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Autore: _Agrifoglio_    20/09/2023    20 recensioni
Una missione segreta, un’imboscata vicino al confine austriaco e il corso degli eventi cambia. Il senso di prostrazione dovuto al fallimento, il dubbio atroce di avere sbagliato tutto, un allontanamento che sembra, ormai, inesorabile, ma è proprio quando si tocca il fondo che nasce, prepotente, il desiderio di risorgere. Un incontro giusto, un’enorme forza di volontà e, quando tutto sembrava perduto, ci si rimette in gioco, con nuove prospettive.
Un’iniziativa poco ponderata della Regina sarà all’origine di sviluppi inaspettati da cui si dipanerà la trama di questa storia ricca di colpi di scena, che vi stupirà in più di un’occasione e vi parlerà di amore, di amicizia, di rapporti genitori-figli, di passaggio alla maturità, di lotta fra concretezza e velleitarismo, fra ragione e sogno e della difficoltà di demarcarne i confini, di avventura, di duelli, di guerra, di epos, di spirito di sacrificio, di fedeltà, di lealtà, di generosità e di senso dell’onore.
Sullo sfondo, una Francia ferita, fra sussulti e speranze.
Davanti a tutti, un’eroica, grande protagonista: la leonessa di Francia.
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Nuovo Personaggio, Oscar François de Jarjayes, Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Verso l’eternità
 
Versailles, Palazzo Jarjayes, gennaio 1840
 
Erano trascorsi quattro anni e mezzo dal distacco, ma, per Oscar, il tempo si era fermato.
Aveva ripreso a seguire i lavori di restauro del palazzo e, quando questi erano finiti, aveva ricominciato ad attendere alle occupazioni quotidiane, fatte di tutto e di niente. Le giornate, però, erano interminabili e non aveva alcuno con cui trascorrerle.
La stanza di André era stata lasciata esattamente come era quando egli se ne era andato. Niente era stato portato via e, allorché Antigone si era azzardata a proporre alla madre di distribuire gli indumenti e gli effetti personali del padre fra i parenti o di darli ai poveri, lei non le aveva rivolto la parola per una settimana.
Non gradiva che i figli e i nipoti le parlassero di André al passato e quelli avevano finito per non parlargliene affatto.
Non si era mai recata sulla tomba di André nemmeno per le ricorrenze o semplicemente per deporvi sopra un fiore. Troppo doloroso sarebbe stato pensare al viso sereno e gentile del marito e trovarsi di fronte una lapide di marmo.
Naturalmente, sapeva che André era morto, ma si opponeva a questa realtà ineluttabile con tutta la fermezza di un carattere determinato, resa ancora più esacerbata dalla consapevolezza di trovarsi in un vicolo cieco. Ogni angolo della casa le parlava di lui e di loro due insieme e questo la consolava e la affliggeva al tempo stesso.
Le avevano proposto di trasferirsi temporaneamente a Palazzo Girodel o a Lille, presso i Marchesi de Saint Quentin, dove era andata a vivere Rosalie dopo il matrimonio della figlia oppure di fare dei viaggi per l’Europa, ma lei aveva sempre rifiutato. Che senso avrebbe avuto vivere nuove esperienze e vedere posti bellissimi senza qualcuno con cui condividere tutto ciò?
Con i figli e i nipoti era affettuosa eppur sfuggente. Con i servitori era gentile, ma distante.
Alain andava a farle visita quando poteva, ma, trovandosi davanti a un muro di tetraggine, finiva per immalinconirsi anche lui che, oltretutto, solo lo era davvero e da sempre. Il dolore vede soltanto se stesso eppure si trasmette con grande facilità. Quando Alain giungeva al culmine della sopportazione, spariva, per, poi, farsi rivedere a settimane o mesi di distanza, dopo avere smaltito.
Un giorno al mese, veniva a farle visita anche Mathilde de Croisenois, nata de La Môle, il cui fratello aveva sposato una delle nipoti di Oscar e di André. Dopo i fatti di Besançon, la Marchesa era rimasta incredibilmente affezionata ai de Jarjayes et de Lille – cosa tanto più straordinaria se si pensa all’indole egocentrica che l’aveva sempre contraddistinta – e, ai funerali di André, si era presentata con delle lunghe vesti nere e un’aria così afflitta da sembrare la Mater Lacrimarum. “Farà così pure ai miei”, pensava Oscar. La bella Mathilde si recava a Palazzo Jarjayes con le migliori intenzioni della più affezionata delle parenti, ma, non avendo perso alcunché del suo carattere eccessivo e fanatico, a volte Oscar doveva fare violenza a se stessa per non cacciarla via. E faceva bene, perché il grande cuore di Oscar e di André aveva finito per migliorare persino Mathilde.
Ben più rasserenanti e distensive erano state le visite di Madame de Girodel, finché erano durate. La dolce signora era sempre riuscita a tirare fuori il meglio da tutti, persino da Oscar durante la vedovanza. Tuttavia, un anno dopo André, era spirata pure lei, sussurrando il nome del marito.
Poi, c’erano gli incontri periodici con la Regina Madre, le cavalcate col Conte di Fersen e le volte che si recava alla Reggia di Versailles, su invito della Delfina e del Duca di Berry. Tutti l’amavano, riamati e nulla la consolava.
Oscar aveva sempre teso all’assoluto, non si era mai arresa alle mezze misure e questa circostanza, che l’aveva spinta a dare il massimo, ora, le presentava il conto. Una gradevole compagnia, che avrebbe consolato chiunque, nulla avrebbe potuto su di lei, perché non sarebbe stata la compagnia di lui. Si trattasse di un figlio, di un nipote o dell’amico di tutta una vita.
Soltanto le visite della nipote, la bella Hélène, la tiravano un po’ su di morale e riuscivano a risvegliarne l’interesse, perché la giovane donna la ragguagliava sulle scoperte archeologiche e sui progressi della scienza e della tecnica. Oscar ascoltava quei resoconti con avidità e pensava che le sarebbe piaciuto vedere come si sarebbe evoluto il mondo, quali mezzi di locomozione avrebbero utilizzato le persone fra cinquant’anni o un secolo e cosa avrebbe portato agli uomini la modernità.
Intanto, il numero dei parenti e dei vecchi amici si assottigliava sempre più. Dopo André e Madame de Girodel, era morto anche il Generale de Valmy che l’aveva sostituita nella carica di Comandante Supremo delle Guardie Reali. Quel posto, ora, era di Honoré.
Nel 1838, era spirato il Conte di Fersen, seguito, a due mesi di distanza, da Re Luigi XVII, stroncato da un infarto, una settimana dopo la morte dell’amata moglie. La scomparsa del Re aveva lasciato la figlia Regina e la madre straziata. Quelle due morti così ravvicinate, di Fersen e dell’adorato figlio, avevano dilaniato Maria Antonietta che si era trasferita definitivamente al Petit Trianon.
Mi sento a pascolo abusivo sulla terra – pensava Oscar, vedendo la sua generazione scomparire.
Una mattina di gennaio, si affacciò alla finestra e le parve di udire delle voci argentine urlare incitamenti e motteggi e di vedere due bambini, agili come scoiattoli, che si allenavano con la spada. Erano lei e André… Chiuse gli occhi e, quando li riaprì, c’era soltanto il prato, coperto dalla brina invernale.
 

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Versailles, Palazzo Jarjayes e Petit Trianon, marzo 1840
 
Una mattina di marzo, Oscar si svegliò di buon mattino, con l’idea insistente di andare a fare visita a Maria Antonietta.
Dopo le morti del Conte di Fersen e del figlio, avvenute due anni prima, le condizioni fisiche della Regina Madre erano velocemente peggiorate e pareva che la sventurata fosse invecchiata di dieci anni in poche settimane. Da qualche mese, poi, c’era stato un ulteriore tracollo, perché la Regina aveva iniziato a soffrire di alcune emorragie che la debilitavano considerevolmente. Oscar andava a trovarla anche tre volte a settimana e, in quelle occasioni, le due vedove si tenevano compagnia, parlando dei tempi passati e degli affetti che erano loro rimasti.
Quando ebbe finito di preparasi, si accostò alla finestra e fu raggiunta da un piacevole tepore. Quell’anno, la primavera era giunta in anticipo.
Accompagnerò la Regina a fare una passeggiata nei giardini – pensava Oscar – Quest’inizio anticipato di primavera non potrà che farle bene.
Oscar si affrettò, perché la notte era stata agitata e il sonno funestato da oscuri presagi. Non si sentiva tranquilla e voleva vedere al più presto la sua amica per sincerarsi che le condizioni di lei fossero accettabili.
Discese la grande scalinata di marmo con celere prudenza, quando le parve di vedere due bambini, lei e André, che percorrevano le scale in senso inverso, giocando a rincorrersi e incitandosi. Trasalì e, subito dopo, la visione scomparve, lasciandola più confusa di quanto non lo fosse stata durante la notte. L’Archiatra gliel’aveva detto che le difficoltà respiratorie che accusava da Waterloo in poi, a lungo andare, avrebbero potuto causarle dei vuoti di memoria o degli stati confusionali, dovuti alla cattiva ossigenazione del cervello, ma lei cercava di non dare peso a quelle soverchie raccomandazioni che rischiavano di toglierle le residue libertà che la vecchiaia le aveva lasciato.
Giunta nell’atrio del palazzo, un valletto le portò una missiva su un vassoio d’argento. L’avevano recapitata pochi minuti prima dal Petit Trianon.
– La Regina Madre si è aggravata e la mia presenza è immediatamente richiesta al Petit Trainon! – esclamò Oscar, dopo avere letto rapidamente le poche righe vergate sul foglio di carta – Presto, portate la carrozza davanti al portone del palazzo!
Fu frettolosa e agitata la corsa da Palazzo Jarjayes al Petit Trianon e, quando guardò fuori dal finestrino per capire a che punto si trovavano, Oscar scorse due cavalli al trotto, uno bianco e uno nero che procedeva qualche passo indietro all’altro. A montarli erano lei e André che si recavano alla reggia! Fu questione di alcuni istanti e la visione si dileguò, ma quei pochi attimi furono sufficienti ad aumentare l’agitazione della donna.
Scese dalla carrozza nel cortile antistante il portone d’ingresso del Petit Trianon e si affrettò a entrare, quando incrociò la Regina Elisabetta che stava uscendo.
– Tutto è perduto, Madame Oscar – disse la Sovrana, trattenendo a stento le lacrime – Mia nonna è molto debole e tanto pallida da sembrare una statua. Secondo l’Archiatra, è giunta al termine della sua vita.
– Mi dispiace moltissimo, Maestà – disse Oscar, con voce rotta – Questo è il momento in cui occorre essere forti.
L’aveva educata lei la Regina, preparandola a svolgere un lavoro da uomo, a essere forte sempre e comunque, contro tutto e contro tutti. Non ci fu bisogno di altre parole. Le due donne si scambiarono uno sguardo di affetto e di intesa reciproci e si congedarono, Oscar con apprensione crescente e la Regina con grande riconoscenza per quella donna che le aveva insegnato a vivere e che era sempre stata di grande aiuto e conforto all’amata nonna.
Circa ottant’anni dopo, quando le case regnanti sarebbero diminuite di numero e i matrimoni dinastici non avrebbero costituito un passaggio obbligato per gli esponenti di esse, un bisnipote della Regina e del Principe consorte (e, quindi, quadrisnipote di Maria Antonietta e trisnipote di Napoleone), l’allora erede al trono, avrebbe sposato una donna di Casa Jarjayes, Louise Amalie Oscaria Antigone de Jarjayes et de Lille. La prima Regina consorte di Francia dal sangue non reale sarebbe stata dotata di grande tempra e carattere e Hitler l’avrebbe considerata una delle due donne più pericolose d’Europa. L’altra era la Regina consorte d’Inghilterra, Elisabeth Bowes-Lyons.
Giunta davanti alla camera da letto della Regina Madre, Oscar vi entrò senza bisogno di essere annunciata.
Maria Teresa Carlotta Duchessa d’Angoulême, un tempo Madame Royale ed Élisabeth Clotilde Contessa de Lille, la moglie di Honoré, assistevano la madre, a loro volta coadiuvate da varie cameriere.
Vedendo Oscar sulla soglia, Maria Antonietta insistette per essere sollevata, così da ricevere l’amica seduta, con la schiena adagiata sui cuscini.
– Entrate, Madame Oscar, Ve ne prego – disse, con voce appena udibile – Non restate sulla soglia, accostateVi al capezzale di una vecchia amica.
– Sono venuta a recarVi una delle mie consuete visite, Maestà – disse Oscar, nel doloroso  tentativo di non fare comprendere all’inferma la verità – Malgrado sia ancora marzo, la primavera sta già sbocciando. Quando Vi sarete rimessa in forze, Vi accompagnerò personalmente a passeggiare per i giardini. Un paio di passeggiate e questi malesseri diventeranno un brutto ricordo.
– Siete sempre così attenta e buona, Madame Oscar – disse la Regina – Siete di grande conforto a una povera malata e, in passato, mi avete salvata in più di un’occasione, dagli altri e, soprattutto, da me stessa. Ancora non so come ho fatto a meritarVi! Avete preso fra le Vostre forti mani un regno traballante e ne avete fatto una delle prime potenze d’Europa!
– Voi, Maestà, mi avete ricolmata di una bontà che non merito – proruppe Oscar, con la voce rotta dall’emozione.
– No, Madame Oscar, Voi avete dedicato la Vostra vita a noi e noi Vi dobbiamo tutto. Voi siete la Leonessa di Francia!
Intorno a mezzogiorno, il cappellano del Trianon venne a portare la Comunione alla Regina e Oscar la prese insieme a lei, per non farle capire che stava per morire. Era commovente vedere come la circondasse di ogni attenzione, nell’ingenuo tentativo di coprirle il sole con un dito.
Arrivò, infine, l’ora del desinare e, quando le cameriere portarono all’inferma un poco di brodo e della crema di mele (altro Maria Antonietta non volle mangiare), Oscar si accomiatò per non disturbare. Delle amare lacrime le sgorgavano dagli occhi ed ella, che aveva combattuto dure battaglie, non fu in grado di trattenerle.
– Oscar, perché piangete come se ci vedessimo per l’ultima volta, Oscar? Io spero di rivederVi.
– Anch’io, Maestà.
Ma sia la Regina Maria Antonietta che Madame Oscar sapevano che quello era un addio definitivo.
Quella sera stessa, un messo annunciò a Oscar il trapasso della Regina, munita di tutti i sacramenti. La morte aveva posto fine a un’amicizia che durava da settant’anni.
 
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Saint Denis, marzo 1840
 
Il corteo procedeva verso l’Abbazia di Saint Denis, a ritmo lento, con sobria compostezza.
Lo guidava Oscar che, per l’occasione, aveva rindossato la sua divisa.
La carrozza era massiccia, ricoperta di drappi neri, con lo stemma e le insegne dei Borbone sulle fiancate ed era sormontata dalla corona della Regina Madre. Di nero erano parati anche i cavalli e il seguito in livrea.
Le Guardie Reali aprivano e chiudevano il corteo e alcune di loro, a piedi, affiancavano la carrozza.
Oscar pensava a quando aveva scortato la giovane sposa dal Reno a Versailles, alla visita dei Delfini a Parigi e al corteo dell’incoronazione. Le sembrava di rivedere il bel volto giovanile di Maria Antonietta e di riudirne la voce gaia e melodiosa.
Un corpo senza vita, ora, doveva scortare.
Oscar guardava avanti e ricordava. Una pioggia sottile arrivò provvidenzialmente a mascherare le lacrime che stava versando, l’ultimo omaggio a un’amica.
 
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Versailles, marzo 1840
 
Si era recata lì, obbedendo a un impulso irrefrenabile e nemmeno lei sapeva perché. Si era sempre rifiutata di andarvi, seppure soltanto per deporre un fiore, ma, alla fine, aveva ceduto.
La lapide bianca, con le lettere dorate in rilievo, le stava dinnanzi, muta come muto era stato il dolore di lei, dopo l’esplosione di sgomento e d’incredulità che aveva segnato il momento della separazione.
Più in là, c’erano le lapidi e i busti dei genitori, il volto del padre, marziale, che guardava il cielo e quello della madre, serafico e raccolto in preghiera. Ai lati, si susseguivano le lapidi di decine di de Jarjayes, di uomini stroncati nel fiore degli anni e di vecchi decrepiti, di giovani spose falciate nell’atto di donare una discendenza ai loro mariti e di bambini, talvolta infanti. Accanto a ogni lapide, c’era l’effigie del defunto che tentava di riprodurne l’aspetto, di coglierne il carattere e di tramandarne la memoria. Quella di André stupiva per la somiglianza, l’eleganza e la serafica compostezza. Le bare, invece, giacevano tutte allineate nella cripta, com’era in uso a quei tempi.
Vinta dalla commozione e dal peso dei ricordi, si gettò in ginocchio, coi pugni chiusi.
– Mi hai lasciata sola! Mi avete tutti lasciata sola!
 
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Versailles, Palazzo Girodel, aprile 1840
 
– Io dico che abbiamo sbagliato a lasciarla sola! – proruppe Antigone, serrando i pugni – Abbiamo completamente sbagliato approccio! L’abbiamo trattata come una normale vecchia signora, proponendole trasferte qui o a Lille e viaggi in giro per l’Europa! Nostra madre non è una donna comune!
– Ma cosa avremmo dovuto fare? – domandò Honoré – Nostra madre non ha avuto una vita ordinaria, ma la vecchiaia è uguale per tutti!
– Avremmo dovuto stimolarla, darle qualcosa da fare! – insistette la Contessa, cinquantenne, ma ancora indomita come una ragazzina.
– La verità è che tutto, per lei, ha perso significato dopo la morte di Vostro padre – intervenne Grégoire Henry de Girodel.
– Potremmo provare a rivolgerci alla Regina e pregarla di affidarle degli incarichi, compatibili con l’età e la salute – propose la Contessa Élisabeth Clotilde – La Regina le è molto affezionata e non le negherà questo favore. Qualcosa degno di lei si troverà.
– Mi sembra un’ottima idea! – esclamò Antigone, con l’espressione rinfrancata – Facciamo così! Dobbiamo a ogni costo risollevarle lo spirito!
 
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Versailles, tenuta vicino a Palazzo Jarjayes, aprile 1840
 
Oscar si alzò di buon mattino, si abbigliò e scese nelle scuderie. La Regina l’aveva pregata di recarsi alla reggia, perché aveva un incarico da affidarle e dei consigli da chiederle e lei non poteva tardare.
Si ostinò a montare il suo cavallo bianco, malgrado i servitori l’avessero pregata di usare la carrozza.
Mentre era in sella, intenta a seguire il sentiero che migliaia di volte aveva percorso, le parve di vedere due cavallerizzi al galoppo, vestiti alla foggia settecentesca, uno biondo con un gilet color salvia e uno bruno col gilet marrone. Li guardò meglio: erano lei e André, da ragazzi.
Stupita, decise di seguirli e, così facendo, si ritrovò sulla riva del laghetto che bagnava la tenuta Jarjayes.
I due ragazzi, ora, stavano facendo a pugni e lei ricordò. Il giorno era quello! Esattamente settant’anni prima, in quello stesso luogo, lei e André avevano fatto a pugni, si erano afflosciati a terra, sfiniti e lui le aveva stretto la mano. Lei, allora, si era rialzata repentinamente ed era tornata a casa, dove aveva comunicato la sua decisione di diventare Capitano delle Guardie Reali. Il giorno dopo, si era recata alla reggia, con la sua candida uniforme e André alcuni passi indietro.
Giunta nel luogo dove tutto era iniziato, si sentì stanca, scese da cavallo e si sedette sotto un albero, con la schiena appoggiata al tronco.
Lei e André erano spariti, ma vedeva degli uomini neri come Lisimba che raccoglievano batuffoli bianchi, in campi sterminati, percossi dal sole infuocato, mentre intonavano canti tristissimi, con le loro voci gutturali e spente. Poi vide quegli uomini neri, seduti a terra, mentre reclamavano il diritto di entrare negli stessi locali e di salire sulle stesse vetture dei bianchi. Vide gruppi di donne sfilare per le vie della città a chiedere con determinazione il diritto di voto. Vide un Arciduca morire in un attentato, una grande guerra iniziare e un impero finire. Vide dei giovani spaventati, morire sotto le bombe, sprofondati in una trincea o imbracciando dei fucili, accanto a dei cavalli di frisia. Vide un uomo, con una strana divisa e degli ancor più assurdi baffi, vomitare degli ordini terribili in tedesco e degli stupefacenti carri, con dei cannoni incorporati, che incedevano senza cavalli, seminando la morte. Vide degli ordigni esplodere, disegnando un enorme fungo in cielo. Vide un Papa vestito di bianco, a bordo di una vettura senza cavalli, che si accasciava dopo uno sparo. Vide due enormi torri crollare, colpite da strane macchine in volo e uomini fatti a pezzi a colpi di machete. Vide tante altre immagini che si susseguivano e si sovrapponevano.
Le parve, a un tratto, di vedere tutti i cavalli suoi e di André che galoppavano e nitrivano e gli animali a cui era stata affezionata che correvano e giocavano.
Poi, vide i genitori, radiosi e sereni e il padre che la incitava ad alzarsi e, quando lei obiettava di non avere più le forze, lui le rispondeva che, invece, le aveva e che doveva racimolarle, per combattere le ingiustizie.
– Ti ho temprata per lottare, Oscar e dovrai farlo sempre, ovunque ci sia un’ingiustizia da contrastare!
– Sarete sempre il mio Comandante! – le disse l’aristocratica voce di Girodel, comparso, splendente, accanto ai genitori.
– Quelli come noi combattono sempre, sulla terra dei vivi e nell’altra vita! – la spronò Napoleone, nella sua semplice divisa militare, con gli occhi accesi, ma finalmente felici – Alzatevi e combattete!
– Voi siete la Leonessa di Francia! – le disse il Delfino Luigi Giuseppe, sano e robusto.
– Voi siete la Leonessa di Francia! – le dissero, insieme, Luigi XVI e Luigi XVII e le parve che il primo avesse, sul capo, l’aureola dei santi.
– Voi siete la Leonessa di Francia! – le disse Maria Antonietta, bella e radiosa come non era mai stata – Alzatevi, amica mia!
D’un tratto, le apparve André, non anziano, ma giovane, come quando si erano presi a pugni, settant’anni prima, in quello stesso luogo dove tutto era iniziato e lui le tendeva la mano.
– Sarò sempre al tuo fianco!
Lei sentì che le forze le erano tornate, si guardò le mani lisce e la sua immagine riflessa nel laghetto. Era di nuovo giovane anche lei e di nuovo pronta a lottare e ad aiutare gli uomini, non soltanto i francesi, ma tutti.
Prese la mano di André, si alzò e lo seguì.
 
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A Palazzo Jarjayes, erano tutti in apprensione. Era mezzogiorno e, un’ora prima, erano arrivate Antigone ed Élisabeth Clotilde, dame della Regina, per dire che Oscar, pur essendo attesa alla reggia, non vi era mai giunta.
Colti alla sprovvista e pieni di angoscia, Honoré e Grégoire Henry avevano deciso di organizzare delle battute di ricerca, aiutati dai figli e dai servitori.
C’era anche Rosalie che, già da due mesi, si trovava a Palazzo Jarjayes. Dopo il matrimonio della figlia, aveva lasciato il lavoro di governante e si era trasferita da Bernadette e dal Marchese de Saint Quentin, a Lille. Ultimamente, avendo saputo che Oscar aveva avuto alcuni episodi di smarrimento, aveva deciso di tornare a Palazzo Jarjayes, per starle vicino e rendersi utile.
Mezz’ora prima, era arrivato pure Alain. Avendo visto il suo Comandante più affaticata e giù di tono del solito, aveva reso le sue visite quasi quotidiane – a Palazzo Jarjayes, era sempre il benvenuto – e, quel giorno in particolare, aveva la mente attraversata da strani e oscuri presentimenti.
– Voglio partecipare anch’io alle ricerche! – disse il vecchio Generale napoleonico ormai a riposo, ancora alto e dritto come un fuso – Sbrighiamoci, però, per Diana!
Mentre si erano riversati tutti nel cortile antistante il palazzo, il cavallo di Oscar, che la donna, scendendo dalla sella, per la grande stanchezza, non aveva legato, entrò dal cancello e, sbuffando, si fermò davanti a loro, strisciando lo zoccolo sul selciato, in segno di nervosismo.
– Dov’è la tua padrona, dov’è?! – domandò Rosalie, con gli occhi pieni di lacrime, all’equino.
La povera bestia, che sembrava contagiata dal dolore generale, si voltò e tornò sui suoi passi.
Decisero, allora, di seguirlo, gli uomini a cavallo, le donne su due calessi. Anche un buon numero di servitori andò con loro.
Dopo un tragitto affannoso, caratterizzato dall’apprensione e della paura, col cavallo che li guidava e che, ogni tanto, si voltava per sincerarsi che lo seguissero e gli esseri umani che lo incitavano, giunsero, infine, al laghetto.
Videro, da lontano, Oscar, seduta sotto un albero, con la schiena appoggiata al fusto di legno e il capo riverso in avanti. Sembrava che dormisse.
I due figli si accostarono. Honoré si inginocchiò accanto a lei, le prese la mano, sentì che era fredda e si portò la mano libera sul volto. La sorella, allora, afferrò il braccio della madre e iniziò a scuoterla e a invocarla, scongiurandola di reagire e di dire qualcosa, finché il marito non le fu accanto, ponendole dolcemente le mani sulle spalle.
Rosalie scoppiò a piangere e i servitori la imitarono immediatamente. Tutti si fecero il segno della croce.
Dopo alcuni attimi di smarrimento, Honoré, nuovo Duca de Jarjayes e già da qualche anno Conte di Lille, si alzò in piedi e ordinò a due servitori di andare a palazzo e di prendere una carrozza per riportare la madre a casa. Poi, si avvicinò alla moglie, alla sorella e al cognato e, insieme, si fecero coraggio.
Rosalie era fiaccata dal dolore, perché, con la sua benefattrice, aveva perso una sorella maggiore e quasi una seconda madre.
– E’ strano – disse fra le lacrime, apparentemente senza un filo logico – Quest’anno, con la primavera che è esplosa in anticipo, i roseti di Palazzo Jarjayes sono già fioriti e ci sono degli splendidi cespugli di rose bianche!
Alcune di quelle rose bianche, riunite in ghirlanda, avrebbero ornato la carrozza funebre, nel suo tragitto da Palazzo Jarjayes alla Cappella Reale di San Luigi IX, alla reggia. Immediatamente dietro la carrozza e avanti a quelle di parenti, conoscenti e personalità di alto rango, sarebbe sfilato, senza cavalcatura, l’ultimo cavallo bianco di Oscar, ornato coi paramenti di guerra. Anche la carrozza reale, con dentro la corona della Regina, avrebbe seguito il corteo.
Alcune di quelle rose bianche avrebbero ricoperto la bara, nella Cappella Reale di San Luigi IX, mentre i parenti e gli amici, la famiglia reale, i nobili e la gente comune le rendevano omaggio.
Su quel cuscino di rose bianche, una donna vestita di nero, completamente velata, avrebbe deposto una rosa nera, chinando la testa in segno di rispetto e scomparendo, poi, in mezzo alla folla, dopo avere rivolto una lunga occhiata in direzione di Rosalie.
Alain, che conosceva la predilezione del suo Comandante per le rose bianche, comprese al volo la frase di Rosalie, le si accostò e, stringendole un braccio con la mano, le fece coraggio.
Arrivò, infine, la carrozza che i due servitori erano andati a prendere.
Honoré e Grégoire Henry de Girodel sollevarono Oscar e la portarono verso la vettura.
Alain, a quel punto, si mise sull’attenti e, mentre una lacrima gli scorreva lungo la guancia, disse:
– Addio, Comandante!
Fra i cespugli di Palazzo Jarjayes, intanto, una rosa bianca stava sbocciando.
 
La Leonessa di Francia
 
Fine






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E’ con immensa commozione e con la gioia di avere portato a compimento un’opera così colossale che pubblico quest’ultimo capitolo. Dopo cinque anni e mezzo, “La leonessa di Francia” finisce. Non nego che la storia già mi manchi, ma tutto ha un inizio e una fine.
Ringrazio tutti coloro che mi hanno seguito fin qui, che mi hanno letta e recensita e a tutti auguro di trovare sempre una storia che li emozioni e che li rallegri, perché, soprattutto quando la vita si fa difficile o pesante, è essenziale saper sognare e le storie sono fatte della stessa materia dei sogni. Sogni che aiutano a vivere.
   
 
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