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Autore: BluCamelia    19/09/2023    1 recensioni
Anno 1994. Costretta a cambiare scuola per via della separazione dei genitori, Milly affronta il trasferimento con ironia, una certa ansia sociale e un pizzico di presunzione dovuta al suo passato di studentessa modello. Non sa che dovrà affrontare sfide che hanno ben poco a che fare con la media dell'otto.
Una delle sfide in particolare potrebbe rivelarsi troppo difficile per una liceale: il professor Vanini.
Non è una storia d'amore.
Genere: Drammatico, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Il che ci porta a considerare la coscienza nella sua possibile articolazione in livelli.”

Era l'unica riga utile del libro, una nuova uscita della facoltà di psicologia. Dopo quella frase cambiava argomento.

«Grazie prof! Concretamente che vuol dire che la coscienza è articolata in livelli?»

A parte quel libro le mie ricerche mi stavano portando in direzioni inattese. Una descrizione che ricordava vagamente quello che era successo a me l'avevo trovata persino nel Golem di Mayerink. Ecco, mi mancava solo di andare a finire nell'esoterismo! Avrò anche potuto paragonare Vanini a un vampiro, ma uno spettro dalla testa di ibis era davvero un po' troppo.

Era un pomeriggio con qualche avvisaglia di primavera e mi ero seduta a leggere nel giardinetto sotto casa. A quell'ora c'erano ancora mamme con bambini e vecchiette coi cani. Coppiette e tipi sinistri sarebbero arrivati più tardi.

Sollevai gli occhi dal libro e mi ritrovai di fronte una visione incredibile: mio padre si avvicinava con un mazzo di fiori in mano. Si guardava intorno con aria smarrita.

«Scusa, conosci per caso una ragazza della tua età che si chiama Milena? Sua madre ha detto che è venuta in questo pa...» mi riconobbe e spalancò gli occhi.

La mia prima reazione fu di rabbia. Era riuscito addirittura a dimenticarsi la mia faccia!

Poi capii che aveva le sue ragioni. Aveva lasciato una ragazza dal viso ovale, con lunghi capelli biondi, occhiali, jeans e scarpe da ginnastica, e si ritrovava una specie di mantide tutt’occhi, col naso rotto, i capelli neri sparati col gel, una gonna con inserti di pizzo che sembrava stracciata e stivali allacciati fino al ginocchio.

«Vedo che cambiare ambiente ti ha fatto bene» disse, in tono duro. Mi girò bruscamente i polsi per vedere il titolo del libro. Coscienza e cambiamento. Chissà cosa si aspettava. Tutto sulla droga. O Histoire d'O.

«Grazie dei fiori. E' un'offerta di pace?»

«È solo per te, non per tua madre. Tra due settimane è il tuo compleanno ma sarò in viaggio per affari, così ho pensato di farti una sorpresa per farmi perdonare per l'anno scorso.»

«Grazie.» Ero davvero commossa. Mio padre non chiedeva scusa quasi mai, era troppo arrogante. «Mi piacerebbe se salissi a casa a prendessimo qualcosa tutti insieme, ma se non vuoi vedere mamma non voglio insistere. Andiamo al bar?»

Lui sprizzava rabbia da tutti i pori. «No, invece mi va benissimo salire e fare due chiacchiere con lei.»

Capii che si era messo in testa che mi fosse successo qualcosa, forse che mi fossi invischiata in cattive compagnie, e ne riteneva responsabile la scarsa sorveglianza di mia madre. Cercai di spiegargli che non era successo niente del genere, ma era come recitare una poesia durante un uragano. Mia madre a sua volta non gradì l'accusa di fregarsene e non sorvegliarmi abbastanza, anche perché aveva sopportato tutto da sola, droga, bullismo, naso rotto ecc. e rispose a tono. E così la festa anticipata per il mio compleanno andò a finire con una litigata talmente furiosa che quasi  quella sulla donna nuda in cucina scompariva. Dopo un'ora di urla mi arresi e uscii.

Quando dal parco vidi mio padre che usciva dal palazzo rientrai, ed andai ad abbracciare mia madre che piangeva.

«Mi... mi dispiace» disse.

«Come se fosse colpa tua, ci mancherebbe altro!»

«No, non capisci... si è preso il tuo diario. Gli ho detto che non ne aveva il diritto, ma mi ha risposto che sei cambiata tantissimo, che solo una stupida come me poteva non accorgersene e che aveva il diritto di sapere cosa stava succedendo a sua figlia.»

«Il diario?» L'idea di mio padre che entrava in camera mia, frugava nei cassetti e si portava via il mio diario segreto aveva un che di ridicolo. Soprattutto considerando che si aspettava sicuramente qualche torbida storia di droga e sesso e invece si sarebbe trovato davanti tutte quelle stronzate su Flatlandia e la quarta dimensione. Non potei fare a meno di ridere. Mi dispiaceva che si fosse preoccupato fino a quel punto, ma avevo provato a spiegargli tutto e non mi aveva ascoltato. Almeno il diario l'avrebbe convinto!

«Davvero non sei arrabbiata?»

«Be' un diario segreto dovrebbe essere privato, ma sai com'è... credo che si annoierà. E' molto filosofico!»

Mia madre mi capì all'istante perché conosceva bene il mio lato “filosofico”. Probabilmente le era anche venuto il dubbio che ci fosse qualcosa di vero nelle preoccupazioni di papà e sapere che il contenuto del mio diario era noioso l'aveva rassicurata. Finimmo per ridere insieme.

Che storia... avevo cambiato testa, avevo cambiato faccia, avevo anche cambiato famiglia perché mio padre si era dileguato e invece mi ritrovavo questa specie di vampiro master. Ero ancora me stessa o ero diventata un'altra persona? Mi vedevo nei panni di Alice: “Vede, signore, io non sono io...” Quando ti vengono dubbi esistenziali di questa portata c'è una sola soluzione: devi fare quello che ti fa sentire veramente te stessa.

«Vai, Grendel, tesoro!»  

*

Le avvisaglie di primavera si rivelarono solo l'ennesima fregatura. Avevo deciso di mandare le mie preoccupazioni al diavolo e di rilassarmi facendomi carina e andando per negozi in centro, ma il mio abbigliamento inadatto stava rovinando tutto. Avevo osato una gonna a pieghe a mezza coscia con le parigine, e mi stavo congelando. Alzai il colletto della mia giacca militare. Per fortuna i capelli erano un po' ricresciuti e mi riparavano il collo.

Mi specchiai in una vetrina. Niente di più sexy di una ragazza col mento affondato nel colletto e il cappello calato fino alle sopracciglia. E poi i miei disturbi mentali stavano peggiorando: c'era un tizio riflesso dietro di me e il mio cervello ci aveva incollato sopra la faccia di Vanini.

«Barbier!»

«Prof!» Mi girai. Capii perché avevo pensato che fosse un'illusione. Indossava un soprabito scuro lungo fino alle caviglie, che non gli avevo mai visto, e quello che spuntava di camicia, pantaloni e scarpe era molto più elegante del solito. In qualche modo quell'abbigliamento gli era più consono. Non sembrava più un tipo eccentrico ma un uomo distinto e attraente, anche se non proprio bello. Ma perché si era vestito così? Pensai che forse aveva un appuntamento con Desirée e mi venne da vomitare. «Dove va di bello?»

«Volevo solo prendere un po' d'aria, ero stufo di stare a casa. Tu stavi andando da qualche parte? Possiamo fare due passi insieme.»

Dunque quello era il suo modo normale di vestirsi. Forse quando veniva a scuola si vestiva in modo più semplice per mimetizzarsi. Se era così ci riusciva in pieno: come una fenice in un pollaio.

Si accese una sigaretta ma non prese la sua solita espressione concentrata, anzi, aveva quell'aria rilassata che a scuola gli si vedeva di rado. Questo mi diede l'impressione che in quel momento mi vedesse come un'amica e non come un'alunna, e mi sentii stranamente tranquilla e beata. Non avevo più freddo. La serata improvvisamente mi sembrava perfetta.

«Sei diventata molto graziosa.»

Be', questo non me l'aspettavo. «Qualcuno ha detto che sembro un gay uscito da un lager o qualcosa del genere.»

Vanini inarcò le sopracciglia, mentre si accendeva un'altra sigaretta. «Chiunque te l'abbia detto non ne capisce molto di donne.»

Certo non come uno che esce con Desirée. «Non ha neanche tutti i torti, sono troppo magra e ho il naso rotto».

«Due cose a cui si può rimediare facilmente, anche se il naso è un po' seccante.» Sorrise inclinando gli occhi.

«Non credo che me lo aggiusterò, mi sentirei stupida.» Me lo toccai. Non era diventato un naso da pugile, aveva una gobbetta ed era appena storto. Mi venne da pensare che avevo spesso studiato le potenzialità estetiche dei miei occhi e della mia bocca ma non avevo mai apprezzato il mio naso dritto.

«Non è che ti stai facendo due tette sesta misura, è comprensibile aggiustarsi un naso rotto. Tra l'altro potresti avere anche problemi di respirazione.»

«Il problema non è che mi vergogno. Ma quando uno sta facendo una cosa importante non si ferma a guardare le cicatrici.» Ero indecisa se andare avanti col discorso. Non volevo sembrare pomposa, ma del resto, se non mi capiva lui... «Se è una cosa molto importante può darsi addirittura che gli faccia piacere tenersi un segno. Se l'immagina un cavaliere alla ricerca del Graal che si prende un colpo di lancia in faccia e appena tornato a casa corre dal chirurgo estetico?»

«Barbier, cosa mi dici mai!» Sobbalzai. L'aveva detto in tono espressivo e realmente sorpreso. «Non avrei mai pensato che nella nostra scuola ci fosse qualcosa o qualcuno che una persona come te potesse considerare il santo Graal. In che sezione è il fortunato?»

Ma che... davvero pensava che stessi parlando di qualche brufoloso di cui mi ero innamorata? Alla faccia dei suoi discorsi! “Questa scuola può darti molto...” “Quando si hanno le potenzialità per qualcosa di grande...”

«Oh oh, scusa, non volevo essere indiscreto.» Fraintendimento totale della mia occhiata assassina. «Ma sta nevicando?» In effetti sul nero del cappotto e dei suoi capelli stavano comparendo dei puntini bianchi.

«Benvenuta primavera!»

*

«Dobbiamo parlare» disse mio padre sbattendo il mio diario sul tavolo della cucina. Al ritorno del suo viaggio d'affari di due settimane si era precipitato dritto da me.

Lo fissai senza rispondere. Alla fine mi chiese: «Che c'è?»

«“Scusa se ho letto il tuo diario segreto, Milly!”»

«Capirai bene che l'ho fatto solo per te. O no?» chiese, spazientito. «Allora, chi cazzo è questo Vanini e come si permette di decidere che scuola deve frequentare mia figlia? Lasciando perdere il pezzo dove l'ha convinta a furia di ferormoni, che gli spacco la faccia!»

Aveva trovato il punto interessante in mezzo a tutte le divagazioni teoriche. Arrossii. Il riassunto di mio padre non suonava molto bene, ma purtroppo era esatto. «Se fossi venuto almeno una volta ai colloqui coi professori lo conosceresti.»

«Stai tranquilla che ho intenzione di conoscerlo» ringhiò.

Ci mancava solo quello, mio padre al ricevimento in versione bomba testosteronica, e Vanini che se lo studiava calmo e aristocratico come sempre.

«Oh? E cosa gli dirai? Non è vietato dire a una studentessa “sei molto brava e se te ne vai mi dispiace.”»

«Sai perché se un professore tocca il sedere a un'alunna lo licenziano? Non è perché se tocchi il sedere a una ragazza quella muore... »

«Eh già, lo sai per esperienza!»

 «...gli insegnanti hanno dei doveri, non si devono approfittare di adolescenti influenzabili per farsi i cazzi loro. Questo Vanini ha approfittato del suo ascendente su di te. Per quanto mi riguarda è come se ti avesse toccato il sedere.»

Ecco da chi avevo preso la mia attitudine al ragionamento filosofico.

«Non hai nessuna prova che abbia ‘usato il suo ascendente’. Ti dirà che mi sono inventata tutto.»

Peggio, non l’avrebbe detto, l’avrebbe insinuato con compatimento, ma le sfumature non erano il punto forte di mio padre.

«L’ho letto sul tuo diario. Che senso ha scrivere balle sul diario segreto?» Distolsi lo sguardo. «Ah, vuoi dire come una specie di fantasia erotica?» Continuai a fissare un punto al di sopra della spalla di mio padre, sentendo le guance che diventavano sempre più calde. Non avrei mai creduto che la scala dell’umiliazione avesse tanti gradini. «Però dici che vi ha visto la professoressa di disegno.»

Come no, la Colombo che testimoniava contro Vanini.

«Su di lei non ci conterei proprio!»

«Vabbè, ho capito, questo diario non ci serve a un cazzo.» Si alzò e cominciò a camminare su e giù con aria pensierosa. «Mi sono informato su questo Vanini: viene da una famiglia importante è lui è una specie di filosofo dilettante che insegna per hobby. Nessun aggancio col mondo degli affari.»

Perché, voleva ridurlo sul lastrico per dargli una lezione? Ma almeno si spiegava come Vanini potesse frequentare Desirée.

Sentimmo la chiave che girava nella serratura e vedendo gli occhi di mio padre che lampeggiavano gli dissi: «Non ti sarai arrabbiato con la mamma, eh? Lei in questo che c'entra?»

«C'entra perché...» alzò la voce proprio mentre mia madre entrava in cucina «...ha un problema che riguarda sua figlia e chiede aiuto al primo stronzo che passa!»

«Chissà perché non ho chiesto aiuto al padre di mia figlia!» urlò lei. «Ma chissà perché!»

Mi venne in mente che mia madre non aveva idea del fatto che Vanini le avesse promesso di aiutarci e poi avesse fatto esattamente il contrario. Quella conversazione sarebbe stata dannatamente sgradevole.

*

Parlando della scala dell’umiliazione, un giorno, mentre eravamo in classe con Vanini, entrò una ragazza che non conoscevo, una bionda carina. L'aria stantia del nostro buco sembrò illuminarsi di una luce soffusa color rosa confetto. Vanini le scoccò il sorriso meno inquietante del suo repertorio e le fece qualche domanda sull'università (filosofia, naturalmente). Una ex alunna molto affezionata che era tornata al liceo a trovare il suo prof preferito.

«Mi ricordo ancora quella relazione sul Risorgimento, veramente, una delle migliori che abbia mai visto...»

La ragazza sorrise modestamente, con gli occhi luminosi come due stelline.

«…anzi, perché non me la vai a prendere? Mi sono venute in mente delle nuove idee sull'argomento e nella tua relazione c'erano molti spunti. In sala professori, nel mio cassetto. Prendi tutte quelle che ci sono, se no ci metti due ore a trovarla.» Le diede le chiavi del cassetto. La ragazza corse via, entusiasta.

Io ero troppo impegnata a vomitare mentalmente per capire bene cosa stesse succedendo. Dio, dovevo avere anch'io quella disgustosa espressione adorante quando stavo intorno a Vanini! Chissà se quando entravo in classe e c'era lui l'aria diventava rosa...

La bionda tornò con un fascio di fogli voluminoso.

«Ecco la mia, professore, l'ho trovata subito!»

«Grazie!» Vanini aumentò i megawatt del sorriso e prese il foglio. «Visto che ci sei, mi separi quelle dove dietro c'è scritto VC da quelle della VB?»

Se Vanini aveva alzato i megawatt del sorriso, la ragazza abbassò istantaneamente i megawatt dell'adorazione. «E se li mettessi in ordine alfabetico, separando le tre classi, saresti veramente gentilissima!»

La ragazza cominciò il lavoro, tra l'altro in piedi perché non c'erano banchi in più. Aveva un'espressione perplessa, come se non avesse capito bene come si era ritrovata con un lavoro palloso che non era certo di sua competenza. In classe si cominciavano a sentire risatine. A me non faceva ridere proprio per niente. La tirata di mio padre sul fatto di toccare il sedere alle alunne mi sembrava più che mai azzeccata.

Federico stava guardando Vanini con quel misto di invidia e compiacimento di un maschio che vede un altro maschio fregare una donna. Gli mollai una gomitata nelle costole, più forte che potevo.

«Ma che ti prende! Sei gelosa? E io cosa c'entro?»

«Gelosa, no, caro, il mio rapporto con Vanini è unico. Cosa vuoi che siano cinque minuti di lavoro in confronto a sette chili di peso e un naso rotto!»

«Non te l’ha mica rotto lui il naso...»

Dopo una decina di minuti finì l'ora e Vanini concesse alla bionda il premio di consolazione di un caffè alle macchinette.

«Vecchio maiale» disse Federico, sempre grondando invidia.

«Te l'ho detto che era uno stronzo» disse Noemi, che, come succedeva spesso negli intervalli tra un'ora e l'altra, si stava rinfrescando il trucco.

«No, non l'hai detto. Quando l'avresti detto?»

«Quando ho parlato del fatto che a Milly piacciono gli stronzi.» In realtà non aveva fatto il nome di Vanini, solo di Zanetti. «Dovresti sentire le storie che mi ha raccontato una mia amica del Newton!»

«E che ne sa la tua amica?» intervenni io. Ormai ero pronta a tutto, anche a sentirmi dire che era l'amante di Vanini.

Veramente no, non proprio a tutto.

Noemi mi guardò come se fossi ritardata. «Che ne sa... è il suo professore di filosofia!»

«Il Newton è un liceo scientifico, Vanini insegna solo qui e in un liceo classico.»

«E chi te l'ha detto?»

«Me l'ha detto lui. Lo saprà, no?»

«Allora ti ha detto una stronzata, e non chiedermi a cosa gli serviva una balla così idiota. Vanini insegna qui e al Newton. Se non ci credi chiedi pure in giro. Lo sanno tutti.»

Mi alzai di scatto, rovesciando la sedia, e corsi in bagno.

Noemi mi trovò che vomitavo inginocchiata davanti al water e mi tenne i capelli. La guardai con gratitudine, non me lo sarei aspettata da lei.

«Sei incinta?» mi chiese, con gli occhi scintillanti.

Le mollai uno schiaffo.

Mi sciacquai la bocca e tornai in classe. Be', colpa mia che facevo amicizia solo coi maschi. Alberto e Federico avevano una faccia preoccupata, ma non potevano seguirmi in bagno.

Appena arrivò la Guida le dissi: «Professoressa, mi sento male, vorrei andare a casa.» Lei mi guardò in faccia e acconsentì subito.

Quando arrivai a casa per fortuna mia madre non c'era. Andai in camera mia e mi buttai sul letto.

Dunque avrei potuto trasferirmi al Newton ma il signore non voleva e si era inventato quella stronzata sul liceo classico! Ma perché? Non mi aveva trattenuto perché mi voleva come alunna, avrebbe potuto avermi come alunna anche al Newton. Risposta tristissima ed evidente: non voleva che  quello schifo di classe già decimata da bocciature e trasferimenti perdesse anche una delle studentesse migliori. Ma a Vanini della scuola non importava un cazzo, lo vedevano tutti, meno che mai poteva importargliene di una classe che tra un anno sarebbe caduta nell'oblio. Quindi, per sacrificarmi sull'altare della classe, quanto gliene fregava di me? Meno di un cazzo?

Avrei preso un chiodo e scritto tutto quello che pensavo di lui sulla carrozzeria di quella merdosa Audi verde. Avrei chiesto a mio padre di pagare qualcuno per massacrarlo di botte. Avrei...

Mia madre mi trovò accovacciata ai piedi del letto che mi tiravo i capelli come una pazza.

Il giorno dopo chiesi a Vanini se davvero insegnasse al Newton. Non che avessi dubbi, ma volevo sapere se si ricordava di avermi mentito. Lui rispose tranquillamente di sì, un po' perplesso. Non si ricordava.


   
 
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