Note:
questa raccolta partecipa al Writober 2023 indetto da Fanwriter.it,
un prompt al giorno per ogni capitolo.
Il
silenzio che avvolge la villa è lugubre, quasi innaturale.
Il
buio all'esterno delle vetrate non è il solito; sembra che
stia
aspettando, trepidante, di far uscire allo scoperto il male nascosto
tra i cespugli e gli alberi.
Haibara
si stringe le braccia intorno al corpo mentre un brivido le percorre
la schiena.
Le
sue sensazioni si sono rivelate errate poche volte dalla sua fuga
dall'oscurità e ogni volta il dolore che colpisce il petto
è sempre
lo stesso.
Si
guarda le spalle – ormai è un meccanismo naturale,
quasi come
respirare - e si accovaccia sul divano del dottor Agasa.
All'improvviso,
il rumore di chiavi inserite nella serratura della porta d'ingresso
la fa sobbalzare, il cuore batte così forte da riuscire a
contarne
distintamente i battiti.
La
bambina si alza e raggiunge lentamente la porta, evitando ogni minimo
rumore. Si solleva sulle punte dei piedi e guarda nello spioncino,
spostandolo leggermente.
Sospira
sollevata, lasciando andare il respiro trattenuto nei polmoni, e apre
la porta dall'interno.
“Haibara,
meno male che hai aperto tu. Il dottor Agasa mi ha dato le chiavi ma
vedo che sono inutili. Dovrebbe far aggiustare questa benedetta
serratura e anche il prima possibile”.
La
voce di Conan la raggiunge ancora prima di vederlo.
Lo
osserva mentre, fermo sulla soglia, tira fuori le chiavi con
l'espressione rassegnata sul volto.
Accade
tutto in un istante.
Dietro
di lui, percepisce un rumore leggero, un fruscio tra le foglie degli
alberi. S'irrigidisce mentre torna l'orribile percezione di poco
tempo fa.
Il
bambino la guarda stupito, inarcando un sopracciglio. Comprende i
segnali – la conosce, ormai – e rimane all'erta
mentre nota il
viso di lei impallidire di colpo.
“Haibara?”
la chiama appena, notando il suo sguardo spento.
Lei
si riscuote un istante, iniziando a tremare.
“K-Kudo...
“.
Conan
la scruta, dannatamente serio. È consapevole del fatto che
lei sia
ancora scossa dagli avvenimenti delle ultime settimane e che, per
questo, preferisca restare in casa quando riesce, ma la paura che le
legge negli occhi in questo momento è qualcosa di nuovo.
Le
appoggia le mani sulle spalle, spingendola delicatamente dentro casa,
e si chiude la porta alle spalle.
“Stai
bene?”.
Haibara
solleva lo sguardo, mentre percepisce un calore morbido e avvolgente
scaturire dalle sue mani a contatto col proprio corpo.
Non
le ha fatto altre domande, ma sa che lui ha compreso.
Sa
cosa c'è dietro ogni paralisi, ogni angoscia, oltre gli
occhi
sgranati dal terrore e l'ossigeno mozzato nei polmoni.
Ma
il detective non approfondisce; non scava come è abituato a
fare,
non vuole infliggerle dolore nel dolore.
Sapere
come sta, questo basta.
La
brutta sensazione sparisce così come è arrivata,
ma adesso non
conta più.
Lei
lo guarda con gli occhi spaventati di un cucciolo ferito e annuisce
appena, aggrappandosi con le dita strette attorno alla stoffa della
sua giacca.
Conan
accenna un sorriso; sta bene. Non importa altro.
Sarà
lei a parlargliene se vorrà, ma per ora va bene
così.