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Autore: BluCamelia    14/09/2023    1 recensioni
Anno 1994. Costretta a cambiare scuola per via della separazione dei genitori, Milly affronta il trasferimento con ironia, una certa ansia sociale e un pizzico di presunzione dovuta al suo passato di studentessa modello. Non sa che dovrà affrontare sfide che hanno ben poco a che fare con la media dell'otto.
Una delle sfide in particolare potrebbe rivelarsi troppo difficile per una liceale: il professor Vanini.
Non è una storia d'amore.
Genere: Drammatico, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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«Ho una bella sorpresa per voi» disse Vanini.

Lo guardammo, preoccupati.

Imitò una voce femminile stizzita, forse la madre di qualche alunno: «"Almeno una volta vorremmo delle valutazioni attinenti al programma di storia e filosofia di quest'anno". Bene, oggi c'è un compito in classe di filosofia. Veramente è "interdisciplinare"» pronunciò la parola scandendola bene e facendo una specie di smorfia, come se fosse d'accordo con l'opinione di Noemi che quel termine in fondo veniva usato per coprire delle porcherie.

«Mmm, quindi è filosofia e italiano? O filosofia e storia dell'arte?» chiese Alberto. Avevamo ancora l'incubo del compito sull'interpretazione alchimistica di Botticelli.

«Filosofia e storia dell'arte, che banalità. No, l'interdisciplinarità io la voglio fare con Paris.» si bloccò ostentatamente, come se si fosse accorto di aver detto qualcosa di osceno, e ridacchiammo. In realtà non c'era niente da ridere. Una valutazione incrociata Vanini-Paris era un incubo di nuovo livello.

Scrisse alla lavagna: "Commentate questa affermazione di Friedrich Engels: il calcolo infinitesimale non è altro che l'applicazione delle leggi della dialettica ai rapporti matematici." «Dove naturalmente la dialettica è la dialettica hegeliana» aggiunse a voce. Si accorse che era calato un silenzio gelido e si voltò. «Be', cosa c'è? Vi sembra che vi sto valutando su qualcosa che non abbiamo studiato? State studiando l'analisi matematica, no?»

Un mormorio di assenso.

«E la dialettica di Hegel l'abbiamo appena studiata, o sbaglio? Bene, allora confrontatele. Voglio solo sapere se avete afferrato il concetto fondamentale, quindi non mi serve un trattato. Una pagina sarà più che sufficiente. Avete un'ora e mezza.»

L’idea sembrava fatta apposta per il metodo di Vanini, eppure, anche se avevo chiara la relazione in testa, metterla per iscritto mi creò qualche difficoltà. La parte di Hegel non era un problema, ma i concetti matematici tradotti in termini quotidiani suonavano male.

Comunque scrissi quello che potevo, controllai brevemente eventuali errori e consegnai dopo una mezz'ora. Vanini, senza neanche guardarlo, segnò sul foglio un nove e me lo ridiede. Poi me lo tolse di mano, lesse velocemente, cancellò il nove e scrisse otto. «L'esempio dell'acqua che bolle è abusato e noiosissimo, Barbier. Potevi inventarti qualcosa di più interessante, magari i cambiamenti dell'adolescenza. Non te ne accorgi, cambi di giorno in giorno, poi una mattina ti svegli e puff! Non sei più una bambina ma una donna. La quantità si è trasformata in qualità.» Gli strappai il foglio di mano e mi girai in fretta per non far vedere che ero diventata un peperone.

«Era riferito a te quel discorso?» chiese Federico con uno scetticismo a dir poco offensivo.

«Cosa vuoi che ne sappia di quello che intendeva Vanini. Comunque, e se fosse?»

«Non so com'eri prima, ma adesso non sembri una donna. Sembri un incrocio tra la sopravvissuta di un lager e un ragazzo gay che fa troppo sesso sadomaso.»

Non mi avevano mai fatto un complimento simile, comunque decisi di prenderla come uno scherzo e rispondere a tono: «Non esistono solo le bionde abbronzate con le poppe grandi e un sorriso a trentadue denti. Esiste anche la bellezza gotica. Sei troppo classicista.»

Sorrise perché anche lui apprezzava il linguaggio estroso della Canè. «E poi ti vesti male. Sembra che ti vuoi vestire da collegiale fighetta ma...» si fermò, imbarazzato. Immagino che il seguito fosse “porti robetta da quattro soldi”. I vestiti di buona qualità ce li avevo ancora, ma ero talmente dimagrita che mi stavano male. E le nuove entrate non erano un gran che. Avevamo sempre difficoltà economiche e compravamo vestiti e scarpe non proprio all'ultima moda ai saldi o in negozietti strani.

«Ma cosa?» volevo vedere se avrebbe avuto il coraggio di dirlo.

«Ma non rispecchia la tua vera personalità. Secondo me dentro in realtà sei una ribelle.»

Me l'aveva rigirata talmente bene che risi di cuore.

«Ti porto io in un negozio adatto a te!»

«In tutta sincerità, mio caro Lorenzo, sei l'ultima persona al mondo che prenderei come consulente d'immagine!» Sembrava ancora una palla di vestiti sgualciti.

«Voi due, volete stare zitti?» chiese Vanini, bonario. Al solito avevo finito prima degli altri. Quanto a Federico, non ci aveva neanche provato a trovare il nesso tra analisi e dialettica. Gli altri stavano ancora scrivendo.

Mi immaginai a fare shopping alternativo con quel tipo assurdo. Perché no? Continuavo a fare amicizia più coi maschi che con le femmine, ma non uscivamo mai insieme.


*


Contro ogni aspettativa il negozio dove mi portò Federico mi piacque davvero. C'erano cappelli di tutti i tipi, giacche in stile militare con file di bottoni che non finivano più, gonne di velluto dal taglio asimmetrico, stivali alti tutti laccetti e gancetti. Ovviamente lui si concentrò su body di pizzo e minigonne inguinali.

«Ma dai, solo diecimila lire?» chiesi, alzando una giacca per guardarla.

«Questo potrebbe aiutarti a sembrare veramente una donna» disse Federico tirando fuori da un mucchio una maglia scollata fino all'ombelico. Neanche Noemi avrebbe avuto il coraggio.

«Non ho bisogno di sembrare una donna, lo sono» tagliai corto.

Federico sembrava letteralmente schifato da tanta inconcepibile ingenuità. «Non capisci proprio niente. Devi veramente fare un po' di sesso.»

«E facendo sesso capirò le cose?»

«Dai, provati questa maglia con la giacca sopra. Be', qualcosa di fondamentale lo capiresti di sicuro. Almeno sapresti com'è quando un uomo entra dentro di te e ti sconvolge tutta.»

«Devi credermi sulla parola, l'ultima cosa che mi serve adesso è un uomo che entra dentro di me e mi cambia la visione del mondo» gli risposi da dentro il camerino.

Però, sembrava una stronzata ma la maglia scollata con sopra una severa giacca militare era veramente carina. «Mi passi anche quella gonna lunga di velluto?»

«Guarda che non ti ho portato qui per farti vestire come Rossella O'Hara. Provati questa.»

«Ma che è?» Presi la gonna che mi aveva passato, che sembrava un fazzoletto di raso nero. Un fazzoletto per vampiri. «Non posso andare a scuola vestita così, sei matto?»

«Vedi che non capisci niente? Non esiste solo la scuola. Potresti incontrare Vanini in giro per il quartiere.»

Mi venne un flash di come Vanini mi aveva fregato con due frasette e una mano sui capelli. Forse veramente con la mia famosa intelligenza non capivo un cazzo. Mi arrabbiai talmente che per lanciare la gonna in faccia a Federico scostai un po' troppo la tenda del camerino, anche se ero mezzo nuda.

«E comunque quei mutandoni di cotone fanno schifo» concluse, trionfante.


*


Povero Paris, vedendo che avevo deciso di aderire al club dall'abbigliamento discutibile prese un'espressione di pura sofferenza. Eppure non poteva dirmi niente. Sopra la maglia avevo la giacca militare abbottonata, era chiaro che sotto avevo una cosa scollata ma non si vedeva niente di troppo. Mi piaceva l'effetto, era sexy. All'ora seguente avevamo Vanini, chissà se anche lui avrebbe roteato gli occhi.

Sì, certo, ma per la nostra stupidità.

«Ragazzi, mi avete fatto girare le pa...» Vanini camminava su e giù con le mani dietro la schiena «Mi avete irritato. Se non ci avevate capito niente potevate avere il buon gusto di lasciare il foglio in bianco, che almeno mi sarei risparmiato la fatica di correggere dieci compiti completamente inutili. Era inutile parlare separatamente della dialettica e dell'analisi, il punto era trovare la relazione. O forse dovrei dire trovare una relazione, perché le applicazioni della dialettica di Hegel si possono trovare praticamente dappertutto. Sì, Caccialupi, che c'è? Non sembri d'accordo.»

«È che... prima ci rimprovera perché non ci proviamo neanche, poi dice che facevamo meglio a lasciare il foglio in bianco...»

«Dovete provare a trovare la risposta, non certo a fregarmi. Anche perché non ci riuscite, credo sia superfluo dirlo.»

«Ha detto dieci compiti inutili? Quindi oltre a Milly qualcun altro l'ha fatto bene?» chiese Federico.

«Bene è una parola grossa, però...»

La classe restò col fiato sospeso.

«Di Matteo!»

Alberto sobbalzò.

«Ti esprimi da cani, specialmente per quanto riguarda la filosofia, ma ho avuto la sensazione che ci fosse qualcosa di buono in mezzo a quel guazzabuglio. Forse abbiamo scoperto il modo per vincere il tuo odio per le materie umanistiche, basta trovare un aggancio con le scienze. Magari Guida e Canè potrebbero spiegarti che il linguaggio umano ha una sua struttura logica, proprio come i linguaggi di programmazione dei computer.»

Ridemmo. Io oltre che per la battuta ridevo perché mi immaginavo la scena. Dire a Marianna Canè che la grammatica inglese assomigliava ad un linguaggio di programmazione era oltre qualunque audacia. Si sarebbe di sicuro inventata un nuovo insulto apposta, magari "meccanicista".


*


«E va bene, lo ammetto» annunciai solennemente allo specchio. «Sono gelosa.»

Non c'era nessun'altra spiegazione al fatto che vedere Vanini e la Colombo che prendevano il caffè insieme fosse sufficiente a rovinarmi la giornata. L'avevo guardata con occhio critico, la zoccola artistica, e non potevo negare che fosse proprio carina. Aveva una pelle perfetta, un vaporoso caschetto biondo scuro con le punte sempre arricciate con cura e la bocca piccola col labbro inferiore arrotondato.

Avevo la consolazione che Vanini non sembrava stimarla più di tanto, ma ci pensò Noemi a darmi il colpo di grazia.

Da quando era maggiorenne il suo uomo la portava in un sacco di locali fighi, e chi aveva incontrato una volta? Vanini! E con chi?

«La Colombo?» chiesi, inorridita. Noemi scoppiò a ridere di gusto.

«Quella gattamorta, le piacerebbe! Era Desirée Cavalieri!»

Rita spalancò gli occhi, Miriam disse: «Ma va!» e Gabriele: «Non dire cazzate!»

Noemi mi guardò con intenzione, ma dovetti deluderla.

«E chi sarebbe?» chiesi, tesa. Mi ero aspettata una nostra conoscenza.

«Scusa, dimenticavo che miss Einstein legge solo Focus» rispose lei, con disprezzo.

Appena quella stronza si allontanò chiesi spiegazioni a Rita. Desirée Cavalieri era la figlia di qualche nobilotto e ogni tanto saltava fuori nelle riviste di gossip e nei talk show.

«La figlia? Quanti anni ha?» chiesi, sperando che il mio tono acido passasse per indignazione morale.

«Boh, ventuno, credo.»

Per un mese sprecai la mia misera paghetta in riviste scandalistiche, ma, le rare volte che appariva, Desirée non era certo abbracciata a Vanini. Mi chiesi se davvero non fosse uno scherzo; non credevo che ragazze del genere uscissero coi professori di liceo. Ma il difetto di Noemi semmai era la troppa sincerità, non quello di inventarsi le cose. Forse aveva solo visto una ragazza che somigliava a Desirée. Ma in quel caso doveva comunque avere una ventina d'anni.

Alla faccia. E io che avevo pensato che la Colombo fosse troppo sciocchina per Vanini!

Nell'ultimo anno non ne avevo azzeccata una. Mi sentivo così stupida che stavo seriamente prendendo in considerazione l'idea di chiedere a Federico di darmi lezioni. In senso generale, non sessuale. Ma se fosse stato necessario per rendermi meno idiota non mi sarei neanche tirata indietro davanti all'idea del sesso con una persona che non mi interessava. Dopotutto per continuare il mio percorso di crescita mi ero fatta rompere il naso, non poteva essere peggio! Mi immaginai la faccia di Federico se avessi accettato le sue avance con un argomento del genere.

Restando in argomento, la scena dell'anno prima con Vanini era diventato il mio perenne incubo, un po' perché avrei voluto tornare indietro nel tempo e dargli un calcio nelle palle, un po' perché la rivivevo nelle mie fantasie e assaporavo quell'intimità che al momento non mi era piaciuta per niente. Ma ormai non potevo più rimediare.

Mi buttai sullo studio serio, non quello per la maturità, e sull'abbigliamento alternativo. Ci avevo preso gusto. Mi truccavo anche di più e portavo stivali con i tacchi. Paris mi guardava schifato. Una volta che mi ero messa la gonna lunga di velluto persino il prof di religione mi chiese se credevo di andare a una sfilata. Non me ne fregava niente, avevo troppo poche gioie nella vita per rinunciare a vestirmi in un modo che mi piaceva e non violava nessuna regola scolastica. Solo quando vedevo le ragazze del maneggio mi vestivo semplicemente in jeans e maglietta. Mi facevo addirittura una minuscola coda di cavallo. Ma loro non c'entravano con quella follia che era diventata la mia vita.


   
 
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