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Autore: Afaneia    13/09/2023    1 recensioni
Più ci pensa e più Rocco si convince che sposarsi all’improvviso in un’altra regione senza darne notizia a nessuno non sia stata una grande idea.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Adriano, Rocco Petri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Videogioco
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Capitolo II

 

Si scambiano messaggi quasi ogni giorno, da qualche giorno.

Non sono chissà che messaggi, ma Rocco si diverte a rispondere come fosse un ragazzino. Sa che rischia di scottarsi, ma in fondo, ripete a se stesso, non c’è nulla di male. Non c’è niente di compromettente. Non può nemmeno definirsi flirt: non corre alcun rischio. Prima o poi, tra qualche mese o al massimo un anno o due, Adriano si fidanzerà di nuovo con qualcuno bello almeno la metà di lui e tutto ritroverà il suo equilibrio; ma nel frattempo, finché il cuore di Adriano sanguina ancora e lui è solo e un po’ malinconico nella sua casa vuota, non c’è niente di male a scriversi ogni tanto. Quando sarà tempo di smettere, smetteranno. No?

Non c’è un orario. Non c’è neppure un vero argomento, e non nominano mai Commodo: Rocco sente che non è il caso di menzionarlo, o forse soltanto non ne ha il coraggio, e Adriano, dal canto suo, non ne fa mai parola. Si inviano articoli di giornale e di gossip, previsioni di giornalisti sulla prossima Lega Pokémon, foto del panorama, video di cuccioli di Pokémon, vignette che fanno più o meno ridere a seconda dei giorni: gli va bene così. Non sono mai stati più vicini di così, e attraverso questi messaggi gli sembra di vedere Adriano un po’ più da vicino.

Una sera, dal niente, Adriano gli scrive: Senti… Sei mai stato a Luminopoli?

Luminopoli gli richiama alla mente ricordi di quando studiava le Megapietre e i Megacerchi ed è andato a seguire un ciclo di conferenze organizzato dal principale studioso della materia, e cenava tutte le sere in una brasserie su Viale Inverno.

Sì, ma tanti anni fa. Come mai?

A una domanda tanto semplice Adriano impiega un tempo assurdamente lungo a rispondere, tanto che Rocco si domanda a un tratto se ha scritto qualcosa che non andava. La scritta sta scrivendo… dell’applicazione, sotto il suo nome, si aggiorna continuamente per svariati minuti: Rocco la fissa perplesso aspettando l’esito di quel processo, anche se sa, con una parte di lui, che non dovrebbe aspettare così ossessivamente: dovrebbe dedicarsi a fare altro, Adriano risponderà quando risponderà e lui lo saprà dalla suoneria del telefono. Ma, nonostante ciò, aspetta.

Alla fine, la risposta non è precisamente quella che si sarebbe aspettato. Adriano ha scritto: Prometti di non prendermi per pazzo?

Prometto risponde Rocco istantaneamente.

Il messaggio seguente è il link a un articolo della versione online della rivista Coordinator, intitolato “Al via la prossima settimana la XVIII edizione dei Rencontres Internationales des Concours Pokémon”. Rocco, che di Gare Pokémon s’intende abbastanza poco, lo scorre rapidamente: è un evento triennale di beneficenza che si svolge a Luminopoli con ospiti e organizzatori da tutto il panorama sportivo internazionale. Rocco scorre rapidamente i nomi in grassetto. Non li conosce tutti, ma ne riconosce qualcuno qua e là, perlopiù appartenente a qualche Capopalestra: Fannie, Jasmine – e Adriano. D’un tratto la cosa assume un senso, ma questa sensazione dura solo un attimo. Perché gli ha chiesto se è mai stato a Luminopoli?

Senza saper bene che pensare, Rocco risponde cautamente: Perché avrei dovuto prenderti per pazzo?

Ancora una volta Adriano impiega un tempo assurdamente lungo per rispondere.

Non me la sento di andare da solo. Sarebbe tanto patetico chiederti di accompagnarmi?

Una parte di lui vorrebbe dirgli che non riuscirebbe a considerarlo patetico neppure se lo volesse; ma non è questo che bisogna dire. Non vuole che Adriano lo senta da parte sua come un atto di pietà: dopo un istante di esitazione, esitando con le dita sullo schermo, scrive Un finesettimana a Luminopoli?, aggiunge una gif animata che giudica divertente e tenera di uno Skitty acciambellato in un trolley e invia. Poi ci pensa un attimo e aggiunge anche uno sticker di un Purrloin su una decappottabile che si accinge a fate festa con scritto sotto vamos, paloma.

Adriano risponde con uno sticker di un Delcatty circondato da cuoricini. Per quella sera non si scrivono oltre; ma per Rocco questa è una buona serata, e la trascorre col cuore soddisfatto spolverando campioni di rocce e sperando oziosamente con una parte della sua mente che lo sia anche per Adriano, magari la prima dopo un po’ di tempo.

 

Rocco non è un animale da festa, non precisamente. Se dovesse identificarsi in qualcosa, sarebbe probabilmente in un nerd impacciato che si trova più a suo agio in una biblioteca o in uno scavo archeologico che in una persona mondana (non che abbia davvero bisogno di identificarcisi). Il problema è che, con la carriera che si è scelto, non ha modo di evitare feste né ricevimenti di alcun genere. La vita sociale sembra una parte integrante della vita di un Campione tanto quanto lo sono i Pokémon, e alla fine ha finito per diventare piuttosto bravo anche a fare finta che gli piaccia.

L’organizzazione dei Rencontres Internationales des Concours Pokémon si è rivelata, almeno fino a questo momento, mirabile. Quando Adriano ha comunicato che il suo accompagnatore sarebbe stato Rocco Petri, il comitato organizzatore ha reagito come se avesse fatto loro un magnifico regalo: a quanto pare questa è la prima volta che riescono ad avere un Campione tra il pubblico, forse perché le Gare Pokémon non sono tanto amate a Kalos come lo sono a Hoenn. Gli hanno offerto una sistemazione in camera singola nello stesso albergo degli ospiti del festival: Rocco si è trovato perciò coinvolto come se lo avessero invitato fin dall’inizio, ed è andata a finire che parteciperà come rappresentante della Lega Pokémon di Hoenn e non come amico di Adriano. Tutto sommato è andata bene così, ma contemporaneamente il fatto di essere ospite del comitato organizzatore lo investe anche di una certa responsabilità. È il lato negativo di essere un Campione, presumibilmente.

Tutto è stato perfettamente organizzato: un taxi li ha portati dall’aeroporto in albergo, dove li attendeva un piccolo rinfresco di benvenuto che prevedeva una quantità non indifferente di vino e champagne. Rocco ne ha preso mentalmente nota: davvero tanto vino, davvero tanto champagne. Dopodiché hanno avuto giusto il tempo di rinfrescarsi e di cambiarsi prima di andare alla cena di apertura dell’evento – e a questo punto del vino Rocco ha perso ogni contezza.

Ci sono molte facce relativamente note, quantomeno di fama: Rocco riconosce Fannie e Orthilla, che fanno entrambe parte del comitato, e la Capopalestra Jasmine che fino a questo momento ha visto solo in televisione. Adriano gli ha mormorato i nomi via via che i personaggi più noti prendevano la parola per ringraziare i partecipanti e illustrare il programma e il significato dell’evento: il direttore dei Rencountres Internationales. Il Capopalestra di Luminopoli che a partire da domani ospiterà i lavori nei locali della Torre Prisma. L’Amministratore delegato della Fabbrica Poké Ball che spiega le valide motivazioni dell’azienda per sponsorizzare l’evento. Il direttore del Museo di Luminopoli - dopo l’ennesimo importante personaggio che prende la parola, Rocco comincia a perdere il senso del tempo e Adriano quello del vino, e lasciano perdere la trafila dei nomi. Orthilla li saluta ogni tanto con la mano dall’altro lato del tavolo e fa cenno di venire a parlarle quando la cena sarà finita: Adriano la saluta sollevando un calice verso di lei, cosa che sembra strapparle una risata deliziata. Rocco si dimentica sempre che Adriano ha già una nipote così grande e finisce per stupirsene ogni volta che la vede in televisione o a qualche gara. Ora che la vede da vicino, a distanza ravvicinata, si accorge quanto effettivamente si somigliano.

Seduto al suo fianco a tavola, con addosso un completo giacca e pantalone color bianco ottico con un’attillata camicia color porpora e un vaporoso foulard argentato al collo, Adriano è esagerato, vistoso, fuori posto: è bello come una visione. Ma è anche distratto, assente, talora un po’ annoiato: non è l’Adriano che conosce da anni, o meglio non è del tutto lui, e Rocco si sorprende a guardarlo talora con una certa preoccupazione. Ha gli occhi cupi, talora un po’ stanchi; ma quando si volta verso di lui e gli si rivolge direttamente, a volte mormorando contro il suo orecchio per non farsi sentire dagli altri commensali, allora torna il solito Adriano espansivo e disinvolto di sempre, e la cosa lo rasserena.

Si perdono di vista dopo la cena, nel fervore delle pubbliche relazioni, quando Adriano si alza per andare a salutare sua nipote: Rocco fa per seguirlo, ma viene intercettato da una giornalista delle Edizioni Luminopoli che gli chiede una foto e un paio di battute di dichiarazione per un articolo sull’evento. Rocco impreca in silenzio dentro di sé mentre le sorride e fa cenno ad Adriano di avviarsi e che lo raggiungerà: era proprio per questo motivo che non avrebbe voluto essere lì come ospite ufficiale dell’evento, con tutti gli obblighi relazionali che ne conseguono. Era venuto solo per stare al fianco di Adriano. Ma poiché è andata così ora gli tocca dar relazione anche ai giornalisti, perciò si sforza di sorridere e di inventarsi qualcosa di sensato da dichiarare sulle Gare Pokémon che non suoni disperatamente come sono qui perché me lo ha chiesto il mio migliore amico per il quale ho una patetica cotta da quando lo conosco. Subito dopo l’intervista gli si avvicina il direttore del Museo di Luminopoli, con la mano tesa, per presentarsi, perché a quanto pare è un suo ardente ammiratore sin da quando è diventato Campione; e anche a questa conversazione non si può sottrarsi.

A un certo punto, voltandosi, Rocco si accorge che l’equilibrio di Adriano sta cominciando a rivelarsi paurosamente instabile. Sta parlando con Orthilla e di certo lei non se n’è resa conto, presa com’è da qualsiasi cosa stia raccontando, ma Adriano ha in mano un altro bicchiere di vino – altro perché quello di prima era quasi vuoto e questo è ancora pieno – e si sta appoggiando al muro con tutto il proprio peso, evidentemente perché non è in grado di reggersi in piedi altrimenti. Ha gli occhi vacui e assenti.

Ci mancava solo questa. Rocco pone fine alla conversazione col direttore del Museo di Luminopoli nel modo più grazioso che gli viene in mente, si scusa cortesemente e poi si dirige a passi rapidi ma discreti nella loro direzione.

Orthilla lo scorge con la coda dell’occhio prima ancora che li abbia raggiunti e questo, probabilmente, è d’aiuto: interrompendosi bruscamente, Orthilla gli balza letteralmente al collo.

«Rocco, tesoro! Come stai?»

Rocco non è precisamente sicuro di conoscere Orthilla se non come stella dello spettacolo, e per conseguenza anche lei dovrebbe conoscerlo solo come Campione di Hoenn; tuttavia, è anche evidente che per lei questo non costituisce affatto un problema, dato che lo abbraccia e lo bacia sulle guance come se fossero amici di vecchia data che non si vedono da secoli. A quanto pare, Orthilla è una di quelle vip che ritengono che essere vip implichi conoscere necessariamente tutti gli altri vip, e questo in modo del tutto indipendente dal conoscerli effettivamente.

«Ma stai benissimo! Sei dimagrito dalla scorsa Lega?»

Rocco sta per risponderle con affabile ironia, ma prima che possa anche solo aprire bocca, Adriano prende la parola.

«Orthilla, non provarci con Rocco... lui è mio.»

A queste parole l’aria della stanza pare congelare d’imbarazzo, Rocco spera di scomparire divorato dagli abissi della terra e per un attimo anche Orthilla sembra spiazzata.  È la sua intraprendenza a salvare la situazione: questa ragazza che pare vivere come se la dignità non esistesse, o quantomeno non potesse mai essere persa, recupera in un istante il suo savoir-faire e ride come di una splendida battuta. «Ma dai, zio... che sciocchino!»

Altro che sciocchino. Adriano è ubriaco e, anche se è abbastanza sicuro che non lo sia così tanto da star male o fare qualcosa di veramente stupido, Rocco concorda unilateralmente con se stesso che la serata è finita lì, quantomeno per loro. Si sforza perciò di ridere a sua volta e prende poi Adriano sottobraccio sorridendo in direzione di Orthilla.

«Posso rubartelo un istante? Vorrei... presentarlo a un amico.»

«Oh» risponde Orthilla. «Oh» soggiunge a un elevato tono di voce, soppesandoli con lo sguardo, e Rocco non ha bisogno che dica altro per capire a cosa sta pensando. «Ma certo» trilla subito dopo facendosi da parte. «Ci vediamo dopo, ragazzi!»

Non è necessario che sappia che in realtà non avrà alcun modo di rivedersi più tardi. Rocco le rivolge un cenno di ringraziamento e attira lievemente a sé Adriano, il quale lo segue con una certa esitazione. Sì, decisamente è ubriaco.

«Orthilla ci provava con te. Ci hai fatto caso?»

«Zitto» sibila Rocco pregando che nessuno li stia guardando o ascoltando, perché in questo momento vedrebbe il Capopalestra di Ceneride che necessita di essere sorretto e lo sentirebbe vaneggiare di gelosia a proposito di sua nipote.

«Cos’ho detto?» chiede Adriano con genuino stupore, e Rocco non può trattenere un’occhiataccia alla sua volta.

«Non parlare... sei ubriaco.»

«Non sono ubriaco!» Adriano si sforza di fermarsi, puntando i piedi a terra, ma le sue gambe sono molto meno obbedienti di quanto dovrebbero e Rocco continua a trascinarlo via, noncurante delle sue proteste.

La sala è affollata e rumorosa e di certo passare inosservati è assolutamente impossibile, ma almeno Rocco continua a nutrire la speranza che nessuno possa fermarli. Trascina discretamente Adriano lungo il muro, lasciando che si appoggi al suo braccio in modo non troppo plateale eppure saldo, e poi, finalmente, sono fuori dalla sala.

Prendono un taxi per tornare all’albergo malgrado le proteste di Adriano, che insiste di essere perfettamente in grado di camminare per le poche centinaia di metri che li separano. Probabilmente lo sarebbe anche, ma Rocco vuole ridurre al minimo i rischi che lo vedano in quelle condizioni. Il loro hotel è proprio su Viale Primavera, a pochi minuti di distanza a piedi e forse un minuto in macchina, tanto che il tassista gli rivolge un’occhiata stupita quando Rocco gli dice l’indirizzo nel poco francese che si ricorda dai suoi studi; ma non appena vede Adriano tutto gli è chiaro.

«Champagne?» chiede sorridendo mentre innesta la prima.

«Champagne, champagne» borbotta Rocco allacciando la cintura ad Adriano. «E tutto il resto. Allons-y, s’il vous plait.»

Dopo la prova del taxi viene quella della scalinata dell’albergo. La reception, per fortuna, è vuota: a quest’ora non ci sono più receptionist né concierge e la maggior parte degli altri ospiti dell’evento è ancora al ricevimento. Questo significa che Rocco può passarsi un braccio di Adriano sulle spalle per tenerlo più saldamente e affrontare la salita.

È solo quando arriva davanti alla camera di Adriano che Rocco si rende conto con orrore che non è lui ad avere le chiavi.

«Dimmi che hai le chiavi nella tasca dei pantaloni» mormora.

«Rocco, scemo» ribatte Adriano ridendo «Questi pantaloni non hanno tasche.»

Decisamente no, visto che in questo momento Adriano indossa un paio di leggings di pelle aderenti in modo illegale o quantomeno indecente. Rocco leva gli occhi al cielo per un momento, bestemmiando mutamente dentro di sé: Adriano aveva la giacca quando sono arrivati al ricevimento. Ora è in maniche di camicia. Questo significa che la sua giacca è rimasta da qualche parte al salone, sperabilmente al guardaroba, e che ovunque sia rimasta la giacca sono rimaste anche le chiavi.

A meno di non umiliarsi a suonare il campanello della reception sperando che venga qualcuno, non gli rimane che una sola cosa da fare. Adriano si guarda intorno con perplessità quando cambiano direzione all’interno del corridoio.

«Dove andiamo?»

«In camera mia» risponde Rocco sentendosi avvampare. «Credo sia meglio che farti dormire in corridoio, no?»

Rocco le sue chiavi le ha in tasca e camera sua è a sole due porte da quella di Adriano. Sorreggendo Adriano contro un fianco, Rocco riesce a estrarre le chiavi e ad aprire la porta con una mano sola. La vista della sua stanza d’albergo, che in un altro momento gli sarebbe parsa asettica e impersonale e forse un tantino squallida, assume per la prima volta ai suoi occhi assume quasi un valore salvifico: qua dentro nessuno può assistere all’umiliazione di Adriano, tranne lui. E poiché nulla potrebbe abbassare Adriano nella sua stima, questo significa che la reputazione di Adriano è salva, per stasera. Quando la porta si chiude alle loro spalle, l’aria chiusa della stanza sa di sollievo.

A questo punto Adriano lo abbraccia e mormora contro il suo orecchio: «Fai l’amore con me», il suo stomaco si contrae dolorosamente nella morsa dell’insperato e l’aria della stanza si fa molto difficile da respirare.

 

Sforzandosi di ridere per alleggerire la tensione – e soprattutto perché fingere che tutto questo sia un delizioso fraintendimento da commedia è molto meno doloroso che credere che Adriano gliel’abbia chiesto solo perché è ubriaco e disperato e ha voglia di scopare e lo avrebbe chiesto a chiunque e lui è qui in questo momento – Rocco lo respinge con delicatezza e risponde: «Stanotte dormiamo e basta, va bene?»

«Rocco.» La voce di Adriano è dolce e suadente e più calda di quanto Rocco l’abbia sentita mai e il suo stomaco si stringe ancora per un momento. «Ti prego. Non te lo sto chiedendo perché ho bevuto. Voglio fare l’amore con te.»

C’è una parte di lui che ha sempre desiderato di sentirsi dire queste parole senza credere mai davvero che le avrebbe sentite. È una parte di lui inconfessabile come un segreto, che Rocco ha permesso a se stesso di ascoltare solo ogni tanto, di nascosto, come una fantasia; e ora che quella parte di lui ha sentito le parole eternamente vagheggiate, dover dire di no è doloroso come una separazione.

Con tutto ciò, Rocco posa fermamente le mani sulle spalle di Adriano e guardandolo negli occhi risponde: «No.»

Dopodiché lo spinge sul letto perché questa conversazione è troppo dolorosa da sostenere ancora a lungo.

Per sua fortuna, Adriano non oppone la minima resistenza: si limita a cadere sul letto, rumorosamente eppure con grazia, a braccia aperte, e a rimanere immobile sul materasso. A questo punto Rocco dà per scontato che sia fuorigioco, almeno per qualche minuto, e si allontana di qualche passo per considerare la strategia migliore per infilarlo sotto le coperte. Così disteso sulla schiena, con quei pantaloni aderenti in modo illegale e la camicia parzialmente sbottonata sul petto di un pallore invitante, Adriano è di una bellezza semplicemente indecente. Rocco deve ammetterlo e lo ammette così, senza remore, perché è proprio la verità, ma non si concede di osservarlo neppure per un secondo più dello stretto necessario: sente che sarebbe come approfittarsi di una sua debolezza, e se c’è una cosa che Rocco non vuole è proprio questa.

In qualche modo deve riuscire a infilarlo sotto le coperte, e questo è certo, ma non ha alcuna intenzione di togliergli i pantaloni. Sa bene che Adriano non si sconvolgerebbe – è tanto spontaneamente a suo agio col proprio corpo e con quello degli altri che non gliene importerebbe – ma la cosa sconvolgerebbe lui, e questa gli pare una motivazione sufficiente. Può reprimere la sua vaga cotta semiplatonica per Adriano, e lo sta facendo con grande successo da un bel po’ di anni, e con l’eroismo di un martire negli ultimi minuti; ma in fin dei conti è un essere umano anche lui.

Quando si avvicina al letto Adriano parla di nuovo, tanto subitaneamente che Rocco ne è colto di sorpresa. Non stava affatto dormendo. Deve averlo osservato, più o meno lucidamente, per tutto questo tempo, e Rocco si rende conto d’aver trascorso questo tempo a osservarlo con grande dolcezza. È una fortuna che domani Adriano non sarà in grado di ricordarsi niente, torna a ripetere a se stesso, e lascia che questo pensiero lo avvolga confortante perché prova vergogna d’averlo guardato tanto a lungo.

«Perché non vuoi?»

A quanto pare Adriano non è in grado di alzare le palpebre, in questo momento, ma riesce ancora a fare domande dannatamente intelligenti e scomode. Non vale la pena inventarsi una bugia, e Rocco non ne avrebbe comunque l’intenzione. «Perché tu non sei in grado di intendere e di volere, ma io sì. Domattina mi odieresti, e io non voglio che mi odi.»

«Uhm» risponde Adriano col tono di aver capito chissà quale segreto dalle sue parole. «Ho capito.» Dopodiché si solleva a sedere, armeggia un po’ fino a sfilarsi i pantaloni e restare in mutande e si infila spontaneamente sotto le coperte. Il tutto è talmente inaspettato che Rocco non sa che fare: si limita a restare lì per un po’ e a prendere atto dell’accaduto.

«Bah» mormora tra sé e si prepara per andare a dormire.

 

Si sveglia con la luce che irrora la stanza al mattino presto. Si è dimenticato di chiudere le imposte, ieri sera: il giorno entra in grandi fiotti attraverso il vetro. È una bella giornata.

Si sente stranamente riposato, rilassato. Prova una sorta di beatitudine: richiude gli occhi subito per non farsela sfuggire, insieme al sonno. La trattiene. Gli piace rimanere a letto; e poi è ancora presto, lo percepisce dalla chiara luminosità della stanza. Secondo il programma non hanno appuntamenti prima delle undici. C’è tempo, c’è tempo. Può godersi questa beatitudine ancora un po’.

Prende coscienza del proprio corpo a poco a poco, lentamente, come se ne rientrasse in possesso dopo esserne uscito. La beatitudine irradia precisamente dalla sua mano destra: che cosa strana. Rocco sa che è strano, che dovrebbe aprire gli occhi, sollevare il capo, vedere che sta succedendo alla sua mano; ma non sta succedendo niente di male. Il benessere irradia in grandi cerchi concentrici che si allargano dal palmo della sua mano come da una pietra nell’acqua.

La verità è che sa cosa sta succedendo, ma se facesse un gesto tutto questo finirebbe. Adriano sta accarezzando la sua mano dolcemente, ritmicamente, percorrendo col pollice un suo cerchio eterno sul palmo della sua mano: Rocco non vuole che smetta e per questo vuole restare immobile, quasi senza respirare, a fingere di non esistere mentre Adriano lo accarezza.

Adriano è disteso su un fianco, con la schiena premuta contro il suo petto. Rocco non sa spiegarsi come sia successo, ma stanotte deve averlo abbracciato, è evidente dal fatto che il suo braccio sovrasta le spalle di Adriano e che la sua mano è prigioniera delle sue. Di certo Adriano non si è ribellato al suo abbraccio.

«Sei sveglio?» chiede Adriano.

Rispondendo l’incanto finirebbe, non si potrebbe più fingere di dormire o di non esistere; ma non si può nemmeno mentire.

«Sì» risponde Rocco. Non fa niente per ritirare il braccio, però, e Adriano non smette di percorrere quel suo eterno cerchio lungo il palmo della sua mano. Non si volta a guardarlo.

«Mi sono comportato in modo orribile, Rocco. Mi dispiace. Non mi sorprenderei se tu non volessi più vedermi per un po’.»

Rocco vorrebbe protestare: non ha fatto nulla di orribile e lui non vorrebbe mai smettere di vederlo. Ma qualcosa gli dice che Adriano ha bisogno di parlare senza ottenere risposta per un po’, perciò non risponde e aspetta.

«Ero ubriaco, ma so che questa non è una giustificazione per le cose che ti ho detto. Soltanto, non vorrei che tu pensassi che ti ho chiesto di fare l’amore perché avevo voglia di farlo, o per ripicca verso Commodo o per qualsiasi altro motivo. Non te l’ho chiesto solo perché ero ubriaco, e non l’avrei chiesto a nessun altro che non fossi tu. Non so se questo per te cambia le cose, ma per me sì. Ci tengo che tu lo sappia, questo.»

È esattamente quello che Rocco ha pensato ieri sera, e ora si sente un mostro per averlo pensato: che Adriano avesse solo voglia di scopare e lo abbia chiesto all’unica persona che in quel momento era chiusa in una camera da letto con lui. Vorrebbe potersi rimangiare le parole che non ha detto, i pensieri che ha soltanto pensato, perché anche solo averli pensati è stato un tradimento verso il ragazzo che in questo momento sta accarezzando la sua mano.

«So che probabilmente questo peggiorerà solo le cose ai tuoi occhi, ma non importa.» Adriano prosegue come se neppure si aspettasse una risposta perché probabilmente parla soltanto per parlare a se stesso e confessarsi: per lo stesso motivo non si volta verso di lui. Perché se si voltasse questa diventerebbe una conversazione, mentre invece Adriano ha bisogno di pronunciare un monologo che lo assolva. «Tu sai che io non sono mai stato infedele a Commodo e che non avrei fatto mai niente con nessuno. Però credo che ci sia una parte di me che ha sempre avuto una mezza cotta per te anche se non ho mai avuto il coraggio di dirtelo. Lo so che ero fidanzato e tutto il resto» si affretta ad aggiungere. «Non avrei mai fatto niente, nemmeno se me lo avessi chiesto tu. Non avrei avuto mai neanche il coraggio di dirlo ad alta voce, ma… credi che questo sia orribile da parte mia?»

Rocco non riesce neppure a immaginare cosa voglia dire avere una relazione lunga come quella di Adriano. Non sa neppure per quanti anni siano stati insieme, ma sa che non erano pochi, perché quando lo ha conosciuto era già fidanzato. Ci sono due cose che sa: la prima è che, tutto sommato, avere una debolezza e provare un fugace desiderio per qualcuno gli sembra umano, a maggior ragione se questa debolezza non si traduce in un effettivo tradimento e neppure in un flirt.

La seconda è che Adriano gli ha appena confessato che ha una cotta per lui e il suo stomaco si è stretto di nuovo nella morsa dolorosa e inaspettata della sera prima.

«Non penso che sia orribile» risponde cautamente senza saper bene fin dove possa spingersi. C’è tutta una parte di lui che vorrebbe ricordargli che Adriano potrà anche aver avuto una piccola cotta segreta e platonica per lui, mentre Commodo lo ha tradito, ma Rocco si sforza di reprimere questo istinto basso e meschino di dar colpe e additare altri. Non si sta parlando di Commodo, adesso. «Credo che sia solo umano.»

Ora che il silenzio è infranto, il monologo si è fatto conversazione. Adriano si rovescia lentamente sulla schiena e poi si volta verso di lui. Ha gli occhi arrossati e gonfi, sbavati di trucco – ha pianto, come quel giorno a Ceneride. Rocco vorrebbe accarezzare i suoi occhi, ma non osa farlo. I suoi occhi non gli appartengono.

«Sei arrabbiato con me per ieri sera?» chiede piano Adriano.

«No. Sai che non lo sono.»

«Sì… lo sapevo. Ma dovevo chiedertelo. Ti ho messo a disagio, però?»

Stavolta Rocco sorride. «Penso che tu sappia anche questo.»

«Se…» Adriano cerca le parole per un attimo distogliendo gli occhi da lui. «Se te lo avessi chiesto in un altro momento, se non fossi stato ubriaco, se… un sacco di se, insomma. C’è una possibilità che mi avresti detto di sì?»

La sincerità di Adriano è stata talmente dolorosa, straziante, che Rocco non può permettersi di tirarsi indietro ed essere meno sincero.

«Avrei voluto dirti di sì anche ieri. Solo che non mi è parso giusto, e che… non pensavo che volessi davvero me. Mi dispiace averlo pensato» aggiunge, perché negli occhi di Adriano è balenato un lampo doloroso, come una ferita. «Ma se mi fossi illuso sarebbe stati troppo bello e mi avrebbe fatto troppo male.»

Quel lampo di dolore che gli ha visto negli occhi si affievolisce all’istante. Adriano si rovescia sulla schiena e d’improvviso ride nello sciogliersi brusco della tensione. La sua risata sgorga cristallina come l’acqua di una fonte, contagiosa, e Rocco si ritrova a ridere a sua volta.

«Dammi la mano. Non ti spaventare» dice Adriano quando smette di ridere. Rocco non ha mai davvero ritirato la mano dalla stretta della sua, ma ugualmente gliela porge. Adriano se la porta sul petto, al di sotto della camicia sbottonata, sulla pelle fresca dei pettorali, quasi sopra lo sterno: Rocco trattiene il respiro. Sotto il palmo della sua mano il cuore di Adriano batte furiosamente, rapidissimo come quello di un uccellino. Cerca con gli occhi lo sguardo di Adriano per trovare il significato del suo gesto.

«È stupido, vero?» domanda Adriano in tono quasi di scusa. Sulle labbra ha ancora una risata ma un po’ imbarazzata. «Mi fai sentire come se avessi una cotta alle superiori. È stupido, no?»

È assolutamente plausibile che sia stupido: questo Rocco non si sente abbastanza esperto o autorevole da sancirlo o da negarlo. Nel legittimo dubbio che sia stupido prende la mano di Adriano e se la guida sul petto, perché di certo non si sente tanto al di sopra della situazione da sottrarsi a questa miserabile manifestazione di stupidità.

Sotto la mano di Adriano il suo cuore batte furioso e disperato come se volesse sfondargli il petto e andarsene fuori, Adriano arrossisce e sorride, e Rocco non si è sentito mai più felice di così.


 

   
 
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