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Autore: MV_Raven    11/09/2023    0 recensioni
E la verità è che adesso mi sento solo; di nuovo vuoto, senza meta.
Per questo mi nascondo, in lacrime. Tutto ciò che mi resterebbe da fare, adesso, sarebbe stare fermo in quell'angolo buio, seduto e immobile ad aspettare la fine, perché mi sento un fallito che non sa continuare per la strada che ha scelto.
Perché ho avuto tante altre donne e non sono più riuscito a essere felice come lo sono stato con te nei momenti migliori...
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La pioggia mi ricorda te.
Mi ricorda quando stavi seduta sul davanzale di quella grande finestra, con lo sguardo perso a guardare fuori mentre ascoltavi la melodia delle gocce d'acqua che si abbattevano sul vetro durante un temporale improvviso.
Avevi sempre gli occhi tristi, tu. Gli occhi di chi ne aveva viste tante e non aveva più voglia di andare avanti. Gli occhi di chi si sarebbe lasciato morire volentieri anche quel giorno. O quello dopo. Che importanza aveva, per te, un giorno in più o uno in meno?
Le tue iridi scure parlavano chiaro con me: la tua era un'anima persa, abbandonata chissà dove...
Ma anch'io ero così.
Ero smarrito nelle spire della droga e nella frustrazione di chi non riesce mai ad essere felice. Ero troppo complicato per godermi quello che avevo, troppo pretenzioso per accontentarmi, troppo tormentato per rilassarmi e fermarmi un secondo a valutare su quale strada stavo virando per evitare di schiantarmi contro il muro a fine corsa.
Distrutto e ferito. Vittima e carnefice dei miei stessi bisogni, degli sbagli commessi tra vizi e illusioni. Ma cos'avevo da perdere, ormai? Più il mio letto si riempiva di tacche, più il mio cuore si svuotava di ogni emozione. Ero diventato incapace di provare qualcosa, qualunque cosa.
Mi sentivo un contenitore vuoto.
Inutile.
La prima volta in cui mi ero avvicinato a te, non ricordavo neppure il mio nome tant'ero strafatto dopo l'assurda nottata della festa in cui accadde il finimondo. Eppure, diventammo amici.
Parlavamo tanto. Di tutto. Tu eri un come un riflesso distorto di me stesso, ma... nonostante tutto il dolore provato a causa del tuo ex e di colei che credevi amica, diversamente da me possedevi ancora una stilla di speranza nei tuoi occhi d'onice.
Fu quella chimera a fregarmi.
Dio, avevi così tanto amore da dare, che mi ero quasi sentito in dovere di assecondare la tua folle voglia di diventare madre. E, a me, l'idea di esser padre non dispiaceva, pago del pensiero che un bambino da accudire mi avrebbe salvato e riscattato da ciò che avevo passato a causa del bastardo che mi aveva messo al mondo.
Mi ero convinto che quel vuoto si sarebbe colmato.
Il patto era semplice: nessun coinvolgimento emotivo, qualche notte di sesso sfrenato atto la mera procreazione, ed entrambi avremmo avuto qualcuno da amare incondizionatamente, senza riserve.
Una creatura a cui avremmo donato il meglio di noi stessi.
Quando tornai al locale, qualche tempo dopo, mi avvicinai a te di soppiatto, come un fantasma o un assassino silenzioso, ma tu mi sorridesti non appena intravedesti dalla tua vetrata preferita il riflesso della mia figura oscura, carezzandoti il ventre vittoriosa.
Disarmante, ecco cos'eri.
Ogni volta che mi studiavi con quegli occhi d'ebano, io mi sentivo morire dentro, e poi rinascevo sulle tue labbra, che puntualmente baciavo sfiorandole appena per rubare un po' di calore, una briciola di umanità mentre tu piangevi in silenzio perché non avremmo dovuto farlo. Perché non serviva più.
Eppure, quando mi stavi vicino ogni mia burbera difesa crollava, e davanti a te mi sentivo nudo, scoperto e vulnerabile.
Dov'era il mio orgoglio quando ti guardavo così?
Dov'erano i buoni propositi di non innamorarmi mai più?
Dov'ero io?
Perso sul tuo viso. Sul solco appena accennato dei tuoi seni. Sul tuo ventre gonfio che portava dentro la vita e una parte di me...
Fu in quel preciso istante che mi innamorai di te.

 

*


La pioggia mi ricorda te anche oggi, e di acqua sotto ai ponti ne è passata tanta.
Tanta come le lacrime che hanno rigato le tue gote per troppe volte, quando ormai tornare indietro era impossibile.
Tu, che rifilavi a tutti orde di bugie, ergendoti a vittima assoluta al fine di manipolare me e gli altri, mentre io ero uno stronzo della peggior specie, soprattutto quando il mio innato masochismo mi trasformava in un sadico bastardo capace soltanto di ferire e distruggere chiunque provasse a comprendermi. A volermi bene.
Rammento ogni istante di noi, ogni frammento del nostro trascorso. Ricordo tutte le volte in cui ti ho presa, con passione o con la forza, e delle altre in cui mi hai cacciato con la rabbia. Di come, nonostante tutta la merda che ci portavamo addosso, eravamo bravi a fare i genitori alla luce del sole, mentre nel nostro buio era un vero inferno.
Quante volte ci siamo detti di amarci e poi ce lo siamo rimangiati? Traditi? Maltrattati?
Perdersi e ritrovarsi: era sempre stato così tra me e te, perché io volevo volare lontano e cambiare la mia vita, da cima a fondo, ma ogni volta che incrociavo i tuoi occhi, ci ricascavo e rimanevo àncorato alla tua rassegnazione verso il futuro.
Ed era impossibile resisterti, sai?
Era impossibile farcela quando bastava il tuo profumo a stordirmi, la tua voce a incantarmi, il tuo corpo a irretirmi... ed era attrazione assoluta da cui non sapevo difendermi. Fitte dolorose che potevo colmare solo stando dentro di te.
Quante volte ti ho definita "la mia droga"? Eri peggio dell'eroina che mi iniettavo in vena.
Quante volte ti ho urlato addosso che volevo disintossicarmi da te? Ma tu eri assuefatta tanto quanto lo ero io... e ci eravamo fottuti in un malinconico circolo vizioso senza fine. Senza via d'uscita — non pacifica, perlomeno.
Dovevamo finire a odiarci davvero per uccidere la nostra passione. Per distaccarci in modo definitivo e tornare a volare, fuori dal nostro mondo oscuro, piccolo, stretto, soffocante, ma così caldo... così sensuale, e folle, e viscerale, e violento, carnale quanto animale, perverso ed egoistico. Capriccioso. Distruttivo. Annichilente.
Se oggi guardo fuori e c'è la pioggia, tuttavia, finisco anche per sentirmi un po' nostalgico, perché ripenso a ciò che di buono abbiamo fatto insieme e che è andato avanti senza il nostro aiuto, rendendoci orgogliosi e di nuovo vicini, seppur in modo diverso.
nostri figli sono cresciuti e hanno imparato a camminare da soli sulla loro strada, oltre a tutti i nostri sbagli. Al di là dei nostri errori.
E la verità è che adesso mi sento solo; di nuovo vuoto, senza meta.
Per questo mi nascondo, in lacrime. Tutto ciò che mi resterebbe da fare, adesso, sarebbe stare fermo in quell'angolo buio, seduto e immobile ad aspettare la fine, perché mi sento un fallito che non sa continuare per la strada che ha scelto.
Perché ho avuto tante altre donne e non sono più riuscito a essere felice come lo sono stato con te nei momenti migliori.
E perché, nonostante tutti questi anni, tu mi attrai ancora come allora, in quel modo assurdo a cui non so resistere.
Di notte sogno di averti di nuovo, sai? Immagino il tuo corpo nudo sotto al mio, con la tua voce dolce che mi stordisce e rincoglionisce, e i tuoi gemiti che suonano come una nenia infinita e invitante, un canto delle sirene sensuale che mi fa diventare matto.
Ti rivorrei con me, qui e ora. E so che questo pensiero solletica anche te: l'ho letto nei tuoi occhi di strega...
Ma non possiamo permetterci di rovinarci ancora una volta solo per dar spago a una passione malsana per entrambi.
Siamo due demoni: eternamente dannati. Costantemente infelici.
Eppure, tu mi conosci bene; sei consapevole del fatto che ti basterebbe poco per farmi mandare tutto a puttane di nuovo.
Come quando tornasti dall'Italia...
Era una tetra sera di gennaio. Il cielo era senza luna e un vento gelido sferzava la pelle al pari di mille spine — ma di questo me n'ero reso conto quando avevo aperto la porta di casa e tu eri davanti a me con aria timida e colpevole.
Ero solo, dato che avevo portato la bambina a dormire da mia madre per farle un po' di compagnia, ma invece di andare al bar con il mio socio avevo preferito assopirmi davanti a un vecchio film di Hollywood.
Tu eri tornata dai tuoi genitori dopo l'ennesimo litigio, e dopo aver smaltito il nervoso ti eri ripresentata a Berlino come se nulla fosse successo, mascherando la lontananza con improbabili impegni di lavoro.
Ci eravamo salutati con un pizzico di disagio e ti avevo fatta entrare, chiamandoti col soprannome che ti avevo cucito addosso negli anni senza rendermene conto...
Seele.
In tedesco significa Anima.
Perché tu eri, fra tutte le donne che avevo avuto, l'unica che con tenacia e ardore era riuscita a strapparmi un pezzo di essa, conservandola tutta per sé.
Mi sorridesti mesta mentre ti accomodavi sul divano, e per un po' chiacchierammo di nostra figlia.
Tu parlavi e parlavi... e io?
Io fissavo con i miei occhi grigi le tue labbra, con quello inferiore leggermente più pieno, chiedendomi se erano ancora morbide come le ricordavo. Ero sceso con lo sguardo lungo le linee sinuose del tuo corpo, constatando che il tempo non ti aveva cambiata, che eri sempre una donna affascinante e ombrosa al tempo stesso.
Nella mia testa eri già sotto di me, a graffiarmi la schiena e a baciarmi in quel modo dolce e violento che tanto adoravo.
E quel mio sguardo tu lo conoscevi fin troppo bene: ti stavo fissando con brama, come un predatore pronto ad azzannare la preda, con desiderio e un pizzico di follia ad accendere i sensi.
Avevi già capito tutto e, per un fugace istante, sorridesti maliziosa quando balzai sul tuo divano prima che potessi scappare, perché quello era esattamente ciò che volevi.
Presi il tuo volto delicato tra le dita e ti baciai con enfasi, sopprimendo i nostri reciproci gemiti facendomi spazio tra i denti, tentando di arrivare alla tua lingua voluttuosa e tagliente che mi mandava in estasi.
Riuscii solo a sussurrare il tuo nome, prima di mangiare di nuovo le tua bocca mentre ti strappavo i vestiti...
E tu? Tu non mi fermasti: anche io ero la tua droga; i tuoi desideri più intimi e carnali. Io rappresentavo l'amore tossico per antonomasia, quello che tra una carezza e uno schiaffo ti porta dritto in paradiso e poi giù all'inferno.
Ero tutto ciò di cui avevi bisogno, ma anche tutto quello che odiavi.
Eravamo due animali affamati che cercavano di saziare una necessità primordiale, totalizzante e incontrollabile.
Quella notte ci amammo ancora una volta, con tutta la passione che da sempre ci aveva legati. Con quella foga insana, a tratti violenta, che ci rendeva un'accoppiata micidiale. Lo sapevamo bene... sotto le lenzuola eravamo fatti per stare insieme, era tutto il resto che non funzionava.
Fu così che nacque il nostro secondo figlio; in un impeto di desiderio consumato su un divano Chesterfield.
Fu così che tornammo insieme...
Il nostro circolo vizioso.
Ma anche la nostra famiglia, quella che nonostante gli scleri restava unita, bella come poche cose che la vita mi ha regalato.
E anche se non sempre riuscivamo a essere una coppia decente, restavamo comunque "mamma" e "papà" per i nostri bambini.
Per loro avremmo dato il mondo.
Ma niente dura per sempre. I figli crescono e ci lasciano soli per affrontare la loro storia, la loro avventura... e dopo l'ultimo litigio, ci siamo lasciati in maniera definitiva.
Se da una parte ti rivorrei al mio fianco, dall'altra mi ripeto che è stata la cosa migliore che potessimo fare per salvarci da noi stessi, e da quel buio che cerca di inghiottirci ogni giorno.
Il ricordo è tutto ciò che resta di noi e a me, francamente, va bene così.
Con il palmo della mano tocco la finestra gelida, dando un ultimo sguardo alla pioggia che, incessante, scorre come il flusso dei miei pensieri.
Ti auguro di trovare un uomo che sappia donarti un po' di luce, Seele, ma in fondo al cuore so che non accadrà mai.
Siamo fatti della stessa pasta.
Siamo pregni della stessa oscurità.

 

Fine.

 

 
   
 
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