Sikelia, 1571 Or.
Il mormorio si diffondeva all’esterno della tenda. Molte teste coperte da turbanti e m’harma si spingevano per poter vedere ciò che si trovava all’interno, le numerose stuoie adagiate su tappeti tessuti in modo che non un solo granello di sabbia potesse dar fastidio ai malati.
Solo due donne si trovavano all’interno, con indosso i thaqandourth più semplici che avevano sporcati di sangue e croste.
Kafar al’Alam. Questo il nome che era stato assegnato alla malattia che non solo riempiva di croste i pazienti, ma anche faceva dolere ogni singola giuntura.
«Layla…» mormorò una delle due donne, che era inginocchiata presso un tavolino, il tono tremante di eccitazione.
Nell’ultima città in cui avevano fatto sosta avevano mandato gli uomini sani a prendere quanto materiale poteva essere loro utile. Era stato uno sforzo comunitario e avevano richiamato persino i membri dei clan che stavano facendo i loro pellegrinaggi per tutte le città della Sikelia per riuscire a vincere contro Kafar al’Alam, il dio della morte che sadicamente falciava i loro cari.
L’aiuto fondamentale per individuare l’agente del dio era stato quello di Tariq, che aveva raggiunto terre lontane e aveva riportato miracolosi vetri che erano in grado di scrutare lontano, e assieme ad Amira avevano compreso il modo di poterli usare per studiare il morbo.
Rafiq e Kamal, poi, erano in viaggio da anni per studiare le piante e gli animali ed era stato difficile riuscire a contattarli e farli tornare indietro con il loro prezioso bagaglio di conoscenze. Fortunatamente, Kafar al’Alam era lento quanto inesorabile e non avevano dovuto seppellire nelle sabbie troppi membri della loro tribù.
Layla si avvicinò, i capelli biondi raccolti in due trecce che circondavano la sua testa affinché non le dessero fastidio e non fosse costretta a tagliarli. Osservò nel tubo che l’altra aveva in mano. Nella goccia di sangue diluito illuminato da una fiammella si vedevano le macchioline che lei e la compagna avevano individuato come l’agente di Kafar al’Alam assolutamente immobile.
«È fermo… non vola come un granello nella tempesta…» mormorò Layla, appoggiando il tubo e voltandosi a prendere le mani della compagna. «Fatima, è ora…»
Si voltarono verso l’ingresso della tenda, con gli occhi velati d’emozione.