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Autore: BluCamelia    10/09/2023    1 recensioni
Anno 1994. Costretta a cambiare scuola per via della separazione dei genitori, Milly affronta il trasferimento con ironia, una certa ansia sociale e un pizzico di presunzione dovuta al suo passato di studentessa modello. Non sa che dovrà affrontare sfide che hanno ben poco a che fare con la media dell'otto.
Una delle sfide in particolare potrebbe rivelarsi troppo difficile per una liceale: il professor Vanini.
Non è una storia d'amore.
Genere: Drammatico, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il giorno dopo, come per prendere per il culo Paris, Noemi aveva indossato un sottogiacca a collo alto, aderentissimo e senza reggiseno sotto. Paris la guardò e diventò praticamente strabico. Ci aspettavamo che si mettesse a urlare, invece, in un raro guizzo di buon senso, risolse il problema alzandosi e mettendosi a spiegare alla lavagna, in modo da dare le spalle alla ragazza.

Dopo la spiegazione avanzarono alcuni minuti, così fece qualche domanda a Federico. La notizia che si trattava di un ripetente non sembrò fargli piacere.

«E in matematica andavi molto male?» chiese, nel suo tono falsamente simpatico.

Federico si grattò la criniera. «Normale... veramente avevo voti normali in tutte le materie.»

«Oh? E allora perché non ti hanno ammesso all'esame?» Forse stava sospettando altre storie di droga.

«Ma sì che mi hanno ammesso.»

Un attimo di silenzio. Paris fece la domanda che volevamo fare tutti. «Ti sei fatto bocciare all'esame di maturità? Ma come hai fatto?»

«Mah, quella commissione era strana...»

Lo guardammo increduli.

«E poi, quando ho mandato affanculo il presidente...»

Scoppiammo a ridere. Paris sembrava ancora meno contento di prima.

Anche gli altri professori diedero il benvenuto a Federico secondo il loro particolare stile.

Vanini disse: «Ma guardate quale illustre aggiunta alla nostra classe! Lorenzo!» Ridemmo, perché, a parte l’accento, davvero assomigliava al personaggio di Corrado Guzzanti. In compenso, quando vide Vanini lanciare i dadi, fu Federico a dire a voce alta: «No, non ci credo!»

«La realtà se ne frega di quello che credi tu» rispose Vanini. «Per esempio, se mi avessero detto che Barbier quest'anno si sarebbe presentata con un taglio punk non ci avrei mai creduto.»

La Canè per sentire la sua pronuncia gli chiese di leggere un brano di Oscar Wilde dove doveva interpretare un Lord inglese, tra le nostre risatine scettiche. Lasciando tutti di stucco Federico ci riuscì benissimo. Saltò fuori che quando poteva passava le vacanze a Londra. Ovviamente i suoi amici londinesi non parlavano così, ma l'aveva imparato guardando la televisione.

«Anch'io vado spesso a Londra» intervenne Gabriele. I due si scambiarono rapidamente un po' di impressioni su vari locali, discoteche e negozi alternativi. A dire la verità uno dei locali famosi Federico lo conosceva perché ci aveva lavato i piatti per pagarsi la vacanza.

Nonostante il look e l'atteggiamento da sbandato, Federico era osservatore e dimostrava una certa curiosità intellettuale e senso dell'umorismo. Non mi trovai male come sua compagna di banco.

Anche lui decise generosamente di passare sopra al fatto che non ero sexy come Noemi. Anche se avevo un solo anno meno di lui cominciò a trattarmi come una bimba ingenua e allo stesso tempo farmi delle avance, più per irritarmi che per attrazione nei miei confronti. Il suo argomento preferito era che ero troppo seria e avevo bisogno di sesso per rilassarmi.

«Si vede che vuoi sempre mantenere il controllo, ma anche perdere il controllo non è male. Allenta lo stress.»

«Prova, prova» commentò Noemi dal banco accanto. «Milly ha gusti insospettabili, magari le piacerai anche tu.»

«Cosa intendi dire?» avevo chiesto, in tono un po' più aggressivo del solito.

«Be', ti sei fatta piacere due dei più grandi stronzi della scuola.»

«E chi sarebbe il secondo, scusa?» Era una mossa kamikaze perché pensavo che avrebbe detto il nome di Vanini senza problemi.

«Zanetti» aveva risposto, come a dire che la mia cotta per Vanini era così lampante che stava al primo posto.

E già, come andavano le cose col mio professore preferito?

Non molto bene. Cominciò a dare per scontato che fossi preparata (infatti era vero) e a non interrogarmi neanche. Visto che l'interrogazione era la nostra unica occasione per interagire questo atteggiamento mi dava incredibilmente sui nervi. In compenso aveva preso a salutarmi con quel sorriso dolciastro e condiscendente che si dedica a una persona che ha una cotta senza speranza. Era un po’ poco per compensare il fatto che avevo deciso di passare un altro anno di merda solo per sentire le sue sante parole. E poi come pensava di darmi spunti per la quarta dimensione se non interagivamo? Le sue lezioni da sole non mi facevano più effetto, ormai mi ero impadronita del meccanismo.

Visto che ero rimasta in quello schifo di scuola per le sue insistenze, mi sentivo in diritto di chiedere un po' di attenzione. Durante un'ora buca lo raggiunsi in sala professori. Per fortuna era solo.

«Professore, avrei bisogno di farle delle domande.»

«Di cosa si tratta?»

La quarta dimensione?... Una parola.

«Non è qualcosa di specifico che mi può spiegare adesso in dieci minuti, avrei bisogno di un po' di tempo.»

Vanini abbozzò un sorriso, non il solito da lupo ma uno vero, divertito.

«Barbier, mi stai chiedendo lezioni extra? Guarda che undici in pagella non te lo posso mettere!»

«Be', sono rimasta in questa scuola perché 'poteva darmi tanto' ma in effetti non mi sta dando molto. Sì, mi piacerebbe approfondire.»

«Eh, ci scommetto che ti piacerebbe... » disse, quasi tra sé ma in modo perfettamente udibile. Aveva usato un tono tale che lo guardai oltraggiata, con la bocca serrata e le narici dilatate.

Parve rendersi conto di aver esagerato e aggiunse: «Non posso Barbier, già dicono che sei la mia cocca e altre scemenze. Se la cosa salta fuori come la giustifico? Dico che ti sto dando ripetizioni perché vai male in filosofia?»

Accidenti, che atteggiamento moralista per uno che usava certi metodi!  Era una scusa talmente oscena che rimasi senza parole. «Dicendo la verità?» risposi, ironica. «Per esempio potremmo vederci in biblioteca sotto lo sguardo vigile di Angelina.» Ma capii che le difficoltà pratiche non c'entravano. Figuriamoci se Vanini aveva paura dei pettegolezzi, se fosse rientrato nei suoi progetti didattici sarebbe venuto a scuola nudo.

«Mi dispiace» tagliò corto, tornando ai suoi compiti.

*


Un giorno la Canè, dopo avermi guardato pensierosa, mi disse: «Non avrai preso troppo alla lettera i miei elogi della bellezza gotica? Non ho mica detto che le ragazze mediterranee devono mettersi a dieta, smettere di dormire e scappare quando vedono un raggio di sole!»

Al solito l'aveva detto in modo divertente, ma il significato mi colpì. Quella sera mi spogliai e mi guardai bene allo specchio. Avevo l'aria di chi ha passato un brutto periodo e ha bisogno di una vacanza, anche se in realtà le vacanze erano finite da poco. I capelli neri mi facevano più bianca. Il viso sembrava meno ovale e più triangolare, e i polsi e le spalle sembravano più ossuti. Tra dimagrimento e lenti a contatto gli occhi sembravano molto più grandi, e si vedevano di più anche le occhiaie. Salii sulla bilancia e rimasi a bocca aperta. Ero dimagrita di sette chili.

Non avevo mai usato il correttore, considerandolo un trucco da quarantenni, ma da quel giorno presi quello di mia madre e provai a nascondere un po' le occhiaie. Va bene essere stressati, ma non volevo che compagni e professori facessero battute sul fatto che finalmente ero pronta a interpretare Catherine Earnshaw, soprattutto visto che i più svegli si erano accorti che nella mia tensione c'entrava Vanini. Ma qualcosa mi fece dimenticare completamente la preoccupazione per eventuali prese in giro.

*

«Ah, allora ci sei... con quei capelli stupidi non ti stavo riconoscendo!»

Ero appena uscita dalla scuola dopo una riunione di studio extra per la maturità. Sul momento non avevo capito che quella frase fosse rivolta a me, ma alzando lo sguardo avevo visto Penny che fumava appoggiata al muro. Era con le solite amiche.

«Una bella faccia da culo a non cambiare scuola, dopo che qui dentro hai rovinato la vita a quattro persone.»

Non risposi. Tentare di discutere sarebbe stato inutile. Pensai di tornare dentro, aspettare finché fosse uscito qualcun altro e chiedergli di accompagnarmi, ma, a parte la vigliaccheria, era tardo pomeriggio ed erano rimaste poche persone. Potevo aspettare Paris, la lezione extra era la sua, ma la sola idea di farmi proteggere da lui era ridicola. Magari avrebbe trovato qualche scusa per lasciarmi sola e si sarebbe goduto lo spettacolo da dietro l’angolo.

Le altre possibilità erano gridare litigiosamente sperando che qualcuno venisse a interromperci oppure prepararmi a combattere. Nessuna delle due era il mio forte.

«Hai cambiato faccia ma è sempre una faccia da culo» aggiunse una delle amiche. Immagino fosse il massimo di umorismo che potessi aspettarmi da quel trio.

Nello spiazzo davanti alla scuola passava solo chi doveva entrare nell’edificio, e a quell’ora non c'era nessuno. La prima cosa da fare era allontanarmi da lì e raggiungere un’area un po’ più frequentata; per quanto non fosse il migliore dei quartieri non pensavo che avrebbero osato picchiarmi pubblicamente.

Ma forse non avevano intenzioni serie e volevano solo spaventarmi.

Le ignorai e mi avviai con falsa disinvoltura, ma non funzionò. Le tre mi sbarrarono la strada.

*


«Barbier, che diavolo ti è successo?» chiese Vanini la prima volta che mi vide dopo i giorni di assenza.

«Be', professore, si ricorda di quando mi ha consigliato di stare alla larga da certe compagnie? Ecco, sono certe compagnie che non vogliono stare alla larga da me.» Lo fissai negli occhi per vedere se avesse colto il nesso tra il mio naso rotto e il fatto che fossi rimasta in quella scuola per lui, ma non avevo proprio la stoffa per metterlo in imbarazzo. Lui mi restituì lo sguardo e come al solito era impossibile capire cosa stesse pensando.

«E cosa è successo alle cattive compagnie?»

«Nelle mani della legge. Ormai siamo tutti maggiorenni, non si tratta più di ramanzine e sospensioni.» Nella sua rabbia sulfurea mia madre aveva avuto una grande consolazione: quella di poter denunciare Penny e le altre e di non dover più sperare inutilmente in un'azione di quelle checche (parole sue) dei miei insegnanti.

«Uhm, e a parte la faccia come ti senti?»

Bella domanda. All'inizio ero come anestetizzata dall'incredulità. Tre stronze che ti aspettano per darti una lezione? Non ero abituata a scene del genere nella mia vita, mi sembrava di essere precipitata in un telefilm americano. I ceffoni di Penny mi avevano riportato alla realtà. Dopo che una delle amiche si era presa un calcio sul ginocchio, si erano accorte che anche se ero sola contro tre non ero per forza innocua, così erano passate al sistema scientifico di due che mi tenevano a terra mentre la terza mi prendeva a calci. Mi ero messa a urlare, e finalmente un bidello era uscito  per venire a vedere. Era stato più che altro uno shock psicologico. Per quanto riguardava il dolore fisico lo sapevo affrontare: come tutte le cavallerizze avevo fatto i miei bravi capitomboli. Una volta mi ero anche fratturata.

«Eh, professore, che le devo dire... passerà. Come dice lei bisogna affrontare certe piccole meschinità!»

Dovevo ammettere che la mia decisione di non cambiare scuola era stata un disastro. Vita in un buco e pestaggi. Ma quello che faceva ancora più male era l’umiliazione totale nel mio rapporto con Vanini. Con quel suo modo di infilarci disinvoltamente l'elemento sessuale mi aveva degradato da figlia spirituale a classica alunna con la classica cotta. Infatti anche se la mia opinione su di lui era decisamente peggiorata, dopo la scena dell’anno precedente non potevo fare a meno di vederlo in modo diverso. Avevo addirittura cominciato a riviverla nella mia immaginazione facendola finire con un bacio.

L'anno scolastico era iniziato da poco e in teoria avrei pure potuto trasferirmi, ma l'idea di non vedere più Vanini ormai non era più tra le opzioni praticabili.

   
 
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