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Autore: EmmaJTurner    19/09/2023    5 recensioni
"Cercasi AMMAZZAMOSTRI
per raccolta di sambuco
la prossima luna piena.
Pagamento 200 nk
50% in anticipo, 50% a lavoro ultimato.
Per info chiedere di Meli"

[REVISIONE COMPLETATA]
Genere: Avventura, Azione, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Cercasi Ammazzamostri'
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Luna Piena e Fiori di Sambuco

Era quasi l’ora. 

Meli osservò il sole, una palla di fuoco arancione, tuffarsi piano dietro le montagne. Erano arrivati appena in tempo alla radura vicino al Lago Rosso, così chiamato per una particolare specie di alga che ci proliferava dentro — anche se, ovviamente, le leggende locali sproloquiavano di principesse morte in guerra e altre scempiaggini.

Gli alberi di sambuco erano carichi di fiori bianchi, alcuni già sciupati, in attesa dell’ultima possibilità di essere raccolti. La luna sarebbe sorta a breve, rotonda e indifferente. 

Meli cincischiò con il grosso sacco di iuta che aveva legato in vita. Non appena il sole fosse calato e i primi raggi lunari avessero toccato le foglie del sambuco, avrebbe potuto cominciare il suo lavoro. Dovevano essere rapidi e precisi, silenziosi ed efficienti.

Nelle notti di luna piena i licantropi — o le persone affette da licantropia, come avrebbe detto sua sorella, più politicamente corretta di lei — si trasformavano in bestie feroci che come unico scopo avevano quello di trucidare qualunque cosa respirasse. Persone, gattini, altre bestie? Poco importava.

Quindi, perché rischiare la pelle uscendo in queste notti così pericolose? Perché con i fiori e le foglie di sambuco raccolti alla luce della luna piena si potevano realizzare pozioni anti-licantropia di grande efficacia. Minor dosaggio e ottima copertura dei sintomi per il novantasette percento degli individui testati. Le pozioni si potevano realizzare anche con i fiori e con le foglie più tenere raccolti in ogni periodo dell’anno a prescindere dalla fase lunare? Sì. Ma con i medicinali così ottenuti la percentuale di efficacia crollava al sessantadue percento: non toglievano proprio tutti tutti i sintomi, ecco. E sua sorella a questi dettagli ci teneva.

Addirittura, sua sorella chiedeva alla sua scorta di ammazzamostri di non uccidere i licantropi, in quanto potevano essere scappati dalla prigione-cantina in cui la famiglia amorevole li aveva rinchiusi per la loro sicurezza. Era un’anima bella e ingenua, sua sorella.

Lanciò un’occhiata a Logan appostato alle sue spalle, la spada sguainata. Le dava la schiena. Meli pregò che le pozioni rinvigorenti fossero state sufficienti. Non aveva paura di morire, ma non farsi mordere era fondamentale: checché ne dicesse la sua, di famiglia amorevole, Meli si sarebbe ammazzata piuttosto di vivere il resto della sua vita con in faccia il marchio della licantropia.

Il sole, infine, sparì dietro le montagne. Il primo ululato incrinò il silenzio nella radura.

Meli si mise subito all’opera, staccando i boccioli di sambuco con mani esperte e facendoli cadere delicatamente nel sacco legato alla cintura. Logan, alle sue spalle, non emetteva un suono.

Apparvero le prime stelle. L’aria era umida e permeata dal profumo dolce del sambuco.

Gli ululati si fecero più frequenti e vicini. I lupi si stavano radunando in branchi, si salutavano, si azzuffavano. Ben presto, nel buio tra gli alberi attorno a loro, si udirono rumori di zampe e foglie spostate. Meli procedeva veloce e assorta nel suo lavoro.

Qualcosa di grosso ringhiò. Meli si immobilizzò, la mano a mezz’aria tra i fiori e il sacco pieno per tre quarti. Fece per dire qualcosa, ma Logan la zittì. 

“Sono qui”.

Meli aguzzò le orecchie. Tutt’attorno gli alberi frusciavano e il buio si muoveva denso e minaccioso. 

“Coprimi le spalle” fu l’unica cosa che Logan le disse prima che i lupi emergessero dal bosco. Tre, poi quattro, poi cinque. Erano circondati.

Meli abbassò lo sguardo sul licantropo più vicino a lei. A quattro zampe, alto almeno un metro al garrese, aveva occhi cremisi venati di sangue e un brutto ghigno pieno di zanne gialle. La luce bianca della luna gli illuminava il pelo grigio, annodato e sporco. 

Logan fece oscillare la lama d’argento e si mise in posizione. Il lupo arricciò le labbra e emise un basso ringhio ammonitore senza staccargli gli occhi di dosso. Meli, cauta, chiuse il sacco e afferrò il suo bastone.

Quando il primo lupo mannaro attaccò, l’ammazzamostri non ci andò leggero: con un fendente deciso gli aprì il petto dalla gola allo stomaco. In una cascata di sangue, l’animale si schiantò a terra. 

Il branco guaì e latrò indignato. I lupi, fissandoli con occhi cremisi e la bava alla bocca, cominciarono a girare in tondo. 

Meli strinse il bastone nelle due mani. Non ci fu il tempo di pensare ad una strategia. Quando un licantropo marrone ringhiò e le balzò addosso, roteò il bastone e lo colpì sul muso; l’animale, caduto a terra, venne finito una coltellata dritta nella tempia.

“Sono troppo vecchia per queste stronzate” borbottò Meli estraendo il coltello lordo di sangue.

Alle sue spalle, Logan stava facendo a pezzi un grosso lupo nero. Tre licantropi a terra. Erano rimasti due contro due. Assolutamente fattibile, pensò Meli. Il sacco di sambuco era quasi pieno; fatti fuori quei due pelosi, avrebbero potuto finalmente tornarsene a casa.

I due combattenti si prepararono, schiena contro schiena, all’ultimo assalto.

***

…che non arrivò. I due licantropi, per un attimo, sembrarono scombussolati. Poi annusarono l’aria, guairono e fuggirono rapidi tra gli alberi.

“Ma che—?” cominciò Meli, abbassando il bastone; ma un respiro pesante, rantoloso e enorme la interruppe. I due combattenti si guardarono allarmati; poi, insieme, sollevarono il viso

E quello che videro non era decisamente un licantropo. Somigliava più ad un enorme leone spelacchiato, gonfio di muscoli venosi e con una striscia di peluria irta sulla schiena, con sei occhi malvagi incastonati lungo il brutto muso color sabbia.

La bestia spalancò la bocca e ruggì un ruggito che non aveva nulla di lupesco. Meli notò con orrore le due file di denti acuminati della dimensione della sua faccia. Alle spalle del mostro, due sottili code dentellate di aculei ricurvi frustavano l’aria.

“Che ci fa un nekorai qui?!” sbottò Meli. Prima le strigi, poi la succube, e adesso quella chimera infernale a metà tra un puma e una iena gigante? Avrebbe avuto da dire due o tre parole a sua sorella, oh sì.

Che poi il nekorai non era un mostro di quelle longitudini; Meli lo conosceva solo grazie alle favole orientali che Meimei e nonna Nene raccontavano, tanti anni prima, a lei e alle sue sorelle prima di dormire. Era topico delle torride savane orientali, non certo adatto alla vita di montagna. Che diavolo ci faceva lì?

Logan non restò fermo a chiederselo. Caricò la bestia facendo un salto e puntando dritto alle sei paia di occhi neri. Ma non arrivò al bersaglio: il nekorai indietreggiò e con una zampata scaraventò Logan a diversi metri di distanza. L’ammazzamostri grugnì e rotolò dolorante. Meli corse verso di lui, mettendosi tra l’uomo a terra e il mostro. Il suo cervello correva all’impazzata. Quel mostro era enorme. Non avevano speranze.

Logan si alzò a fatica dietro di lei. Aveva la spalla lacerata dagli artigli della bestia. Grondava sangue. 

“Riesci a combattere?" gli chiese Meli impanicata, frugando nello zaino alla ricerca di una soluzione. Ecco, lo sapeva: avrebbero dovuto tenersi i gattini. Logan raccolse la spada con la mano sinistra e sputò a terra un grumo di sangue. “Sì” rispose.

Il nekorai avanzò verso di loro. Meli non aspettò il suo turno per fare la pignatta. Mollò lo zaino e con il bastone colpì il muso della bestia mentre Logan sferrava un fendente alla spalla.

Il ruggito di dolore dell’enorme felino fece vibrare i sassi sotto i piedi di Meli, che finalmente trovò quello che cercava: la boccetta verde. La scagliò nella bocca aperta del mostro. Il nekorai, colto di sorpresa, si bloccò a metà ruggito; poi ingoiò la boccetta, vetro e tutto. 

Non accadde nulla.

“Ottima strategia” grugnì Logan.

“Pensavo funzionasse” si difese lei.

Passato il momento di sbigottimento, il nekorai rabbioso le fu addosso. Ma Logan fu più veloce: la afferrò per la giubba e la scagliò all’indietro, al sicuro. Dove un attimo prima c’era Meli, adesso c’era Logan, inchiodato a terra da una zampa artigliata. Il mostro che torreggiava su di lui ringhiò e aprì le fauci.

Eccallà. Lo avrebbe inghiottito in un boccone. Meli, orripilata, si alzò di scatto. Si sentì impotente come mai in vita sua. Il bastone le scivolava dalle mani sudate. Cosa poteva…?

Ma il nekorai sussultò e si bloccò con la bocca aperta. Una bava verde e schiumosa cominciò a colargli tra le zanne, mentre convulsioni sempre più forti gli scuotevano i muscoli mostruosi. Logan sgusciò via dalla presa. L’animale crollò a terra, il corpo contorto da spasmi orrendi.

Meli osservò la scena con un miscuglio di emozioni confuse: disgusto, rapimento, fascinazione; inaspettata speranza.

Logan, ricoperto di bava verde dall’odore nauseante, le si fece accanto. “Che gli hai lanciato?”.

“Aconito” rispose lei, incapace di distogliere lo sguardo dalla bestia agonizzante. Infine, in un ultimo singulto strozzato, il nekorai morì. 

Meli e Logan si guardarono straniti. Ce l’avevano fatta. Avevano raccolto il sambuco durante la luna piena.

   
 
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