Capitolo
II
Si
scambiano
messaggi quasi ogni giorno, da qualche giorno.
Non
sono
chissà che messaggi, ma Rocco si diverte a rispondere come
fosse un ragazzino.
Sa che rischia di scottarsi, ma in fondo, ripete a se stesso, non
c’è nulla di
male. Non c’è niente di compromettente. Non
può nemmeno definirsi flirt: non
corre alcun rischio. Prima o poi, tra qualche mese o al massimo un anno
o due,
Adriano si fidanzerà di nuovo con qualcuno bello almeno la
metà di lui e tutto
ritroverà il suo equilibrio; ma nel frattempo,
finché il cuore di Adriano
sanguina ancora e lui è solo e un po’ malinconico
nella sua casa vuota, non c’è
niente di male a scriversi ogni tanto. Quando sarà tempo di
smettere,
smetteranno. No?
Non
c’è un
orario. Non c’è neppure un vero argomento, e non
nominano mai Commodo: Rocco
sente che non è il caso di menzionarlo, o forse soltanto non
ne ha il coraggio,
e Adriano, dal canto suo, non ne fa mai parola. Si inviano articoli di
giornale
e di gossip, previsioni di giornalisti sulla prossima Lega
Pokémon, foto del
panorama, video di cuccioli di Pokémon, vignette che fanno
più o meno ridere a
seconda dei giorni: gli va bene così. Non sono mai stati
più vicini di così, e
attraverso questi messaggi gli sembra di vedere Adriano un
po’ più da vicino.
Una
sera, dal
niente, Adriano gli scrive: Senti… Sei mai stato a
Luminopoli?
Luminopoli
gli
richiama alla mente ricordi di quando studiava le Megapietre e i
Megacerchi ed
è andato a seguire un ciclo di conferenze organizzato dal
principale studioso
della materia, e cenava tutte le sere in una brasserie su
Viale Inverno.
Sì,
ma tanti
anni fa. Come mai?
A
una domanda
tanto semplice Adriano impiega un tempo assurdamente lungo a
rispondere, tanto
che Rocco si domanda a un tratto se ha scritto qualcosa che non andava.
La
scritta sta scrivendo… dell’applicazione,
sotto il suo nome, si aggiorna
continuamente per svariati minuti: Rocco la fissa perplesso aspettando
l’esito
di quel processo, anche se sa, con una parte di lui, che non dovrebbe
aspettare
così ossessivamente: dovrebbe dedicarsi a fare altro,
Adriano risponderà quando
risponderà e lui lo saprà dalla suoneria del
telefono. Ma, nonostante ciò,
aspetta.
Alla
fine, la
risposta non è precisamente quella che si sarebbe aspettato.
Adriano ha
scritto: Prometti di non prendermi per pazzo?
Prometto
risponde
Rocco istantaneamente.
Il
messaggio
seguente è il link a un articolo della versione online della
rivista Coordinator,
intitolato “Al via la prossima settimana la XVIII edizione
dei Rencontres
Internationales des Concours Pokémon”. Rocco, che di Gare Pokémon
s’intende abbastanza poco, lo scorre
rapidamente: è un evento triennale di beneficenza che si
svolge a Luminopoli
con ospiti e organizzatori da tutto il panorama sportivo
internazionale. Rocco
scorre rapidamente i nomi in grassetto. Non li conosce tutti, ma ne
riconosce
qualcuno qua e là, perlopiù appartenente a
qualche Capopalestra: Fannie, Jasmine
– e Adriano. D’un tratto la cosa assume un senso,
ma questa sensazione dura
solo un attimo. Perché gli ha chiesto se è mai
stato a Luminopoli?
Senza
saper bene che pensare, Rocco risponde cautamente: Perché
avrei dovuto
prenderti per pazzo?
Ancora
una volta Adriano impiega un tempo assurdamente lungo per
rispondere.
Non
me la sento di andare da solo. Sarebbe tanto
patetico chiederti di accompagnarmi?
Una
parte di lui vorrebbe dirgli che non riuscirebbe a considerarlo
patetico neppure se lo volesse; ma non è questo che bisogna
dire. Non vuole che
Adriano lo senta da parte sua come un atto di pietà: dopo un
istante di
esitazione, esitando con le dita sullo schermo, scrive Un
finesettimana a
Luminopoli?, aggiunge
una gif animata
che giudica divertente e tenera di uno Skitty acciambellato in un
trolley e
invia. Poi ci pensa un attimo e aggiunge anche uno sticker di un
Purrloin su
una decappottabile che si accinge a fate festa con scritto sotto vamos,
paloma.
Adriano
risponde con uno sticker di un Delcatty circondato da
cuoricini. Per quella sera non si scrivono oltre; ma per Rocco questa
è una
buona serata, e la trascorre col cuore soddisfatto spolverando campioni
di
rocce e sperando oziosamente con una parte della sua mente che lo sia
anche per
Adriano, magari la prima dopo un po’ di tempo.
Rocco
non è un animale da festa, non
precisamente. Se dovesse identificarsi in qualcosa, sarebbe
probabilmente in un
nerd impacciato che si trova più a suo agio in una
biblioteca o in uno scavo
archeologico che in una persona mondana (non che abbia davvero bisogno
di
identificarcisi). Il problema è che, con la carriera che si
è scelto, non ha
modo di evitare feste né ricevimenti di alcun genere. La
vita sociale sembra una
parte integrante della vita di un Campione tanto quanto lo sono i
Pokémon, e
alla fine ha finito per diventare piuttosto bravo anche a fare finta
che gli
piaccia.
L’organizzazione
dei Rencontres Internationales des Concours Pokémon
si è rivelata,
almeno fino a questo momento, mirabile. Quando Adriano ha comunicato
che il suo
accompagnatore sarebbe stato Rocco Petri, il comitato organizzatore ha
reagito
come se avesse fatto loro un magnifico regalo: a quanto pare questa
è la prima
volta che riescono ad avere un Campione tra il pubblico, forse
perché le Gare
Pokémon non sono tanto amate a Kalos come lo sono a Hoenn.
Gli hanno offerto
una sistemazione in camera singola nello stesso albergo degli ospiti
del
festival: Rocco si è trovato perciò coinvolto
come se lo avessero invitato fin
dall’inizio, ed è andata a finire che
parteciperà come rappresentante della
Lega Pokémon di Hoenn e non come amico di Adriano. Tutto
sommato è andata bene
così, ma contemporaneamente il fatto di essere ospite del
comitato
organizzatore lo investe anche di una certa responsabilità.
È il lato negativo
di essere un Campione, presumibilmente.
Tutto
è stato
perfettamente organizzato: un taxi li ha portati
dall’aeroporto in albergo,
dove li attendeva un piccolo rinfresco di benvenuto che prevedeva una
quantità
non indifferente di vino e champagne. Rocco ne ha preso mentalmente
nota:
davvero tanto vino, davvero tanto champagne.
Dopodiché hanno
avuto giusto il tempo di rinfrescarsi e di cambiarsi prima di andare
alla cena
di apertura dell’evento – e a questo punto del vino
Rocco ha perso ogni
contezza.
Ci
sono molte
facce relativamente note, quantomeno di fama: Rocco riconosce Fannie e
Orthilla, che fanno entrambe parte del comitato, e la Capopalestra
Jasmine che
fino a questo momento ha visto solo in televisione. Adriano gli ha
mormorato i
nomi via via che i personaggi più noti prendevano la parola
per ringraziare i
partecipanti e illustrare il programma e il significato
dell’evento: il
direttore dei Rencountres Internationales. Il Capopalestra di Luminopoli che a
partire da domani ospiterà i
lavori nei locali della Torre Prisma. L’Amministratore
delegato della Fabbrica
Poké Ball che spiega le valide motivazioni
dell’azienda per sponsorizzare
l’evento. Il direttore del Museo di Luminopoli - dopo
l’ennesimo importante
personaggio che prende la parola, Rocco comincia a perdere il senso del
tempo e
Adriano quello del vino, e lasciano perdere la trafila dei nomi.
Orthilla li
saluta ogni tanto con la mano dall’altro lato del tavolo e fa
cenno di venire a
parlarle quando la cena sarà finita: Adriano la saluta
sollevando un calice
verso di lei, cosa che sembra strapparle una risata deliziata. Rocco si
dimentica sempre che Adriano ha già una nipote
così grande e finisce per
stupirsene ogni volta che la vede in televisione o a qualche gara. Ora
che la
vede da vicino, a distanza ravvicinata, si accorge quanto
effettivamente si
somigliano.
Seduto
al suo
fianco a tavola, con addosso un completo giacca e pantalone color
bianco ottico
con un’attillata camicia color porpora e un vaporoso foulard
argentato al collo,
Adriano è esagerato, vistoso, fuori posto: è
bello come una visione. Ma è anche
distratto, assente, talora un po’ annoiato: non è
l’Adriano che conosce da
anni, o meglio non è del tutto lui, e Rocco si sorprende a
guardarlo talora con
una certa preoccupazione. Ha gli occhi cupi, talora un po’
stanchi; ma quando
si volta verso di lui e gli si rivolge direttamente, a volte mormorando
contro
il suo orecchio per non farsi sentire dagli altri commensali, allora
torna il
solito Adriano espansivo e disinvolto di sempre, e la cosa lo
rasserena.
Si
perdono di
vista dopo la cena, nel fervore delle pubbliche relazioni, quando
Adriano si
alza per andare a salutare sua nipote: Rocco fa per seguirlo, ma viene
intercettato
da una giornalista delle Edizioni Luminopoli che gli chiede una foto e
un paio
di battute di dichiarazione per un articolo sull’evento.
Rocco impreca in
silenzio dentro di sé mentre le sorride e fa cenno ad
Adriano di avviarsi e che
lo raggiungerà: era proprio per questo motivo che non
avrebbe voluto essere lì
come ospite ufficiale dell’evento, con tutti gli obblighi
relazionali che ne
conseguono. Era venuto solo per stare al fianco di Adriano. Ma
poiché è andata
così ora gli tocca dar relazione anche ai giornalisti,
perciò si sforza di
sorridere e di inventarsi qualcosa di sensato da dichiarare sulle Gare
Pokémon
che non suoni disperatamente come sono qui perché
me lo ha chiesto il mio
migliore amico per il quale ho una patetica cotta da quando lo conosco.
Subito
dopo l’intervista gli si avvicina il direttore del Museo di
Luminopoli, con la
mano tesa, per presentarsi, perché a quanto pare
è un suo ardente ammiratore
sin da quando è diventato Campione; e anche a questa
conversazione non si può
sottrarsi.
A
un certo punto, voltandosi, Rocco si
accorge che l’equilibrio di Adriano sta cominciando a
rivelarsi paurosamente
instabile. Sta parlando con Orthilla e di certo lei non se
n’è resa conto,
presa com’è da qualsiasi cosa stia raccontando, ma
Adriano ha in mano un altro
bicchiere di vino – altro perché
quello di prima era quasi vuoto e
questo è ancora pieno – e si sta appoggiando al
muro con tutto il proprio peso,
evidentemente perché non è in grado di reggersi
in piedi altrimenti. Ha gli
occhi vacui e assenti.
Ci
mancava solo questa. Rocco pone fine
alla conversazione col direttore del Museo di Luminopoli nel modo
più grazioso
che gli viene in mente, si scusa cortesemente e poi si dirige a passi
rapidi ma
discreti nella loro direzione.
Orthilla
lo scorge con la coda
dell’occhio prima ancora che li abbia raggiunti e questo,
probabilmente, è
d’aiuto: interrompendosi bruscamente, Orthilla gli balza
letteralmente al
collo.
«Rocco,
tesoro! Come stai?»
Rocco
non è precisamente sicuro di
conoscere Orthilla se non come stella dello spettacolo, e per
conseguenza anche
lei dovrebbe conoscerlo solo come Campione di Hoenn; tuttavia,
è anche evidente
che per lei questo non costituisce affatto un problema, dato che lo
abbraccia e
lo bacia sulle guance come se fossero amici di vecchia data che non si
vedono
da secoli. A quanto pare, Orthilla è una di quelle vip che
ritengono che essere
vip implichi conoscere necessariamente tutti gli altri vip, e questo in
modo del
tutto indipendente dal conoscerli effettivamente.
«Ma
stai benissimo! Sei dimagrito dalla
scorsa Lega?»
Rocco
sta per risponderle con affabile
ironia, ma prima che possa anche solo aprire bocca, Adriano prende la
parola.
«Orthilla,
non provarci con Rocco... lui
è mio.»
A
queste parole l’aria della stanza pare
congelare d’imbarazzo, Rocco spera di scomparire divorato
dagli abissi della
terra e per un attimo anche Orthilla sembra spiazzata. È la sua
intraprendenza a salvare la
situazione: questa ragazza che pare vivere come se la
dignità non esistesse, o
quantomeno non potesse mai essere persa, recupera in un istante il suo
savoir-faire e ride come di una splendida battuta. «Ma dai,
zio... che
sciocchino!»
Altro
che sciocchino. Adriano è ubriaco
e, anche se è abbastanza sicuro che non lo sia
così tanto da star male o fare
qualcosa di veramente stupido, Rocco concorda unilateralmente con se
stesso che
la serata è finita lì, quantomeno per loro. Si
sforza perciò di ridere a sua
volta e prende poi Adriano sottobraccio sorridendo in direzione di
Orthilla.
«Posso
rubartelo un istante? Vorrei...
presentarlo a un amico.»
«Oh»
risponde Orthilla. «Oh»
soggiunge a un elevato tono di voce, soppesandoli con lo sguardo, e
Rocco non
ha bisogno che dica altro per capire a cosa sta pensando. «Ma
certo» trilla
subito dopo facendosi da parte. «Ci vediamo dopo,
ragazzi!»
Non
è necessario che sappia che in
realtà non avrà alcun modo di rivedersi
più tardi. Rocco le rivolge un cenno di
ringraziamento e attira lievemente a sé Adriano, il quale lo
segue con una
certa esitazione. Sì, decisamente è ubriaco.
«Orthilla
ci provava con te. Ci hai
fatto caso?»
«Zitto»
sibila Rocco pregando che
nessuno li stia guardando o ascoltando, perché in questo
momento vedrebbe il
Capopalestra di Ceneride che necessita di essere sorretto e lo
sentirebbe
vaneggiare di gelosia a proposito di sua nipote.
«Cos’ho
detto?» chiede Adriano con
genuino stupore, e Rocco non può trattenere
un’occhiataccia alla sua volta.
«Non
parlare... sei ubriaco.»
«Non
sono ubriaco!» Adriano si sforza di
fermarsi, puntando i piedi a terra, ma le sue gambe sono molto meno
obbedienti
di quanto dovrebbero e Rocco continua a trascinarlo via, noncurante
delle sue
proteste.
La
sala è affollata e rumorosa e di
certo passare inosservati è assolutamente impossibile, ma
almeno Rocco continua
a nutrire la speranza che nessuno possa fermarli. Trascina
discretamente
Adriano lungo il muro, lasciando che si appoggi al suo braccio in modo
non
troppo plateale eppure saldo, e poi, finalmente, sono fuori dalla sala.
Prendono
un taxi per tornare all’albergo
malgrado le proteste di Adriano, che insiste di essere perfettamente in
grado
di camminare per le poche centinaia di metri che li separano.
Probabilmente lo
sarebbe anche, ma Rocco vuole ridurre al minimo i rischi che lo vedano
in
quelle condizioni. Il loro hotel è proprio su Viale
Primavera, a pochi minuti
di distanza a piedi e forse un minuto in macchina, tanto che il
tassista gli
rivolge un’occhiata stupita quando Rocco gli dice
l’indirizzo nel poco francese
che si ricorda dai suoi studi; ma non appena vede Adriano tutto gli
è chiaro.
«Champagne?»
chiede sorridendo
mentre innesta la prima.
«Champagne,
champagne» borbotta
Rocco allacciando la cintura ad Adriano. «E tutto il resto. Allons-y,
s’il
vous plait.»
Dopo
la prova del taxi viene quella
della scalinata dell’albergo. La reception, per fortuna,
è vuota: a quest’ora
non ci sono più receptionist né concierge e la
maggior parte degli altri ospiti
dell’evento è ancora al ricevimento. Questo
significa che Rocco può passarsi un
braccio di Adriano sulle spalle per tenerlo più saldamente e
affrontare la
salita.
È
solo quando arriva davanti alla camera
di Adriano che Rocco si rende conto con orrore che non è lui
ad avere le
chiavi.
«Dimmi
che hai le chiavi nella tasca dei
pantaloni» mormora.
«Rocco,
scemo» ribatte Adriano ridendo
«Questi pantaloni non hanno tasche.»
Decisamente
no, visto che in questo
momento Adriano indossa un paio di leggings di pelle aderenti in modo
illegale
o quantomeno indecente. Rocco leva gli occhi al cielo per un momento,
bestemmiando mutamente dentro di sé: Adriano aveva la giacca
quando sono
arrivati al ricevimento. Ora è in maniche di camicia. Questo
significa che la
sua giacca è rimasta da qualche parte al salone,
sperabilmente al guardaroba, e
che ovunque sia rimasta la giacca sono rimaste anche le chiavi.
A
meno di non umiliarsi a suonare il
campanello della reception sperando che venga qualcuno, non gli rimane
che una
sola cosa da fare. Adriano si guarda intorno con perplessità
quando cambiano
direzione all’interno del corridoio.
«Dove
andiamo?»
«In
camera mia» risponde Rocco
sentendosi avvampare. «Credo sia meglio che farti dormire in
corridoio, no?»
Rocco
le sue chiavi le ha in tasca e
camera sua è a sole due porte da quella di Adriano.
Sorreggendo Adriano contro
un fianco, Rocco riesce a estrarre le chiavi e ad aprire la porta con
una mano
sola. La vista della sua stanza d’albergo, che in un altro
momento gli sarebbe
parsa asettica e impersonale e forse un tantino squallida, assume per
la prima
volta ai suoi occhi assume quasi un valore salvifico: qua dentro
nessuno può
assistere all’umiliazione di Adriano, tranne lui. E
poiché nulla potrebbe
abbassare Adriano nella sua stima, questo significa che la reputazione
di
Adriano è salva, per stasera. Quando la porta si chiude alle
loro spalle,
l’aria chiusa della stanza sa di sollievo.
A
questo punto Adriano lo abbraccia e
mormora contro il suo orecchio: «Fai l’amore con
me», il suo stomaco si contrae
dolorosamente nella morsa dell’insperato e l’aria
della stanza si fa molto
difficile da respirare.
Sforzandosi
di ridere per alleggerire la
tensione – e soprattutto perché fingere che tutto
questo sia un delizioso
fraintendimento da commedia è molto meno doloroso che
credere che Adriano
gliel’abbia chiesto solo perché è
ubriaco e disperato e ha voglia di scopare e
lo avrebbe chiesto a chiunque e lui è qui in questo momento
– Rocco lo respinge
con delicatezza e risponde: «Stanotte dormiamo e basta, va
bene?»
«Rocco.»
La voce di Adriano è dolce e suadente
e più calda di quanto Rocco l’abbia sentita mai e
il suo stomaco si stringe
ancora per un momento. «Ti prego. Non te lo sto chiedendo
perché ho bevuto. Voglio
fare l’amore con te.»
C’è
una parte di lui che ha sempre
desiderato di sentirsi dire queste parole senza credere mai davvero che
le
avrebbe sentite. È una parte di lui inconfessabile come un
segreto, che Rocco
ha permesso a se stesso di ascoltare solo ogni tanto, di nascosto, come
una
fantasia; e ora che quella parte di lui ha sentito le parole
eternamente
vagheggiate, dover dire di no è doloroso come una
separazione.
Con
tutto ciò, Rocco posa fermamente le
mani sulle spalle di Adriano e guardandolo negli occhi risponde:
«No.»
Dopodiché
lo spinge sul letto perché
questa conversazione è troppo dolorosa da sostenere ancora a
lungo.
Per
sua fortuna, Adriano non oppone la
minima resistenza: si limita a cadere sul letto, rumorosamente eppure
con
grazia, a braccia aperte, e a rimanere immobile sul materasso. A questo
punto
Rocco dà per scontato che sia fuorigioco, almeno per qualche
minuto, e si
allontana di qualche passo per considerare la strategia migliore per
infilarlo
sotto le coperte. Così disteso sulla schiena, con quei
pantaloni aderenti in
modo illegale e la camicia parzialmente sbottonata sul petto di un
pallore
invitante, Adriano è di una bellezza semplicemente
indecente. Rocco deve
ammetterlo e lo ammette così, senza remore,
perché è proprio la verità, ma non
si concede di osservarlo neppure per un secondo più dello
stretto necessario:
sente che sarebbe come approfittarsi di una sua debolezza, e se
c’è una cosa
che Rocco non vuole è proprio questa.
In
qualche modo deve riuscire a
infilarlo sotto le coperte, e questo è certo, ma non ha
alcuna intenzione di
togliergli i pantaloni. Sa bene che Adriano non si sconvolgerebbe
– è tanto
spontaneamente a suo agio col proprio corpo e con quello degli altri
che non
gliene importerebbe – ma la cosa sconvolgerebbe lui,
e questa gli pare
una motivazione sufficiente. Può reprimere la sua vaga cotta
semiplatonica per
Adriano, e lo sta facendo con grande successo da un bel po’
di anni, e con
l’eroismo di un martire negli ultimi minuti; ma in fin dei
conti è un essere
umano anche lui.
Quando
si avvicina al letto Adriano
parla di nuovo, tanto subitaneamente che Rocco ne è colto di
sorpresa. Non
stava affatto dormendo. Deve averlo osservato, più o meno
lucidamente, per
tutto questo tempo, e Rocco si rende conto d’aver trascorso
questo tempo a
osservarlo con grande dolcezza. È una fortuna che domani
Adriano non sarà in
grado di ricordarsi niente, torna a ripetere a se stesso, e lascia che
questo
pensiero lo avvolga confortante perché prova vergogna
d’averlo guardato tanto a
lungo.
«Perché
non vuoi?»
A
quanto pare Adriano non è in grado di
alzare le palpebre, in questo momento, ma riesce ancora a fare domande
dannatamente intelligenti e scomode. Non vale la pena inventarsi una
bugia, e
Rocco non ne avrebbe comunque l’intenzione.
«Perché tu non sei in grado di
intendere e di volere, ma io sì. Domattina mi odieresti, e
io non voglio che mi
odi.»
«Uhm»
risponde Adriano col tono di aver
capito chissà quale segreto dalle sue parole. «Ho
capito.» Dopodiché si solleva
a sedere, armeggia un po’ fino a sfilarsi i pantaloni e
restare in mutande e si
infila spontaneamente sotto le coperte. Il tutto è talmente
inaspettato che
Rocco non sa che fare: si limita a restare lì per un
po’ e a prendere atto
dell’accaduto.
«Bah»
mormora tra sé e si prepara per
andare a dormire.
Si
sveglia con la luce che irrora la
stanza al mattino presto. Si è dimenticato di chiudere le
imposte, ieri sera:
il giorno entra in grandi fiotti attraverso il vetro. È una
bella giornata.
Si
sente stranamente riposato,
rilassato. Prova una sorta di beatitudine: richiude gli occhi subito
per non
farsela sfuggire, insieme al sonno. La trattiene. Gli piace rimanere a
letto; e
poi è ancora presto, lo percepisce dalla chiara
luminosità della stanza.
Secondo il programma non hanno appuntamenti prima delle undici.
C’è tempo, c’è
tempo. Può godersi questa beatitudine ancora un
po’.
Prende
coscienza del proprio corpo a
poco a poco, lentamente, come se ne rientrasse in possesso dopo esserne
uscito.
La beatitudine irradia precisamente dalla sua mano destra: che cosa
strana.
Rocco sa che è strano, che dovrebbe aprire gli occhi,
sollevare il capo, vedere
che sta succedendo alla sua mano; ma non sta succedendo niente di male.
Il
benessere irradia in grandi cerchi concentrici che si allargano dal
palmo della
sua mano come da una pietra nell’acqua.
La
verità è che sa cosa sta succedendo,
ma se facesse un gesto tutto questo finirebbe. Adriano sta accarezzando
la sua
mano dolcemente, ritmicamente, percorrendo col pollice un suo cerchio
eterno
sul palmo della sua mano: Rocco non vuole che smetta e per questo vuole
restare
immobile, quasi senza respirare, a fingere di non esistere mentre
Adriano lo
accarezza.
Adriano
è disteso su un fianco, con la
schiena premuta contro il suo petto. Rocco non sa spiegarsi come sia
successo,
ma stanotte deve averlo abbracciato, è evidente dal fatto
che il suo braccio
sovrasta le spalle di Adriano e che la sua mano è
prigioniera delle sue. Di
certo Adriano non si è ribellato al suo abbraccio.
«Sei
sveglio?» chiede Adriano.
Rispondendo
l’incanto finirebbe, non si
potrebbe più fingere di dormire o di non esistere; ma non si
può nemmeno
mentire.
«Sì»
risponde Rocco. Non fa niente per
ritirare il braccio, però, e Adriano non smette di
percorrere quel suo eterno
cerchio lungo il palmo della sua mano. Non si volta a guardarlo.
«Mi
sono comportato in modo orribile,
Rocco. Mi dispiace. Non mi sorprenderei se tu non volessi
più vedermi per un
po’.»
Rocco
vorrebbe protestare: non ha fatto
nulla di orribile e lui non vorrebbe mai smettere di vederlo. Ma
qualcosa gli
dice che Adriano ha bisogno di parlare senza ottenere risposta per un
po’,
perciò non risponde e aspetta.
«Ero
ubriaco, ma so che questa non è una
giustificazione per le cose che ti ho detto. Soltanto, non vorrei che
tu
pensassi che ti ho chiesto di fare l’amore perché
avevo voglia di farlo, o per
ripicca verso Commodo o per qualsiasi altro motivo. Non te
l’ho chiesto solo
perché ero ubriaco, e non l’avrei chiesto a nessun
altro che non fossi tu. Non
so se questo per te cambia le cose, ma per me sì. Ci tengo
che tu lo sappia,
questo.»
È
esattamente quello che Rocco ha
pensato ieri sera, e ora si sente un mostro per averlo pensato: che
Adriano
avesse solo voglia di scopare e lo abbia chiesto all’unica
persona che in quel
momento era chiusa in una camera da letto con lui. Vorrebbe potersi
rimangiare
le parole che non ha detto, i pensieri che ha soltanto pensato,
perché anche
solo averli pensati è stato un tradimento verso il ragazzo
che in questo
momento sta accarezzando la sua mano.
«So
che probabilmente questo peggiorerà
solo le cose ai tuoi occhi, ma non importa.» Adriano prosegue
come se neppure
si aspettasse una risposta perché probabilmente parla
soltanto per parlare a se
stesso e confessarsi: per lo stesso motivo non si volta verso di lui.
Perché se
si voltasse questa diventerebbe una conversazione, mentre invece
Adriano ha
bisogno di pronunciare un monologo che lo assolva. «Tu sai
che io non sono mai
stato infedele a Commodo e che non avrei fatto mai niente con nessuno.
Però credo
che ci sia una parte di me che ha sempre avuto una mezza cotta per te
anche se
non ho mai avuto il coraggio di dirtelo. Lo so che ero fidanzato e
tutto il
resto» si affretta ad aggiungere. «Non avrei mai
fatto niente, nemmeno se me lo
avessi chiesto tu. Non avrei avuto mai neanche il coraggio di dirlo ad
alta
voce, ma… credi che questo sia orribile da parte
mia?»
Rocco
non riesce neppure a immaginare
cosa voglia dire avere una relazione lunga come quella di Adriano. Non
sa
neppure per quanti anni siano stati insieme, ma sa che non erano pochi,
perché
quando lo ha conosciuto era già fidanzato. Ci sono due cose
che sa: la prima è
che, tutto sommato, avere una debolezza e provare un fugace desiderio
per
qualcuno gli sembra umano, a maggior ragione se questa debolezza non si
traduce
in un effettivo tradimento e neppure in un flirt.
La
seconda è che Adriano gli ha appena
confessato che ha una cotta per lui e il suo stomaco si è
stretto di nuovo
nella morsa dolorosa e inaspettata della sera prima.
«Non
penso che sia orribile» risponde
cautamente senza saper bene fin dove possa spingersi.
C’è tutta una parte di
lui che vorrebbe ricordargli che Adriano potrà anche aver
avuto una piccola
cotta segreta e platonica per lui, mentre Commodo lo ha tradito,
ma
Rocco si sforza di reprimere questo istinto basso e meschino di dar
colpe e
additare altri. Non si sta parlando di Commodo, adesso.
«Credo che sia solo
umano.»
Ora
che il silenzio è infranto, il
monologo si è fatto conversazione. Adriano si rovescia
lentamente sulla schiena
e poi si volta verso di lui. Ha gli occhi arrossati e gonfi, sbavati di
trucco
– ha pianto, come quel giorno a Ceneride. Rocco vorrebbe
accarezzare i suoi
occhi, ma non osa farlo. I suoi occhi non gli appartengono.
«Sei
arrabbiato con me per ieri sera?»
chiede piano Adriano.
«No.
Sai che non lo sono.»
«Sì…
lo sapevo. Ma dovevo chiedertelo.
Ti ho messo a disagio, però?»
Stavolta
Rocco sorride. «Penso che tu
sappia anche questo.»
«Se…»
Adriano cerca le parole per un
attimo distogliendo gli occhi da lui. «Se te lo avessi
chiesto in un altro
momento, se non fossi stato ubriaco, se… un sacco di se,
insomma. C’è una
possibilità che mi avresti detto di sì?»
La
sincerità di Adriano è stata talmente
dolorosa, straziante, che Rocco non può permettersi di
tirarsi indietro ed
essere meno sincero.
«Avrei
voluto dirti di sì anche ieri.
Solo che non mi è parso giusto, e che… non
pensavo che volessi davvero me. Mi
dispiace averlo pensato» aggiunge, perché negli
occhi di Adriano è balenato un
lampo doloroso, come una ferita. «Ma se mi fossi illuso
sarebbe stati troppo
bello e mi avrebbe fatto troppo male.»
Quel
lampo di dolore che gli ha visto
negli occhi si affievolisce all’istante. Adriano si rovescia
sulla schiena e
d’improvviso ride nello sciogliersi brusco della tensione. La
sua risata sgorga
cristallina come l’acqua di una fonte, contagiosa, e Rocco si
ritrova a ridere
a sua volta.
«Dammi
la mano. Non ti spaventare» dice
Adriano quando smette di ridere. Rocco non ha mai davvero ritirato la
mano
dalla stretta della sua, ma ugualmente gliela porge. Adriano se la
porta sul
petto, al di sotto della camicia sbottonata, sulla pelle fresca dei
pettorali,
quasi sopra lo sterno: Rocco trattiene il respiro. Sotto il palmo della
sua
mano il cuore di Adriano batte furiosamente, rapidissimo come quello di
un
uccellino. Cerca con gli occhi lo sguardo di Adriano per trovare il
significato
del suo gesto.
«È
stupido, vero?» domanda Adriano in
tono quasi di scusa. Sulle labbra ha ancora una risata ma un
po’ imbarazzata.
«Mi fai sentire come se avessi una cotta alle superiori.
È stupido, no?»
È
assolutamente plausibile che sia
stupido: questo Rocco non si sente abbastanza esperto o autorevole da
sancirlo
o da negarlo. Nel legittimo dubbio che sia stupido prende la mano di
Adriano e
se la guida sul petto, perché di certo non si sente tanto al
di sopra della
situazione da sottrarsi a questa miserabile manifestazione di
stupidità.
Sotto
la mano di Adriano il suo cuore
batte furioso e disperato come se volesse sfondargli il petto e
andarsene
fuori, Adriano arrossisce e sorride, e Rocco non si è
sentito mai più felice di
così.