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Autore: Flying_lotus95    02/10/2023    1 recensioni
Torino, 1944.
L'omicidio di un ufficiale tedesco, un uomo in fuga, una donna che cercherà di proteggerlo. Amore e odio, segreti e bugie, guerra e pace, sia dentro che fuori.
[𝘘𝘶𝘦𝘴𝘵𝘢 𝘴𝘵𝘰𝘳𝘪𝘢 𝘱𝘢𝘳𝘵𝘦𝘤𝘪𝘱𝘢 𝘢𝘭 𝘞𝘳𝘪𝘵𝘰𝘣𝘦𝘳 2023 𝘥𝘪 𝘍𝘢𝘯𝘸𝘳𝘪𝘵𝘦𝘳.𝘪𝘵]
Genere: Drammatico, Guerra, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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Prompt: Montagna
 

Capitolo 2:
 
Una (montagna) tra noi

 

«No, non sono d'accordo Romeo, è fuori discussione!».
Il brusio che si elevò alla dichiarazione di Alfredo, capo del gruppo di partigiani, raccolse pareri discordanti tra loro. Romeo li studiò uno per uno, sperando di trovare almeno un parere positivo, o una concessione da parte dei compagni.
Seduto poco lontano da quella riunione improvvisata, Maxime ascoltò tutto con distacco, non gli interessava davvero che i partigiani scegliessero per il suo destino. D'altronde, si considerava già un uomo perduto. Aveva trascorso la notte in bianco sulla branda che gli aveva offerto don Pierino e non aveva fatto altro che sognare sangue, morte, mani insanguinate, urla… 
Non era riuscito a spiccicare una parola in italiano, nemmeno con Romeo, che da quando era venuto a prenderlo, di primo mattino, non aveva fatto altro che illustrargli ciò che avrebbero fatto di lì in poi, tra cui andare a parlare con Alfredo e chiedergli il permesso per tenerlo nascosto per un po' tra i suoi uomini. Ma Maxime non gli aveva dato alcun accenno di aver capito cosa Romeo gli stesse comunicando. I suoi pensieri erano occupati da altre cose.
«Ti rendi conto di cosa mi stai chiedendo?? Accettare un nazista tra i miei uomini, ma neanche per sogno!»
«Max non è come loro, Alfredo! Te lo ha dimostrato più volte…»
«È ricercato per omicidio, questo non può cambiare le cose!»
«Quel figlio di puttana ha avuto ciò che si meritava!»
«Non ho dubbi a riguardo, ma accettarlo significa esporsi troppo ai tedeschi…»
«Se non lo avesse fatto lui, uno di noi l'avrebbe fatto al suo posto prima o poi!».
Tra i compagni il vociare aumentò, assieme alla perplessità e ai dubbi.
«E se gli dessimo una possibilità, capo? Dopotutto, ormai è chiaro da che parte stia quel soldato… non certo dalla loro» provò ad intervenire Dante, uno del gruppo e amico di Alfredo. «Romeo ha anche detto che non starà con noi per molto tempo… quando riusciranno a dargli i documenti per farlo fuggire, ce ne libereremo!» Dante aveva provato ad essere positivo in quella faccenda, ma nè Alfredo e nè lo stesso Maxime parvero della stessa opinione.
«Io non voglio grane» dichiarò Alfredo con tono di chi non ammetteva repliche a riguardo. «Che se ne occupi Agnese… qui siamo impegnati a liberare la zona da quei miserabili, non a fare da balia ad un moccioso straniero!».
Romeo allora lo afferrò per la collottola, non con l'intenzione di aggredirlo, tutt'al più per ricevere la sua totale attenzione. Gli uomini furono sul punto di intervenire, ma le due donne del gruppo, Alisea ed Angioletta, li bloccarono con un solo cenno della mano.
«Io non abbandono Maxime nella merda! Ho le mie buone ragioni per proteggerlo da quella gentaglia, e se solo avessi un briciolo di riconoscenza, sapresti che-»
L'invettiva d Romeo venne inaspettatamente interrotta dalla mano di Maxime, stretta sulla sua spalla, senza il bisogno di strattonarlo. Si zittirono tutti quanti nell'assistere alla sua entrata in scena. Maxime non aveva proferito parola, aveva solo cercato lo sguardo di Romeo. Gli rivolse un’occhiata languida, mesta. Si era alzato silenziosamente dal tronco su cui era seduto, appositamente per fermare Romeo e l’accusa che stava rivolgendo al suo capo e amico.
Romeo non poté non assecondare quella richiesta silenziosa che il giovane soldato gli stava comunicando. Lasciò così la collottola di Alfredo, permettendo al tedesco di farsi avanti, seppur con titubanza. 
Sentirsi tutti quegli occhi addosso non aiutò Maxime ad aprirsi come avrebbe voluto: non parlava perfettamente italiano, aveva iniziato a capirlo grazie ad Agnese, e alla pazienza infinita che Anna, la sorella minore di lei, aveva riservato nei suoi confronti, grazie a qualche rapida lezione.
Provò ugualmente a parlare, nonostante avesse il cuore in gola.
«Io, ehm… non voglio essere un peso per voi. Voglio aiutare». Per la prima volta, quel suo accento tedesco così marcato lo fece sentire a disagio in mezzo a tutti loro, come un pulcino abbandonato in mezzo ad un gruppo di faine fameliche.
Cercò di fissare dritto gli occhi duri e scrupolosi di Alfredo, e di non dare importanza ad altro.
«Vi guarderò le spalle, se necessario. Sono un soldato, so sparare…» Maxime aveva il fiatone quando terminò la frase.
Alfredo alzò un sopracciglio, con sarcasmo.
«Ne siamo a conoscenza, sì» rispose il partigiano, accompagnato dal risolino dei compagni. Solo Romeo restò serio a fissare la scena, impassibile.
Maxime inspirò profondamente, ponderando le parole da dire.
«So bene di essere un traditore» disse con voce tremante e la pronuncia sbagliata «E so che state già correndo pericoli. Ma se mi darete asilo, io contraccambierò il favore, aiutandovi come e dove posso».
Romeo cercò di intervenire, voleva convincere Maxime a non strisciare troppo ai loro piedi, a non umiliarsi, ma la reazione di Alfredo lo bloccò nel suo intento.
«Alisea! Portalo nel nostro rifugio, ai piedi della montagna. Fallo mangiare, preferibilmente non patate!» e nel dire ciò, diede una pacca talmente forte dietro la schiena del tedesco, da suscitare l'ilarità di tutti, fuorché quella di Romeo, che rimase di stucco. Quando poi si avvicinò ai due, sentì Alfredo sussurrare qualcosa all'orecchio di Maxime, con confidenza.
«Una settimana. Possiamo nasconderti per una settimana. Dopodiché ti sloggio io a suon di calci!» e nel dire ciò, lo spinse in direzione di Alisea, una donna di corporatura imponente, ma non massiccia. Era una ex mondina e si era unita ai partigiani dopo l'arresto di suo marito. 
Romeo fece per seguirli, ma venne trattenuto da Alfredo, mentre il gruppo seguiva lentamente Maxime ed Alisea dirigersi verso la montagna.
«Se dovesse accadere qualcosa, la responsabilità sarà solo tua» lo avvertì il compagno, con un dito puntato in viso. Dopodiché lo lasciò indietro, volutamente. Perché Romeo non li avrebbe seguiti per il momento.
 
● ● ●
 
«Quindi Alfredo non ha fatto storie?». Agnese era seduta alla finestra della sua stanza quando rivolse la parola a Romeo, dandogli le spalle. 
«Gli ha concesso una settimana di tempo. Entro quei giorni dovrà già essere su di una nave o un treno diretto chissà dove» rispose Romeo, a testa bassa e le mani che stringevano la propria coppola convulsamente. 
Agnese annuì, apparentemente distaccata. 
«Bene» sentenziò fredda.
«Sarà andato via ancor prima dello scadere della settimana» dichiarò poi, come se avesse la situazione in pugno. Romeo fece per uscire dalla stanza, quando poi notò che da una porta socchiusa fuoriuscì il viso triste e dispiaciuto di Anna. Aveva gli occhi rossi, segno che aveva pianto tutto il giorno, sconsolata.
Fu la visione di quel viso a farlo tornare sui suoi passi, con decisione.
«Ogni tanto potresti farlo anche tu» si limitò a dire, incerto.
Fu solo in quel momento che Agnese girò il viso e lo fissò, contrita.
«Fare cosa?». Non era riuscita a cogliere il messaggio che Romeo le stava lanciando. O forse, non voleva coglierlo.
«Mostrarti debole. So che la morte di quel farabutto di von Kusserl non ti è indifferente. Nessuno ti recriminerà nulla se piangerai per lui». Non vi era accusa nelle parole di Romeo, nè giudizio. Era solo sinceramente preoccupato per lei.
Ma Agnese quel suo dolore non lo avrebbe condiviso con nessuno, era troppo intimo e personale anche solo per lasciarlo sfogare come un fiume in piena. 
«Buonanotte, Romeo» lo liquidò infatti, asciutta. Romeo, da parte sua, non ne restò troppo colpito, conosceva bene Agnese e sapeva che sbatterci la testa contro era inutile. Lasciò così la stanza, e con un sorriso mesto salutò Anna, che ricambiò grossolanamente il suo gesto.
Una volta andato via, fu il turno di Anna di dirigersi dalla sorella maggiore, ancora tremante e la voce rotta dal pianto recente.
«Agnese?» la chiamò, e per poco il cuore della ragazza non s'incrinò a quel richiamo tanto triste e dolce al contempo. Anna era sempre stata l'unica sua vera debolezza, dopo Gabriel.
«Posso dormire con te stanotte?» chiese la più piccola, tirando su col naso. Agnese dovette appellarsi a tutte le sue forze per non crollare a terra, e piangere a dirotto peggio di sua sorella. 
«Certo, piccola» le disse e si avvicinò al letto, invitando la sorella a venire con lei sotto le coperte. Anna le si strinse addosso, come faceva quando era bambina e la notte si svegliava in preda agli incubi.
«Non posso crederci che Gabriel sia morto. Mi manca così tanto…».
Agnese fu grata a Dio internamente per aver fatto sì che Anna avesse conosciuto soltanto quel lato di quel demonio travestito da angelo. E che se avesse potuto assicurarsi un posto in paradiso lo doveva al dolce cuore di quella ragazzina innocente, che lo aveva adorato da sempre, ignara di ciò che era diventato, di ciò che aveva fatto. Agnese stessa aveva cercato di redimerlo, di "salvarlo" in qualche modo: ma avrebbe dovuto capirlo subito che Gabriel non era destinato alla salvezza. In quella discesa aveva trascinato anche lei, inesorabilmente, senza darle modo di salvarsi, ed invocare aiuto. Si era erta una montagna tra loro, una montagna fatta di pietre, lacrime, ideologia e potere. E fango. Fango nero e sporco di sangue. Del suo sangue violato.
«So che manca tanto anche a te, anche se non lo dici» continuò Anna, completamente all'oscuro dei pensieri della sorella maggiore.
Ho già detto addio al Gabriel che conoscevo un tempo. A quel Gabriel che era diventato ora io non devo niente. Non devo più niente, neanche una lacrima.
«Pensa a dormire adesso, Anna» le disse Agnese, baciandole la testa con amore. Se la strinse così forte contro, da sperare che gli incubi di quei giorni passassero in fretta, senza lasciarle alcun segno addosso.
Più di quanti Gabriel ormai gliene avesse già lasciati, indelebili.
   
 
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