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Autore: Rumyantsev    19/09/2023    2 recensioni
Mentre Aziraphale è in Paradiso, intento a svolgere un incarico in apparenza fondamentale, Crowley subisce un attacco da parte di un essere misterioso e scompare dal creato. A questo punto, ad Aziraphale non resterà altro da fare se non tornare sulla Terra per cercarlo...
Genere: Angst, Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Aziraphale/Azraphel, Crowley, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Ho inserito nelle note finali un avviso su i contenuti di questo capitolo da consultare per chi avesse esigenze particolari. Si tratta di un spoiler molto grande della fanfiction quindi, se non siete particolarmente sensibili, io sconsiglierei di andarlo a leggere prima di aver terminato il capitolo. 
 
 
2. LA BESTIA CRUDELE
 
 
Crowley riapparve direttamente nell’ufficio di Furfur. Il primo istinto durante il volo era stato quello di raggiungere Aziraphale, ma due pensieri si erano ricorsi velocissimi nella sua mente: il primo era che, se il suo assalitore lo stava inseguendo, avrebbe messo in pericolo l’angelo, e il secondo fu la barriera contro i demoni che gli avrebbe impedito di raggiungere il Paradiso in quella maniera. Solo ora, con i piedi di nuovo per terra, si accorse che forse il suo primo pensiero sarebbe dovuto essere che Aziraphale lo aveva rifiutato già una volta, quindi perché non poteva farlo una seconda?
Con amarezza, si passò le mani tra i capelli per sistemarli un po’ e si scosse la ghiaia dalla giacca.
«Ma allora?!», Furfur lo guardava, seduto alla sua scrivania, con un sopracciglio alzato e una piuma tra le dita, mentre sbrigava le infinite pratiche infernali impilate davanti a lui. «Sei stato esiliato, Crowley. Come ti salta in mente di presentarti qui?!».
All’Inferno era sempre tutto buio e in ogni luogo c’era odore di bruciato e un vago sentore d’aglio, come nelle case delle persone anziane. Crowley arricciò il naso. Gli era sempre spiacevole trovarsi lì, ma era giusto. L’Inferno era progettato per essere disgustoso.
«Sono solo di passaggio», gli spiegò. L’adrenalina non gli era ancora scesa. Sapeva che chi aveva cercato di ucciderlo non avrebbe mai potuto raggiungerlo laggiù, ma la paura era stata così tanta che ancora aveva l’istinto di guardarsi attorno. «Ho bisogno di un declassamento», annunciò.
«Sei stato esiliato», ripeté Furfur, sottolineando la parola con un gesto eloquente delle mani, con il tono di chi parla a un idiota, «Non credo possa andarti peggio di così».
Crowley voleva rispondere e invece ma si trattenne. Voleva una cosa ben precisa e la voleva subito, prima che qualche altro demone si accorgesse della sua presenza lì e avvisasse qualche pezzo grosso.
«Senti, ti offro qualcosa di davvero, davvero interessante se fai quello che ti dico», rispose. Era consapevole di non essere mai stato particolarmente simpatico a Furfur, come a tutti gli altri demoni in realtà. Avevano sempre pensato, Crowley l’aveva capito, che fosse un tipo strano e anche fastidioso. Molti erano gelosi della posizione che aveva ottenuto sulla Terra e di come era stato tenuto in gran conto dai capi, e godevano della sua destituzione. Furfur poteva essere uno di questi e mettersi nelle sue mani era pericoloso, soprattutto alla luce di ciò che stava per chiedergli, ma non c’era assolutamente nessun altro modo rapido per mettersi al sicuro dalla minaccia che lo stava seguendo. Sentiva di avere le ore, addirittura i minuti contati e doveva agire in fretta.
«E cioè?», chiese Furfur.
«Cioè», disse Crowley, «Non mi vedrai mai più».
 
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La strega Nunet li aveva condotti ad una delle innumerevoli stanze della sua tana. Aveva acceso una candela e li aveva guidati all’interno. Si trattava di un angusto spazio cieco, circolare e scavato direttamente nella roccia, dove c’era a malapena spazio per fare quattro passi. Quando si fu chiusa la porta alle spalle, Nunet fece segno ad Aziraphale, Muriel e Olive di addossarsi alla parete il più possibile per farle spazio. Dopodiché si inginocchiò, l’ampio abito adagiato tutt’attorno a lei in un milione di piegoline che catturavano i riflessi della candela. Con un lungo artiglio tracciò un cerchio sul pavimento e la roccia sembrò cedere, aprendosi. Quel buco fu presto spontaneamente riempito di un liquido denso e nero, essudato dalla roccia stessa, che gettava bagliori verdastri sulle pareti della grotta. Olive, con la mano stretta in quelle di Muriel e Aziraphale, emise un piccolo sospiro di sorpresa, appena trattenuto. Muriel si coprì la bocca con la mano libera per non fare lo stesso errore.
La strega appoggiò a terra la candela e prese invece gli occhiali di Crowley, tenendoli sospesi sopra il cerchio.
«Tenani lehitqarev le'Olam haAtzilut», cantilenò per cinque volte. La sostanza mutò da nera a bianca, illuminando a giorno e con sfumature dorate le pareti irregolari della grotta. Aziraphale notò come le sue due compagne osservavano con meraviglia quello che a loro doveva essere parso un assoluto prodigio. Le streghe avevano un modo di praticare la magia molto spettacolare, e lui non poteva fare a meno di invidiarle un po'.
Infine, Nunet strinse con forza gli occhiali di Crowley tra le mani e questi si sbriciolarono, facendo cadere la polvere nel liquido sottostante.
«Metza oto», ordinò, e immerse le mani nel buco. Il liquido attorno ai suoi polsi si tinse di rosso con luminose sfumature violacee. La strega rovesciò la testa all’indietro, in un turbinio di capelli neri. Fu attraversata da un lungo brivido, con gli occhi chiusi puntati al soffitto.
Olive strinse la mano di Aziraphale ancora più forte.
La strega, dopo un tempo che parve infinito, aprì gli occhi e li puntò su Aziraphale.
«Oh», disse, sul viso un’espressione allucinata, «Questo non ti piacerà, Arcangelo». Non appena ebbe estratto le mani dal liquido rosso, questo si ritirò, lasciando la stanza nuovamente nel buio, rotto solo dalle deboli emanazioni della fiamma palpitante della candela. Il buco nel pavimento si richiuse come una ferita che si rimargina e la strega si alzò. Senza aggiungere altro, uscì dalla stanza. Aziraphale lasciò la mano di Olive per raggiungerla, seguendola quasi di corsa. Le sue parole ambigue lo avevano lasciato preda di una angoscia soverchiante. Temeva che avesse visto Crowley ferito, o peggio… ma non riusciva neanche a pensarlo!
«Cosa hai visto?!», le afferrò una spalla per costringerla a voltarsi. Erano tornati nella sala del lampadario, e il suo urlo rimbalzò sul marmo producendo un’eco breve. Dietro di sé sentì i passi concitati di Muriel e Olive che li raggiungevano.
«Non è morto», disse lei, come se gli avesse letto nel pensiero. «Ma non è neanche vivo».
«Cosa intendi dire, parla chiaro!», si innervosì Aziraphale.
«Il motivo per cui non può essere trovato nel creato è che non ne fa più parte», rispose Nunet, non meno enigmatica di prima.
«Come sarebbe a dire? Tutto ciò che esiste è parte del creato!», protestò lui.
«Ma lui ha subito un mutamento che non era concepibile. È scivolato fuori dal creato ed ora è qualcos’altro», disse lei.
«Cioè che cosa?», si intromise Muriel, meravigliata.
«Qualcosa che non sarebbe mai dovuto essere: un umano».
Aziraphale sgranò gli occhi, sconvolto, Muriel emise una specie di strillo e si portò le mani sulle guance, in stato di choc. Olive aggrottò le sopracciglia: «Cosa c’è di strano nell’essere umani?», domandò, perplessa da quelle reazioni così esagerate.
«Crowley è un demone», le disse Muriel, troppo distratta per ricordarsi che non doveva rivelare certe cose alla bambina, «Non può diventare un umano! Non esiste un modo per farlo!».
Nunet scosse la testa. «Oh, esiste», disse, «Ma nessuno mai l’ha tentato prima».
Aziraphale non sapeva cosa pensare. Crowley amava gli umani, lo sapeva, ma non credeva li amasse tanto da voler diventare uno di loro. No… Crowley non aveva mai manifestato quel desiderio: voleva vivere nelle zone grigie tra Inferno e Paradiso, voleva la libertà di agire e muoversi come gli andava, voleva i piaceri della vita senza i doveri e le costrizioni. Non si sarebbe mai legato di sua sponte alla zavorra di un corpo mortale. Doveva essere stato in pericolo, o costretto da qualcun altro, non c’era altra spiegazione.
«Dove si trova?», chiese a Nunet, sentendo nascere in sé una nuova determinazione.
«Dove è sempre stato: a Londra», e gli spiegò dove andare per raggiungerlo.
Aziraphale annuì. «Io vado a cercarlo», annunciò.
«Azi, veniamo con te!», disse Olive, venendogli incontro. Tutte quelle rivelazioni e l’avventura magica che stava vivendo l’avevano sconvolta. Si sentiva smarrita e non voleva che Aziraphale la lasciasse indietro.
Quel desiderio del suo cuore arrivò forte e chiaro ad Aziraphale, che si addolcì. Le carezzò la testa bionda con affetto. «Direi che la tua scorribanda è durata abbastanza, cara», le disse, sorridendole teneramente, «I tuoi genitori ti aspettano a casa. Muriel ti accompagnerà a lì», poi, rivolto a Muriel: «Dopo tu andrai al negozio e ci resterai finché non mi vedrai tornare. Non farai niente e non contatterai nessuno fino a mio nuovo ordine, intesi?».
Muriel, come Olive, non aveva alcuna voglia di lasciarlo andar via da solo, ma al tono perentorio dell’Arcangelo Supremo scattò sull’attenti in automatico. «Sì, signore!», esclamò.
«Quanto a te», Aziraphale si rivolse alla strega, «Pagherò il tuo pegno quando lo chiederai. Sai bene come trovarmi».
Prima che una delle tre potesse rispondere, Aziraphale era già scomparso.
 
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Aziraphale era arrivato dove la strega gli aveva detto. Si trattava di una palestra all'interno di un edificio scolastico riadattato in una struttura per accogliere senzatetto. Si era materializzato in un vicolo appartato e aveva raggiunto l’edificio a piedi, per non destare l’attenzione degli umani che affollavano i marciapiedi. Era entrato nella palestra attraverso una porta a vetri, trovandosi in un'anticamera dalle pareti bianche. Dietro a un bancone stava seduto un signore di mezza età con una camicia a quadri rossi e un paio di baffoni grigi. «Posso aiutarla?», l’aveva guardato da capo a piedi, rendendosi conto che Aziraphale decisamente non era un tipo che sarebbe venuto in quel posto per chiedere ospitalità.
«Sto cercando un uomo», gli spiegò Aziraphale, avvicinandosi fino a poggiare i gomiti sul bancone, «Alto così, capelli rossi, sicuramente vestito di nero e molto magro».
«Ah», disse l’uomo, con un’aria di comprensione, «Ce l’hanno portato poco fa, stavamo per chiamare la polizia».
Aziraphale si allarmò: «Ha fatto qualcosa di male?», chiese.
«No, lui niente, ma sembra che qualcuno l’abbia fatta a lui», rispose l’uomo, prima di interrompersi e guardare Aziraphale con sospetto. «Lei è un parente? Ha un documento?».
Aziraphale con un miracolo fece comparire un documento nella tasca del suo panciotto e glielo passò. «Sono un parente, sì. Vorrei vederlo», disse, cercando di non tradire la propria impazienza.
L’uomo sembrò convinto dal documento e glielo rese. «Il fatto è che dovremmo proprio chiamare la polizia, signor Fell», sembrò sinceramente dispiaciuto. Aziraphale lesse in lui preoccupazione e sconcerto.
«La chiamerò io stesso, però mi consenta di vederlo», lo rassicurò con un tono pacato che era molto convincente e riscuoteva spesso successo quando trattava con gli esseri umani, tranne che con Olive.
L’uomo annuì e gli fece strada. «Abbiamo una piccola infermeria, ma il medico non è ancora arrivato, e comunque dubito possa fare molto per lui. Che psicofarmaci prende?», chiese mentre camminavano tra le file di letti nella palestra, protetti alla vista da tendine bianche, alcune chiuse. L'ambiente era ben riscaldato e illuminato, e c'erano uomini seduti sui letti intenti a chiacchierare tra loro o a riposare. Qualcuno mangiava.
«Psicofarmaci?», si stupì Aziraphale.
L’uomo gli gettò una strana occhiata: «Non ne capisco molto, eh, ma mi sembra proprio preda di un delirio psicotico». Nel frattempo avevano raggiunto la porta dell’infermeria e l’uomo l’aprì.
Era una stanza piccola, tutta suoi toni del bianco e del celeste, con una scrivania e un lettino. La prima cosa che Aziraphale notò furono le due persone che, in piedi, gli bloccavano parzialmente la vista del letto. Erano un uomo barbuto e una donna tarchiata. Parlottavano tra loro, ma non appena notarono il loro ingresso, si voltarono a guardare Aziraphale e l'uomo che entrava.
«Ѐ un parente», spiegò loro l’accompagnatore di Aziraphale, «Signor Fell, questa è la mia collaboratrice Kate, e questo è Bill. È stato lui a portarcelo».
«L’ho trovato seduto a terra davanti a un supermercato qua vicino», raccontò Bill, «Ho pensato che stesse chiedendo l’elemosina ma non mi sembrava molto centrato». Accompagnò quelle parole disegnando un cerchio nell’aria con un dito, all’altezza della propria tempia.
Come Aziraphale ebbe emesso la prima sillaba per ringraziare i tre e presentarsi, si udì un urlo e lo scricchiolare delle molle del materasso.
Aziraphale vide allora la figura che si era messa a sedere sul lettino. Gli dava le spalle, ma riconobbe il rosso dei suoi capelli e l’aspetto della sua nuca. In verità, lo avrebbe riconosciuto anche solo dal dito mignolo.
«Cos’è questo chiasso!», disse la voce di Crowley, nella sua tipica qualità bassa e arrochita. Aziraphale si sentì il cuore impazzire nel petto.
«Oh caro», sussurrò, ignorando l’apprensione che emanava dalle altre persone nella stanza. Si diresse rapidamente verso il letto, lo aggirò e si trovò finalmente di nuovo faccia a faccia con il suo demone.
Era il viso di sempre, con quell’ombra di barba sulla mascella, le rughe di espressione attorno alla bocca e sulla fronte e l’arco morbido delle sopracciglia nere aggrottato in atteggiamento burbero. Un viso che Aziraphale ricordava a memoria, ma con una nota stonata. Il tatuaggio del serpente sotto all’orecchio era scomparso e i suoi occhi, i suoi bellissimi occhi da rettile che Aziraphale aveva immaginato così spesso di rivedere da quando si erano lasciati, erano castani. Semplici occhi umani con la pupilla rotonda al centro, e lo stavano guardando.
«Ah», si lamentò seccamente Crowley, come se fosse irritato, «Vattene».
Aziraphale non sapeva cosa aspettarsi da quell’incontro, né aveva avuto abbastanza tempo per immaginarselo, ma quella reazione lo colpì nel profondo. Si sentì come se Crowley gli avesse tirato uno schiaffo. Si portò una mano alla bocca per trattenere un gemito mentre gli occhi gli si riempivano di lacrime. «Caro», disse, «Ti scongiuro, non mandarmi via».
Crowley scosse la testa. Con uno slancio si mise in piedi e lo raggiunse, stringendogli le spalle con le mani e scuotendolo. «Se tu sei qua sarà qua anche lui», disse con urgenza.
«Lui chi? Di chi parli?», domandò Aziraphale, sconvolto dalla sua vicinanza. Si sentiva preda di un’emozione travolgente che gli rendeva difficile coordinare i pensieri, ora che Crowley era di nuovo con lui.
Crowley fece un verso di frustrazione e si passò freneticamente le mani tra i capelli. Solo in quel momento Aziraphale registrò quanto fosse scompigliato e sporco. La sua giacca era impolverata e i suoi jeans erano macchiati di terra, mentre gli stivali erano graffiati sulle punte. Aziraphale non riuscì a trattenersi e gli mise le mani sul petto magro per spazzare via un po’ di polvere, ma soprattutto per toccarlo e basta. «Oh dimmi chi è stato», gemette, «Chi ti ha fatto questo? Ti proteggerò io da adesso in poi», cercava di rassicurarlo, accarezzandolo.
Crowley si scansò da Aziraphale con un grugnito, continuando a tormentarsi i capelli con le mani. «Non dovresti essere qui», ripeteva tra sé.
«Chiamo un’ambulanza», si intromise la donna di nome Kate, rivolta ad Aziraphale, «Sembra che suo marito stia avendo un attacco di panico».
«No lui-», Aziraphale si interruppe, incerto su come rispondere. Forse un’ambulanza non era una cattiva idea, ora che Crowley era umano. Poteva essersi ammalato, aver battuto la testa... Non sapeva cosa fare e fu colto da un senso di ansia inarrestabile. Di questo passo l’ambulanza avrebbero dovuto chiamarla per lui, pensò.
«Sparisci», gli sibilò contro Crowley, «Subito», e lo spintonò. Aziraphale barcollò un po’ e dovette appoggiarsi a un armadietto per ritrovare l’equilibrio. Crowley sembrava disperato, ma Aziraphale era troppo ferito dalle sue parole per leggere l’urgenza dei suoi gesti e nella sua voce. Non fece nient’altro che scoppiare a piangere.
Gli altri umani, fino ad allora spettatori passivi, pensarono di intervenire temendo che Crowley potesse diventare ancora più violento. Ogni azione fu troncata sul nascere quando dalla palestra giunsero una serie di grida, passi di corsa e un clangore metallico in avvicinamento.
«Cazzo!», ringhiò Crowley, prendendo a camminare avanti e indietro nella stanza.
Il signore che aveva accompagnato Aziraphale corse alla porta e la spalancò. Fuori era il caos. C’erano uomini che correvano in tutte le direzioni mentre una gigantesca figura in armatura incedeva verso l’infermeria. Travolgeva i letti e strappava le tende, brandendo la sua forca e schioccando la frusta per liberare il cammino, con i nastri rossi sull’elmo che si agitavano ad ogni suo passo.
Aziraphale strabuzzò gli occhi. Quello era… «Onesiel!», esclamò, guardando Crowley che nel frattempo non aveva smesso di fare su e giù freneticamente, torcendosi ciocche di capelli tra le dita. «Ma cosa ci fa lui qui?». Crowley non gli rispose.
Onesiel, l’angelo punitore. Aziraphale credeva fosse una leggenda: nessun angelo l’aveva mai visto e non figurava nelle Scritture. Si diceva che prendesse ordini solo da Dio stessa e che le sue armi fossero progettate per ferire a morte qualsiasi creatura, anche gli altri angeli. Venire colpiti dalla sua frusta o impalati sulla sua forca avrebbe significato non solo la discorporazione, ma la completa cancellazione dall’esistenza ultraterrena. E Crowley, capì Aziraphale, stava scappando da lui.
Ragionò in fretta: Onesiel non gli avrebbe obbedito anche se era l’Arcangelo Supremo, e non aveva alcuna speranza di affrontarlo in combattimento. L’unica cosa che poteva fare per proteggere Crowley era scappare.
Mentre Onesiel era ormai alla porta, pronto a spaccare il muro con un colpo di frusta per entrare con la sua imponente stazza, e gli umani si erano stretti in un angolo in preda al terrore, Aziraphale afferrò il braccio di Crowley e lo tirò a sé. Lo strinse forte contro al suo petto tenendolo per la vita, e sparì assieme a lui.
 
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Dopo che Aziraphale si fu volatilizzato, Olive si rivolse a Muriel. Lo sconcerto e la paura che aveva provato durante il rituale della strega stavano pian piano scemando dentro di lei, lasciando spazio alla preoccupazione per Aziraphale. «Dobbiamo andare a cercarlo», le disse.
Muriel aggrottò le sopracciglia: «Mi ha ordinato di riportarti a casa».
«Sì», rispose Olive, «Ma non voleva veramente che ce ne andassimo».
«Lo pensi davvero?».
«Certamente! Nessuno vorrebbe stare solo in un momento simile. Questo Crowley è importante per lui e ha bisogno del suo aiuto», ragionò Olive.
«Be’», disse Muriel incerta, «Ma allora perché ci ha detto di andare via?».
«Perché è preoccupato per noi, non vuole che ci facciamo male. Ma noi siamo sue amiche e dobbiamo aiutarlo», Olive era assolutamente determinata a convincere Muriel.
«Credi che io sia sua amica?», Muriel non era affatto sicura che una come lei potesse considerarsi ad un livello di confidenza di quel tipo con qualcuno potente come il Supremo Arcangelo. Era vero, era stato gentile con lei, ma era solo cortesia la sua.
«Sì», disse Olive annuendo, «E tu», si rivolse alla strega, «Tu quel tipo, quel Crowley, lo conoscevi già, non è vero?».
Nunet, che era rimasta a guardarle discutere, piegò la testa incuriosita: «Come lo sai?», chiese alla bambina.
«Quando siamo arrivati hai detto il suo nome senza che nessuno l’avesse detto prima», le spiegò, ignorando la soggezione che le mettevano i suoi occhi neri puntati nei suoi, «Sapevi che non era umano e poi hai detto a Londra dov’è sempre stato, quindi un po’ lo conosci».
La strega fece un piccolo accenno di sorriso: «Ma che bambina sveglia», apprezzò.
«Allora sei una sua amica?», domandò Olive.
Nunet emise un suono tra uno sbuffo e una risata: «Crowley non ha che un amico al mondo e non sono io, ma mi ha reso un servizio dal valore inestimabile».
Quella frase enigmatica attirò l’attenzione di Olive. «Che servizio?», chiese.
Nunet non sembrò offendersi della sua impertinenza. Le rivolse anzi un altro piccolo sorriso, stavolta venato di furbizia. «Vuoi vedere?». La bambina, come era prevedibile, annuì senza pensarci due volte. Nunet allora si avviò verso una delle tante porte tra gli altorilievi del salone e l’aprì, facendo segno a lei e a Muriel di entrare.
Fu come arrivare nel cuore di una foresta. C’erano alberi altissimi dalle chiome così fitte che non si vedeva se sopra c’era un soffitto o il cielo. Una luce forte orlava d’oro tutte le foglie sulle loro teste e illuminava il sottobosco nei punti in cui riusciva a penetrare nella vegetazione. Le loro orecchie si riempirono del rumore delle foglie mosse dal vento, di acqua che scorreva in lontananza, del canto degli uccelli, del ronzare e ticchettare degli insetti. Le loro narici furono investite dagli odori del legno e della terra, oltre che dell’umido aroma del muschio che ricopriva i tronchi degli alberi. Ma la cosa più meravigliosa erano gli animali. Entrando Olive e Muriel si trovarono davanti un gruppo di scimpanzé che agilmente si arrampicava sugli alberi più vicini; su una foglia sostava una ranocchia verde con le zampe arancioni e gli occhi rossi. Un tucano planò dolcemente atterrando dietro di loro, sulla spalla della strega. E mentre piene di meraviglia studiavano il posto, gli occhi di un giaguaro brillarono nell’ombra tra le felci a pochi metri da loro, facendole rabbrividire per lo spavento.
«Non abbiate paura», disse la strega, portandosi tra loro e il felino, «Sono tutte buone», e tese la mano come per richiamarlo. Il giaguaro si mosse con passi felpati emergendo dalla vegetazione fino ad arrivare, con la propria testa, a sfiorare la mano di Nunet che l’accarezzò.
«Ѐ stato Crowley a fare questo per te?», chiese Olive, tenendo stretta la mano di Muriel, entrambe ancora intimorite dal giaguaro.
«La foresta è mia, un vecchio ricordo», disse Nunet. Stava grattando dietro l’orecchio del giaguaro mentre il tucano le beccava affettuosamente una ciocca di capelli. Anche gli scimpanzé e la rana si stavano avvicinando a lei. «Dovete sapere che ho avuto molte mogli, nella mia lunga vita», raccontò, «E sebbene io avessi grandi poteri, non sono mai riuscita a renderle immortali. Prima o poi mi lasciavano sola», puntò gli occhi oscuri su di loro, «Il regalo che Crowley mi ha fatto è stato di poterle tenere con me, anche se in forme diverse».
«Non capisco, cos’è che ha fatto?», chiese Muriel, confusa, mentre Olive era rimasta a bocca aperta per la sorpresa.
«Quelle sono le tue mogli?», chiese infatti, indicando gli animali attorno lei.
Nunet stavolta le rivolse un sorriso pieno e sincero, sembrando finalmente una creatura veramente umana. «Ѐ così. Ce ne sono molte altre e verranno da me se sentiranno la mia voce».
«Ma come è possibile?», chiese Muriel incredula.
La strega si strinse nelle spalle. «Solo un demone può concedere questo potere, e Crowley me l’ha dato senza chiedere che stipulassi un patto con lui», rispose. Una nota di sincera gratitudine era distinguibile nella sua voce profonda.  
«Allora», riprese Olive, una volta riavutasi dalla sorpresa, «Lo aiuterai?».
La strega aggrottò le sopracciglia: «Come potrei aiutarlo?».
«Non lo so», rispose la bambina, «Ma è stato buono con te e Azi è stato buono con noi», con il pollice indicò se stessa e Muriel, «Perciò, ecco, dobbiamo andare da loro!».
 
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Aziraphale era atterrato nel suo negozio di libri con Crowley tra le braccia. Per qualche istante si era concesso di restare fermo e continuare a stringergli i fianchi ossuti. Sentire la consistenza del suo corpo sotto le dita e vedere la sua chioma rossa gli dava un senso di sicurezza e di stabilità. Si era ricordato all’improvviso, ritrovandolo, quanto era più bella e più semplice la vita se gli stava vicino.
Ma in quel momento di semplice non c’era un bel niente. Crowley era se stesso, ma anche qualcosa di completamente diverso. Aziraphale sentiva il battito del suo cuore contro al proprio petto, i suoi polmoni che si gonfiavano d’aria sfregando i loro corpi, e si rendeva conto che era vivo in una maniera nuova. Vivo come gli umani, ma soprattutto vulnerabile come loro e completamente indifeso. Gli ripiombò addosso la disperazione di sentirsi inadeguato a proteggere la cosa che più amava in tutto il creato. E pensare che aveva acquisito i poteri dell’Arcangelo Supremo per lui, per rendere il mondo un posto più bello, per cambiare il Paradiso perché fosse più conforme a lui. Tutto era stato per lui! E adesso non sarebbe stato in grado neanche di tenerlo in vita.
Lo lasciò andare per occuparsi della difesa del negozio. Non conosceva in realtà alcun miracolo che potesse proteggerli da Onesiel, ma forse, pensò, con una barriera l’avrebbe almeno rallentato…
Nel frattempo, Crowley barcollò un po’ per poi finire sdraiato di traverso sulla poltrona di pelle nera vicino alla scrivania di Aziraphale. Si portò, senza che Aziraphale lo notasse, una mano alla fronte e produsse un sibilo tra i denti digrignati e scoperti, strizzando gli occhi come in preda a un fortissimo mal di testa.
Aziraphale si stava apprestando a compiere un miracolo quando il campanello sulla porta suonò. Si trovò davanti Muriel, Olive e la strega Nunet. «E voi cosa ci fate qui?!», esclamò alzando entrambe le sopracciglia.
Olive e Muriel aprirono la bocca per rispondere, ma il suono del campanello le interruppe di nuovo. Aziraphale per poco non gridò vedendo in faccia il nuovo arrivato. Non si era ancora abituato, infatti, a non provare una sgradevole sensazione in presenza di Gabriel.
«Oh meno male, siamo arrivati in tempo», disse Belzebù, spuntando da dietro la schiena di Gabriel.
«Cosa…? Come…?», balbettò Aziraphale. Ignorando le sue domande, Gabriel percorse a grandi passi la distanza che li separava e lo abbracciò. Nella sua stretta vigorosa Aziraphale restò perfettamente immobile, come se lo stesse abbracciando un orso.
«Ho percepito che c’erano problemi», gli disse Gabriel, sciogliendo l'abbraccio e picchiettandosi l'indice su una tempia, «Io e Belzebù siamo venuti ad aiutare». Dietro di lui Belzebù annuì con veemenza.
«E perché dovreste aiutarci?», chiese Aziraphale.
«Aziraphale», Gabriel si mise una mano sul petto in corrispondenza del cuore, «Tu e Crowley mi avete protetto come dei genitori amorevoli. È un po’ come se foste i miei papà».
La strega Nunet fece una specie di risata spernacchiante, Muriel e Olive restarono interdette. Aziraphale fece una smorfia disgustata, «Cielo, no», commentò.
«Forse è un po’ troppo, dolcezza», gli disse Belzebù, indulgente, battendogli una pacca sulla spalla per poi scivolare con la mano sul suo braccio fino a intrecciare le loro dita assieme, «Ma vogliamo aiutare per davvero».
Crowley, ancora sprofondato nella poltrona, si produsse in un gemito più rumoroso e fece voltare tutti nella sua direzione. Aziraphale, trovando sul suo viso un’espressione sofferente, gli corse incontro e si inginocchiò accanto a lui. «Cos’hai caro?», chiese con apprensione.
Crowley non rispose che con un altro verso di dolore.
«Ma è umano…», commentò Belzebù, che li aveva raggiunti assieme agli altri.
«Una lunga storia», le disse Nunet.
«Sembra che stia male», sottolineò Muriel.
«Me lo immaginavo più… serpente», si intromise Olive.
«Non c’è niente che non si possa curare con una cioccolata calda», suggerì Gabriel con aria da esperto.
«Sono i suoi ricordi», a parlare era stata una voce nuova. Il demone Furfur stava in piedi al centro del negozio, a pochi metri di distanza da loro, con la sua fascia verde da Conte dell’Inferno di traverso sulla giacca di broccato nero, vagamente iridescente. «Quel piccolo cervello umano non può contenere tutte le esperienze di un demone millenario».
Aziraphale scattò in piedi, mettendosi davanti a Crowley per schermarlo dal nuovo venuto. «Cosa ci fai tu qui?», disse in tono basso e minaccioso, venato di disprezzo. Contro Onesiel non poteva fare molto, ma se quel demone pensava di torcere anche un solo capello di Crowley, Aziraphale l’avrebbe disintegrato.
Furfur alzò entrambe le mani in segno di resa e fece un piccolo sorriso: «Vengo in pace. Sono stato io a trasformarlo».
Aziraphale si sentì ribollire dentro una furia mai sentita prima: «Tu…».
«Me l’ha chiesto lui! Lasciami spiegare!», esclamò il demone, «Ѐ venuto da me a chiedermi che lo trasformassi, non molto tempo fa. Sembrava andasse di fretta e la richiesta era strana, ma sai com’è Crowley. L’ho aiutato», si strinse nelle spalle, «Sono voluto venire a controllare perché con queste cose non si sa mai. Mi sembra che abbia fatto bene».
«Allora puoi farlo tornare come prima?», chiese Olive, la cui testa spuntava da dietro una gamba di Aziraphale.
Prima che Furfur potesse rispondere, un boato dalla strada li fece voltare tutti in direzione della porta. Aziraphale corse alla finestra: nel bel mezzo della carreggiata si ergeva Onesiel. Doveva essere comparso all’improvviso, facendo scontrare tra loro due auto che avevano bruscamente frenato per evitarlo. Gli umani, vedendolo, avevano preso a correre via in tutte le direzioni. Come nel rifugio per senzatetto, si era creato un panico generale e un caos senza precedenti. Il punitore non se ne curò minimamente. Era come se non vedesse niente, né le auto, né i cestini dell’immondizia sul marciapiedi, né tantomeno gli umani. Avanzava spedito verso il negozio.
«Onesiel…», disse Gabriel che si era affacciato assieme ad Aziraphale, in contemplazione.
«Non è possibile, è una leggenda», negò Belzebù, terrorizzata.
«Non lo è, tesoro», le rispose Gabriel, prendendola per mano, «Lo avevo visto solo una volta, tanto tempo fa in Paradiso», poi, rivolto ad Aziraphale: «Non ti obbedirà, anche se sei il Supremo Arcangelo».
«Lo so bene», rispose Aziraphale.
«Bisogna erigere una barriera a difesa del negozio», disse Nunet con urgenza, «Servirà tutto il nostro potere».
Aziraphale non se lo fece ripetere due volte: la raggiunse e le prese una zampa artigliata. Belzebù si unì a loro stringendo la mano libera di Aziraphale mentre l’altra era già intrecciata a quella di Gabriel. Furfur, senza che nessuno lo chiedesse, prese l’altra mano di Gabriel.
«Anche tu, angioletto», disse la strega a Muriel, facendole segno di avvicinarsi con la mano libera. Deglutendo visibilmente, Muriel gliela strinse.
Si concentrarono intensamente per qualche secondo, serrando gli occhi. Aziraphale sentiva una energia potente risuonare nel petto e nel punto in cui toccava gli altri, ma sapeva che non era abbastanza. Se solo anche Crowley avesse avuto il suo potere: insieme loro due avrebbero trovato un modo…
«Ha funzionato?», chiese Gabriel, aprendo un occhio.
Olive corse alla porta: vide che il mostro in armatura si era fermato a metà strada. Si trovava tra il caffè e il negozio di dischi. Lo osservò mentre alzava un guanto di metallo scintillante, quello libero dalla forca. L’aria davanti a lui, nel punto in cui la stava toccando, vibrò di un colore rosato prima di tornare trasparente. La bambina stava per urlare, trionfante, che sì, ce l’avevano fatta, ma il suo sguardo fu attirato da una gruppo sempre più folto che si stava raccogliendo dietro al cavaliere, avanzando per raggiungerlo. Non solo arrivavano dalla strada in cui era passato Onesiel: ce n’erano altri che venivano dall’incrocio e dalla strada opposta. Erano dei mostri: facce sfigurate, corpi storti e grotteschi, sporchi e minacciosi. Ad occhio ce n’erano più di un centinaio e continuavano ad arrivare, sembravano emergere direttamente dall’asfalto.
«Azi!», lo chiamò la bambina, allontanandosi dal vetro con il cuore che batteva forte, impazzito di paura.
Aziraphale si staccò dagli altri e accorse da lei. «Demoni», disse, come se fosse un’imprecazione, «La seconda volta quest’anno!».
«Ma chi li ha mandati?», si chiese Belzebù.
«Sono troppi, abbatteranno la barriera!», disse Nunet.
Crowley a quel punto scivolò giù dalla poltrona con un grido. Si sentiva come se gli avessero spaccato la testa a metà. Aziraphale gli fu accanto in meno di un secondo, in ginocchio accanto a lui gli prese la testa tra le mani. «Oh amore mio…», gemette. Crowley aprì gli occhi su quelli azzurri dell’angelo, ma era come se non lo vedesse. I suoi occhi umani erano velati e pieni di lacrime. Anche Aziraphale sentì che stava per piangere. Avrebbe voluto potergli togliere il dolore e portarselo via, ma non sapeva come fare e non aveva dove fuggire.
Muriel continuava ad osservare, tremando, ciò che accadeva fuori. Le due ruote nella panzera di Onesiel avevano preso a girare su se stesse, lasciando intravedere come dentro all’armatura in realtà non ci fosse nulla. Gabriel, che era vicino a lei, le spiegò: «Non ha un corpo, per impedire che venga discorporato».
I demoni si affollavano attorno alla barriera, facendo pressione su di essa con centinaia di mani di vari gradi di mostruosità. «Qualcuno li comanda», disse Belzebù, «Ma non riesco a capire chi sia».
«Ѐ colpa mia», singhiozzò Aziraphale, «Se non fossi venuto a cercarlo non lo avrebbero trovato». Non riusciva ancora a spiegarsi perché Onesiel l’avesse attaccato. Che fastidio poteva dare Crowley a Dio? Era un demone come ce n’erano tanti altri! Solo per Aziraphale era speciale… E gli altri demoni, erano venuti per lui? O ce l’avevano con lo stesso Aziraphale? I pensieri gli si affollavano in testa, misti all’angoscia di tenere tra le braccia un Crowley così sofferente.
«Non avrebbe resistito comunque. Di questo passo impazzirà, o morirà», gli rispose Nunet, in piedi vicino a loro.
«La barriera sta crollando!», Olive era corsa alla finestra che dava su un’altra strada e anche lì aveva trovato decine e decine di demoni che cercavano di abbattere la barriera. Assistette impotente mentre una serie di buchi dai contorni rossi si creavano nell’aria attorno a loro.
«Muriel», chiamò Aziraphale, la voce di nuovo salda e autoritaria nonostante il suo tumulto interiore, «Porta via la bambina e anche tu», guardò Nunet, «Va’ via. Non puoi combattere contro i demoni».
Muriel stette in silenzio qualche secondo, poi disse, semplicemente: «No».
Tutti la guardarono come se fosse impazzita tranne Olive, con la quale Muriel si scambiò un piccolo sorriso d’intesa. «Come sarebbe a dire no?», le chiese Aziraphale, con le sopracciglia aggrottate.
«Siamo amici», Muriel si strinse nelle spalle.
«Cosa-»
«Arcangelo», lo interruppe Nunet, «Ricordi il debito che hai con me?». Aziraphale annuì, interdetto. «Ecco, pagalo: sta’ zitto», e chiuse il discorso.
In quel momento, tutti i presenti che avevano contribuito a formarla, avvertirono il crollo della barriera.
«Arrivano!», gridò Gabriel.
Aziraphale abbassò lo sguardo sul volto di Crowley. Sembrava perso in un altro mondo. Respirava molto piano e guardava un punto imprecisato sul soffitto. La sua espressione non era più di sofferenza, ma vuota. Con il pollice Aziraphale gli carezzò la guancia sudata, poi si tolse la giacca e la piegò sotto alla sua testa. Prima di alzarsi, gli sussurrò: «Resisti, amore. Tornerò presto da te».
«Io posso tenere fuori i demoni», annunciò Belzebù.
«Vengo con te», disse Gabriel. Si portò una mano nella tasca del cappotto e ne estrasse una lunga spada scintillante.
«E quella da dove arriva?», si stupì Belzebù.
«Rubata dalla collezione di Michael tempo fa. Non si sa mai», le fece l’occhiolino. Belzebù d’impeto gli si lanciò addosso e, presolo per il maglione, lo baciò.
«Wow», commentò scioccamente lui quando si fu staccata, «Se avessi saputo che ti piacciono tanto ne avrei presa una anche per te».
Lei fece un sorrisetto compiaciuto: «Preferisco usare le mani», e uscì scrocchiandosi le dita una per volta, seguita da un Gabriel ancora un po’ imbambolato.
Onesiel aveva ripreso la sua inesorabile avanzata. Belzebù e Gabriel dovettero scartare da un lato per evitare la sua frusta, che si abbatté invece sulla porta del negozio distruggendola assieme a parte della facciata del palazzo.
La strega Nunet, che era la più vicina, recitò una serie di parole non udibili e l’intero negozio si riempì di una foschia nera e fitta. Sperava di disorientare il cavaliere in modo che non riuscisse a trovare Crowley.
Muriel, trovandosi nella totale incapacità di vedere dove stesse andando, si mosse a tentoni nella nebbia fino a tastare qualcosa di duro, che riconobbe come lo spigolo di una libreria. Poi si sentì afferrare la giacca da qualcosa.
«Muriel?», sussurrò la vocina di Olive. Muriel le cercò la mano con la propria e la strinse forte. In quel momento udirono uno schiocco e l’aria immediatamente di fronte a loro fu liberata. Si trovarono faccia a faccia con Onesiel. Muriel lanciò un grido e tirò la bambina per toglierla di mezzo. Onesiel le puntò contro la forca, caricando il colpo per infilzarla.
Olive, con tutta l’esigua forza che possedeva, si oppose a Muriel che voleva spostarla e, anzi, le si mise davanti per proteggerla dal colpo. Entrambe chiusero gli occhi in attesa di sentirsi trapassare il corpo dai rebbi appuntiti ma… non accadde nulla. Onesiel si era fermato con la forca sospesa a pochi centimetri dalla testa di Olive che proteggeva il petto di Muriel. Il suo elmo con la visiera calata, che sembrava una fila di denti digrignati, si avvicinò al viso di Olive come per studiarla. Muriel da dietro la strinse contro di sé e indietreggiò di qualche passo, fino a urtare uno scaffale con la schiena. Il cavaliere si drizzò nella sua statura imponente e si voltò per tornare nella nebbia.
Olive si girò nell’abbraccio di Muriel, e le due si guardarono in faccia per qualche secondo. Poi, all’unisono, dissero, in tono contemplativo Olive ed entusiasta Muriel: «Non può uccidere gli umani!».  
Aziraphale con un piccolo miracolo aveva diradato la nebbia davanti a sé, riuscendo a ritrovare il punto in cui aveva lasciato Crowley. Era ancora a terra ai piedi della poltrona. Aziraphale aveva intenzione di condurlo sul retro del negozio, dove avrebbe aperto con un miracolo un’uscita secondaria per portarlo via.  Udiva le grida e i ruggiti dei demoni che combattevano fuori in strada. Avvertì anche il grido di Muriel e per qualche secondo fu tentato di andare a cercarla, ma non poteva. Afferrò una spalla di Crowley e lo tirò per alzarlo. Il suo corpo non pesava granché; avrebbe potuto prenderlo in braccio con agio anche senza avere i poteri di Arcangelo. Ma mentre faceva questa considerazione, la frusta di Onesiel schioccò, spezzando a metà la poltrona accanto a lui. Aziraphale scartò dal lato opposto, tenendo Crowley, che si lasciava trascinare a peso morto, per un braccio. Gli si mise davanti per proteggerlo.
Ora fronteggiava Onesiel. Ricordò con un tocco di amarezza la propria spada fiammeggiante: se solo l’avesse avuta in quel momento! Si accontentò di evocarne una normale con un miracolo, assumendo la posizione di difesa. Non era mai stato un grande spadaccino, ma lui e quella spada ora erano tutto ciò che si frapponeva fra Crowley e la morte, pensò. Non c’era mai stato un motivo più importante per combattere.
Guardò Onesiel caricare il colpo della forca e si preparò a parare. Quando il colpo si abbatté su di lui, riuscì a fermare il manico dell’arma nemica con la lama della spada, ma Onesiel cominciò ad esercitare una pressione incredibile. Aziraphale cercò di resistere, ma l’altro era semplicemente troppo forte. Non riusciva a spingere via la forca, e avrebbe presto perso la presa sull’impugnatura della spada. Le braccia gli dolevano. Sarebbe morto, avrebbe lasciato che Crowley morisse per via della sua inettitudine… ma qualcuno arrivò di corsa e lo spinse via, facendolo atterrare sui frammenti della poltrona. La spada gli cadde di mano, andando a finire chissà dove.
«Non può uccidere gli umani», gli gridò Muriel a un centimetro dalla faccia, atterrata su di lui dopo esserglisi lanciata contro a peso morto.
«No, Crowley!», gridò Aziraphale, che non aveva neanche capito cosa lei avesse detto. Se la tolse di dosso con malagrazia.
Nunet, che aveva udito quel trambusto, con uno schiocco di dita ritirò la nebbia.
Allora la scena apparve chiara: Olive era rimasta in piedi accanto alla libreria, dove Onesiel aveva attaccato lei e Muriel. Quest’ultima si trovava invece seduta per terra sotto la finestra, con Aziraphale in piedi accanto a lei, con le mani tra i capelli. Guardava esterrefatto mentre Crowley si alzava in piedi sulle gambe magre e malferme, aggrappandosi allo schienale della poltrona bergère. Onesiel gli stava di fronte, immobile, la forca ancora nella posizione in cui era quando Aziraphale stava cercando di trattenerla con la spada.
«Che c’è? Hai paura bastardo? Guarda che cosa hai combinato!», sibilò Crowley rivolto ad Onesiel, con un cenno alla distruzione che regnava nel negozio.
«Caro…», gemette Aziraphale, e fece un passo nella sua direzione. Muriel gli afferrò la caviglia per fermarlo. «Non andare! Non lo ucciderà!», gli assicurò.
Infatti, Aziraphale notò come l’angelo non si fosse ancora mosso. Dopo un lungo istante, le braccia gli caddero a penzoloni lungo i fianchi, con la frusta e la forca strette in mano, come se non sapesse che farci. Poi, lentamente, si voltò. Fece due passi in direzione della porta e disparve in una luce dorata.
Per qualche secondo restarono tutti con il fiato sospeso, ascoltando i rumori della battaglia dei demoni contro Belzebù e Gabriel, che ancora infuriava per strada. Aziraphale tirò un sospiro di sollievo.
I suoi occhi incrociarono quelli di Crowley, che ora sembravano riconoscerlo appieno.
«Angelo», gli disse infatti, con la voce roca che ad Aziraphale era mancata così tanto e il suo sorriso più affascinante, che gli arricciava le labbra su un lato della bocca. Aziraphale si sentì le guance bagnate di lacrime di gioia. Provava nei suoi confronti un amore che gli gonfiava il petto e gli scoppiava nella pancia come fuochi di artificio. Era salvo, pensò, il suo Crowley era vivo ed era davanti a lui e sarebbe stato bene! Ah, Aziraphale avrebbe fatto qualsiasi cosa perché stesse bene. Si sarebbe recato in Paradiso e avrebbe affrontato Dio stessa perché lo lasciasse in pace, e poi avrebbe trovato un modo per restituirgli la sua natura di demone. Capì, guardandolo nuovamente davanti a sé dopo tanto tempo, che nient’altro era importante. Era stato un errore imperdonabile lasciarsi Crowley alle spalle, ma avrebbe rimediato. C’era tutto il tempo del mondo, e anche di più.
Aziraphale, infine, mosse qualche passo verso di lui ma poi… Crowley sussultò e allargò le braccia, come colpito da qualcosa. Aziraphale in un primo momento non capì cosa fosse accaduto finché l’altro non ebbe aperto la bocca e ne vide scivolare fuori un rivolo rosso che gli gocciolò giù dal mento.
«Angelo», ripeté Crowley, stavolta con un rantolo, prima di cadere in ginocchio. Aziraphale corse nel breve spazio che li separava e gli si inginocchiò accanto. «Crowley, Crowley cosa…», cercò di dire, ma quando toccò la schiena di Crowley, sentì la mano bagnarsi di sangue.
Alzò lo sguardo e vide Furfur con in mano un tagliacarte, uno che Aziraphale riconobbe come il proprio che teneva sulla scrivania per aprire le lettere. Era insanguinato.
«Avrei dovuto farlo prima», disse Furfur, stringendosi nelle spalle con noncuranza, sotto lo sguardo attonito di tutti i presenti, «Speravo di poter delegare al bestione ma, sai come si dice: se vuoi che una cosa sia fatta bene te la devi fare da solo. Non guardatemi così, era un fastidio per tutti! Persino a Dio fa più comodo da morto».
Muriel era arrivata da loro gattonando. «Non riesco a curarlo», disse ad Aziraphale, mentre qualche lacrima le cadeva sulle guance.
Aziraphale si riscosse e provò a fare un miracolo per far riassorbire il sangue nel corpo di Crowley. Non funzionò. Riprovò ancora una volta, e un’altra ancora, e un’altra…. «Perché cazzo non funziona?!», ringhiò.
«Non è parte del creato», anche Nunet era arrivata accanto a loro e si era chinata su Crowley, «Nessuna magia o miracolo può curarlo».
Crowley, con la testa appoggiata alla spalla di Aziraphale, mugolò qualcosa.
«Cosa c’è amore?», gemette Aziraphale, avvicinando l’orecchio alla sua bocca.
«Ѐ tutto ok», esalò lui, con le labbra e il suo respiro caldo che sfioravano la pelle di Aziraphale, «Sei fuori pericolo…».
«Oh no, Crowley…», singhiozzò Aziraphale, cercando di spostarlo perché stesse più comodo.
Crowley alzò una mano e la posò su quella che Aziraphale teneva sul suo petto per tenerlo dritto. «Grazie di essere venuto», disse, la voce sempre più flebile, «Ti perdono…». La sua mano strinse un’ultima volta quella di Aziraphale, poi ricadde sulla coscia.
Crowley era morto.                                                         
 
Aziraphale sentì il proprio corpo intorpidirsi. Era una sensazione di freddo che risaliva dagli arti al torace e si stringeva nella sua gola in un nodo doloroso. Era una nebbia che gli offuscava i pensieri. Era un distacco da se stesso, come guardarsi dall’alto con gli occhi di un altro. Era un’ombra nera dentro di lui, più oscura della disperazione più profonda.
Tutt’attorno, cominciò il terremoto.
 
 

AVVISO SUI CONTENUTI: morte di un personaggio principale. 
Per chi è arrivato qua sotto dopo aver letto tutto... non mi picchiate! Il prossimo capitolo arriva più presto che posso, non spoilero niente ;D

 
 
 
 
   
 
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