La principessa
ed il guerriero
III. Primi baci
ed incontri dal passato
E Shin mantenne la parola.
Per l'intera durata della permanenza
ad Edo, non c'era stato
un momento libero che il ragazzo non avesse passato con la giovane
figlia dei
Milizé. Che fosse per una semplice passeggiata, per leggersi
un libro insieme
nella stessa stanza -nonostante la porta aperta ed il padre che lo
scrutava
attentamente-, anche solo per sapere come stava, Shin cercava sempre di
ritagliarsi abbastanza tempo per vederla.
E non importava quanto fosse stanco
per via degli
addestramenti, quanto fosse esausto mentalmente a causa degli incontri
con i
ministri dello zio per supervisionare l'andamento economico e politico
del
Giappone. Non importava quanto il suo corpo venisse messo alla prova
con i
continui spostamenti in lungo e in largo per l'intero territorio per
incontrare
i daimyo, soprattutto quelli che si erano arresi durante la presa del
potere da
parte dei Tokugawa ed erano stati confinanti il più lontano
possibile da Edo. Pur
di vedere quel sorriso e quegli occhi splendere quando si posavano su
di lui, avrebbe
fatto di tutto pur di vederla anche solo per un istante.
La cosa che più lo faceva
impazzire era che Lena cercava di
coinvolgerlo nella sua vita quanto più possibile, e lo
faceva con una tale
spontaneità e sincerità che il suo cuore, quel
muscolo che da tempo non si
faceva sentire, ritornava a pompargli nel petto come un tamburo
forsennato. Aveva
ragione a pensare che quella ragazza fosse diversa dalle altre,
è di solo
pensiero che una volta ripartita per tornare nel suo han qualcun altro
potesse
prendere il suo posto lo faceva diventare furioso di gelosia.
Per questo si era estraniato, mentre
Lena gli mostrava gli
ultimi libri che si erano aggiunti alla collezione del padre. Forse era
il caso
di fare un passo più avanti nel loro rapporto, qualsiasi
forma esso possedesse.
La voleva in moglie.
Voleva farla sua, solo e soltanto sua.
E perciò doveva parlare
con suo zio.
«Shin.»
La voce calma e paziente della
ragazza riconquistò
immediatamente tutta la sua attenzione. Quando alzò lo
sguardo su di lei la
trovo a sorridergli dolcemente. «Oh,
perdonami, Lena. Dicevi?»
«Non
mi stavi ascoltando.»
La ragazza si sedette al suo
fianco, poggiando le mani in grembo. Che fosse risentita per la sua
mancata
attenzione -anche se lei era sempre stata presente nei pensieri-, Lena
non lo
dava a vedere, soprattutto perché sembrava serena mentre
ridacchiava,
prendendolo in giro. «Guarda
che lo capisco se mi trovi noiosa e saccente, a
volte penso di darmi fastidio da sola.»
«Non
è perché tu sia noiosa, Lena, assolutamente.
Anzi,
qualsiasi cosa tu dica io la troverei comunque affascinante e
interessante.» Per
qualche secondo Shin godete il rossore che le imporporava le guance,
prima di
spiegarle il motivo per cui si era tanto allontanato dalla
realtà. «Sai, a
palazzo la vita è divenuta frenetica, ed è
arrivato quel periodo dell'anno in
cui io devo aiutare lo zio nelle questioni politiche. E in particolare,
gli
servo per gestire i signori feudali che ancora gli sono un
po’ restii.»
«È
capitato che incorressi in qualche rivoltoso?»
Quanto la adorava quando si
dimostrava preoccupata per lui. «Qualche
volta, ma non sono un pericolo per me. Inoltre, a quanto pare, incuto
talmente
tanto timore che ci pensano due volte prima di dire qualcosa di
sbagliato.»
«Non
è proprio qualcosa di cui vantarsi, Shin.»
Lo prese in giro lei, dando un colpetto al suo ginocchio con il suo.
«Però
è utile. Le uniche persone su cui non ho effetto sono
mio zio, tuo padre e te.»
Shin si rifece la piccola coda dietro la testa, ma il
laccio gli sfuggiva dalla presa e quindi i lunghi capelli gli cadevano
sul
volto, fino a sfiorargli le spalle. Accidenti.
«Aspetta,
ci penso io.» Lena
gli si spostò dietro le
spalle, tendendo la mano per farsi dare l’elastico consunto.
la fece fare, e
gli piacque pensare di avere quella dita, che aveva potuto stringere
solo una
volta tra le sue mani, tra i capelli.
«A
proposito di tuo padre.»
Shin attirò la sua
attenzione. «Come
mai non è qui fuori, appollaiato come un avvoltoio, a
fissarmi mentre gli porto
via la sua bambina?»
«Perché
gliel’ho chiesto io.»
La confessione di lei, mentre era
ancora impegnata ad
acconciargli le lunghe ciocche scure, lo stupì, tanto da
voltare la testa di scatto
verso di lei. «Shin,
insomma! Oggi ti piace proprio spingermi a lasciare
le cose a metà!»
«Perché
glielo hai chiesto?»
Lui ignorò la presa in giro
un po' scocciata della ragazza, serio come non mai. «Insomma,
potrei rivelarmi un
pazzo che sfodera la katana non appena si arrabbia e potrebbe farti del
male,
eppure vuoi rischiare la tua incolumità comunque. Nessuna
ragazza lo farebbe
mai, Lena, è da pazzi.»
«Ma
io so che non mi faresti mai del male, Shin.»
La
giovane Milizé si era di nuovo spostata al suo fianco, ma
aveva abbassato la
testa, forse per l’imbarazzo dato dalla sua domanda. «So che sei un ragazzo
buono,
anche se so che devi dimostrarti forte e irreprensibile agli occhi di
quello
che diventerà il tuo popolo. E mio padre può non
fidarsi di te, ma di me sì, e
se gli dico che sono più che al sicuro con te, allora non
può fare altro che
starmi a sentire.»
Anche se il suo viso era nascosto tra i lunghi fili
d’argento quali erano i suoi capelli, Shin la vide diventare
ancora più rossa. «E
poi…»
«E
poi?»
«Volevo
stare un po' con te, noi due soli.»
Lena gli sorrise leggermente, sempre con quell’espressione
timida in volto. «Come
la sera in cui abbiamo guardato le costellazioni.»
Shin venne travolto da un fiume in
piena di sensazioni
diversi. Era come trovarsi sul ciglio di un burrone di cui non si
vedeva la
fine, il vento che soffia arrabbiato tra i capelli: lo stomaco si
svuotò
totalmente, fino a riempirsi di uno sfarfallio dirompente. Aveva
così tanta
voglia di approfittare di quel momento di intimità per
avvicinarsi a lei più
del dovuto, per toccare finalmente quel volto di porcellana. Per
scoprire di
cosa sapevano le sue labbra, se lo chiedeva da quella sera al castello
dello zio.
Per quanto Shin la rispettasse e
fosse onorato che lei
pensasse quelle cose, non poté frenarsi dallo scivolare
sulle assi di legno ed
alzare il viso di Lena con una mano, prendendole il mento. «Tu mi fai
impazzire.» le sussurrò, le labbra distanti di
qualche centimetro, ma abbastanza
vicine da sentire il suo fiato lieve sul volto. «Di tutti i
pericoli che ho corso
nella mia vita, come uomo e guerriero, tu sei quello che vale di
più il
rischio.»
«Il
rischio di cosa?» la voce della giovane si era ridotta ad un
sussurro strozzato, e Shin si chiedeva se fosse cosciente di quello che
stava
per succedere.
«Il
rischio che tuo padre mi trapassi con la sua katana, per
questo.»
E le loro
bocche si scontrarono in un bacio rovente.
Non
sapeva dire se fosse stato lui a sbilanciarsi per primo, o lei
ad andargli incontro. Solo quando fece proprio il respiro della
ragazza, il
giovane nipote dello shogun si rese conto di essersi appropriato del
suo primo
bacio- non quello a stampo, non quello innocente di due giovani sposi,
ma
quello di due amanti che si erano trattenuti troppo.
Shin
sapeva quanto Lena fosse innocente su quel fronte, al
contrario suo. Aveva avuto molte avventure, spesso durate un battito di
ciglia,
e sapeva come muoversi. Non si aspettava però che, quando
aprì la bocca per
approfondire il bacio, Lena facesse la stessa identica cosa. Il sapore
dolce e
vanigliato, forse quello di qualche dessert, gli invase la bocca, e,
sebbene
non amasse il sentore zuccherato dei dolci, quello che leccò
dal labbro
inferiore gonfio e rosso di Lena era diventato la sua nuova droga.
Si fusero
ancora più in profondità, i loro sapori mescolati
in
un’esplosione di sentimento. Le loro lingue si toccavano, si
accarezzavano, si
battevano per chi dovesse guidare quella danza sensuale, ed entrambi,
nel
momento in cui si allontanavano per riprendere un po' di fiato, si
resero conto
di essere sconquassati fin dentro l’anima.
«Per
Amaterasū.» sospirò lei, in estasi, mettendosi le
mani sulla
bocca. «Mi hai baciata.»
«A
quanto pare.» Shin non riusciva a smettere di sorridere tra
sé
e sé. Le rivolse un’occhiata divertita, mentre le
posava le mani sui fianchi. «È
stato così terribile?»
«Sai
benissimo di avere fin troppa esperienza, perché fosse
terribile come pensi.» borbottò lei, le braccia
incrociate al petto.
«Sei
gelosa.»
«Beh,
certo che lo sono.» Lena sbuffò, tutto ad un
tratto
risentita dalla sua affermazione. Anche da arrabbiata, era sempre
così bella,
con gli occhi lucidi e le guance arrossate. «Insomma,
chissà quali altre mani
femminili ti avranno toccato, quante volte hai vissuto per sapere come
muoverti, mentre io ho il timore di non riuscire a regalarti nemmeno un
bacio
memorabile.»
«E
qui sbagli, Vladilena.» lei era sorpresa del suo tono serio.
«Non
importa la vita che avevo prima di te, non contano le volte che sono
venute
prima di te. Sarò diretto, schietto e probabilmente
indecoroso, ma nessuna
emozione che io abbia mai sentito sulla pelle durante le notti di
passione
potrebbe competere con quello che mi fai provare quando mi sorridi. E
questo
bacio, Lena, è solo l’inizio di ciò che
ti voglio fare.»
«E
cosa mi vorresti fare?» Lena aveva la voce bassa e roca.
«Oh,
tante di quelle cose che non saprei da dove cominciare.» Shin
fece combaciare le loro fronti. «Ma non intendo forzarti la
mano. Abbiamo tutta
una vita, se mi permetterai di corteggiarti ufficialmente.»
Il
sorriso felice che le comparve in volto lo riempì di un
sentimento che gli ribolliva sottopelle. «Non potrei
desiderare niente di
meglio.» Lena gli indicò la porta. «Ma
non è me che devi convincere.»
«Non
sarà facile.»
«Basta
che gli prometti che ti prenderai cura di me, e vedrai che
cederà.»
Risero,
ed il loro pomeriggio -l’ultimo di Lena nella capitale- fu
pieno di risate,
primi baci rubati e tanti
momenti indimenticabili, tatuati nel loro cuore.
††††
Il
consiglio di Lena non fu necessario, alla fine.
Poco
prima di partire per tornare nel loro han, Shin aveva preso
da parte Vaclav per parlargli delle sue intenzioni nei confronti della
figlia,
ed inaspettatamente il capofamiglia si era rivelato un osso duro solo
per
nomea. A quanto pareva, avendo parlato sia con suo zio che con Lena, si
era
fatto un’idea su di lui e lo reputava adatto per corteggiare
la ragazza.
Shin
aveva salutato quest’ultima in privato, nella sua stanza,
dove l’aveva stretta a sé per dei minuti che
speravano entrambi fossero
interminabili. Si erano anche baciati a lungo, promettendosi di avviare
una
lunga e fitta corrispondenza, e Shin le disse che, dopo aver parlato
con suo
zio, sarebbe venuto immediatamente a trovarla.
La
guardò andare via, una mano intenta a salutarla, un sorriso
dolceamaro sul volto. Avere Lena nella capitale, viverla a tu per tu
dal vivo,
era una ragione più che valida per alzarsi di buonumore,
perché la sapeva
vicina a lui. La sapeva parte della sua quotidianità, e non
averla più creava
un vuoto impossibile da colmare.
Inaspettatamente,
per il resto della prima settimana che passò,
sentì in sottofondo la sua mancanza, mitigata
però dalle lettere che leggeva
nel suo talamo la sera dopo gli allenamenti privati con Theo e Raiden.
Gli
raccontava delle vecchie giornate che era tornata a vivere, in
compagnia di
Annette, Kurena ed Anju, e che, per sua sorpresa, aveva chiesto a suo
padre di
addestrarla militarmente. Quando aveva letto di queste sue intenzioni,
Shin non
era rimasto troppo sorpreso. A lui Lena non era mai sembrata debole a
livello
fisico, e ne avrebbe approfittato una volta che sarebbe andato da lei.
Shin
rispondeva con entusiasmo, raccontandole delle sue disavventure con i
suoi
amici e ammettendole che gli mancava averla attorno.
Quella
sera però, alla fine della seconda settimana di lontananza,
la lettera che gli era arrivata da Lena la lasciò giacere
sul tavolino al
centro delle sue stanze. Aveva aspettato fin troppo per parlare con suo
zio, e
quella sera lo avrebbe fatto.
Bussò
alle stanze private dello shogun, e Shin, in attesa, si mise
a posto lo yukata nero che gli lasciava il petto scoperto a
metà. La voce roca
e bassa del governatore gli diede il permesso di entrare, e quando Shin
varcò
la soglia, lo trovò seduto al suo tavolino privato, dove
stava analizzando dei
documenti.
«Oh,
Shin. Pensavo stessi dormendo.» lo salutò
così, facendogli
cenno di sedersi davanti a lui. «Di solito gli allenamenti
serali ti stendono.»
«Buonasera,
zio. Sono stanco ma necessito di parlarti.» una volta
a gambe incrociate, adagiato sul morbido cuscino, Shin si
guardò attorno. «Makoto-san?»
«Sta
dormendo, ultimamente riesce a riposare molto poco.» Tokugawa
mise da parte i fogli, provocando un fruscio insistente. «A
dire la vertà,
anche io avrei da dirti alcune cose, ed alcune riguardano proprio mia
moglie.»
Shin
attese che andasse avanti.
«Makoto
è incinta. E penso che renderò mio figlio mio
successore,
passandoti avanti in linea ereditaria.» suo zio era
dispiaciuto, glielo si
leggeva in volto. «So di averti già proclamato mio
erede davanti all’intera
nazione, ma capisci che…»
«In
realtà, zio, questa cosa non mi crea affatto nessun
problema.»
lo interruppe Shin. «Mi congratulo con te.»
«Come?
Davvero non ti interessa? Molti si sarebbero alterati, se
si vedessero rubata l’occasione di diventare lo shogun da un
bambino che non è
nemmeno formato.»
«Ma
io non sono come gli altri.» Shin stava per scoppiare a
ridere
davanti all’espressione stupefatta dello shogun. «E
no, perché si ricollega al
motivo per cui sono qui, ad impegnarti la serata.»
«E
sarebbe?»
«Lena.
Voglio dire, Vladilena Milizé.» si
schiarì la voce. «Ho
intenzione di corteggiarla ed eventualmente chiederle la mano. So che
proviene
da una famiglia ricca e a voi fedele, che è stata educata
perfettamente, ma non
voglio doverla costringere ad una vita a corte.»
«E
cosa avresti fatto se mia moglie non aspettasse nostro
figlio?»
A Shin
non servì neanche un secondo per pensarci. «Glielo
avrei
chiesto, e se lei si fosse rifiutata di diventare la moglie dello
shogun, beh…
l’avrei lasciata andare. Tengo troppo alla sua
felicità per obbligarla ad
essere infelice al mio fianco.»
«Ti
ha proprio invaso la testa, eh?» Tokugawa gli rivolse un
sorriso divertito e, in qualche modo, dolce.
«Molto.»
La
risposta era disinteressata, e non perché
l’argomento “Lena”
non gli importasse, anzi.
Ma i suoi
sensi gli stavano dicendo che qualcosa stava camminando
sulle loro teste, poggiando i propri piedi sulle grate. Fece segno allo
shogun di
fare silenzio, alzando le mano verso di lui.
Per un
attimo, il silenzio regnò sovrano nell’ambiente,
ma Shin sentiva
la cicatrice sul collo prudere, con una sensazione pessima addosso che
gli
faceva colare del sudore freddo lungo il collo. E fu grazie al sesto
senso che
ebbe che si allontanò dal tavolino, sguainando la katana
della famiglia Nouzen
che si portava sempre dietro verso la figura che aveva sfondato il
soffitto ed
era atterrato sul tavolino.
Lo
riconobbe, impossibile non farlo, data la vistosa chioma colore
dell’alba.
Il nuovo
arrivato, quel guerriero coperto da capo a piedi
dall’armatura
rossa e nera, gli rivolse un ghigno derisorio.
«Shin.»
E lui,
rispose, ringhiando. «Rei.»
[To be
continued…]