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Autore: aelfgifu    20/09/2023    5 recensioni
Ai festeggiamenti per la conquista della Champions League da parte del Manchester United, Valerie rincontra una persona conosciuta dieci anni prima in circostanze alquanto particolari. [Sequel/prequel di “Qui, in questo mondo”]
Genere: Fluff, Slice of life, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Brian Cruyfford, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Hier, in deze wereld'
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Il mondo è piccolo ovvero la ragazza col mal di mare
 
Per festeggiare la tanto attesa e sospirata vittoria in Champions League la dirigenza dello United organizzò un mega party presso un resort adagiato nel verde della campagna (il resort era nato nel XIX secolo come residenza di campagna dei duchi di Harewood). Politici, aristocratici, sportivi, gente dello spettacolo, artisti, scrittori, belle ragazze a mo’ di decorazione, la cosa si preannunciava grandiosa.  Avevano invitato, dietro sua esplicita richiesta, anche il giovane conte del Wessex, al quale non pareva vero di poter conoscere dal vivo i campioni d’Europa. 
 
*** 
 
Brian non era tornato da Madrid insieme agli altri. Aveva chiesto il permesso di andare per due giorni ad Amsterdam, prima di rientrare nel Regno Unito. A fare che? 
“A rendere omaggio alla tomba di mio fratello da vincitore della Champions League”.
Di ritorno dai Paesi Bassi, scelse di volare su Londra e arrivò a casa con un’auto a noleggio, dopo aver guidato tutta la notte. Alle sei del mattino suonò a casa di Valerie, salì le scale a quattro a quattro e non appena se la trovò di fronte l’afferrò e la stritolò in un abbraccio frenetico. Mentre l’abbracciava, scoppiò a piangere come un bambino. Jackie e Frances, svegliate da quel trambusto a un’ora indecente, si erano precipitate nell’ingresso solo per vedere la loro coinquilina che quasi spariva nella stretta della stella dello United. Quando tutti si furono ricomposti, le due ragazze invitarono Brian a fare colazione. In cambio di un uovo fritto, un sandwich col prosciutto, caffè e succo di frutta, Frances si fece autografare una t-shirt col pennarello indelebile, mentre Jacqueline, che pensava a Ian, strappò a Brian la promessa di far loro nuovamente visita, onde fargli conoscere il suo fidanzato. Quando Valerie e il giovane olandese poterono rimanere soli per un momento, lei gli fece una carezza sul viso e gli chiese: 
“Ora non hai più quel gran fardello sulle spalle? Sei più leggero ora?” 
“Da ora la mia vita è mia” rispose lui, ridendo allegro.
 
***
 
…ma quando si trattò di convincere Valerie a presenziare al mega party, esplose l’ira di Dio. Lei non voleva andare, puntava i piedi, protestava che non si sarebbe sentita a suo agio in mezzo a tutta quella gente famosa. 
“Ti ricordo che sono una ragazza di campagna, ti farei fare brutta figura in mezzo a quella gente sofisticata”. 
“Sofisticata? Noi calciatori siamo una banda di cafoni. Quelli della tv altrettanto. Ci saranno un mucchio di ragazze più carine di te, ma nessuna più bella. E poi sarai con me” si vantò Brian. 
Così Valerie si sacrificò e accompagnò il suo ragazzo. E si comportò benissimo, perché la “campagnola” conosceva le buone maniere, era gentile e spiritosa e sapeva reggere la conversazione, sia lo small talk che un discorso serio: difatti incantò nell’ordine il presidente dello United, Hjalmarssen e signora, e perfino il nipote del re, che a quanto pare era interessatissimo al recupero degli animali randagi e alle associazioni no profit che se ne occupavano. 
Dopo due ore, però, Valerie chiese scusa a tutti, disse che aveva bisogno di ricaricare le batterie e se la svignò in giardino, da sola. 
 
***
 
Si era seduta sulle scale che scendevano verso il giardino, aveva posato il piatto e il bicchiere sul gradino e respirava l’aria fresca con evidente sollievo. Gli ambienti troppo affollati non avevano mai fatto per lei. 
“Eccoti qua…”
Valerie trasalì per un momento, poi sorrise pensierosa. 
“Già”. 
L’ombra agile e silenziosa che era arrivata alle sue spalle scese gli scalini e scivolò accanto a lei. E alla luce debole dei lampioncini sparsi nel giardino e alle loro spalle, si rivelò la figura snella e il bel viso inquisitivo di Hans van Veldeke. 
“Ciao, Valerie” disse l’allenatore porgendole la mano. Fece una piccola smorfia di imbarazzo.
"Ciao, Hans” Valerie gli strinse la mano. 
“Il mondo è piccolo, eh?” 
“Non credevo che mi avresti riconosciuta”.
“E come faccio a scordarmi della fragile donzella colpita dal mal di mare?” scoppiò a ridere lui. “Certe cose capitano una sola volta nella vita!”
 
*** 
 
Era accaduto il 4 luglio 2013, sul traghetto che faceva la tratta Newcastle - Ijmuiden, con partenza alle 17 e arrivo alle 9 del mattino. Valerie aveva terminato il semestre e il suo secondo anno di università brillantemente e prima di tornare a casa si era voluta regalare una piccola vacanza nei Paesi Bassi. Voleva vedere lo Zuiderzee, Haarlem, i campi di tulipani, i mulini a vento, il Rijksmuseum, i canali di Amsterdam, l’Ijssel e il Waal. Era andata direttamente da Edimburgo a Newcastle e lì s’era imbarcata, nel tardo pomeriggio di una serena giornata estiva. 
Aveva prenotato una bella cabina di prua piccola ma accogliente e ci si era rifugiata felice. Tutto era andato bene finché il traghetto non era uscito in mare aperto e aveva preso velocità: a quel punto Valerie aveva cominciato a sentire una nausea irresistibile, le girava la testa come se fosse ubriaca, non riusciva a tenersi in piedi. Aveva fatto appena in tempo a raggiungere il minuscolo WC della cabina e nel giro di pochi minuti aveva vomitato anche l’anima. Non era mai stata così male in vita sua.  Mentre ritornava a passi incerti, per buttarsi sul letto, aveva sentito bussare alla porta. Erano colpi brevi e ripetuti, quasi ansiosi. Valerie era andata ad aprire e si era trovata davanti un giovane alto, dai capelli castani, che la guardava preoccupato.
“Sono il tuo vicino” e con la mano aveva  indicato la cabina a destra. “Ho sentito dei rumori strani e…” 
“Credo di avere… avuto… un attacco di mal di mare. Insomma, stavo vomitando” aveva spiegato Valerie a fatica, tutta bianca in faccia, labbra comprese, con una patina di sudore che le si spargeva sulla fronte e le guance. La testa le doleva. Barcollava. Il giovane l’aveva riacchiappata prontamente e l’aveva fatta sedere sul letto, poi aveva aperto le tende della piccola finestra. Valerie teneva gli occhi chiusi, si stringeva la testa con i pugni. 
“A proposito…” aveva detto la voce del giovane. “Mi chiamo Hans van Veldeke”. Valerie aveva sentito una mano che trovava la sua e la stringeva gentilmente. “Valerie Douglas” aveva risposto “mi dispiace incontrarti così…” 
“Oh, figurati. Riesci ad aprire gli occhi?”
“La testa mi scoppia…” 
“Su, su, tranquilla”. Valerie si era resa conto che il giovane le stava strofinando la schiena con le nocche delle dita, ripetutamente, delicatamente, per tranquillizzarla; e infatti poco a poco si era tranquillizzata, era riuscita  anche ad aprire gli occhi e a guardare il mare. Lui aveva continuato a strofinarle la schiena e quando Valerie si era sentita un pochino meglio l’aveva portata a passeggiare sul ponte superiore per respirare “l’aria del Mar del Nord”. Mentre stavano sul ponte, a un certo punto Valerie aveva avuto un’epifania:
“Tu sei Hans van Veldeke! Giochi nel Newcastle” aveva esclamato. 
“Segui il calcio?” l’aveva interrogata lui. 
“Sì. No. Non molto. Devo averti visto in tv o sui giornali”.
“Hm. Non è che io sia poi questa grande star…” 
“E come mai torni a casa in traghetto?” si era lanciata Val. Poi però si era resa conto di aver posto una domanda forse troppo personale a qualcuno, nella fattispecie un calciatore di Premier League, che conosceva da meno di un’ora e che probabilmente era tutt’altro che propenso a raccontare agli sconosciuti i fatti suoi. “Scusa, non sono affari miei”. 
“Figurati” aveva riso lui “non c’è nessun mistero. I miei figli, ho due gemelli, compiono due anni domani, dovevo essere ad Amsterdam oggi a mezzogiorno,  ma il volo che avevo prenotato è stato annullato all’ultimo minuto. Così ho preso il traghetto. Sarò a casa domattina, giusto in tempo per festeggiare il compleanno di Johan e Jacob”. 
Valerie gli aveva raccontato che era studentessa al secondo anno di veterinaria a Edimburgo, che era originaria del Lancashire e che si era regalata una vacanza nei Paesi Bassi per festeggiare la fine del semestre.
“Non ho mai  sofferto di mal di mare, chissà perché stavolta mi ha preso cosî”.
“Probabilmente stare in quella cabina così piccola con le tende tirate ti ha tolto la visuale e il tuo  cervello ha cominciato a impazzire. Se ti senti di nuovo male, esci sul ponte e fissa l’orizzonte fino a che il tuo cervello non ti dice chiaramente che il mare è fermo, si fa per dire, mentre tu ti trovi su un battello che si muove”. 
“Te ne intendi…” 
“Sono olandese, tutto qua”.
Le aveva preso un’acqua minerale e un bicchiere di camomilla per reidratarsi e le aveva raccomandato di  bere piano e a piccoli sorsi. Poi l’aveva riaccompagnata in cabina, esortandola a bussare in caso di necessità. 
“Hai bisogno di un passaggio fino ad Amsterdam domattina?” aveva chiesto Hans. 
“Be’… credo di sì”. 
“Bussa da me alle otto e mezza”. 
Valerie era andata a dormire tutta contenta e aveva dormito pacificamente per otto ore, alle sette si era alzata calma, riposata e soprattutto con lo stomaco perfettamente tranquillo ed era uscita a fare un giro. Nello shop del traghetto erano esposti tre cagnolini di peluche, un piccolo pastore tedesco, un piccolo jack russell e un piccolo labrador dalle orecchie pendule, con lo stemma della compagnia di navigazione cucito sul pancino. Avevano dei musi così simpatici che si era decisa a comprarli. 
 
***
 
Hans non si era limitato ad accompagnarla in centro, ma l’aveva depositata proprio davanti al suo B&B. 
“In bocca al lupo per tutto e attenta al mal di mare” aveva detto salutandola, con una specie di carezza maldestra o buffetto sulla tempia che dire si voglia. Gli faceva tenerezza quella ragazzina dall’aria fragile. A quel punto Valerie gli aveva messo in mano il piccolo pastore tedesco e il piccolo jack russell: 
“Per i tuoi bambini”. Valerie aveva abbassato gli occhi, birichina. “Il papà aveva tanta fretta di tornare da loro che sul traghetto ha visto questi cagnolini e ha pensato che Johan e Jacob li avrebbero trovati adorabili…”
Lui aveva preso i due peluche sorridendo confuso. “Ciao, Hans, grazie” la ragazza si era sollevata sulla punta dei piedi e lo aveva baciato su una guancia, prima di prendere il suo trolley, attraversare il marciapiede e suonare al citofono del bed & breakfast. 
 
*** 
 
“Li hanno chiamati Jaap e Jos” rise Hans. “Sono stati tra i loro giochi preferiti per tanto tempo. Mia moglie li tiene ancora sul ripiano più alto della libreria nella stanza dei gemelli”.  
Valerie preferì non dirgli che anche lei teneva il piccolo labrador, il terzo dei peluche comprati sul traghetto, sulla sua scrivania ormai da dieci anni. 
“Sei sempre attento e premuroso” disse invece. “Brian mi ha raccontato come ti sei preoccupato per lui quando è stato male”. 
Lui annuì. “Un allenatore deve essere protettivo coi suoi ragazzi, un po’ padre, un po’ fratello maggiore… ma Brian è davvero il fratello minore di uno dei miei più cari amici, mi sono preoccupato per lui anche per questo”. 
“Brian è fortunato”. 
“Lo è”. Veldeke sorrideva. “Di tutte le cose che gli potevano capitare nella vita, credo che tu sia la più bella in assoluto”. 
“Eccetto la vittoria in Champions League” obiettò subito Valerie.
“Credimi, lui non può ancora saperlo, ma la Champions League in confronto è una sciocchezza”. Veldeke le strizzò l’occhio. “Soffri ancora il mal di mare?”
“Quella è stata la prima e l’ultima volta” ridacchiò Valerie. “Da allora, quando salgo su un’imbarcazione, faccio sempre come mi hai detto tu”.
 
*** 
 
Nota di Ælfgifu. Che vi devo dire? Da quando ho inventato il personaggio, mi sono presa una mezza cotta per il mister Veldeke. Lo vedo come un uomo deciso ma protettivo, sia nei confronti dei suoi ragazzi sia proprio come modo di essere. È un padre affettuoso, che fa di tutto per arrivare a casa in tempo per festeggiare il compleanno dei figli (chissà se esistono veramente padri di questo tipo o io ho avuto esperienze particolarmente negative in questo senso?) Personalmente mi immagino Hans van Veldeke molto somigliante a José Mourinho da giovane (hai detto niente…)
 
 
  
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