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Autore: BluCamelia    01/09/2023    1 recensioni
Anno 1994. Costretta a cambiare scuola per via della separazione dei genitori, Milly affronta il trasferimento con ironia, una certa ansia sociale e un pizzico di presunzione dovuta al suo passato di studentessa modello. Non sa che dovrà affrontare sfide che hanno ben poco a che fare con la media dell'otto.
Una delle sfide in particolare potrebbe rivelarsi troppo difficile per una liceale: il professor Vanini.
Non è una storia d'amore.
Genere: Drammatico, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Alla fine della lezione, mentre gli altri uscivano, notai che Vanini mi guardava. Evidentemente si aspettava che andassi a rompergli le palle come al solito. Io lo ignorai e sistemai la mia roba nello zaino. Stavo per uscire lasciandolo con un palmo di naso, ma mi resi conto che dovevo parlargli, nell'improbabile caso avesse chiesto veramente aiuto alla preside.

«Ah, professore, per quanto riguarda il mio trasferimento...»

«Eh, Barbier, è un casi...»

«Non importa, alla fine ho deciso che è meglio cambiare direttamente scuola. Grazie lo stesso e arrivederci.» Uscii in fretta senza guardarlo in faccia.

Il giorno dopo avevamo di nuovo lezione con lui alle ultime ore. Alla fine mi disse: «Barbier, fermati qualche minuto, ti vorrei parlare.»

Sentii il cuore che accelerava. Da una parte non volevo che insistesse e mi ponesse altri dilemmi, dall'altra ci sarei rimasta male se non gli fosse importato niente del mio trasferimento. Dopotutto in classe ero l'unica che gli desse soddisfazione.

Dopo che gli altri furono usciti, Vanini aprì la finestra e si mise a fumare appoggiato al davanzale. Quando aspirava socchiudeva gli occhi e lo sguardo si faceva vago, come se il fumo gli ispirasse chissà che riflessioni. Sembrava si fosse dimenticato di me. Alla fine chiesi: «Sì?»

«Davvero vuoi andartene?»

Ma va' al diavolo... è un mese che ti chiedo tutti i giorni se hai parlato alla preside...

«Sa bene che mi dispiace, ma...»

«Sarebbe un peccato, hai un grande potenziale e questa scuola può darti molto.»

“Questa scuola” andava tradotto “io”, visto che l'unica cosa che mi davano gli altri professori, a parte la Canè, erano conati di vomito. Paris e la Colombo stavano persino diventando leggermente stronzi con me, nonostante i miei buoni voti.

«Mi pare che ne abbiamo già parlato» risposi con voce venata di sarcasmo.

Vanini buttò la sigaretta fuori dalla finestra e si girò leggermente per guardarmi meglio in faccia, sempre con gli occhi socchiusi ma con uno sguardo intenso. Ebbi quasi paura. Sembrava che volesse dire: abbiamo scherzato, adesso basta con le stronzate e parliamo seriamente. Invece non disse niente, prese la sua valigetta e uscì.

Quella scena mi lasciò un'impressione sgradevole, come se avessi stuzzicato un drago addormentato. Avevo fatto il mio dovere, cioè avvertito Vanini. Sarebbe stato meglio non coinvolgerlo ulteriormente nella faccenda del trasferimento.

*

Uscendo dalla segreteria incrociai Vanini. Istintivamente cercai di non farmi vedere, ma subito provai un senso di fastidio. Perché dovevo nascondermi davanti a lui?

«Giorno, prof!» Mi avviai verso la mia classe, ero già in ritardo. Qualcosa di caldo e forte mi afferrò al polso. Restai raggelata.

Mi girai di scatto e Vanini mi lasciò il polso immediatamente.

«Cosa ci facevi in segreteria?»

«Burocrazia, prof... niente di interessante!»

Il lupo sorrise. «Stavi chiedendo il nulla osta per il trasferimento? Guarda che non c'è bisogno di mentire, come puoi notare il portone non ha le sbarre.»

«Eh già...»

«Come ti dicevo è un peccato.» Mettendomi la mano sulla schiena mi guidò gentilmente verso le macchinette. «La tua relazione su Rousseau era molto ben fatta.»

«Grazie! Adesso dovrei andare a lezio...»

«Chi hai? Paris? Ci parlo io, anche se ti perdi i primi dieci versi del suo ultimo poema epico non succede niente» disse, con una sfumatura di impazienza.

«Temo che peggiorerebbe la situazione.» Avevo l'impressione che i miei successi in storia e filosofia facessero girare le palle a Paris e Colombo, non tanto perché non amavo le loro materie, quanto perché invece di comportarsi come Cesare e fare il triumvirato con loro, Vanini stava imitando gli imperatori della decadenza allevandosi un successore, cioè me.

«Già, me lo immagino.» Vanini fissò un punto al di sopra della mia spalla con quello strano sguardo concentrato. Quindi distese le sopracciglia che teneva quasi sempre aggrottate e cercò di sorridere in modo un po' meno lupesco. Notai che con quell'espressione quasi rilassata gli angoli degli occhi si voltavano leggermente all'insù. «Quando si hanno le potenzialità per raggiungere qualcosa di grande si deve imparare a lottare, perché maggiore è l'obiettivo maggiori saranno gli ostacoli. Io ti consiglio di non badare a certe meschinità. Alla tua età sembrano importanti, ma quando lascerai la scuola vedrai ben altro.» Mi diede un colpetto sul braccio. «E non raccontare agli altri che faccio prediche da professore saggio, che mi rovini la reputazione.» Se ne andò senza prendere il caffè. Io ritrovandomi da sola come una scema davanti alle macchinette automaticamente inserii delle monete e presi una barretta di cioccolato.

«Barbier, ti davamo per dispersa.» Era Paris, affacciato alla porta della nostra classe. «Fa piacere vedere che ti sei semplicemente presa venti minuti per fare uno spuntino!»

A me non importava un accidente della sua rabbia, comunque notai che Vanini non si era disturbato a giustificarmi. «Ho avuto un calo di zuccheri, professore, stavo per svenire!» Lo seguii in classe pensando a tutt'altro. Chissà se con quel discorso sul raggiungere qualcosa di grande Vanini voleva alludere alla strada per la quarta dimensione. Dovevo ripensarci daccapo? No, non dovevo. Se Vanini ci avesse tenuto davvero così tanto avrebbe parlato con la preside da un pezzo.

*

«Elisa!»

La nostra ex compagna era venuta a trovarci. La circondammo, abbracci, baci, ecc.

Paris, che in quel momento era in classe con noi, commentò: «Certo è facile scappare davanti alla prima difficoltà.»

Elisa gli lanciò uno sguardo di puro disprezzo, come per dire “Non sono più costretta a sopportarti”. E in effetti tra i due mi sembrava Elisa quella più saggia. Non capivo perché mai uno dovesse sopportare un branco di professori deficienti solo per temprarsi il carattere. Certo se ci fosse stato qualche motivo serio, tipo la quarta dimensione...

«Com'è la nuova scuola? Mi voglio trasferire anch'io!» Le chiesi.

«Be’, meglio di questa. Non è che ci vuole molto, eh!» Suonò la campanella della ricreazione. «Andiamo alle macchinette così ti racconto.»

Mentre mangiavamo le nostre barrette di cioccolato Elisa mi parlò della nuova scuola. Improvvisamente si interruppe, fissando un punto al di sopra della mia spalla. Disse: «Vanini ci sta guardando.»

Non volevo girarmi, così dissi: «E' normale, no? Ti rivede per la prima volta dopo il trasferimento.»

«No, aveva una faccia strana.» Rabbrividì. Vanini normale era già un problema, ma Vanini che ti guarda in modo strano... roba da chiamare il 113. Suonò la campanella di fine ricreazione.

«Adesso devo andare. Sei vuoi sapere altro sulla mia scuola chiamami pure!»

Avevo un brutto presentimento. Mi diressi verso la classe il più in fretta possibile ma Vanini mi sbarrò la strada. «E' il caso di parlare.»

«Sono in ritardo, e l'altra volta il professore non l'ha presa bene. Tra l'altro lei aveva detto che mi avrebbe giustificato, ma...» il mio tono di rimprovero si perse nel nulla.

Tutti gli altri erano rientrati in classe. Il corridoio deserto mi sembrò silenzioso in modo innaturale.

«Sai che c'è, Barbier?» sorrideva, non solo scoprendo di più i canini, ma scoprendo uno dei canini più dell'altro. «Non voglio che tu te ne vada.»

Quell'indefinibile aura di carisma che faceva venir voglia agli altri professori di creare triumvirati, e che gli procurava il rispetto della classe nonostante le sue lezioni fossero giudicate più o meno inutili, sembrava essersi concentrata come un raggio su di me. Non era una bella sensazione. Feci un passo indietro e non dissi nulla. Qualunque risposta sarebbe suonata valida e ragionevole quanto lo starnuto di una mosca.

Mi accorsi che il silenzio non era un'alternativa migliore, visto che ero costretta a sostenere il suo sguardo rischiando un'ustione di terzo grado.

«Mmm, professore, sono molto lusingata ma...» non riuscivo a trovare niente da aggiungere dopo quel “ma”.

Vanini avanzò di un passo e io indietreggiai di nuovo. Mi ritrovai con le spalle alle macchinette e non potei allontanarmi quando fece un altro passo in avanti. Adesso era davvero troppo vicino. Sentivo il suo odore, che non era una di quelle improbabili miscele di muschio, assenzio e non so cosa, ma un semplicissimo profumo di sapone con appena una traccia di sigaretta.

Dovevo avere un'espressione sgomenta perché disse in tono tagliente: «Non fare quella faccia, non sto per strapparti i vestiti.» Che era la frase giusta per mettermi a mio agio. Persi completamente la bussola e chiesi in tono rauco: «Allora cosa vuole?» come se avessi davvero pensato qualcosa del genere.

Non rispose e per un attimo pensai veramente che mi avrebbe baciato, non per motivi che avessero qualcosa a che fare con l'amore o il sesso, ma semplicemente per polverizzarmi il cervello e poi muovermi con la sua volontà, come una marionetta.

Sorrise inclinando gli occhi e fu come se avesse spento il generatore di energia. Il calore bruciante nei suoi occhi marrone scuro si ridusse al piacevole tepore di un caminetto, che ti riscalda e ti fa sentire al sicuro. «Volevo solo mettere in chiaro che dico sul serio sul fatto che non voglio che tu te ne vada, e ti assicuro che nella mia carriera non mi è successo molto spesso. Magari hai pensato che lo dicessi per dovere.»

«No, ehm, non l'ho pensato.» feci il gesto di spostarmi da lì ma Vanini mi bloccava la via.

«Allora mi credi, Milly? Prometti che rifletterai su quello che ti ho detto?»

Da quando in qua mi chiavava Milly? E cosa diavolo ci faceva una ciocca dei miei capelli nella sua mano?

«Sì, certo, ci penserò.» Pur di farlo levare da lì avrei promesso anche di farmi suora.

Dopo questa frase il mio cervello andò in tilt per qualche minuto. La cosa seguente che ricordo è che ero seduta a terra, sempre con la schiena appoggiata alle macchinette, Vanini era sparito e invece davanti a me c'erano due gambe lunghe in un paio di jeans a campana. Sollevai lo sguardo e vidi la zoccola artistica.

Devo essere in ritardo di venti minuti. Adesso mi fa nera.

«Barbier, hai avuto un altro calo di zuccheri?»

Mi stava prendendo per il culo ma era meno acida di quello che mi sarei aspettata. Mi alzai e la guardai in faccia. Sotto i chili di mascara mi parve di vedere uno sguardo vagamente comprensivo. «Non fa niente. Qualche volta succede anche a me, sai... dev'essere l'arrivo del caldo.» Il tono era ironico ma anche un po' complice. Tornammo in classe.

   
 
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