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Autore: avalon9    03/09/2023    2 recensioni
“Davvero non te ne sei mai accorta?”
“Di cosa?” Si ostina Ichigo, quell’aria da bambina ingenua che la ancora a una vita prima, a equilibri sottili come ali di libellule. E rassicuranti. Troppo rassicuranti nel loro essere apparentemente immutabili.
“A Shirogane tu piaci. Sei sempre piaciuta”.
“A Shirogane piace prendermi in giro”

Il tempo passa, alcune cose cambiano, altre no. E arriva il momento di smuovere le situazioni.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ichigo Momomiya/Strawberry, Mint Aizawa/Mina
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Cinque passi'
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Autore: Avalon9

Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life

Personaggi Principali: Ichigo Momomiya; Minto Aizawa

Altri Personaggi: un po’ tutti, ma solo citati

Rating: arancione

In proposito: “Davvero non te ne sei mai accorta?”

“Di cosa?” Si ostina Ichigo, quell’aria da bambina ingenua che la ancora a una vita prima, a equilibri sottili come ali di libellule. E rassicuranti. Troppo rassicuranti nel loro essere apparentemente immutabili.

“A Shirogane tu piaci. Sei sempre piaciuta”.

“A Shirogane piace prendermi in giro”

Il tempo passa, alcune cose cambiano, altre no. E arriva il momento di smuovere le situazioni.

Disclaimer: Tokyo mew mew é di Reiko Yoshida e Mia Ikumi. L’idea della storia, invece, è tutta mia.

Note: one shot; missing moment; raccolta.

Cose: Ho impiegato millanta giorni a scrivere questa side story. Ma alla fine ci sono arrivata. C’è l’ho fatta! Mentre gli altri capitoli sono ben chiari e delineati nella loro ossatura, questo è il frutto di più e più riscritture.

Volevo al contempo segnare il tempo trascorso e riallacciare il filo con i quindici anni, con quell’età che è innamorata dell’amore e che è lo sfondo dell’anime.

Qui Ryou è in absentia. Come accadrà in altre due side story. La storia si concentra su di lui, certo; ma in tre occasioni (e questa è una di quelle), il focus passerà maggiormente su Ichigo, anche per filtrare in modo diverso le modalità con cui entrambi si vedono e sono visti.

E’ più lunga delle altre. Ma è passato del tempo. E sono cambiate le cose. E volevo gettare anche qualche sassolino qui e là.

E poi c’è stato Tokyo mew mew new. L’ho seguito; adulta; curiosa. Forse con un pizzico di speranza. Mi sono piaciute alcune scelte (poche); sono rimasta delusa da altre (molte). Nel complesso una sintesi che sacrifica decisamente troppo del vecchio anime; affrettata, veloce, quasi ossessionata nel cancellare qualsiasi ambiguità (con l’eccezione di Kish, di grazia), decisa a sacrificare troppo a un buonismo di fondo dilagante.

Ma c’è stata; e qualcosa ha fatto presa e passerà. Qui forse qualcuno lo intuirà; altri sorvoleranno. Non importa: non implica nulla. Ma sarei curiosa di conoscere anche le impressioni di chi, fan di vecchia data, ha avuto l’occasione (e forse anche il coraggio) di vedere la riedizione.

Intanto buona lettura e presto (spero!)

 

 

 

 

 

 

Cinque passi

Side story - Scatole

 

 

 

“Non è giusto però”

Ichigo sbuffa, rigirando il cucchiaio nel frappè alla banana, mentre Minto nasconde il sorriso lieve dietro la linea elegante della tazzina, assaporando l’aroma raffinato dal vago sentore di orchidea.

“Sei infantile, Ichigo” la riprende con l’abituale tono di sufficienza, il tintinnio del piattino che si perde fra le voci e la musica del caffè.

Ryou ha chiamato mezz’ora prima: non rienterà per la Golden Week. Di nuovo un rinvio. E così i mesi che è lontano si sommano e ormai è più di un anno. E non è la prima volta. Rispetto al passato, almeno, chiama, messaggia, scrive e-mail; ma non torna.

É aggiornato su ogni passo dell’adozione di Kei e Retasu; conosce a memoria gli impegni mondani e societari di Minto, così da incrociarsi quasi per sbaglio, ed è pronto a ragionare con Purin riguardo agli investimenti più adatti al ristorante. Si aggiorna regolarmente con Pai sui dati del monitoraggio. C’è; è una presenza costante, continua, discreta. Ma lontana. Sempre e solo da lontano.

Ichigo lo sente anche otto-dieci volte alla settimana, incastrando impegni e fuso orario. Chiamate fiume, due o tre ore alla volta, per parlare di tutto e di niente. Ore con Skype acceso, il ticchettio dei tasti del computer sullo sfondo e i ritmi variegati di radio J-pop che si mescolano alle armonie blues e jazz, le discussioni eterne, fra serietà e leggerezza su mille piccole ovvietà: la passione di Ryou per i vinili e quella di Ichigo per la tavoletta grafica, se è più buona la cioccolata amara o quella all’arancia, se sia meglio il Lupin della regia di Kitamura, più tradizionale e pulita come sostiene Ichigo, o quello di Koike, con la sua grafica dura e quasi sporca che Ryou predilige.

A Ichigo manca. Manca più di quando, ragazzina, lo vedeva ogni giorno e si scambiavano solo due parole nella frenesia della quotidianità. Le manca quando gli parla, un crampo in fondo allo stomaco che nasconde nella voce più squillante, nelle solite frecciatine e nelle battutine sciocche solo per sentirlo ridere o sospirare fra il rassegnato e il divertito.

Ichigo mordicchia la cannuccia, spiegazzando il bordo della fotografia che le è capitata fra le mani. L’hanno scattata al mare, la prima volta che Ryou ha invitato tutti loro nella sua casa a Izu Oshima. Sembra passata una vita. Purin in quel periodo si era convinta che sarebbe diventata una reporter professionista e fotografava qualsiasi cosa attirasse la sua attenzione. Hanno scatole e scatole di fotografie, alcune davvero ben fatte altre sfuocate, sovraesposte, buffe, ridicole. Kei le ha recuperate dal deposito per selezionare le migliori e racchiuderle tutte in un album. Quindici anni da quando si sono conosciuti; da quando il Cafè è stato aperto.

Volevano regalarlo a Ryo per il suo compleanno: l’ultimo giorno di vacanza, prima che ripartisse di nuovo per l’America. Glielo aveva già detto che a maggio sarebbe stato impegnato fra Saint Louis e San Francisco.

“Mi aveva promesso che mi avrebbe insegnato a fare immersioni” borbotta Ichigo a mezza bocca, giocherellando con qualche ciuffo che le spiove sul viso.

“Non fare la bambina” la rimbecca Minto, tagliando la punta della fetta di ravani. “Se ci tieni davvero, ti insegnerà Purin”.

“Non è quello il punto” replica indispettita, rigirando con più forza la cannuccia nella panna. Lo sa: sta facendo i capricci. Per una sciocchezza, poi. E pensare che ha anche paura all’idea di fare immersioni.

“E qual è, allora?”

Minto la guarda con un sorriso appena accennato, una linea sottile quasi annoiata, di un discorso già affrontato tante volte.

“Me lo aveva promesso” e Ichigo si sente davvero una bambina mentre lo dice, la bambina di quattordici anni con i codini che pestava i piedi quando qualcosa non andava come voleva.

“Davvero Ichigo?” sospira appena Minto, posando senza rumore la forchettina da dessert. Il sapore fresco del cocco si amalgama bene con la granella di pistacchio, ma in quel momento Minto non riesce a gustarselo. “Davvero vuoi giocartela in questo modo?”

“Io non voglio giocarmela in nessun modo. Dico solo che non è giusto”.

Shirogane c’è sempre stato per noi” le ricorda.

E la mente torna a cinque anni prima, alla sua camera all’Hôpital européen Georges-Pompidou a Parigi, a quando era stata ricoverata d’urgenza per una frattura alla base del metatarso destro. La sua gamba portante. Anni di sforzi, di allenamenti, di dedizione al fine di perfezionare la sua tecnica di ballo en pointe tanto da farne il suo cavallo di battaglia per fluidità di esecuzione e resistenza si erano all’improvviso trasformati in un overuse che le sarebbe costato la carriera. Quando si era appena consolidata.

Shirogane era arrivato la sera successiva al suo ricovero, i capelli umidi per la pioggia di marzo e il viso stanco di chi, aveva scoperto poi, si era fatto quasi dieci ore di volo con annesse coincidenze solo per andarla a trovare.

Che ci fai qui? gli aveva chiesto

Che hai intenzione di fare? le aveva risposto invece, saltando quei convenevoli che a lui stanno stretti e a lei suonano falsi come una moneta da 3 yen. Quel modo spiccio di parlarsi, così americano, così gaijin, per lei cresciuta ed educata in un mondo fortemente improntato a etichetta e convenzionalità, aveva sempre esercitato una sottile, irreale fascinazione.

Tu cosa pensi?, gli aveva risposto, con uno sbuffo di nervosismo all’idea che potesse aver pensato di trovarla a piangersi addosso. Mi opererò. E poi.

Poi ne riparleremo, aveva chiosato Ryou, accomodandosi con un sospiro e un tonfo stanco sulla poltrona da riposo della stanza.

Vuoi passare la notte qui? aveva chiesto Minto, muovendosi cauta nel letto. Sappi che non ho bisogno della balia aveva brontolato ancora.

Lo so. E non avevo comunque intenzione di farti da inferiere aveva replicato Ryou, gli occhi già chiusi.

Allora puoi andare in albergo, grazie.

I forge to book it era stata la serafica risposta, un occhio pigramente socchiuso. Sai com’è. Partendo di corsa capita.

Non credo che rifiutino una carta di credito, nemmeno alle tre di notte aveva ribattuto ancora Minto, chiedendosi se fosse più divertita o indispettita del modo in cui Shirogane aveva semplicemente deciso per entrambi.

La metro è chiusa.

Chiama un taxi.

Fuori diluvia, se non l’hai notato.

Comprati un ombrello.

Alla fine, quel loro battibecco si era concluso con Ryou che sospirava esasperato, la testa che gli scoppiava e una voglia matta di avere anche solo dieci minuti di silenzio. Aizawa le aveva detto, e Minto sapeva che quando la chiamava per cognome era davvero al punto di rottura. Lasciami dormire. Sono stanco morto e si era sistemato alla meno peggio sulla sedia, la giacca ancora umida come coperta. E Minto si era fermata a riflettere che, in effetti, dovevano essere state ore frenetiche anche per lui. E che c’era.

Aveva chiamato Seiji, dopo che era stata trasportata in ospedale, ma dopo essersi accertato delle sue condizioni, suo fratello le aveva detto che non sarebbe riuscito a raggiungerla a Parigi prima di due giorni. É solo una frattura aveva cercato di consolarla. Domani farai i raggi, ti ingesseranno e per quando sarai dimessa sarà lì a prenderti. Tranquilla.

Minto non dubitava che suo fratello ci sarebbe stato, ma sapeva anche che non aveva capito come il fatto che fosse “solo una frattura” si sarebbe tradotto nella fine di tutto un sogno, della morte di progetti e obiettivi cui aveva sacrificato tanto. Shirogane invece.

Shirogane aveva mollato ogni cosa e aveva fatto l’impossibile per raggiungerla. Per esserci per lei; anche solo per stuzzicarla e obbligarla a reagire e non cedere allo sconforto, in agguato dietro ogni respiro più profondo, ogni lacrima ricacciata indietro. E anche i giorni successivi Shirogane era stato un punto fermo: aveva parlato con medici e chirurghi, si era assicurato che le fossero prestate le cure di più alto livello, aveva preteso di incontrare il primario di ortopedia e traumatologia, aveva cercato ogni possibile soluzione, senza nulla di intentato, pur di provare a restituirle la possibilità di tornare a calcare il palcoscenico.

I do not give up le aveva detto tre giorni dopo, in uno dei rari momenti che si erano ritrovati soli, dopo l’arrivo di Kish. L’ennesimo caffè in mano e una faccia più stanca di quando era arrivato, seduto sul letto accanto a lei, Ryou cercava di rassicurare forse più se stesso che Minto della possibilità che ci fosse ancora speranza.

Va bene così gli aveva detto, un sorriso lieve a incresparle le labbra. Mi conosci: non mi lascio abbattere facilmente. Ricomincerò.

Sure? le aveva chiesto, una stilla di orgoglio e forse invidia in fondo agli occhi, nella piega scanzonata che aveva assunto il viso, per provocare. E quanto Minto aveva annuito, Shirogane le aveva promesso ancora che su di lui avrebbe potuto contare. Per ogni cosa.

E quell’esserci si era concretizzato nell’École de Danse Moineau. La sua scuola di danza; per restare in quel mondo che aveva tanto amato anche senza poter più volteggiare sul palcoscenico.

Ryou aveva fatto la spola fra Boston, San Louis, New York e Parigi per tutto il tempo della sua riabilitazione. E mentre Kish si prendeva cura di lei con la sua irriverenza e quella carica di irrequietezza che la obbligava a reagire, che la spronava a non mollare nemmeno quando le braccia tremavano per lo sforzo di sorreggersi alle parallele e il piede era solo un grumo di dolore ad ogni passo zoppicante e incerto, Ryou aveva preso contatti, parlato con le banche, investito azioni, cercato strutture e imprese, discusso i particolari con lei, nel suo appartamento al primo piano in rue Saint Augustin, a pochi passi dall’Opéra di Parigi. E quanto era stata di nuovo libera di muoversi, senza stampelle bastoni; quando la gamba aveva recuperato se non la forza di prima di certo la stabilità, Minto aveva realizzato quanto davvero Shirogane fosse rimasto accanto a lei in quei mesi.

Perchè? gli aveva chiesto una sera pigra, al termine di una cena consumata in quieta intimità, il sapore morbido e vellutato del suo passito che si armonizzava con il vago sentore di mele del Calvados di Shirogane. Una di quelle sere in cui l’appartamento sembrava insolitamente tranquillo, mentre Kish le carezzava la nuca, gli occhi socchiusi e la smorfia sorniona del gatto che si è pappato l’uccellino e ha la pancia piena. Shirogane era arrivato senza invito, un sorriso irriverente e due ispahan di Pierre Hermè come scusa.

What?

La scuola. La riabilitazione. L’aiuto aveva elencato Minto, allungando le gambe sull’ottomana, il pensiero distratto di quando avesse accettato che, oltre a Kish, anche Shirogane la vedesse senza la sua austera compostezza. Perchè lo hai fatto?

Sono bravo negli affari aveva nicchiato lui, nascondendosi dietro il bicchiere. Kish aveva ridacchiato, pizzicandole il lobo dell’orecchio con l’unghia. La scuola va bene, e io so che mi pagherai il disturbo con gli interessi.

Perchè devi fare sempre il venale? aveva sbuffato Minto, un modo di stizza e divertimento mal celato che si fondeva con il sogghigno divertito di Kish alle sue spalle. Non che si aspettasse una risposta diversa, in verità, da Shirogane. In tanti anni che lo conosce, non è mai riuscita ad avvicinarsi a lui oltre un certo limite. Parlano, si stuzzicano, si rispondono a tono con un’eleganza raffinata per cui anche le offese sembrano complimenti taglienti. Ma Minto sa che fra loro non c’è complicità; rispetto di certo, forse anche una qualche forma di ammirazione, ma non complicità. Non è mai stata gelosa del modo diverso con cui Shirogane ha da sempre interagito con tutte loro; con ognuna si è creato un linguaggio, una gestualità che sono loro e solo loro. Tuttavia.

You really need an answer? le aveva chiesto Ryou alla fine, occhieggiando la notte parigina oltre le finestre lasciate socchiuse di quella serata estiva.

E Minto aveva capito che no, non le serviva. E che Shirogane è un uomo egoista; e calcolatore. Aveva capito che quando anni prima, all’inizio della loro missione, aveva promesso che per loro ci sarebbe sempre stato era sincero; ma anche che quella promessa era diventata la giustificazione per ogni sua azione, per ogni sua fuga e l’occasione per ogni ritorno. E in quei mesi Shirogane aveva avuto bisogno di fuggire; e di lasciarsi assorbire da qualcosa che non gli concedesse il tempo di fermarsi a pensare. Perchè Ichigo era in attesa; perché Ichigo gli raccontava di quel bambino che cresceva dentro di lei, giorno dopo giorno. Di un figlio che non sarebbe mai stato suo.

Sì: Shirogane c’è sempre stato per noi, si ripete Minto.

“C’è sempre stato soprattutto per te” sottolinea ancora a Ichigo, una durezza diversa nella voce, ben sapendo di avventurarsi su un terreno scivoloso. Perchè il rapporto fra Ryou e Ichigo è qualcosa di così semplice e al contempo complesso che nessuno di loro ha mai avuto la forza di costringerli ad affrontarlo. Forse solo Zakuro-nee-san ci è riuscita, ma Minto non ha mai voluto forzare la mano e si è sempre accontentata delle vaghe allusioni che Zakuro le concedeva, quando l’argomento cadeva fra loro quasi per inciampo.

“Lo so, questo” sbuffa Ichigo. “Non serve che tu me lo ricordi” e incrocia le braccia e gira la testa verso il locale, gonfiando le guance: è un vizio che ha preso da quando si sono conosciute, quello di reagire in modo infantile. Minto ha la sgradevole abitudine di colpire i nervi scoperti con un’eleganza quasi sadica, insistendo e pungolando il suo interlocutore come se usasse uno stiletto. E con lei riesce sempre a colpire dove più fa male. Un male strano, struggente, quasi malinconico.

É consapevole di quanto deve a Ryou: se lui non ci fosse stato, gli ultimi anni della sua vita sarebbero stati diversi. E sa bene che si è aggrappata a lui come a uno scoglio. Ryou è stato la mano tesa quando il suo mondo è crollato e il suo matrimonio si è frantumato come cristallo; è stato la spalla su cui piangere durante il divorzio, la sicurezza di una voce anche a notte fonda, anche dall’altra parte del mondo, quando pensava che non avrebbe mai potuto stare di nuovo bene.

Ryou era al suo fianco quando ha sposato Masaya; ed era accanto a lei quando ha perso suo figlio e il dolore e il senso di colpa erano una zavorra di rabbia e autodistruzione che la stava trascinando a fondo. Sono qui; ti riporto a casa le aveva detto Ryou, quando era andato a prenderla a Londra, nella stanzetta di un hotel a Paddington, dove si era rifugiata dopo l’ennesima lite con Masaya. Nemmeno la più violenta, forse la più stanca. E Ichigo non aveva più le forze anche solo per concepire di tornare a Tokyo, tanto sentiva di aver toccato il fondo della sua disperazione. Ryou l’aveva afferrata con la caparbietà di chi non si rassegna a lasciarti mollare e l’aveva obbligata ad affrontare le macerie di una relazione che era semplicemente crollata.

“E quindi?” la incalza Minto, mentre occhieggia il messaggio che le è arrivato.

“Problemi?” le risponde Ichigo, senza voler pensare se le interessi davvero la risposta o se sta solo cercando di sviare un discorso che non sa nemmeno lei se vuole affrontare.

“Solo un aggiornamento” risponde Minto, digitando veloce la risposta. “La riunione si protrarrà oltre il previsto. Kish non riuscirà a raggiungerci”.

Ichigo ridacchia appena, rigirando la cannuccia nel frappè. Ha ormai perso la sua consistenza densa e spumosa, per diventare liquido e caldo. E il frappè caldo è terribile. Però Ichigo lo trova utilissimo per scaricare la tensione, affogando la granella.

“Lo trovi divertente?”

“Un po’” nicchia Ichigo, una lieve alzata delle spalle. “Ma sono anche ammirata. E invidiosa”

“Invidiosa?” le chiede Minto, uno stupore sottile che le fa smarginare appena gli occhi. Non ha mai pensato che Ichigo potesse essere invidiosa; non di lei, almeno. Quando si sono conosciute, da ragazzine, Ichigo le è sempre apparsa come una persona solare, capace di trarre soddisfazione da ogni piccolezza, banalità che incontrasse. Mentre lei. Lei si sentiva minuscola, costretta in etichette e rigori che con il tempo erano diventati la sua armatura. E quell’armatura si scontrava con la spontaneità genuina di Ichigo e ne usciva ogni volta con una ammaccatura in più, con una incrinatura che allargava le crepe.

In un certo senso, Minto si accorge di essere stata lei a provare una specie di invidia verso Ichigo. Una sensazione più simile alla mancanza, a un piccolo vuoto non definito che le palpitava in fondo allo stomaco in alcune occasione, spesso senza importanza. Il modo in cui Ichigo si arrabbiava, la risata imbarazzata che si concedeva quando combinava un guaio, la disarmante ingenuità con cui concedeva la sua fiducia.

Dettagli; granelli si sabbia che però Minto con il tempo aveva imparato a osservare con casuale attenzione, segnando la distanza fra loro e inconsciamente la voglia di cambiare.

“Sì; ma solo un po’” prosegue Ichigo, dondolando appena sulla sedia. “Tu; Kish; quello che siete; quello che avete costruito” elenca, le mani che giocherellano fra loro, un misto di imbarazzo e rimpianto che sfuma in ricordo e rimorsi lasciati sottesi.

“Non è certo stata una passeggiata” sospira Minto, sorseggiando il thè ormai freddo. Il sapore si è guastato, e le ricorda una bibita calda e sgasata bevuta in un locale a Golden Gai, il suo elegante abito da sera in crèpe statin che faceva a pugni con l’ambiente umido, pregno dell’odore di soia, birra e dello sfrigolare degli yakitoro dal gusto agrodolce. Kish sussurrava, una complicità leggera accompagnata dall’alcool e la sensazione di star attraversando un confine invisibile senza più tornare indietro.

“Lo immagino” concorda Ichigo. “Ma restate comunque fantastici”.

“Solo perchè non ci hai mai visto litigare.”

“Ma se lo fate ogni momento.”

“Giusto” considera Minto con un sorriso lieve, lisciando una piega inesistente sulla manica. “E tu invece cosa fai?”

“Lo tratto come al solito?” la provoca Ichigo. “Dai, Minto-chan. Sei gelosa? Lo sai che scherziamo.”

“Cero che lo so” sospira, abbozzando un sorriso. C’è stato un tempo in cui è stata gelosa, è vero. Un tempo, all’inizio del suo rapporto con Kish, in cui temeva di essere solo il ripiego, la seconda scelta. E allora aveva deciso solo di divertirsi, di rompere la sua immagine di “ragazza di buona famiglia” e provare cosa fosse una trasgressione. Anche se, ogni volta che vedeva Ichigo e Kish interagire in quel modo così spontaneo, così complice e rilassato, lo stomaco le si aggrovigliava e il sorriso di circostanza faceva stridere i denti.

Quel tempo c’è stato; ed è passato. E’ passato nelle parole che Kish le sussurra all’orecchio in un’altra lingua, aliena e seducente; é passato nel modo che Kish ha di provocarla ed esasperarla ed esserle poi accanto per sostenerla anche contro il mondo intero, anche se una sua idea potrebbe essere follia. E’ passato quando una notte di aprile, fra una canzone canticchiata e una birra fresca, ai tavoli de La Fourmi Kish l’ha baciata per la prima volta, mettendo a tacere tutte le sue rimostranze inespresse.

“Non parlo di Kish, infatti”.

“Mm?” Ichigo ha la cannuccia incastrata fra i denti e gli occhi smarginati di chi vuole fingere un’ingenuità che nasconde paura. E Minto lo sa, avverte quella paura pizzicare sotto pelle Ichigo, quasi chiuderle la gola. E sa che non può tornare indietro, ora che ha preso il coraggio di attaccare di petto.

“Parlo di Shirogane” scandisce piano, lenta, perchè Ichigo non possa permettersi la scusa di non aver sentito. “E di te” aggiunge subito, con altrettanta calma e compostezza. “E, per favore” la blocca ancora. “Non raccontarmi la storiella che non sai di cosa stia parlando. Diventi ridicola”.

“E quindi?” le domanda Ichigo, il tovagliolo che si accartoccia nelle sue mani e una allegria falsa come una moneta di cioccolato. “Ho sempre fatto figuracce. Una in più cosa cambia?”

Ichigo” sospira stanca Minto, un principio di emicrania che preannuncia la difficoltà di una conversazione troppo a lungo rimandata. “Shirogane

“É il mio migliore amico” la interrompe, una nota di agitazione che le fa tremare la voce. “Come credevo  lo fossi tu”.

“E lo sono.”

“In questo momento, non mi sembra.”

Perchè?” le chiede, affettando un’innocenza che è la su arma migliore. Il fatto che scambino la sua raffinatezza ed eleganza per un sinonimo di vacuità è sempre stata una delle sue migliori carte da giocare. Sotto la sua graziosa testolina, come ama dire Kish, c’è un cervellino affilato e attento, e una lingua ancora più pungente.

La risposta muore a Ichigo sulla punta della lingua, sotto gli occhi di Minto. C’è in quello sguardo la furbizia sardonica di chi non si lascia ingannare da facili scuse e Ichigo lo sa bene. Di Minto ha sempre apprezzato l’acume e la raffinata schiettezza; Minto è stata l’unica, quando ha annunciato a tutti che si sarebbe sposata, a dirle semplicemente  Sei davvero una stupida.

Avevano litigato, quella volta. Come non ricordava che avessero mai fatto. L’aveva accusata di essere gelosa, invidiosa; le aveva detto tante, troppe cose che in realtà non pensava e pensava che Minto, che se ne era andata indispettita ma con la grazia e la sicurezza della vincitrice, sarebbe uscita in quel modo dalla sua vita.

E invece alla fine, con sua sorpresa, Minto era tornata, un sorriso rassicurante ad addolcire la sua abituale compostezza. E quando il suo matrimonio era crollato, Minto aveva raccolto il suo dolore e le sue lacrime.

Come aveva fatto Shirogane.

Schirogane che non l’ha mai lasciata sola; che ha fatto tutto quello che un amico può fare, e molto di più.

Ichigo si mordicchia un labbro, il sapore della banana e della panna un velo leggero che le addolcisce la bocca.

Perchè non mi piace quello che mi stai dicendo; non mi piace quello che vuoi farmi dire vorrebbe urlarglielo, ma la voce le si strozza in gola, incastrata in un pensiero che non riesce ad afferrare. O solo semplicemente non vuole sfiorare.

Ichigo” la chiama Minto, accarezzandole con i pollici la mano che le stringe. Ichigo ha le mani fredde; quando si innervosisce o si agita, le mani le diventano sempre fredde, e le orecchie le si tingono invece di rosso. Shirogane dice che è divertente; ed è vero pena con distrazione, mentre la guarda arricciare infastidita il naso e le labbra in piccole smorfie che mostrano più di quanto Ichigo non riesca davvero a dire.

“Davvero non te ne sei mai accorta?”

“Di cosa?” Si ostina Ichigo, quell’aria da bambina ingenua che la ancora a una vita prima, a equilibri sottili come ali di libellule. E rassicuranti. Troppo rassicuranti nel loro essere apparentemente immutabili.

“A Shirogane tu piaci. Sei sempre piaciuta” le sussurra Minto, sentendosi una sciocca nel trovarsi nella scomoda posizione di mediare sentimenti altrui. E chiedendosi perchè alla fine tocchi a lei dipanare quel groviglio di emozioni che li ha bloccati per tanti anni.

“A Shirogane piace prendermi in giro” glissa Ichigo con una alzata di spalle, affettando indifferenza.

“Certo” concede Minto. “Ma non sei così stupida da non esserti accorta che lo fa solo con te.”

“Lo fa anche con Zakuro-neesan” ribatte ostinata, cercando di ignorare quello che è il ricordo di un sentimento di ragazzina, quando l’amore era ancora un per sempre senza lacrime e rimpianti. “E con Asakusa-kun. E con te” continua. “Riesce anche a farlo con Kish, a volte. Kami. Quando non litigano, ovvio.”

“Glielo hai mai chiesto?”

“Cosa?”

“Se gli piaci”.

“Minto” sbuffa esasperata Ichigo. “Non ho più quindici anni” ride appena, accarezzando il pensiero che quel discorso ha il sapore di un tuffo nel passato. E da Quanto Minto lo pianifichi e lo rigiri nella sua testa per dargli la leggerezza e la forza di una stilettata.

“Chiediglielo allora”.

Minto glielo dice con indifferenza, come se le stesse offrendo di provare un paio di guanti o quel vestito che color rosa antico appena occhieggiato nella cabina armadio.

Ichigo la guarda, gli occhi smarginati fra incredulità e sorpresa, mentre Minto recupera la sua composta indifferenza e assapora con calma l’ultimo sorso del thè ormai freddo. Anche la smorfia sottile che le arriccia le labbra è di una eleganza irritante nella sua naturalezza.

“O hai paura della risposta?”

 

  
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