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Autore: EmmaJTurner    12/09/2023    5 recensioni
"Cercasi AMMAZZAMOSTRI
per raccolta di sambuco
la prossima luna piena.
Pagamento 200 nk
50% in anticipo, 50% a lavoro ultimato.
Per info chiedere di Meli"

[REVISIONE COMPLETATA]
Genere: Avventura, Azione, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cercasi Ammazzamostri'
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La Succube

Meli ritrasse la mano di scatto, e la succube si rivelò. Era uno spirito maligno in forma di donna, con il volto pallido, corna nere, lunghissimi capelli bianchi e vesti candide che ondeggiavano come immerse nell’acqua. Lo spirito era a cavalcioni su Logan e lo fissava con occhi sfigurati dalla lussuria. 

La mano di Meli corse al coltello, ma non lo aveva; se l’era tolto per dormire, convinta di essere al sicuro a casa di Meimei.

Incespicò indietro e cadde dal letto. La succube si voltò di scatto verso di lei, la bocca spalancata piena di denti aguzzi. Ma parve non vederla, e riportò l’attenzione sulla sua vittima. Faccia a faccia con l’ammazzamostri, la succube srotolò una lunga lingua, nera e biforcuta, verso di lui.

Col cazzo, pensò Meli.

Urlò e si avventò sulla succube con l’unica cosa che aveva a disposizione: se stessa. Caddero entrambe dall’altra parte del letto, rotolando e impigliandosi nei lunghi capelli bianchi. Intrappolata sotto il peso del mostro, Meli ebbe la sensazione di essere caduta in una pozza di fango ghiacciato. La succube spalancò la bocca per strapparle la faccia, ma Meli afferrò l’attizzatoio dal camino spento e lo usò come uno scudo; i denti del mostro si chiusero sull’asta di ferro, piegandola.

La succube sputò l’attizzatoio e urlò, un suono acuto e terribile. A Meli rimbombò il sangue nelle orecchie. La succube la afferrò per le spalle e la trattenne a terra, fissandola con i suoi occhi di carbone. Di nuovo, la lingua a due punte guizzò fuori. Meli si divincolò, ma lo spirito sembrava pesare dieci volte la sua stazza. La lingua le sfiorò il mento. Un brivido freddo si riverberò da dove la punta umida l’aveva toccata.

Ci fu un rumore sordo al piano di sopra. La faccia orribile della succube scattò verso l’alto. Meli pregò che Meimei si fosse svegliata, e approfittò di quel secondo di distrazione per sollevare i fianchi con tutta la sua forza. La succube fu catapultata in avanti, la faccia contro il tappeto. Meli sgusciò via da sotto e si liberò.

Corse a recuperare il coltello e si preparò in posizione. La succube, a carponi sul pavimento, si girò lentamente verso di lei. Gli occhi neri, incontrando la luce che entrava dalla finestra, brillarono come tizzoni nel buio. Con le vesti fluttuanti e i capelli bianchi davanti al viso, era spaventosa. E incazzata. 

Meli deglutì e si preparò all’attacco. Con la bocca spalancata, il demone si scagliò su di lei. Meli scartò di lato e inflisse un fendente al fianco del mostro. Quella si bloccò, osservò il sangue che le sgorgava dalla ferita, e si incazzò ancora di più.  

Mi serve un’arma più grossa, pensò Meli, stringendo il coltello nella mano sudata.

La succube le fu addosso. Meli mirò alla faccia, ma il mostro si scansò e il colpo andò a vuoto. La donna-demone le afferrò il polso e Meli perse la presa sul coltello, che cadde a terra tra di loro. Per evitare un morso che le avrebbe staccato la testa dal collo, Meli indietreggiò e cadde. In un istante lo spirito fu di nuovo a cavalcioni su lei, bloccandola in una morsa gelida. Meli si guardò freneticamente attorno, ma non vide nulla da poter usare come arma. Aveva finito le idee. 

Poi la porta si spalancò. Attraverso le vesti galleggianti del mostro, Meli vide la vecchia Meimei. La vecchia si mise in posizione di combattimento e fece un gesto intricato con entrambe le braccia. Un’accecante luce verde esplose nella stanza. Meli chiuse gli occhi e, mentre un piacevole flusso di calore spazzava via il fango gelido, si sentì sollevare da terra per poi ripiombare giù con forza. Qualcuno urlò.

Disorientata e madida di sudore, Meli riaprì gli occhi. Un fumo grigio sfrigolava nella stanza. La vecchia Meimei era ancora in posizione, a gambe larghe con un ginocchio piegato e un braccio teso davanti a sé. L’attizzatoio deformato giaceva a terra poco lontano. Logan, sdraiato a letto, sembrava illeso.

La succube era sparita.

***

Logan ci mise un giorno intero a riprendersi dall’attacco della donna-demone. Meli gli spiegò che era normale che fosse stato lui ad esserne colpito: le succubi attaccano solo gli uomini, nutrendosi della loro forza nel sonno. Quello che non era affatto normale, invece, era che ci fosse una succube lì, a Costoi, nel bel mezzo dell’estate.

Prima le strigi, e adesso una succube? Meli si lambiccò su quelle stravaganti anomalie mentre portava un vassoio di cibo in camera per Logan. Lo guardò mangiare per un po’, poi non resistette. “Ti ho salvato la vita” gongolò. “Tu le strigi, io la succube. Siamo pari”.

Logan non sollevò nemmeno lo sguardo dalla zuppa. “La vecchia mi ha salvato la vita”.

“Saresti morto stecchito se io non mi fossi svegliata”.

“Ma se mi hai detto che ti sei svegliata perché ti ho tirato un cazzotto”.

Lei gli disse che era troppo pignolo, e che un grazie sarebbe stato sufficiente. Lui le disse di stare zitta e di lasciarlo mangiare in pace. Meli alzò le mani e uscì dalla stanza.

La vecchia Meimei la accolse in cucina con un dolcissimo sorriso sdentato. L’aspetto di Meimei, con i suoi capelli grigi e il grembiule rosa, ingannava. Era un’ex soldato della Guerra delle Catene, ormai in pensione, e aveva combattuto con sua nonna nella battaglia per il Pola, tirandola più volte fuori dai guai. Era muta perché era stata prigioniera di guerra e le avevano tagliato la lingua. Una volta libera, lei aveva tagliato ben altro ai suoi secondini.

Meimei le fece segno di avvicinarsi e le disse, con veloci movimenti di dita, che era felice che il suo amico stesse bene, e che era dispiaciuta di non essersi accorta prima della succube sotto il suo tetto. Meli era arrugginita con la lingua dei segni, e faticò a seguire i gesti veloci della donna. Meimei, con espressione afflitta, aggiunse il gesto “sto invecchiando”.

“Invecchiando? Tu, Meimei? Ma se le hai fatto il culo”.

La vecchia si strinse nelle spalle con un sorriso mesto, poi ricominciò a segnare. “Pericolo” “da sotto” “mostri” “numerosi” “mistero” fu tutto quello che Meli capì. Vedendola in difficoltà, la vecchia si munì di carta da lettere e di un carboncino con cui scribacchiò veloce.

Meli afferrò il pezzo di carta e lesse: Qualcosa non va. Troppi mostri. Vengono da sotto, richiamati da qualcosa. 

“Vengono da sotto?” chiese Meli.

La vecchia annuì.

“Chi li richiama?”.

Meimei fece di nuovo il segno che indicava “mistero”.

Meli guardò la donna, e poi il biglietto tra le sue mani. Un piccolo fuoco, a lungo smorzato, si accese dentro di lei.

***

Meli tornò in camera per controllare il suo uomo. Logan era sdraiato a letto con un braccio appoggiato sugli occhi, infastidito dalla luce del tardo pomeriggio. Era ancora pallido e non sembrava avere nessuna voglia di alzarsi. Il vassoio di cibo, vuoto, era posato sulla scrivania lì vicino.

Meli, mani sui fianchi, accettò la situazione.

“Logan, sei a terra” disse. “Non puoi affrontare i licantropi. Considerati liberato dal contratto. Posso trovare un altro ammazzamostri”.

Logan fece un verso rauco e scattò a sedere. “No. Ce la faccio. Vengo io con te” disse un po’ troppo in fretta. Poi, con più calma, aggiunse: “E poi non troveresti un altro ammazzamostri con così poco preavviso. La luna piena è stanotte”.

Aveva ragione, ovviamente; ma Meli non aveva alcuna intenzione di mettere in pericolo la vita di entrambi con un ammazzamostri allo stremo delle forze. Sospirò. Frugò nella sua bisaccia e tirò fuori due pozioni rinvigorenti. Scosse le bottigliette tonde e il liquido al loro interno da azzurro si fece oro intenso. “Sono ancora buone. Bevi”.

Logan inarcò le sopracciglia, colpito. “E queste dove le hai prese?”.

Meli colse l’occasione al volo: “Non sono fatti tuoi”.

Logan scosse la testa e ingollò le pozioni. Il suo viso riprese subito un colore più accettabile. Meli non si stupì: quelle pozioni erano il meglio del meglio sul mercato, e costavano una fortuna.

Ma era ancora titubante. “Sei sicuro di farcela? Ti pagherò gli artigli di strige. Non sei obbligato a…”.

“Smettila di chiedermelo. Verrò” la interruppe lui scoccandole un’occhiata di fuoco. Stava decisamente meglio, pensò Meli.

“Molto bene” replicò lei, laconica. “Preparati allora, partiamo tra un’ora”.

***

Prima di andarsene, Meimei regalò a Meli un bastone di legno di castagno. Commossa, la botanica passò i polpastrelli sul legno levigato. Era spesso ma leggero, elegante ma letale. Le arrivava al mento: l’altezza perfetta per combattere all’orientale, stile che Meli aveva padroneggiato sin da bambina grazie proprio agli insegnamenti di nonna Nene e Meimei. Stringendolo con entrambe le mani, Meli chinò la testa e ringraziò profusamente. Per la cultura di Meimei regalare un bastone del genere era segno di grande affetto e rispetto senza pari. E poi Meli ne aveva terribilmente bisogno: il suo vecchio bastone aveva fatto una brutta fine dentro un crepaccio del ghiacciaio di Vatna e, tra i mostri e le consegne, non aveva ancora avuto tempo di sostituirlo. 

La vecchia le fece i segni di “stai attenta” e “ti voglio bene”. Meli la abbracciò di nuovo e, con un Logan taciturno e infastidito al suo fianco, uscì nella luce avvolgente del tardo pomeriggio.

Dopo aver affrontato le strigi, suo terrore da quando era bambina, i licantropi non le facevano così paura. Aveva fatto diverse sessioni di luna piena con sua nonna e le sue sorelle. Si trattava perlopiù di muoversi in fretta e guardarsi alle spalle a vicenda. E non farsi mordere, ovviamente.

Si avviarono sul sentiero nel bosco verso il lago. Meli guardò Logan e si chiese se si fosse davvero ripreso dall’incontro di quella notte. Pensò alla succube e alle strigi, alle loro risate stridule così stonate contro il cielo estivo. Qualcosa non andava. Ripensò al biglietto di Meimei, al sicuro nella tasca del gilè, trasudante una promessa di mistero e di avventura. Si chiese se quel viaggio avrebbe portato molto di più di quello che prometteva. E, in un guizzo di isteria, si chiese anche se non sarebbe stato meglio, dopotutto, tenersi quei gattini.

   
 
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