vasca, « Ancora non sappiamo quanto possa sopravvivere fuori dall’acqua. »
Il finlandese deglutì pesantemente e annuì, stritolando tra le mani guantate la pinzatrice e la siringa.
L’acqua nella vasca cominciò a ribollire sempre più velocemente, mentre il miscelatore ronzava così forte da far tremare il vetro.
La sirena si guardò attorno spaventata e sgranò gli occhi.
La testa cominciò a ciondolarle e le branchie si chiusero istintivamente, quando la salinità dell’acqua non fu più sufficiente per tenerla sveglia.
Con gli occhi che si chiudevano, scivolò sul fondo della vasca e si appoggiò al vetro con le braccia, annaspando in direzione di Väinämöinen.
Il finlandese boccheggiò, « Uhm… Si-signor Kirkland, sembra quasi che voglia comunicarci qualcosa. »
« Sul serio? »
Arthur le si avvicinò e la sirena rispose premendo la fronte contro la parete trasparente.
“Vi prego, non fatemi questo”
Il linguaggio del suo corpo era così chiaro che il finlandese provò un violento senso di disagio, come se stesse torturando un essere perfettamente senziente.
« Sembra che abbia capito quel che gli sta per succedere. » osservò Arthur, « Molto interessante. Ricordati di annotarlo, quando avremo finito. »
Abbassò una levetta e l’acqua nella vasca prese a calare lentamente.
« È pronto il lettino? »
« S-sì. »
La sirena si afflosciò sul pavimento di marmo azzurro, le doppie palpebre semiaperte e spiegazzate sui bulbi oculari ciechi, ed emise un ultimo debole gorgoglio.
« Bene, è svenuto. » constatò Arthur, bussando sul vetro con le nocche, « Tiriamolo fuori. »
Quando anche l’ultimo centimetro d’acqua venne risucchiato dalla grata nell’angolo, Arthur premette un pulsante e il vetro si sollevò con uno sbuffo di vapore.
I due uomini lo afferrarono dagli estremi, per la coda e sotto le ascelle.
« Ugh, quanto pesa…! » sbuffò l’inglese, arrancando verso un letto a carrello, « Sembra tanto magrolino, ma come ogni creatura d’acqua ha una massa più consistente dei mammiferi. Forza! »
Lo scaricarono sul telo bianco e sterile, e la grande coda frangiata ciondolò dal bordo, gocciolando sul pavimento metallico.
« Al lavoro, Väinämöinen. Abbiamo non più di cinque minuti. »
Il finlandese si calò una mascherina sul volto e si risistemò i guanti chirurgici, caricò la molla della pesante pinzatrice e la serrò con uno scatto metallico su una delle punte della pinna caudale.
La targhetta di plastica recitava “Numero 2, maschio, 74 kg, 172 cm”.
Väinämöinen si occupò di tamponare la ferita con un batuffolo di cotone asciutto, mentre Arthur prendeva un campione di sangue con il contagocce e lo sigillava in una provetta etichettata.
« Ehm… signor Kirkland? » cominciò esitante il finlandese, tirando qualche colpetto alla siringa per preparare l’iniezione.
« Mmh? » mugugnò l’inglese, concentrato sulla sua carpetta per le annotazioni.
« Questo è l’unico esemplare che abbiamo a disposizione, giusto? »
« Sì, per fortuna. » replicò Arthur, scrivendo velocemente un “numero 2” sull’etichetta dell’ampollina, « Non sopporterei di avere altre paia di occhi così che mi fissano dal vetro. Brrr… mi fa venire i brividi. » scoccò un’occhiata incuriosita all’assistente, « Perché lo chiedi? »
« Ecco… mi domandavo perché lo abbiamo chiamato “numero 2”, se è l’unico esemplare qui in laboratorio. » rispose timidamente Väinämöinen.
Arthur si guardò alle spalle per un momento, come per assicurarsi che la porta fosse ancora saldamente chiusa e che nessuno stesse origliando.
Si chinò in avanti e sussurrò nell’orecchio del finlandese: « Girano delle voci sul perché Mr. Braginski stia conducendo degli esperimenti su queste creature. Che abbia incontrato una sirena da bambino lo sapevi già, vero? »
Väinämöinen annuì concitato, impaziente di sentire il resto.
« E che l’abbia catturata e uccisa, sapevi anche questo? »
Arthur ridacchiò a bassa voce davanti all’espressione sbigottita dell’assistente.
« Perché dovrebbe aver fatto una cosa del genere? » rimbeccò il giovane, « Non voleva studiarle? »
« Bah, sono solo delle voci, non farci troppo caso. » tagliò corto l’inglese, tornando a scribacchiare sulla sua cartella, « Ma chi lo conosce da tanto tempo vocifera sempre la stessa storia. Braginksi ha ucciso la sirena a causa di esperimenti fin troppo crudeli e disumani. Ed ecco perché questo sarebbe il “numero 2”. »
Ammiccò alla sirena svenuta, « Che dici, Mr. Vodka avrà imparato la lezione? »
Il finlandese sbiancò e Arthur scoppiò in una risata senza gioia, scoccò un’occhiata all’orologio da polso e fece cenno all’assistente di darsi una mossa.
Väinämöinen affondò l’ago della siringa nell’avambraccio della creatura, ma qualcosa attirò la sua attenzione.
« S-signor Kirkland… »
« Che c’è adesso? »
« Per quanto tempo ha detto che sarebbe rimasto svenuto? »

Gilbert venne scortato davanti alla piccola porticina di ferro, l’entrata per il bunker sotterraneo, e si fermò ad aspettare l’arrivo del russo inquietante.
Il salone della sua amata Henni Lehmann era accogliente come sempre, con la sua sfilza di scaffali, librerie e grandi finestre rettangolari.
Gilbert si mise a passeggiare attorno alla porticina, giocherellando con la carpetta di plastica verde, con quel cubano grande e grosso che gli faceva svogliatamente la guardia, fumando il suo sigaro maleodorante.
Fintanto che quel colosso se ne stava nei paraggi, sarebbe stato impossibile intrufolarsi nel bunker per dare un’occhiata in giro.
Gilbert gli scoccò un’occhiata di sbieco.
Bastava una sola distrazione, un piccolo casino, un po’ di rumore…
Aveva appena finito di pensarlo, che un urlo disumano fece tremare il pavimento.
Il cubano sussultò e il sigaro gli cadde di bocca.
« Mierda, che diavolo è successo?! » sbottò, calpestando in fretta e furia il mozzicone, per evitare che prendesse fuoco il tappeto.
La porticina si spalancò con un tonfo e Väinämöinen arrancò nel salone, trascinandosi dietro l’inglese semisvenuto.
« Un medico! » gridò il finlandese, e Machado si affrettò verso l’uscita della Henni haus, inciampando nei suoi stessi piedi per lo shock.
C’era un mare di sangue che sgorgava dalle dita tranciate di Arthur, e la puzza invase velocemente il salone, così aspra da far pizzicare gli occhi.
Gilbert indietreggiò spaventato e Ivan accorse dal portone spalancato sulla strada.
« Svyatoye nebo, cos’è successo qui? » esclamò a bocca aperta, correndo in aiuto dello scienziato.
Väinämöinen scrutò di sottecchi Gilbert e sussurrò nell’orecchio del russo: « Il Numero 2, signore. »
« Immaginavo. » ribatté turbato Ivan, « Dobbiamo fargli fare degli esami del sangue, non sappiamo ancora se il loro morso sia velenoso o che altro… Svyatoy Khristos, non mi aspettavo che fosse così aggressivo. »
Il russo si voltò verso Gilbert, « Mi perdoni, Beilschmidt. Potrebbe aspettarmi fuori? Sarò da lei tra cinque minuti. »
« Uh, certo. » replicò il tedesco.
Prima di avviarsi, si voltò verso la porticina di ferro: vide il corridoio stipato di computer e schermi luminosi e, oltre le porte disattivate, la triste stanza di ferro con la vasca incassata sul fondo.
Un lettino su un carrello… e una coda di pesce penzoloni.
SBAM
Ivan sbatté la porticina con un tonfo minaccioso, ma il suo sorriso era più gentile che mai: « Fuori, Beilschmidt, se non le dispiace. »
Gilbert gli scoccò uno sguardo di profonda diffidenza, e in quello stesso istante Ivan capì che lo avrebbe perseguitato.
Non appena il tedesco albino ebbe lasciato il salone della Henni Lehmann, uscendosene fuori all’aria aperta, Ivan prese un profondo respiro e si chinò su Arthur, esaminandone attentamente la ferita: indice, medio e anulare della mano destra erano stati strappati via di netto, come da una tagliola per orsi, e i moncherini pallidi delle falangi pisciavano un torrente di sangue rosso sul legno del pavimento e sul tappeto.
« Com’è successo? » chiese, senza riuscire a nascondere l’angoscia sul suo viso d’angelo.
« Lo avevamo tirato fuori dalla vasca per etichettarlo e prendere qualche campione, signore, ma... » Väinämöinen deglutì, sudato e pallido, « Si è svegliato un minuto prima che potessimo finire, e ha morso Kirkland. » Ivan annuì distrattamente mentre strappava l’orlo del camice di Arthur e ne fasciava alla bell’è meglio l’orribile mutilazione, « Questa proprio non ci voleva, proklyatiye, adesso che avevo compattato una buona squadra... »
Si massaggiò la radice del naso e passeggiò avanti e indietro per l’elegante salone, borbottando tra sé e sé qualche impropero in russo.
Dopo un po’ il cubano Machado fece ritorno con alle calcagna un infermiere in divisa chiara e uno dei pochissimi dottori dell’isola, armato di valigetta.
Il russo rimase a guardare un po’ in disparte i due uomini che sorreggevano Arthur e lo accompagnavano fuori dalla Henni haus, verso una barella che attendeva proprio davanti al portone.
L’inglese mugugnava sottovoce, troppo stordito per dire alcunché, e venne immediatamente sospinto verso il porto di Kloster, dove un traghetto lo avrebbe portato di volata all’ospedale più vicino.
« Nessuno su quest’isola deve sapere dell’accaduto. » disse con decisione Ivan, scoccando al finlandese un’occhiata truce.
« Sissignore. »
« Mi servirà un rimpiazzo, nel più breve tempo possibile. Non sarà affatto facile, ma fintantoché io e il signor Jones non avremo trovato qualcuno di qualificato, voialtri dovrete lasciarlo nella vasca e non avvicinarlo, sono stato chiaro? Non ho intenzione di perdere altri uomini. »
Väinämöinen annuì rigido, ancora profondamente scosso dalla violenta scena assistita.
Ivan scoccò un’occhiata preoccupata e tesa alla stanza in fondo al bunker, dove la coda di pesce rossa se ne stava afflosciata sul lettino, e ordinò al finlandese di farsi aiutare per rimetterlo nella vasca.
« ... e pulite questo macello. » aggiunse con una smorfia di disgusto, scrollando uno dei suoi pesanti stivaloni imbrattati del sangue dell’inglese, prima d’infilare la porta e sparire nella luce del giorno, corrucciato.

« ELIZAVETA!! » urlò Gilbert, fuori di sé, arrivando con uno scivolone davanti al cancello della sua villa.
I tre vecchi cagnoloni si agitarono udendo il padrone sbraitare così e cominciarono a correre per tutto il giardino, abbaiando forsennati, ma l’albino li rimise a cuccia con ampi gesti delle mani tremanti e si catapultò subito oltre l’uscio di casa.
Inciampò nel tappeto dell’ingresso mentre sbraitava: « Eliza! ELIZA!! Non ci crederai MAI!!! Oh Gott! »
L’ungherese apparve sulla soglia della cucina, con uno straccio a quadri buttato su una spalla e un piatto insaponato tra le mani ricoperte dai guanti, « Gil? Ma che diamine sta succedendo? »
Il fidanzato le si aggrappò alle spalle e la scosse agitato, tutto rosso e sudato in faccia, « Non ci crederai mai! Neanch’io potevo crederci, eppure... eppure! Oh no, oh no, e adesso cosa facciamo?! » « Calmati Gil. » rispose Elizaveta, sforzandosi di mantenere un tono tranquillo, « Vieni a sederti e raccontami cosa ti prende. »
Lo accompagnò a una delle sedie in legno del tavolo da pranzo, versò una birra gelida in un bicchiere e gliela posò accanto, sedendosi davanti a lui.
« Dunque » cominciò, « Cos’è successo? » Gilbert bevve un lungo, lunghissimo sorso di birra, poi posò il calice sul tavolo con un po’ troppa forza, sconvolto e scosso.
« Sono... sono andato alla Henni haus, e... stavo aspettando Braginski nel salone... c’era questo tipo con un sigaro che mi faceva la posta come un cane da guardia, e non potevo entrare nel bunker, ma poi... ma poi... » Gilbert s’interruppe e svuotò il calice con un risucchio.
Elizaveta lo osservava preoccupata, non avendolo mai visto così tanto preso dal panico.
« Cos’hai visto, Gil? » lo spronò.
Il suo fidanzato sbatté le palpebre e si passò una mano sulla faccia, tentando di schiarirsi le idee e di fare ordine nella mente che ancora si rifutava di credere.
« Ho visto una coda di pesce. »
Elizaveta inarcò un sopracciglio bruno, « Una coda? »
« Una grossa, rossa coda di pesce abbandonata su un lettino. » continuò l’albino, stritolando il calice tra le mani sudate, « So cosa stai pensando. “Gilbert, è normale che un centro di ricerca catturi qualche specie e la studi. Magari era una specie nuova, che ne sai?” Ma tu non l’hai vista Eliza, non hai idea... era troppo grossa. Un pesce così sarebbe stato avvistato molto prima dai nostri pescatori, e in ogni caso non mi sembrava normale che lo avessero adagiato su una barella. Aveva... aveva anche un’etichetta pinzata sulla pinna caudale, l’ho intravista a malapena, prima che quel russo mi cacciasse praticamente fuori dalla mia Henni Lehmann! »
Gilbert soffiò dalle narici come un toro infuriato, ed Elizaveta, nonostante fosse sconvolta, gli accarezzò un braccio per calmarlo.
« Gil, ma tu pensi che fosse... qualcosa di diverso da un semplice pesce? »
« Non lo so, diamine, non ci capisco più un cazzo! » ringhiò il tedesco, « Sapevo che stava facendo qualcosa di strano e illegale, lo sapevo! »
Elizaveta rimase per qualche secondo a fissare fuori dalla grande finestra della parete piastrellata, persa nei suoi pensieri.
Una grossa coda di pesce... quel particolare le fece tornare a galla un ricordo molto preciso: un piccolo Ludwig dagli occhi sfavillanti che le raccontava tutto trafelato di aver visto una sirena, molti anni fa, seduti a quello stesso tavolo.
Elizaveta sbatté gli occhioni verdi e afferrò di scatto la mano del fidanzato, stritolandogliela per la foga.
« Cosa c’è? » le chiese Gilbert, spaventato e sorpreso, « Non dirmi che tu ne sai qualcosa! »
« Gil, adesso non ho tempo di raccontarti tutta la storia, ma ti giuro che lo farò. Devi chiamare immediatamente tuo fratello. »
« E perché? » chiese l’albino, sbarrando gli occhi, « Cosa mi state nascondendo voi due? Sapete qualcosa di tutta questa storia e ancora non mi avete detto niente?! »
« Oh, non è il momento di fare il geloso. » lo liquidò impaziente Elizaveta, correndo a prendere il cellulare e posandolo con decisione tra le mani del fidanzato, « Svelto: chiama Ludwig. Devo parlargli subito. »
Gilbert sbatté confuso e offeso i suoi occhi rubicondi per qualche istante, poi mugugnò qualcosa e pigiò velocemente sullo schermo del telefono con le dita insicure.
« Sia mai che mi venga spiegato qualcosa! » muggì, tamburellando con le dita sul tavolo mentre aspettava che West rispondesse alla chiamata.
Elizaveta si alzò e gli versò un altro calice di birra. Ne avrebbe avuto bisogno.


Ludwig corrucciò la fronte mentre rispondeva alle domande del test del professor Bonnefoy.
Era una mattinata soleggiata e gelida a Berlino, e l’aula colma di studenti risuonava a malapena dei fruscii dei fogli e delle penne che grattavano risposta dopo risposta.
Accanto al banco di Ludwig, Antonio mordicchiava il cappuccio della sua biro e si grattava svogliatamente la testa.
« Ehi.. psss... Lud! » lo chiamò con un filo di voce, « Dammi la 3B, non me la ricordo! »
Ludwig arricciò il naso in segno di sdegno e si sforzò d’ignorarlo con tutto sé stesso.
« Lud... »
« ... »
« Ehi... ehi Lud... Luuud... Ludi ludi lud... »
« Sssh, deficiente, ti farai beccare! » bisbigliò infastidito il tedesco.
« E tu dammi la 3B, daaaai, tipregotipregotiprego... »
Il professor Bonnefoy si avvicinò ai loro banchi con le mani tranquillamente nascoste dietro la schiena, sorrise con fare splendido e sbatté le ciglia stranamente lunghe e biondicce: « Va tutto bene, ragazzi miei? »
Ludwig assottigliò le narici nervoso, ma Antonio scrollò il capo con decisione e rispose, in un tono di voce squillante e decisamente troppo alto: « Mi dispiace un botto, prof, ma proprio non mi ricordo la risposta alla domanda 3B. Ho chiesto un aiuto a Ludwig, ma non ne vuole sapere. »
Il tedesco gli scoccò un’occhiataccia. Quello spagnolo disinibito riusciva sempre a sorprenderlo con la sua sincerità disarmante.
Perfino il loro professore francese si grattò il pizzetto per qualche secondo, senza sapere cosa dire.
« Massì » esclamò alla fine, mentre tutti gli altri studenti li guardavano incuriositi, « La 3B è una delle più difficili del test, lo so molto bene ragazzi miei. Quindi per questa volta, ma solo per questa volta, vi darò un piccolo suggerimento... ma guai a voi se lo spifferate al preside, d’accord? » e fece scorrere un’azzurro sguardo d’avvertimento per tutta la classe, che in risposta lanciò un grido di apprezzamento al professore e qualcuno si batté il cinque entusiasta.
Ludwig scrollò il capo con rassegnazione: il professor Bonnefoy era sempre troppo indulgente con tutti, e comunque la 3B non era poi così difficile come sembrava...
Il francese si accostò alla grande lavagna appesa alla parete, impugnò un gessetto e si mise a scrivere velocemente, mentre Antonio e molti altri compagni leggevano il suo suggerimento e ci ragionavano sopra.
« Grazie prof, lei sì che ci capisce. » sorrise soddisfatto Antonio, lanciando poi una pallina di carta masticata in faccia a Ludwig, che gli rispose spingendogli di scatto la testa contro il banco, facendogli tirare una notevole capocciata.
« Ahia! »
« Da bravi ragazzi miei, adesso concentratevi. So che potete farcela. » disse il professore, posando il gessetto e tornando a osservare la sua adorata classe.
Il silenzio e il lieve grattare delle penne continuò per qualche altro minuto, ma poi qualcuno bussò alla porta dell’aula.
« Avanti. » disse il professor Bonnefoy, e un bidello in camice lungo e azzurrino entrò un po’ trafelato, reggendo uno dei telefoni scuri dell’università.
« Professor Bonnefoy, mi scusi per l’interruzione, ma un parente del signor Beilschmidt ha chiamato per un’urgenza. »
Ludwig smise di scrivere sul test e alzò lo sguardo.
Qualcuno in casa stava male? Elizaveta? Gilbert? Era successo qualcosa di così grave da doverlo raggiungere a Berlino durante un esame?
Antonio guardava a intervalli prima Ludwig poi il professore, accigliato.
« D’accordo, nessun problema. Signor Beilschmidt, vada a rispondere. » rispose il professore, facendogli un cenno.
Il tedesco si alzò dal banco, scambiò una rapida occhiata con Antonio e poi uscì dall’aula, seguito da molto sguardi curiosi, e prese il telefono che il bidello gli stava porgendo.
« Pronto, Gil? » ma si stupì quando dall’altra parte della cornetta riconobbe la voce di Elizaveta.
Sembrava spaventata e confusa.
Ludwig ascoltò il suo discorso in silenzio, con la fronte che si aggrottava sempre di più.
Antonio, che si era allungato sul banco per sbirciare oltre l’uscio della porta, intravide Ludwig in piedi davanti al bidello con il telefono attaccato all’orecchio, mentre balbettava appena qualche parola indecifrabile.
Il telefono gli sfuggì quasi di mano e Ludwig dovette riacciuffarlo al volo, si mise una mano nei capelli biondi e farfugliò qualcosa rapidamente, prima di spegnere il telefono e riconsegnarlo al bidello.
Si catapultò nell’aula e raggiunse il suo banco, raccolse la cartella e ci buttò dentro tutte le penne e le matite, strappò via la giacca dalla sedia e corse verso il professor Bonnefoy, ignorando gli sguardi sgranati dei suoi compagni.
« Va tutto bene Beilschmidt? » chiese il francese, aggrottando le sopracciglia.
Ludwig era paonazzo in viso, affannato, e sembrava sul punto di beccarsi un infarto: « No... no professore... mi dispiace, ma devo tornare immediatamente a casa mia... »
I compagni e il professore sembravano turbati dalla sua reazione terrorizzata.
« Beh, d’accordo Beilschmidt, hai tutto il diritto di tornare a casa tua se è successo qualcosa di grave. » gli disse il francese, alzandosi dalla scrivania e mettendogli una mano sulla spalla massiccia, « Il test lascialo sul banco, lo recupererò così com’è, tenendo conto del tuo imprevisto. Se vorrai tornare più avanti, quando si sarà risolto tutto, ti aspetteremo a braccia aperte. »
Il tedesco annuì con il volto in fiamme e si voltò di scatto verso Antonio, lanciandogli un'unica occhiata significativa, e lo spagnolo capì subito: era accaduto proprio quello che temevano. Qualcuno aveva trovato Feliciano.
« Ahem... professore? » saltò su Antonio, alzandosi dal suo posto, « Non è che potrei accompagnare Ludwig in stazione? Ho praticamente finito il test, e mi dispiacerebbe un botto non salutarlo come si deve. »
Il professor Bonnefoy si grattò il pizzetto e li squadrò entrambi per un minuto, soppesando la richiesta.
« E va bene, Fernàndez. » si arrese alla fine, « Lo so che siete molto amici, ma vedi di non metterci una vita e torna immediatamente a scuola, d’accordo? » e lo minacciò con un croissant posato sulla sua cattedra, prima di fare cenno loro di sparire e staccandone un morso.
Ludwig e Antonio lo ringraziarono frettolosamente ed entrambi si precipitarono fuori dall’aula, seguiti dagli sguardi ansiosi dei compagni.

Mentre correvano per i marmorei corridoi dell’università, quasi inciampando per la fretta, Antonio si fece spiegare per filo e per segno quello che Ludwig aveva sentito al telefono, e non fu facile davvero raccontargli la vicenda, perché Elizaveta era stata molto sbrigativa e affannata.
« Cosa?! » sbottò lo spagnolo, mentre saltavano l’ultima rampa di scale e quasi si rompevano l’osso del collo, « La fidanzata di tuo fratello ha detto che un imprenditore russo è arrivato sulla vostra isola ed è riuscito a catturare Feliciano?! »
Ecco il portone d’ingresso, spalancato sulle vie trafficate e colme di sole.
« Ma com’è stato possibile?! »
« Non lo so! Mein Gott, glielo avevo detto di stare attento! Glielo avevo detto di stare alla larga dalla superficie! » gridò Ludwig, lanciandosi fuori dall’università, con Antonio che gli ansimava alle calcagna, « Io lo sapevo che non avrei dovuto lasciarlo solo, scheisse! Avrei dovuto rimanere! A quest’ora non sarebbe successo niente! »
Raggiunsero di volata la Derbi nera e rossa di Antonio, la sua fidata moto di marca spagnola parcheggiata nel cortiletto sul retro dell’università, insieme alle biciclette e alle auto degli studenti e dei professori.
Antonio montò in sella, s’infilò il casco e ne porse un altro a Ludwig.
« Qualsiasi cosa sia successa, adesso voliamo a casa e avvertiamo Kiku. Svelto Lud, sali! »
Ludwig si era sempre rifiutato categoricamente di salire su quella trappola mortale, ma in quel frangente non ci pensò un solo secondo: inforcò il sedile di cuoio dietro ad Antonio e si calcò il casco tutto sbucciato sulla testa.
« Parti! » spronò l’amico spagnolo, che girò le chiavi e accese la sua fedele cavalcatura con un rombo potente.
Imboccarono la via ingombra di automobili e zigzagarono tra i pioppi infreddoliti, sfrecciando tra gli autobus e le vetture ben oltre il limite di velocità.
Col cuore che gli batteva impazzito nel petto, Ludwig si stringeva ai fianchi di Antonio e riusciva solo a pensare “più veloce!”, incredulo, stordito da quell’assurdo incubo nel quale era precipato in meno di cinque minuti.
Antonio prese una curva così stretta che le loro ginocchia quasi sfiorarono l’asfalto umidiccio, si fermarono sotto il loro condominio e il tedesco balzò giù dalla sella, correndo a suonare il citofono.
Kiku, che quel giorno era libero da lezioni ed esami, andò a rispondere con la sua solita voce cortese.
“Chi è?”
Ludwig gli raccontò velocemente dell’accaduto e gli riferì che stava volando a prendere il treno insieme ad Antonio, ma aveva appena finito di spiegare che il giapponese lo fermò, mantenendo un tono di voce calmo, anche se teso.
“Ludwig-san, io vengo con voi.”
« No, aspetta, ma che dici...? » tentò di protestare Ludwig. Dall’altra parte del citofono calò un silenzio inquietante.
« Dannazione, Kiku! »
« Cosa c’è? » chiese Antonio, ancora seduto sulla moto e con il casco addosso.
« Vuole venire anche lui! » sbottò Ludwig, quasi saltellando sul posto per l’impazienza e l’angoscia.
« Beh, è naturale, Lud. »
Ludwig si mise di nuovo una mano nei capelli e prese a fare avanti e indietro sotto al condominio, mordendosi il labbro inferiore, incapace di calmarsi.
Il suo Feli... catturato, imprigionato, preda di esperimenti di chissà quale tipologia, lontano dal mare e dalla sua famiglia, lontano da Ludwig, che adesso non era lì per poterlo difendere... oddio no, perché? Perché?!
Il portone del condominio si aprì cigolando e Kiku uscì fuori, carico di due grossi borsoni.
« E quella roba? » gli chiese Antonio, decisamente più calmo e ragionevole di Ludwig.
« Vestiti e altro. Se dobbiamo arrivare fino all’isola di Hiddensee, sarà meglio portarsi dietro qualcosa di utile. » rispose il giapponese, dando un’occhiata dubbiosa alla moto di Antonio, « Ma è meglio se prendiamo un taxi, non ci stiamo in tre lì sopra, figuratevi le valige. »
Antonio annuì, si tolse il casco e lo incastrò sotto a un braccio, mentre tirava fuori il cellulare e chiamava un taxi.
« Mi spiegate cos’avete in mente, voi due? » chiese loro Ludwig, facendo saltare lo sguardo dall’uno all’altro, « Non dovevate accompagnarmi fino alla stazione e basta? »
« Kiku, ce li hai i soldi per la corsa? Dovevo prelevare stamattina ma mi sono dimenticato. » continuò Antonio, ingorando il tedesco, e Kiku aprì il suo portafoglio decorato a Pokémon, tirò fuori qualche banconota e gliela consegnò.
« E per il traghetto? » aggiunse il giapponese.
« Ragazzi, volete spiegarmi? »
« Ci arrangeremo. Ma Tama, piuttosto? »
« Ho chiamato un mio amico di corso e gli ho chiesto di venire a dargli la pappa, pulirgli la cassetta e fargli un po’ di compagnia un paio di volte al giorno, se ci riesce. Mi ha assicurato che almeno una volta al giorno può farlo, ma cercherà di esserci più spesso che può. »
« Verdammt, volete ascoltarmi?! » ruggì Ludwig, e i due amici si voltarono finalmente a guardarlo.
« Non se ne parla, non verrete con me sull’isola... » cominciò il tedesco, ma lo spagnolo gli lanciò un’occhiataccia fulminante, e perfino Kiku lo guardò serio e irremovibile.
« Cosa?! » sbottò Ludwig. Non aveva mai avuto tanta angoscia e tanta fretta in vita sua, e non c’era proprio il tempo di mettersi a discutere con quei due testardi.
« Lud... » cominciò pazientemente Antonio, « Te lo avevamo detto, che ti avremmo aiutato con Feliciano, non ti ricordi più? »
« Ma è ancora troppo presto! Non mi aspettavo certo che lo avrebbero catturato prima che riuscissimo a laurearci tutti e tre! Ma non capite che è un vero disastro?! Non siamo pronti, siamo ancora troppo giovani e inesperti e nessuno ci darà ascolto, scheisse! »
Kiku posò una mano pallida e gentile sulla spalla scossa dai tremori dell’amico, guardandolo con quei suoi grandi occhioni neri.
« È vero che non siamo ancora preparati » gli disse in un tono di voce fermo e deciso, « Ma te lo avevamo promesso, Ludwig-san. Noi verremo con te fino in capo al mondo, se serve. »
« Ma... ma...! » si affannò Ludwig, sconcertato e disorientato.
« Troveremo un modo per aiutare il tuo Feliciano, Lud, fidati di noi. Siamo amici, no? » rincarò Antonio.
Un taxi giallastro parcheggiò nella strada davanti al condominio e cacciò un piccolo colpo di clacson nella loro direzione.
Antonio spinse la moto nel suo angoletto accanto all’edificio e mise via i due caschi dentro al bauletto posteriore, prese le due borse e si avviò verso il veicolo.
Kiku prese gentilmente Ludwig per un polso e lo tirò verso il taxi: « Andiamo Ludwig-san, presto. »
Stava accadendo tutto così in fretta che il tedesco non ebbe nemmeno il tempo di metabolizzare. Salì in macchina stretto tra Antonio e Kiku, lo spagnolo comunicò la meta e partirono rombando lungo le strade fredde e sciamanti della città, in direzione della stazione di Berlino Centrale.
Antonio e Kiku parlottarono a bassa voce per tutto il tragitto, mentre Ludwig, stordito e col batticuore costante, si mangiava il fegato per la preoccupazione.
Tutto sommato era davvero contento che Antonio e Kiku avessero insistito per venire con lui; era un comportamento coraggioso e leale, e il tedesco si sentì inumidire gli occhi al pensiero che i suoi due unici amici avessero deciso di mollare tutto e seguirlo.
“Sto arrivando, Feliciano.” Pensò con rabbia, stritolandosi le mani sulle ginocchia.


CONTINUA…




Sing Für Mich è stata aggiornata! Finalmente, vero?
Chiedo venia per averla interrotta così, mi dispiace davvero tanto ☹
Qualche giorno fa ho ricominciato a spulciare EFP dopo veramente un secolo che non ci tornavo (se non contiamo le storie su Good Omens che ho scritto non troppo tempo fa) e ho riletto questa mia vecchia fic inconclusa.
Cavolo, mi dispiaceva da matti non concluderla, considerati soprattutto tutti quei lettori e lettrici che mi hanno scritto e pregato di continuarla e finirla... non volevo farvi un torto, quindi rieccomi qua!
Spero che qualcuno sia rimasto per leggerla, spero che il nuovo capitolo vi piaccia, e spero di non avervi feriti troppo, facendovi aspettare tutto questo tempo! Vi do un bacione enorme <3
  
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