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Autore: EmmaJTurner    06/09/2023    8 recensioni
"Cercasi AMMAZZAMOSTRI
per raccolta di sambuco
la prossima luna piena.
Pagamento 200 nk
50% in anticipo, 50% a lavoro ultimato.
Per info chiedere di Meli"

[REVISIONE COMPLETATA]
Genere: Avventura, Azione, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Cercasi Ammazzamostri'
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Botanica, Spacciatrice di Erbe

Gabe puzzava così tanto che Meli pensò che fosse morto.

La donna allungò il collo sopra il corpo del vampiro accasciato a terra. Si trovavano nella comune del clan di Costoi che, come tutti gli alloggi vampireschi, era sporca, male illuminata e permeata da un distintivo odore di chiuso, metallo e muffa.

Meli diede un calcio alla gamba del vampiro. Nessuna reazione. Logan le lanciò uno sguardo interrogativo.

“È strafatto, credo” disse lei. Scavalcò le gambe senza vita e si accovacciò di fianco alla creatura. Con fare esperto gli sollevò una palpebra. L’iride al di sotto era velata di una patina azzurra e opaca.

“Si è fatto da poco” confermò una voce nel buio. Meli lasciò ricadere le mani e si alzò circospetta.

La voce continuò: “Chi vi ha fatto entrare?”.

Meli incrociò le braccia al petto. Avevano bussato e atteso diversi minuti fuori dalla comune; dopodiché Meli si era scocciata e si era avventurata nell’oscurità senza invito ufficiale, cosa risaputamente poco apprezzata dai vampiri.

Leo, il capo del clan, avanzò verso di loro. La tremula luce delle candele gli illuminò i numerosi tatuaggi sul collo e sulle braccia scoperte dalla giubba senza maniche. Portava i capelli annodati in lunghi dreadlocks, e un accenno di barba gli incupiva le guance.

“Oh. È da parecchio che non ti si vede, Meli. Come mai da queste parti?” chiese il vampiro, cordiale.

“Consegna di artemisia, quattro fiale” rispose laconica lei. “Mia sorella è impegnata” aggiunse poi a mo’ di spiegazione.

Il vampiro sorrise mostrando in un flash i canini appuntiti. Leo era bello come era bello un mare pieno di meduse, pensò la donna. Da lontano, uno schianto; da vicino, viscido e pericoloso. Di sicuro ti passava qualsiasi voglia di toccarlo.

“Otto navok, deduco?” chiese lui, estraendo i soldi da un logoro borsello di pelle. Meli afferrò le otto monete squadrate facendo attenzione a non toccare le lunghe unghie del vampiro.

“Corretto” disse, e appoggiò le quattro boccette di liquido scuro su un tavolo lercio alla sua sinistra.

Leo studiò le fiale con desiderio, poi tornò a concentrarsi sull’interlocutrice. “Ottimo. La cara Anja come sta?”.

“Come sempre” rispose brusca Meli. Ci mancava solo che qualche maledetto vampiro si interessasse a sua sorella.

Il vampiro le si avvicinò. Il suo fiato puzzava di ferro arrugginito. “Sei qui per le strigi?” indagò lui, falso e indolente. I suoi occhi scattarono famelici sul collo della donna. Logan, vicino alla porta, avanzò di un passo.

Meli non indietreggiò. “No. Sambuco” rispose impassibile. Ma il suo cervello cominciò a correre veloce. Strigi, in quel periodo dell’anno? Da dove diavolo arrivavano? Meli scacciò il naturale orrore che provava per quelle bestie e si costrinse a mantenere una maschera di rigida indifferenza. Certo le avrebbero potuto garantire un’interessante entrata extra… dopotutto, un ammazzamostri ce l’aveva già…

Leo fece per dire altro, ma Meli lo precedette. “È tutto, Leo. Alla prossima”. O, preferibilmente, a mai più.

Il vampiro, troppo vicino, si leccò le labbra, la lingua disgustosamente rosa e morbida tra i denti acuminati. Aveva un piercing proprio nel mezzo. “Alla prossima, se farai attenzione. E salutami tua sorella”.

Meli fece un verso di gola, girò sui tacchi, scavalcò Gabe e uscì in strada. Logan le fu subito dietro.

“Fattoni del cazzo” mormorò la donna appena furono liberi dal fetore di sangue e droga della comune. Grata di essersi liberata di quell’incombenza, Meli ispirò l’aria che sapeva di pane. Costoi era un paesino di montagna che contava forse trecento anime, con una chiesa, una locanda, una stazione di posta, un panettiere e un assembramento di case bianche con spioventi tetti di legno e vasi di gerani alle finestre. E una comune di vampiri, a quanto pareva, perché quegli schifosi erano dappertutto. Peggio delle blatte

“Cosa se ne fanno i vampiri del liquore di artemisia?” chiese Logan, adeguandosi al suo passo lungo la strada principale.

“Il liquore di artemisia è un blando neurostimolante. I vampiri lo usano per allungare il sangue umano, che è o illegale o costa molto caro” spiegò lei dirigendosi con sicurezza verso la piazza.

Arrivarono davanti alla chiesa, dalla quale stava uscendo, ridacchiando e spintonandosi, un gruppo di giovani monache. Le ragazze portavano al collo sottili crocifissi d’argento e i capelli raccolti in lunghe trecce che dondolavano sulle tonache verde scuro. Un fiore bianco dipinto sulla fronte le identificava come sorelle dell’Ordine del Cardo.

Meli lanciò a Logan un’occhiata eloquente. “Di qua”.

Si infilò rapida tra le giovani donne, entrando nella chiesa. All’interno del piccolo edificio la temperatura era più bassa e il profumo di incenso tanto intenso che Meli starnutì. 

La pretessa, intenta a sistemare l’altare dopo la messa, alzò gli occhi e li fissò sospettosa sui nuovi arrivati; quando riconobbe Meli, la sua espressione si fece di granito.

“Melissa”.

"Eilei".

La sacerdotessa, a differenza delle accolite, indossava un camicione bianco stretto in vita da una fascia celeste. Una lunga collana di pietre rotonde le adornava lo sterno dall’incavo delle clavicole fin giù dentro lo scollo della tunica, mentre un ronéla d’argento le cingeva la fronte. I capelli, raccolti in due grosse trecce alla moda del distretto, erano bianchi come il latte e le arrivavano sotto il seno.

Le due donne si studiarono con evidente antipatia reciproca. Eilei era sempre stata una bellezza algida, anche prima di avere i capelli completamente sbiancati dalle polveri incantate e dall’incenso che le continue pratiche mediche e religiose la costringevano ad inalare. Anche le ciglia le erano diventate bianche, notò Meli, e contrastavano in modo particolare contro la pelle abbronzata e gli occhi scuri.

La pretessa la guardò dall’alto degli scalini, di fianco all’altare. “Perché tu? Dov’è Anja?”.

“Mia sorella è impegnata” rispose Meli. Quante volte avrebbe dovuto ripeterlo ancora?

La sacerdotessa serrò le labbra in una linea dura. Scegliendo di ignorare l’irrefutabile negatività che permeava nell’aria, Meli allungò un sacchetto di lino. “La silimarina che hai ordinato”.

La sacerdotessa alzò il mento e scese aggraziata i tre gradini che la separavano dai nuovi arrivati. Prese il sacchetto, lo aprì e studiò le pasticche ovoidali al suo interno. Lo richiuse con sgarbo.

“Quanto?”.

“Dodici”.

“Anja mi fa dieci”.

“Anja è tua amica”.

La pretessa strinse gli occhi al sottinteso. Meli trovò buffo che, pur essendo una donna di religione, Eilei non riuscisse proprio a lasciare andare il rancore di fatti avvenuti tanti anni prima.

Mentre Meli attendeva paziente i soldi che le spettavano, Eilei studiò lei e Logan con aperto sdegno. “Un ammazzamostri?”.

“Nuovo fiammante” rispose Meli.

La sacerdotessa incrociò le braccia al petto. Due polsiere d’argento le coprivano per intero gli avambracci. “Perché? Per le strigi?”.

Meli, divertita, aggrottò la fronte.“Non mi risulta di essere in confessione. Non è affar tuo”.

“Sei nella mia città e nella mia chiesa. Dimmelo. O non ti pagherò”.

Meli alzò gli occhi al soffitto richiamando a sé la pazienza — nel farlo, vide Logan inarcare un sopracciglio stizzito.

“Mia sorella vuole il sambuco per la pozione antilupo”.

La facciata dura della sacerdotessa si incrinò. Rilassò le spalle e lasciò cadere le braccia lungo i fianchi. “Pensavo avesse smesso”.

“È ostinata”.

“È inutilmente pericoloso. Fiori e foglie senza luna piena vanno bene uguale”.

“Non secondo mia sorella. Ed ecco che torniamo all’ammazzamostri”.

Eilei lanciò un’occhiata torva all’uomo vestito di scuro. “È un foresto”.

“Andrà benissimo”.

Eilei indugiò. Sembrò voler dire qualcosa e poi cambiare idea. “Molto bene. Non è affar mio se vai a farti uccidere” disse, rigettandole indietro la frase di poco prima. “Ecco i soldi. Dodici. E dirò una preghiera al tuo funerale”.

“Concisa, mi raccomando” rispose Meli prendendo il denaro.

Si congedarono in astioso silenzio sotto gli occhi del crocifisso a grandezza naturale appeso nell’abside. Infine, con dodici navok tintinnanti nel borsello dentro lo zaino, Meli uscì dalla piccola chiesa.

Si allontanarono dalla piccola piazza svicolando per le vie acciottolate. Dopo un po’, Logan chiese: “Che diavolo è la silimarina?”.

Meli sorrise. “Ahi ahi, non andavi bene in chimica…”.

Logan non si lasciò turbare dal tono faceto della donna, e continuò a camminare in attesa di una risposta.

Sorpresa, e pensando distrattamente che la curiosità del suo accompagnatore cozzasse con il suo carattere scontroso, Meli rispose: “Un epatoprotettore estratto dal cardo mariano. Si usa per riparare i danni del fegato dovuto all’eccesso di alcol o all’intossicazione di funghi del genere amanita. Eilei, oltre a essere alla guida della parrocchia, è la Guaritrice assegnata a Costoi; immagino che di solito si occupi da sola della sintetizzazione dei suoi medicinali, ma forse in questo periodo è più impegnata del solito…? Non saprei. Non è una mia cliente abituale; oggi io eseguo e basta”.

Sua sorella avrebbe dovuto farle una statua, pensò. O almeno portarle un bel po’ di verbena gratis da vendere al negozio ad un prezzo spropositato. Sì, la verbena sarebbe andata bene.

A proposito di verbena. Meli tirò fuori un pezzo di carta dalla tasca dei pantaloni. Agrimonia, achillea, camomilla, carota selvatica, verbena, piantaggine. Ora che aveva finito con le rotture a Costoi e che alla luna piena mancavano ancora due giorni, aveva tutta l’intenzione di sfruttare il tempo disponibile per ottenere almeno metà delle specie botaniche sulla sua lista. Sempre che non ci fossero cose più interessanti da racimolare… Meli lanciò un’occhiata al cielo terso, che le rispose solo con cinguettii adorabili. Si chiese chi avrebbe potuto darle indicazioni sulle strigi senza sollevare troppe domande. Forse conosceva la persona giusta. Nel frattempo…

Meli si voltò verso Logan e esibì il suo sorriso più innocente. “Ti piacciono i fiori, ammazzamostri?”.

***

Minuscoli fiori gialli a grappolo punteggiavano la distesa erbosa tra due rive di bosco. Meli ne raccolse uno, dal lunghissimo stelo, e inspirò. Il profumo era quello giusto. Ne raccolse fino a farne un mazzo che legò con lo spago. 

Erano usciti dal paese e erano ora immersi fino alla vita nei pascoli incolti sotto il monte Seghia. Lungo la strada avevano già trovato un bel mucchio di piantaggine, dalle morbide foglie a forma di lancia e il sapore di fungo porcino, e di achillea, dai lunghi steli e il profumo di camomilla. Solo di tanto in tanto, quando non era impegnata a tastare, raccogliere e annusare, Meli scrutava torva il cielo.

Logan osservava perplesso il suo daffare. “A che ti serve tutta questa erba?”.

“Questa erba è il mio lavoro” rispose brusca, sfilando via uno stelo che si era aggregato illegalmente all’agrimonia che stava raccogliendo.

“Il tuo lavoro…? Sei una spacciatrice?”.

Meli, suo malgrado, rise. “Il termine esatto sarebbe botanica. Ma immagino che anche spacciatrice di erbe potrebbe andare”.

“E che ci fai con…?”. 

“L’agrimonia?”.

“...quella roba lì”.

“La raccolgo. La vendo. La trasformo in cose utili, come oleoliti, unguenti e pozioni”. Meli lanciò un’occhiata a Logan. Ancora una volta, quel groviglio di curiosità e carattere di merda era assai bizzarro. “In particolare, con agrimonia a artemisia si fa un acetolito utile per pulire le ferite da arma da fuoco” aggiunse. “E pure un discreto disinfettante per le malattie della gola”.

Le sopracciglia di Logan si alzarono in un improvviso moto di interesse. “Come la riconosci?”.

“Mmh”. Meli raccolse un nuovo fiore e lo studiò da vicino. “I fiori gialli hanno sempre cinque petali, e sono tutti riuniti in un unico stelo. Le foglie sono di forma ovale e hanno il margine dentellato; sono di colore verde scuro nella pagina superiore e sono pelose in quella inferiore. Inoltre le cauline sono, in genere, minori degli internodi. Due stipole avvolgono il fusto, il che differenzia questa pianta da altre specie della stessa famiglia, le rosacee”.

L’espressione di Logan si fece più corrucciata che mai e Meli capì di  essere entrata troppo nel dettaglio. Si strinse nelle spalle e aggiunse il fiore al mazzo. “Esperienza”.

Qualcosa si mosse nell’erba alta davanti a loro. In allerta, Logan sguainò la spada d’argento.

Meli scrutò il prato e rimase in ascolto, ma null’altro si mosse. Sbuffò divertita quando notò la reazione esagerata di Logan. “Sono solo pignoleti. Vengono qui a mangiarsi le lumache. Niente di cui preoccuparsi”.

Logan le scoccò un’occhiataccia e rinfoderò la spada. “Tu fai il tuo lavoro. Io il mio”.

La botanica alzò le mani in segno di resa e si rimise a raccogliere i fiori con un mezzo sorriso sulle labbra.

Un’ora dopo, soddisfatta del suo raccolto di agrimonia, scese lungo il prato incolto alla ricerca di un’altra pianta da depennare dalla lista. Quando udì Logan lamentarsi a mezza bocca dietro di lei, gli disse che poteva anche tornarsene in paese, se si annoiava tanto; le sue abilità da ammazzamostri non erano richieste quel giorno. Ma Logan rimase, e continuò a esternare la sua impazienza solo tramite sguardi scocciati e l’occasionale sospiro esasperato.

I lunghi steli con fiori a ombrello erano al perfetto stadio di fioritura. Meli ne catturò uno tra le dita e ne annusò il gradevole odore di iris. Sapeva che la stagione non era quella giusta, ma per curiosità estrasse la radice dal terreno friabile. Troppo piccola.

“Che roba è?”. Logan, per combattere la noia, aveva allungato il collo e osservava il sottile tubero bianco che Meli stava ripulendo dai resti di terriccio.

“Carota selvatica. Ma non è una pianta adatta ai principianti, questa: è un’ombrellifera troppo facile da confondere con la cicuta — che, come immagino tu sappia, è mortale anche in piccole dosi”.

Gli mostrò il fiore appena colto illustrandogliene le caratteristiche. Era possibile riconoscere la carota selvatica grazie al fiore porpora al centro dei tanti fiorellini bianchi e dal profumo dolce; la cicuta invece dal gambo maculato e dall’olezzo di pipì di gatto. Logan si finse interessato e annuì.

Di nuovo, qualcosa di piccolo e agile fece ondeggiare l’erba alta. Meli ne seguì lo spostamento quasi certa che non fosse nulla di minaccioso, ma la sua mano corse comunque all’impugnatura del coltello che teneva alla cintura.

Infine, tra gli steli verdi, scorse una piccola pigna dotata di gambe. Rilassò la presa sul coltello mentre un esserino alto un palmo emergeva dall’erba alta. Aveva un faccino che pareva appena abbozzato su una ghianda, un grosso cappello di pigna e braccine a gambette come stecchini di legno articolati.

Meli sorrise mentre il pignoleto balzava in un adorabile attacco per agguantare una lumaca che si stava facendo i fatti suoi lungo il gambo di un giglio rosso. L’esserino, tronfio del successo, si trascinò dietro la conquista e si sedette su un sasso poco lontano. Con le gambette penzoloni si mise la lumaca in grembo e infilò felice le braccine dentro il guscio. Un esagerato rumore di risucchio confermò che era riuscito nel suo intento, e che ora il pignoleto stava pranzando soddisfatto con il risultato della sua avventurosa sessione di caccia.

“Un temibile mostro” commentò Meli divertita. Logan, intento a rimettere la spada al suo posto, le rispose con un grugnito inintelligibile. Lei gli sorrise sorniona e gli allungò il fiorellino bianco in segno di pace. L’ammazzamostri non lo accettò.

Continuò a raccogliere le piante, ignorando Logan che aveva cominciato a camminare avanti e indietro nello spiazzo erboso con espressione sempre più accigliata. Quando anche un bel mazzo di fiori di carota fu pronto, Meli si accinse a legarlo allo zaino. 

Fu la voce di lui a bloccarla. “Dobbiamo tornare indietro”. Il tono suonava stranamente rigido.

Meli si guardò attorno. Quando vide che nessuna minaccia era in vista — il temibile pignoleto, sazio, stava godendosi il calore del sole sulla roccia — replicò infastidita: “Non ho finito”.

“Non mi…”.

“Oh, insomma. Ti ho già detto che te ne puoi andare, se vuoi. Oggi i tuoi servigi non sono richies—”. 

Un cumulo di terra e erba esplose a pochi metri da Meli, che cadde gambe all’aria in un tripudio di fiori volanti. I denti si avventarono su di lei prima che potesse anche solo pensare di fare qualcosa. Gridò e chiuse gli occhi.

Ma il dolore non arrivò. Con cautela, la donna si arrischiò a guardare. I denti, bianchi e ricurvi, erano ad un palmo dalla sua faccia, disposti in cerchio su tre file attorno al buco disgustoso e fetido che era la gola di un mostro che si contraeva spasmodico… perché aveva la spada di Logan conficcata nel cervello.

Meli sollevò lo sguardo su Logan. L’ammazzamostri ruotò la lama e il mostro gorgogliò; l’essere ricadde a terra agonizzante non appena l’arma venne estratta. Una pozza di sangue cominciò a inzuppare l’erba e il terreno.

Logan, con la spada lorda di sangue in pugno, la guardò dall’alto con un’espressione di sfacciata superiorità. “Stavi dicendo?”.

Meli era senza parole. Guardò di nuovo la carcassa che le sfiorava i piedi. Aculei pelosi ricoprivano il corpo possente di una specie di bruco carnoso, dotato di una bocca zannuta di una circonferenza tale da poter ingoiare un uomo adulto senza difficoltà. Un bigaaso.

Cosa diamine ci fa qui? Non ce ne sono mai stati in questa zona. Mai.

“Come te ne sei accorto?” ansimò Meli, ancora scossa.

“Il terreno” spiegò Logan, “suona a vuoto in alcuni punti. I bigaasi scavano gallerie vicino alla superficie per attaccare a sorpresa”. Come ora, era il palese sottinteso.

Meli deglutì e sbatté gli occhi più volte nel tentativo di sincerarsi che quello che vedeva fosse reale. Logan ripulì la spada nell’erba alta.

“Sei… stato abile”.

L’uomo le scoccò un’occhiata in tralice. “A te l’erba. A me i mostri”.

Come dargli torto? Meli si rialzò sulle gambe instabili e recuperò i fiori volati dappertutto. Di sottecchi spiò l’uomo misterioso che l’accompagnava. Prima la gemma. Ora questo. Cominciava a pensare di non trovarsi davanti ad un comune ammazzamostri di montagna. Scrutò il cielo. Forse avrebbe davvero potuto…

“Stai pensando a quello che ti ha detto quel vampiro. Alle strigi”.

Il viso di Meli scattò nella sua direzione. Non le erano mai piaciuti gli uomini troppo perspicaci: per esperienza, portavano solo rogne. Raddrizzò le spalle e lo squadrò sospettosa.

Logan fece un cenno verso l’alto. “Il cielo. Non hai smesso di guardare in su da quando l’hai saputo” disse a mo’ di spiegazione.

“E se anche fosse?” lo sfidò.

“A quanto li rivendi? Gli artigli?”

“Se trovo la persona giusta, duecento l’uno”.

“Voglio due terzi”.

“Pazzo. Metà”.

“Sessanta percento. Faccio io il lavoro sporco”.

Meli strinse gli occhi e si prese qualche secondo prima di rispondere. “Sai quello che fai?”.

Logan alzò il mento con ostentata superbia. “Conosco un modo”.

   
 
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