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Autore: EmmaJTurner    09/09/2023    4 recensioni
"Cercasi AMMAZZAMOSTRI
per raccolta di sambuco
la prossima luna piena.
Pagamento 200 nk
50% in anticipo, 50% a lavoro ultimato.
Per info chiedere di Meli"

[REVISIONE COMPLETATA]
Genere: Avventura, Azione, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cercasi Ammazzamostri'
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Le Strigi e un Cestino

“Mi stai pigliando per il culo?”.

L'espressione di Logan rimase impassibile. “Funziona, ti dico”.

“Ma è ridicolo” disse Meli, osservando il contenuto del cesto che le porgeva l’ammazzaspettri. “Come può funzionare?”

“Non chiedermi i tecnicismi, io eseguo e basta”.

“E ne sei certo?”.

“Ne sono certo”.

Dopo una seconda notte a Costoi, il suo contatto fidato — un bardo assolutamente poco rispettabile che si fingeva un menomato di guerra — le aveva riferito che le strigi erano state avvistate sul versante ovest del Seghia. Volteggiavano lì da almeno una settimana, aveva detto, spaventando a morte i viandanti con le loro risate stridule. Erano già state inviate due squadre per scacciarle, ma entrambi i gruppi erano tornati a valle con ferite profonde sulla testa e una nuova idiosincrasia nei confronti degli animali dotati di becco e piume.

E artigli: gli artigli di strige erano dotati di proprietà febbrifughe tali da far valere il loro peso in oro. Senza contare gli sciamani e le fattucchiere che ne bruciavano le polveri per sedicenti pratiche divinatorie… 

Insomma, riuscire a mettere le mani sulle estremità uncinate di quelle bestie sarebbe stato un bel colpo. Nonostante il solo pensiero provocasse in Meli un nodo di ansia gelida alla bocca dello stomaco, se Logan diceva che si poteva fare… Osservò di sottecchi l’ammazzamostri intento a sistemarsi il cestino di vimini sulle spalle: con i vestiti scuri, il trucco nero e l’espressione arcigna, era un’immagine spassosa. Meli si morse l’interno della guancia e rifletté, indecisa se fare un atto di fede. Dopotutto le aveva portato la gemma viola, no? E aveva ammazzato quel bigaaso con la ferocia di un assassino prezzolato. Però il contenuto del cestino era assai ridicolo; il suo modo di fare tutt’altro che rassicurante. Avrebbe potuto cavarsela contro uno stormo di orride strigi…?

Meli decise di fidarsi del suo istinto. Aveva sempre avuto un buon occhio per le persone, si disse; augurando di non star facendo un epico errore, disse: “D’accordo. E strigi sia. Andiamo”.

***

Si arrampicarono sulla montagna per quasi due ore prima di sentire la prima strige. Le loro risate, stridule e cattive, avrebbero fatto rizzare i peli sulle braccia anche al più coraggioso tra i paladini. 

Fu Logan a individuarle per primo. Afferrò Meli per la manica della camicia e la trascinò sotto un basso albero di pino. La bestia veleggiò sopra di loro, enorme e scura, scandagliando con i suoi occhi gialli il sentiero rupestre.

Meli, spiando tra le fronde di aghi verdi, trattenne il respiro. Non aveva dimenticato quanto fossero temibili quelle creature. La presa di Logan si fece più lieve e rassicurante sul suo braccio.

“Procediamo” sussurrò lui, facendo un cenno con il mento. “Da quella parte”. 

Risalirono un sentiero meno esposto fino a raggiungere un pianoro roccioso. Meli si arrampicò sulle rocce sconnesse, gettò un’occhiata al di là e subito si ritrasse. 

Erano arrivati al nido delle strigi.

Le strida e le risate ora erano vicinissime, poco sopra di loro. Meli sentì un sudore gelido colarle dietro il collo. Forse non era stata una buona idea. Lo disse a Logan. “‘Sti gran cazzi, ormai siamo qui” replicò lui. La convinse.

Si addossarono alle rocce e discussero sottovoce. “Tu starai nascosta qui” disse Logan. “Io mi terrò vicino al nido, sulla parete della montagna” le disse. “Le strigi sono meno agili a terra. Meno possibilità hanno di volare, meno possibilità avranno di ucciderci. Chiaro?”. Meli annuì. Il sudore ghiacciato le aveva incollato la camicia alla schiena. Logan le porse il cestino. La cosa al suo interno si agitò.

“Usalo solo in caso di emergenza” l’avvertì. Logan sfilò la spada dal fodero di pelle. E si lanciò in mezzo ai mostri. 

Le strigi urlarono scandalizzate, spalancando i lunghi becchi arcuati e agitando le ali nere. Gli occhi gialli, infossati in brutti visi di donna, lampeggiarono furibondi per quell’intrusione. 

La strige più vicina si erse e attaccò Logan con le quattro zampe artigliate. L’ammazzamostri attese fino all’ultimo istante e poi balzò in alto, colpendola alla nuca con il tacco dello stivale. La bestia piombò in avanti e si schiantò contro la parete di roccia.

Le sue sorelle infernali schiamazzarono infuriate. Meli ne contò otto. Otto donne demoniache con corpo di uccello. Troppe, per un solo uomo. Meli si appiattì contro la montagna, tentando di restare nascosta e allo stesso tempo di non perdere di vista Logan. Il peso nel cestino di vimini si spostò tra le sue mani.

Due strigi gli furono addosso nello stesso momento. Logan tranciò di netto due zampe artigliate e si chinò per evitare di essere investito. Rotolò a terra e si rialzò in un baleno, in posizione a gambe larghe, la spada scintillante di sangue. Una strige lo puntò con le fauci spalancate; Logan fece roteare le spada e la colpì sul becco, che fece un orribile rumore di ossa spezzate. La bestia urlò di dolore e balzò via.

Le strigi stavano facendo un baccano infernale. Logan se la stava cavando egregiamente, ma quanto sarebbe durato? Meli non fece in tempo a chiederselo che due zampe artigliate la sollevarono da terra e la scaraventarono sul pianoro di roccia, in mezzo alla lotta.

Meli, schiena a terra, strinse al petto il cestino e tirò fuori il suo coltello da erbe. Tre orrendi visi beccuti risero di lei. 

“Pensavi di poterti nascondere dalle striiigi, bambiiiina?” strillò una di loro sopra la sua faccia. “Lo sai cosa fanno le striiigi ai biiimbiii cattiiiivi?”.

Meli non seppe mai cosa facevano le strigi ai bimbi cattivi, perché la testa di quella particolare strige volò via, mozzata da un fendente di Logan, e andò a rimbalzare contro la montagna. 

Le strigi si voltarono verso l’uomo, fumando di rabbia, sbattendo le ali e facendo schioccare i lunghi becchi. Gli furono addosso in un turbinio di piume e zampe artigliate. Erano troppe. Meli capì che quello era il momento. 

Aprì il cestino.

***

Meli ne lanciò il contenuto verso la calca di mostri. E lì atterrarono, miagolando infastiditi, quattro adorabili gattini. Le strigi si immobilizzarono con il becco spalancato, fissando frastornate i nuovi arrivati. Logan, a terra, insanguinato e con la spada sguainata, restò in attesa.

Meli ebbe la certezza matematica che i mici fossero vicini alla loro prematura dipartita; socchiuse gli occhi preparandosi alla visione di ciuffi di pelo volanti e carne maciullata. Ma le strigi lanciarono fischi acuti, terrorizzati, e indietreggiarono. I gattini miagolarono più forte, zampettando instabili verso i mostri.

“Schifosiiii bambiiini! Cosa ciii avete portato!” strillarono le strigi. E poi, inspiegabilmente, presero il volo. Meli e Logan, increduli, osservarono le figure di uccello farsi sempre più piccole contro il cielo azzurro. 

Erano rimasti soli nel nido abbandonato. Be’, soli: con due cadaveri di strigi, e quattro adorabili micetti. Si guardarono ansimanti e si fecero un cenno stanco. Erano ancora vivi.

Meli, dolorante, si mise a sedere. Adesso che l'adrenalina era scesa, sentiva i profondi tagli sulle spalle dove la strige l’aveva artigliata. Logan si alzò. Era coperto di sangue, ma non era suo. Non aveva un graffio, il maledetto. Meli si lasciò controllare le ferite. L’uomo borbottò un inelegante incantesimo di guarigione e la tirò in piedi senza premura. “Dobbiamo scendere prima che si faccia notte” l’avvertì.

Meli si avvicinò alle carcasse e, coltello in mano, rimosse i lunghi artigli ricurvi dalle zampe delle bestie. Li infilò poi, ancora sanguinanti, in un sacco di iuta che infilò nello zaino. Recuperarono i gattini — non erano andati lontano — e li richiusero nella cesta di vimini. Nervosi e stanchi scesero veloci giù dai tornanti sassosi, imprecando e scivolando spesso, fino ad arrivare al sentiero nel bosco. Lì osarono rallentare. Il sole aveva ormai da molto superato la linea delle montagne, e il cielo si era tinto di una delicata sfumatura di indaco.

“Ma poi” chiese Meli con il fiato corto, “perché proprio i gattini?”.

“Ma che cazzo ne so perché i gattini” borbottò Logan.

Meli annuì come se avesse appena ricevuto un’esauriente spiegazione. “E perché non li abbiamo lanciati subito nella mischia?”.

Un miagolio lamentoso arrivò dalle spalle di Logan. La mascella dell’ammazzamostri si irrigidì. “Perché non ero affatto sicuro che avrebbe funzionato”.

Meli pensò di offendersi, ma non ci riuscì; suo malgrado, fece uno sbuffo divertito. “Lo sapevo che eri un ciarlatano. Tutta apparenza e niente sostanza”.

“Ti ho appena salvato la pelle da uno stormo di strigi assatanate” replicò asciutto lui.

“È letteralmente il tuo lavoro”. 

“Non mi hai pagato per questo lavoro. Solo per i licantropi”.

“Ti pagherò. E mi auguro che tu non mi abbia mentito anche sulla tua abilità con i lupi mannari”.

Logan le lanciò un’occhiataccia. “I licantropi sono il minimo sindacale per un ammazzamostri”.

“Per un ammazzamostri bravo, sì. Ma per un ciarlatano…”.

Logan si scaldò e cominciò a elencare una serie di esperienze curriculari pregresse e di ragioni per cui, lavorando con lui, non avrebbe dovuto avere nulla di cui preoccuparsi. Meli lo ascoltò divertita. Quell’ammazzamostri era arrogante, permaloso, e facile all’ira. E lei, che quando si impegnava sapeva come essere irritante, si dilettò nel punzecchiare ogni nervo scoperto che riuscì a trovare finché non giunsero a Costoi.

Arrivarono che era ormai notte; la luna alta nel cielo era quasi un cerchio perfetto. Si infilarono tra le case buie sulla deserta stradina acciottolata. Un miagolio acuto ricordò loro che non erano soli. “Andiamo. So chi ci può dare da dormire con così poco preavviso” disse Meli.

Si avviarono verso la zona più esterna del paese, dove le case si facevano sparute e le vie sempre più larghe. Giunsero ad una casetta di pietre del tutto simile alle altre, ma con un rigoglioso cespuglio di lamponi di fianco alla porta. Meli bussò due volte e furono accolti da una vecchina con i capelli grigi, occhi a mandorla e un grembiule rosa che, dopo un momento di confusione, abbracciò Meli stretta stretta e, senza dire una parola, li fece entrare.

La vecchina indicò il tavolo e le sedie e, prima che potessero rifiutare, tirò fuori latte, carne salata e polpette di pane. Li osservò mangiare soddisfatta, le mani sui fianchi ossuti. Meli tirò fuori i gattini e un lauto pasto fu preposto anche per loro. “Dobbiamo pur ringraziarli” disse a Logan, che alzò gli occhi al cielo.

Distrutti, ma con la pancia piena, si alzarono da tavola. “Grazie Meimei. Ti devo un favore, come sempre”.

La vecchia le fece un cenno con la mano e un buffetto sulla guancia. Lesta sparecchiò le stoviglie e indicò loro la camera, sempre la stessa, che Meli affittava per le emergenze. La vecchia accese il fuoco nel camino e se ne andò.

Appena la porta si richiuse alle loro spalle, Logan chiese: “È tua nonna?”.

“No. Una sua amica”.

“Non parla”.

“È muta”.

“Ah”.

La stanza era piccola e accogliente, con il focolare, un tappeto di vimini intrecciato, una grossa cassapanca, un letto, una sedia e un appendiabiti di legno grezzo. La frugalità risoluta con cui Meimei conduceva la sua vita si rispecchiava nel sobrio arredamento della casa.

Logan indicò l’unico letto della stanza. “Ti avviso, io non ho nessuna intenzione di fare il cavaliere e di dormire per terra”.

“Io nemmeno”.

“Bene”.

In comune accordo decisero che, prima di infilarsi sotto le coperte, era meglio togliersi di dosso il sangue secco e l’odore di gallina delle strigi. Si lavarono nella fontana gelida fuori dalla casetta e tornarono dentro ad asciugarsi battendo i denti davanti al focolare. 

Tremando di freddo, Meli notò che il trucco nero di Logan si era sciolto, perduto nell’acqua ghiacciata della fonte di montagna. E non poté fare a meno di notare che, senza tutto quel nerofumo a nascondergli i tratti, Logan era un bell’uomo. Non che gliel’avrebbe mai detto, ovviamente. 

“Come mai ti metti tutto” Meli fece un gesto con la mano a indicare la sua faccia “quello?”.

Lui la guardò stizzito. “Sono cresciuto con gli elfi”.

“Ma non sei un elfo”.

“Non sono fatti tuoi”.

Meli roteò gli occhi. “Era solo per fare conversazione. Che permaloso”.

“Mi paghi per salvarti la pelle, non per chiacchierare” disse lui, in tono decisamente permaloso.

Una volta asciutti, esausti e infastiditi dalla presenza l’uno dell’altra, si misero a letto.

***

La notte montana era buia e silenziosa. Il fuoco si era spento. Meli stava finalmente per prendere sonno quando Logan le diede un pugno sulla schiena.

Meli sobbalzò e si voltò rabbiosa. “Oh, che cazzo fai?”.

Ma Logan non era sveglio. Stava sognando. 

Meli si mise seduta, si strofinò gli occhi e scrutò il viso dell’uomo con la poca luce bianca che entrava dalla finestra. Logan stava balbettando qualcosa di inintelligibile e si agitava, scuotendo la testa e le braccia in movimenti convulsi. Ecco perché le aveva tirato un gancio destro: stava facendo un incubo. E doveva essere un incubo crudele, perché iniziò a tremare e ansimare. Il sudore gli aveva appiccicato i capelli neri sulla fronte. Meli, presa da pietà, allungò una mano per svegliarlo. 

Fu allora che la sentì. Il buio attorno alla sua mano si fece denso come fango gelido. A Meli mancò il respiro. 

Non era un incubo. Era una succube.

   
 
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